Santa Maria in Plateis

on si conosce il tempo della erezione di questa chiesa; ma nel 1496 già risulta da una pergamena che si conserva nell’archivio di Santo Stefano, ove si legge il privilegio di indulgenze concesse dalla Santa Sede nella chiesa della Cona o delle Piazze, nel giorno della Sagra per la seconda domenica di maggio.

La chiesa apparteneva ai PP. Agostiniani di Santo Stefano (vecchio), e perciò i documenti che la riguardano si conservano nel loro archivio.

Al presente è passata al Comune per l’avvenuta soppressione, il quale l’ha donata alla Confraternita del Santo Rosario, e questa dovrebbe far celebrare in lei Chiesa una messa festiva durante l’estate.

Il diritto d’officiatura appartiene al Capitolo di Santa Maria, il quale vi eseguisce una processione in un giorno delle Rogazioni.

Dall’archivio del Convento di San Carlo, risulta anche, che il 2 aprile 1697, questa chiesetta era ancora tenuta dai PP. Agostiniani, come da un atto del 28 ottobre 1659, per notaio Cesare Astolfi, che Angela Carlocchi d’Angelo, moglie di Domenico, lasciò per testamento che i PP. di San Carlo avrebbero dovuto pagare a favore di Santa Maria in Plateis, scudi 10; come veramente furono pagati con atto di Pietro Luzzi il 2 aprile 1697.

Nel momento della costruzione vi furono eretti tre altari: uno maggiore sotto la volta o Cona in cui esponeva sì a venerazione il quadretto mirabile, riproducente la Beata Vergine, che allatta affabilmente il Verbo Gesù Bambino; si aggiungono altri due altari laterali dedicati a due Santi, uno a destra e l’altro a sinistra.

Nel lasso di quattro secoli si mantenne questo Santuario nel suo primo stato d’erezione, con finestre arcuate a forma gotica, con un modesto campanile. In appoggiato era una casa per il custode e ove fosse d’uopo anche per il sacerdote officiante. Tutto questo si perdeva in seguito alla venuta in virtù della funesta soppressione dei beni ecclesiastici sotto la terribile Rivoluzione Francese del 1798.

Così i frati Agostiniani perdevano il semitorio annesso; e nel 1870 il Regio Governo toglieva loro anche la giurisdizione della Chiesa, che, non avendo acquirenti, come per gli altri rustici ed urbani, pertinenti alla nuova Parrocchia di Santo Stefano (entro le mura), veniva come abbiamo detto, ceduta al Comune, il quale con atto notarile del 1899 e per zelo del Priore Giuseppe Venditti di Giovanni, cedendola alla Venerabile Confraternita del Santo Rosario, sotto la cui podestà finì di pericolare.

La Chiesa, fin dal 1862, era già in stato deplorevole.

L’ampio soffitto era un piano formato da strette assi connesse ed il tetto pericolante. Non tardò a crollare, dopo la copiosa nevicata che avvenne nel 1892. Rimase così lungo tempo esposto alle intemperie, perciò sterpi, erbacce, rettili e persino erano ivi cresciuti robusti alberi di sambuco ostruendo la porta d’ingresso, che tuttora vedesi murata sulla parete che guarda mezzogiorno, ossia verso la parte dove è sorta la via provinciale.

La gran nicchia o Cona in cui trovasi l’Immagine della Madonna, fu chiusa da un’altra cancellata di legno, per evitare il vandalismo o manomissione dei dipinti da parte di malintenzionati.

Il quadro della Madonna rimase riparato da una spessa tendina, che per mezzo di un tirante, si avvolgeva e scopriva l’effigie nell’occasione.

Si narra che un giorno, erano presso la chiesa dirupa, un buon numero di paesani che attendevano all’inizio di una partita dell’antico e appassionato gioco detto del "Cacio". Alcuni ragazzi scavalcarono l’ampia grata di legno e vollero, per curiosare, dar di piglio alla funicella della teletta che copriva la Beata Vergine, e con stupore videro fuggire uno dopo l’altro ventisei grossi topi che furono tutti accoppati e meraviglia ancora che tra loro ve ne fu uno di colore bianco. Questi ragazzacci le legarono tutte per la coda e le appesero ad una lunga asta che, tenuta alle due estremità, furono portate in giro per il paese fra gli schiamazzi.

