“Cavallino con Treporti”: da comune autonomo a frazione 1806-1810. Appunti  sulla dominazione napoleonica nel Litorale nord di Venezia

testo di Piero Santostefano        pubblicato in <<Forum>> Cavallino (VE), giugno 1997  

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            La rivoluzione amministrativa che durante la dominazione napoleonica (1806-1814) coinvolse/sconvolse quelli che  erano i territori dell’ex Serenissima Repubblica, ebbe riflessi  anche a  Treporti e Cavallino sostanziandosi, piuttosto che in una stabile riorganizzazione delle forme del vivere civile,  in una serie di assetti provvisori che lasciarono tracce in vari documenti tuttora reperibili.

            Leggerne alcuni, senza voler cadere nella trappola dell’ingenua attualizzazione del passato, può comunque essere utile per riannodare qualche filo di una storia non lontanissima.

            Nel giro di meno di 10 anni, cioè dal 1797 al 1806, Venezia era passata da capitale di un impero a capitale di un dipartimento, definito pomposamente dell’Adriatico, che si estendeva inizialmente ai soli centri lagunari.

            In base a un progetto del ministero degli Interni del Regno d’Italia (con sede a Milano) del 7 maggio 1806[1], tra i comuni del distretto di Burano, facente capo al dipartimento dell’Adriatico, dovevano essere istituti, col rango di III^ classe, anche i comuni di Cavallino con 330 abitanti e quello di Treporti con 510 residenti.

            Nel frattempo l’autorità temporaneamente responsabile del dipartimento dell’Adriatico (cioè il cosiddetto Magistrato civile) chiedeva ai propri sottoposti dislocati nel territorio lagunare di inviargli un elenco di persone probe cui “affidare” (visto che di elezioni non se ne parlava proprio) le cognizioni degli affari del distretto di Torcello. Il giudice Barbaro di Torcello proponeva che per Cavallino la scelta ricadesse su  Zuanne Bossatto di Fortunato e su Pietro Ragazzo;  per la comunità treportina il prescelto era Anzolo Vendramin.

            L’autonomia amministrativa così progettata non dovette però mai realizzarsi pienamente, venendo invece sostituita dal comune denominato “Treporti con Cavallino”.[2]

            Come è noto Napoleone mise mano pesantemente anche sui beni del clero sia secolare che regolare. Si deve dunque ricordare come l’istituto della fabbriceria  venisse trasformato in un organo di sostanziale controllo da parte del potere civile sulle rendite delle singole parrocchie.

            In questa ottica si deve vedere la lettera che Vettor Pisani invia al prefetto dell’Adriatico - in data 24 ottobre 1807 - con l’indicazione dei parrocchiani di Treporti maggiormente indicati a sostenere l’incarico di fabbriciere.[3]  La missiva è singolare, e per ciò mi permetto qui di trascriverla quasi completamente, data la possibilità di vedervi tratteggiate con cura la personalità di alcuni treportini vissuti all’inizio del secolo scorso.

            Il Pisani così si rivolgeva al prefetto Marco Serbelloni: In ossequio alla venerata sua circa i fabbriceri della chiesa [di Treporti], ho considerato i pochi individui, quali in questo piccolo e infelice paese siano in qualche modo a sufficienza capaci di sostenere  l’incarico di commissarii di questa povera chiesa. Siccome però mi viene prescritto, le presento i sei individui: e ne ho scielti due per colmello; siccome è qui antico costume di eleggere i commissarii della chiesa uno per sestiere, affinchè non abbiano ulterior disturbo di passare da un termine all’altro della parrochia a raccogliere le limosine da per loro tassate a favor della chiesa.Quali si tengono in una cassa a tre chiavi, una per commissario alla sacrestia della chiesa medesima.

Colmello di Portosecco.     Antonio Nascimben di Zuanne. Questo ortolano è di carattere onorato e giusto: fu anche commissario e non mangiò mai alla chiesa un soldo, siccome fece qui alcuno. E’ di temperamento quieto, e sa in qualche modo fare il suo nome, e compitare le lettere. Dionisio Moschiato di Francesco detto Bellin. Un altro ortolano del medesimo carattere. Già commissario e ora municipalista, ma non attuale; divoto. E se ha un difetto è di non essere ardito, siccome la maggior parte del paese.

