IL CRISTIANESIMO E LE ALTRE RELIGIONI

SI PUO' PARLARE DI RIVELAZIONE NELLE ALTRE RELIGIONI?

1. Introduzione

               Nell’esaminare i rapporti che intercorrono tra la religione cristiana e le altre grandi religioni, e nel considerare i preziosi apporti che la teologia delle religioni ha sviluppato in questi ultimi decenni, si pone il quesito alquanto interessante se nelle altre tradizioni religiose è possibile riscontrare elementi che testimoniano una vera e propria autorivelazione di Dio, una rivelazione, cioè, al di fuori della Rivelazione cristiana.  E’ necessario chiarire questo importante punto poiché tutte le religioni ritengono di essere rivelate e tale pretesa sembra contrastare con la specificità della Rivelazione cristiana. Inoltre vedremo in che rapporto sta la Rivelazione cristiana con la possibilità di salvezza nelle altre religioni.

            Le fonti di cui mi servirò sono innanzitutto quelle del Magistero della Chiesa dove sono affrontati questi  argomenti, come il recente documento della Commissione Teologica Internazionale, Il cristianesimo e le religioni, e inoltre altri documenti come Lumen Gentium, Nostra Aetate, Retemptoris Missino, etc.  Oltre a questi, l’editoriale tratto da Civiltà Cattolica Il cristianesimo e le altre religioni. Si può parlare di rivelazione nelle altre religioni?, e farò, infine, alcune considerazioni sul libro Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso di J. Dupuis.

2. La Rivelazione cristiana e le sue proprietà

 Innanzitutto bisogna chiarire in che cosa consiste la Rivelazione cristiana, come è definita e quali sono le sue caratteristiche fondamentali e se essa, proprio in virtù di ciò che è, può ammettere l’esistenza di altre rivelazioni di Dio in seno ad altre tradizioni religiose.

 L’autore della lettera agli Ebrei esordisce dicendo: “Dio, che aveva parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb. 1,1-2a);   dunque Dio in Cristo porta a termine la rivelazione che ha fatto di sé cominciando dagli antichi padri della fede e continuando questa sua mirabile opera con i profeti dell’Antico Testamento fino a inviare il suo unico Figlio «che parla le parole di Dio» (Gv. 3,34).

La Rivelazione cristiana pone l’accento su come Dio sia personalmente entrato nella storia con il mistero dell’Incarnazione, e con la morte e risurrezione di Cristo ha riconciliato a sé il mondo offrendo all’uomo la salvezza e la partecipazione alla sua vita divina. Dice infatti la Dei Verbum: “Con la divina rivelazione Dio volle manifestare e comunicare se stesso e i decreti eterni della sua volontà riguardo alla salvezza degli uomini, per renderli cioè partecipi di quei beni divini, che trascendono la comprensione della mente umana ” (DV, 6).             Obiettivo principale della Rivelazione è dunque la salvezza dell’uomo dalla schiavitù del peccato e da tutte le sue conseguenze. Tale salvezza preannunciata e prefigurata nell’Antico Testamento, si attua in Cristo: all’offesa infinita del  peccato perché fatta contro l’Essere  eterno e senza limiti per eccellenza, è corrisposta una soddisfazione che è dovuta essere pur essa infinita, e per cui realizzata e portata a termine dal Verbo di Dio incarnatosi in Gesù di Nazareth, vero uomo e vero Dio.

La Rivelazione del disegno salvifico di Dio si attua nel dono che Dio, nel suo mistero trinitario, fa di sé all’uomo, inviando il suo unico Figlio: “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv. 1,18).

Cristo “è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la rivelazione” (DV, 2) e tale Rivelazione assume i caratteri della definitività, dell’unicità e dell’universalità in ordine alla salvezza[1]. “In nessun altro vi è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo sotto il quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12) afferma francamente il capo degli apostoli davanti agli anziani del Sinedrio, i quali erano  indignati per ciò  che i seguaci del nazareno avevano cominciato a predicare in tutta Gerusalemme e sorpresi dai miracoli che essi compivano  (cfr. At 5,12; 6,8; 15,12; Eb 2,4).

Dire che la Rivelazione cristiana è definitiva,unica e universale è affermare da un lato che essa basta a se stessa, cioè porta con sé tutto ciò che Dio ha voluto rivelare agli uomini   offrendo ad essi la pienezza della salvezza, e inoltre che “non è da aspettarsi alcun altra rivelazione pubblica” (DV, 4) dato che ha il carattere della definitività; ancora, essa ha funzione salvifica  anche per  tutti quegli uomini che sinceramente aspirano alla salvezza.

2.1. L’universalità della Rivelazione cristiana

             Sviluppiamo ora il carattere dell’universalità della Rivelazione cristiana. Donataci da Dio in Cristo Gesù, la Rivelazione è ordinata alla salvezza dell’uomo e instaura una Nuova Alleanza, che “diversamente dalla precedente,  non è della lettera ma dello Spirito (2 Cor 3,6). È l’alleanza nuova e universale, l’alleanza dell’universalità dello Spirito. L’universalità vuol dire versus unum («verso uno»). La stessa parola «spirito» vuol dire movimento, e questo include il «verso», la direzione. Lo Spirito è chiamato dynamis (At 1,8), e la dynamis include la possibilità di una direzione. Dalle parole di Gesù sullo Spirito paraclito si deduce che l’«essere verso» si riferisce a Gesù”[2] . Nell’episodio profetico della Pentecoste (At 2, 1-43) è ben raffigurata e confermata l’universalità dello Spirito: gli apostoli si potevano esprimere in varie lingue sconosciute anche a loro stessi , ma venivano compresi da tutte le altre genti di lingue diverse che stavano ad ascoltarli. La Rivelazione cristiana è dunque per tutte le genti e lo Spirito Santo “dirige tutti gli uomini verso Cristo, l’unto; Cristo a sua volta, li dirige verso il Padre”[3], ma “ la via concreta per la quale [lo Spirito] conduce gli uomini è nota soltanto a Dio”[4].