Tale era dunque lo stato di questa antica chiesetta; e non fa meraviglia che un governo spirituale avesse permesso l’abbandono di essa che diede i primi lumi alla nostra fede, purtroppo bistrattata.

Il popolo conservò fino a noi la devozione di questa Maria Vergine! Tu hai ascoltato le nostre preghiere, hai asciugato le nostre lacrime durante la disgraziata guerra di Campagna nel 1557. Tu hai mitigato le sofferenze del colera e tante altre calamità di cui questa terra ferace n’avuto sempre illesa. Ti ha invocato e t’invoca ognora più serbando perenne il ricordo dei tuoi benefici. Ma questo ricordo si affievolì, portando nuova devozione al novello Santuario della Madonna del Campo, venuta in luce fin dal 1655.

Perché ti hanno abbandonato o Vergine, quando questo popolo ebbe il privilegio di far guarire chiunque era assalito da febbri. Non si vedono più i nostri padri devoti a pie di questa Vergine di Cona, e genuflessi espiarono i lori falli con lacrime di pentimento e ottenere la grazia.

Pur con poco fervore, il 10 giugno d’ogni anno si rinnova la Sagra di questa Vergine benedetta con l’assenza dei popoli vicini che accorreva processionalmente a visitarla, per il che Bossi Vescovo prenestino ed altri Cardinali n’ottennero l’indulgenza plenaria a chi in dati giorni si genuflettesse pregarla.

Ma questa Chiesa ridotta in pessimo stato, l’Intendenza di Finanza disponeva la vendita. Il Consiglio Comunale con deliberazione n° 7 del 25 ottobre 1885, si oppose non volendola portare ad uso profano, perché il popolo manteneva ancora viva la devozione di lei Madonna.

Difatti nel 1899, come abbiamo detto, passò alla Confraternita del Santo Rosario.

Con la caduta del stesso il Priore Venditti s’interessò perché tutta fosse riparata, ottenendo un contributo di £. 500 dal Ministero del Fondo dei Culti, e ciò fu nel 1905. In questo stesso anno crollava anche il tetto dell’antichissima chiesa di Sant’Anatolia; così la sovvenzione del Ministero si ripartì per il rifacimento delle due chiese in parola.

In tale occasione il Ministero deliberò di fare entrare Santa Maria in Plateis, fra le memorie storiche monumentali. E l’anno dopo la Giunta Comunale provvide perché i muri fabbricati abusivamente dal sig. Francesco Giorgioli, confinante la zona monumentale della chiesa stessa, fossero abbattuti.

È anche da ricordare che nel 1780 ripristinatesi nel suo antico stato, una strada che gli stessi PP. Agostiniani avevano aperta per comunicare questa chiesa con quella di San Carlo, stante la grande amicizia che si aveva con PP. Conventuali. Per tale fatto il Comune si oppose iniziando una lunga lite che finì col desistere dalla vertenza.

Nel maggio 1913, per disposizione del Ministero dell’Educazione Nazionale, fu invitato a Cave il tecnico prof. Tullio Brizi d’Assisi per dare una riattata alle diverse pitture che tuttora trovasi dipinte sulle pareti. Il lavoro del Brizi fu limitato ad un’accurata stuccatura lungo i contorni sgretolati per evitare il deperimento maggiore.

L’amatore di cose d’arte osserva questi dipinti con ammirazione, i quali ci richiamano ad opere che vanno dal 1200 al 1500.

Lo studioso può rilevare che molti di questi dipinti sono provenienti da altri cenobi devastati dal tempo e dalle invasioni barbariche. 

Difatti, osservando attentamente, si conclude con la nostra affermazione, poiché sono stati riapplicati alle pareti alquanto incomposti senza seguire un ordine simmetrico nella disposizione.