Colmello detto banda della chiesa. Due persone che non sanno nè leggere ne scrivere. Giulio Fregonese di Angelo. Ortolano di coraggio: già commissario, ma di carattere duro; pure onorato. Sa il fatto suo ed è di comun aggradimento: è di genio per agire gli affari della comune. Giovanni Boscolo detto Testa. Questo ortolano sa diriggere un affare, e sostenerlo. Ha anche questo del coraggio, e di carattere onorato, e onesto; è per altro novello affatto del paese.

Colmello detto di Saccagnana. Due individui giovani, ma che passano l’età di anni 30; e che non furono mai commissari. Osvaldo de’ Paoli detto Marangon. Questo giovane rossetto ha il temperamento dei rossi: spiritoso, facile alla bile, pronto a intraprendere. Pure sembra moderato. In udirlo, si sente che nomina la ragione, il giusto; e nesuno ha che dir male di sua condotta verso la gente. E sa sicut in quantum tener la penna in mano, e legge, credendo di legger bene. Iseppo dell’Angela detto Mistretto. Un altro rosso uguale a quello di sopra; ma è più moderato, sa bene il fatto suo, e procura di non dar disgusto ad alcuno per sentimento di buona condotta: e attende alla sua famiglia lasciando la briga dei fatti altrui.

Il Nascimben dovette morire di lì a poco, tant’è che il prefetto Serbelloni, in data 18 dicembre 1807, assentiva affinché fosse sostituto da tal Giovanni Zanella detto Muranese. La lettera al Serbelloni che chiedeva la surroga del fabbriciere Nascimben era  firmata da Regazzo “sindico” e Vendramin “anziano”, che erano due  membri della giunta del comune (o della comune) di Treporti con Cavallino.

Proprio il Regazzo e il Vendramin aprivano la lista dei firmatari[4] che in data 14 maggio 1808 chiedevano al prefetto Serbelloni di essere uniti a qualche comune limitrofo. Le motivazioni sono esplicite nel testo della missiva: Lo scarso numero di abitanti di cui è composta questa municipalità dei Treporti col Cavallino, e la meschinità della maggior parte di essi ci ha fatto riconoscere l’impossibilità di poter sostenere quei pesi che sono indispensabilmente annessi ad una municipalità. A stento, e col sacrifizio più cruento di molte famiglie si può esigere le tasse le quali riescono pesantissime attesa la povertà delle famiglie, ed il ristretto numero di esse. In vista di tali ragioni (...) ci gettiamo ai piedi dell’eccellenza vostra onde ella si degni di dare un nuovo saggio della di lei ben nota clemenza, unendo i sunnominati  due luoghi a qualche altra vicina municipalità, e sollevando noi sottoscritti dall’arduissimo incarico ch’ella si è degnata di conferirci.

            Il tenore della lettera si inscriveva sicuramente in una riflessione che le autorità prefettizie stavano conducendo sull’organizzazione amministrativa del territorio, visto che nell’agosto del 1808 il Serbelloni provvide ad inviare al ministero degli Interni un progetto per la concentrazione dei comuni del dipartimento dell’Adriatico che riguardava, tra i molti, anche il comune di Treporti con Cavallino il quale doveva unirsi a Burano. Le osservazioni,  - redatte in modo esplicito lasciando da parte le solite circonlocuzioni burocratiche - che motivano questo specifico accorpamento amministrativo mi sembra non siano da rubricare nello scontato conflitto tra potere centrale e potere locale, quanto piuttosto testimonino uno degli scopi della strutturazione di uno stato moderno e centralizzato sul modello francese: disporre di una efficiente macchina amministrativa che contribuisse a mettere a regime un ordinario sistema di contribuzione fiscale al fine di coprire le ingentissime spese di guerra dell’espansionismo napoleonico. Un “ramo secco” come il Litorale del Cavallino doveva creare meno problemi possibili, e dunque doveva essere riassorbito in una più grande unità amministrativa.

            Un paio di questi problemi è possibile anche esemplificarli. Per il primo si attinge di nuovo ad una missiva firmata dal sindaco Ragazzo e dal Vendramin che esponevano al prefetto, in data 1 marzo 1808,  l’impossibilità di costituire in loco una villica pattuglia che con un effettivo di soli 6 uomini su turni di 24 ore doveva vigilare su tutti i foresti che vengono a lavorare la terra. Poiché gli abitanti del Litorale si rifiutavano di partecipare a questa specie di polizia municipale, il sindaco chiedeva che il prefetto stabilisse delle sanzioni precise per chi si sottraeva alla corvè.

            Altra vicenda riguarda (e come non poteva essere altrimenti?) una questione di imposizione fiscale. Un documento illuminante è una lettera di Isabella Giozza Sdrin inviata alla municipalità di Burano in data 7 aprile 1808. Nello scritto la Giozza, proprietaria terriera nella misura di 33 campi nell’isola Falconera, narrava come il mese precedente fosse stata costretta dalla municipalità di Treporti con Cavallino a pagare un imposta straordinaria sulle sue terre. Ma la medesima  imposizione le  venne rinnovata pochi giorni dopo dal comune di Burano che riteneva la Falconera di propria giurisdizione territoriale. Comprensibile che la lettera della Giozza si chiudesse con una richiesta chiarificatrice sui confini amministrativi entro cui ricadeva l’isola che fu nei tempi decorsi per massima, e per istituto regolata sempre all’uso di Lio Piccolo soggetta cioè a Torcello, ed ora si è unita al Cavallino in modo informe per un complice abuso dei capricciosi coloni. Spettò al prefetto dirimere la questione, sentito il viceprefetto del distretto di S. Donà entro cui ricadeva allora la laguna nord[5]: Falconera apparteneva al comune di Burano.

            Le motivazioni che misero la parola fine all’autonomia comunale di Treporti con Cavallino erano dunque così riassunte nella citata proposta prefettizia dell’agosto 1808: Si osserva (...) che gli abitanti di queste terre, trovansi sparsi in un vasto circuito d’alcune miglia, senza alcuna centralità; il che rende impossibile, come l’esperienza ha insegnato, di stabilirvi una speciale ben regolata amministrazione. Si osserva pure che non essendovi in luogo che persone idiote sarebbe d’uopo con maggior aggravio di quei infelici abitanti di procurar altrove soggetti abili per la azienda amministrativa.

            Il decreto reale del 28 settembre 1810, riorganizzando di nuovo le amministrazioni locali, riduceva Treporti e Cavallino a frazione di Burano[6]



[1]Si veda, in generale, Storia di Burano a cura di M. De Biasi, Burano 1994, pp. 65-70. 
[2]Questa denominazione trovasi nella tabella allegata al  decreto napoleonico del 22 dicembre 1807 pubblicata in A. Stangherlin, La Provincia di Venezia 1797-1968, Venezia 1968, p. 68. 
[3]Per quanto riguarda Cavallino, in una lettera del 18 ottobre 1807 il parroco don Giovanni Molin proponeva al prefetto questi nomi: Giovanni Bozzato di Fortunato, Antonio Fidado di Osvaldo, Enrico Maestrello di Domenico, Francesco Siviero, Antonio Busato di Adamo, Domenico Maestrello di Giovanni 
[4]Gli altri erano un tal Constanti in letterato anziano, e poi i consiglieri Giovanni Bozzato, Francesco Siviero, Dionisio Muschiato, Antonio Paseto, Giuseppe Conte 
[5]Nella lettera del viceprefetto Pietro Notari, in data 29 aprile 1808, era già espresso chiaramente il concetto che i piccoli comuni dovessero essere uniti ai maggiori loro confinanti.

[6]Archivi delle Vice-Prefetture di Chioggia (1807-1816)  e di San Donà (poi di Portogruaro) (1818-1816)  inventario cura di P. Scarpa, Venezia 1987, pp. 32-33.