 2.2 I semina Verbi

            L’universalità della Rivelazione cristiana riguarda anche quei semina Verbi che lo Spirito ha provvidenzialmente infuso nelle altre tradizioni religiose, affinché in esse i loro aderenti fossero attratti per diverse vie alla ricerca del Trascendete e all’amore per Dio dal quale tutto proviene. Come infatti negare e non considerare le profonde esperienze religiose che oggi molti fanno nelle altre religioni non-cristiane? o come non ammirare le testimonianze di vita spirituale e di sforzo ascetico dei grandi rishi induisti, dei sufi islamici o la devozione e la riverenza all’unico Dio vivente che, grazie alle religioni monoteistiche, come l’islam ad esempio,  milioni e milioni di persone hanno? Anche se essi  hanno una conoscenza parziale del Logos divino, c’è da constatare che in qualche modo vivono ordinati alla legge di Dio, alla legge naturale scritta nel cuore di ogni uomo. Attraverso questi frammenti di verità, cioè i semina Verbi di cui già Giustino, Clemente e Ireneo avevano parlato in epoca patristica,  lo Spirito Santo compie la sua opera salvifica universale.

 

3. Il contenuto della Rivelazione cristiana a confronto con le altre religioni

             Va comunque fatta una riflessione su quanto possiamo trovare nelle credenze, nei libri sacri e nella dottrina di queste religioni; infatti accanto a degli elementi veri e santi possiamo riscontrare anche errori e dottrine in aperto contrasto con l’unicità e la peculiarità della Rivelazione cristiana.

3.1  L’islam, l’induismo, il buddismo.

Il Corano, il libro sacro dell’islam,  è considerato dai musulmani come l’autentica parola di Dio, anzi addirittura un libro celeste dettato parola per parola da Dio, e quindi non ne è il profeta Muhammad l’autore ma Dio stesso il quale ha fatto «discendere» il libro sul profeta[5]. Dunque per i musulmani il Corano è rivelazione autentica di Dio, e riguardo al Vangelo viene accettato solo ciò che è compatibile col Corano, «cosicché ciò che nel Vangelo non è conforme a quanto insegna il Corano sarebbe una falsificazione (“tahrif”) dei cristiani”[6] .  Per quanto riguarda, inoltre, la figura del profeta Muhammad egli è considerato come il «Sigillo dei profeti» (Corano, s. 33,40), ovvero l’ultimo inviato da Dio e superiore a tutti i profeti compreso Gesù, al quale non viene attribuita la figliolanza divina, ma solo un carisma profetico. Muhammad è per i musulmani «colui che reca agli uomini l’ultima e definitiva rivelazione di Dio, dopo la rivelazione portata da Abramo, Mosè, Davide e Gesù»[7]. Proprio perchè viene dopo il cristianesimo, i musulmani ritengono che la religione islamica è superiore alla fede cristiana.

Evidentemente la pretesa dell’islam di essere la rivelazione definitiva di Dio a Muhammad è in aperto contrasto con la Rivelazione operata da Dio in Cristo Gesù che ha il carattere della pienezza, della definitività e dell’unicità. Dice infatti il Cristo: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv. 14,6); inoltre egli è più che un uomo sia pure il più perfetto, in esso «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2,9) , «egli è vero Dio e la vita eterna» (1 Gv. 5,20), «l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il principio e la fine» (Ap 22,13); quindi lui solo può parlarci di Dio con un’autorità tutta particolare e con verità, essendo lui «uscito dal Padre» (Gv. 16,28). e non un semplice inviato o un profeta.

Per quanto concerne il Corano o gli altri libri sacri delle religioni non cristiane, il magistero precisa che  «anche se  non si può escludere qualche illuminazione divina nella composizione di tali libri (nelle religioni che li hanno), è più adeguato riservare la qualifica di ispirati ai libri canonici (cfr. DV, 11). La denominazione “parola di Dio”è stata riservata nella tradizione  agli scritti dei due Testamenti»[8].

Comunque sono diversi i punti di contatto tra la Rivelazione cristiana e la fede musulmana: « La Chiesa – afferma il Concilio Vaticano II – guarda  anche con stima i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno»[9]. Inoltre «alcuni elementi della rivelazione biblica sono stati raccolti dall’islam, che li ha interpretati in un contesto diverso»[10].

Così dell’induismo si apprezza la meditazione profonda,  il rifugio in Dio con amore e confidenza, e del buddismo «la radicale insufficienza di questo mondo materiale»[11].

Nell’induismo vediamo, comunque,  come vi è un politeismo nei libri sacri dei Veda e delle Upanishad, che differisce dal monoteismo cristiano; e nell’altro testo sacro induista chiamato Bhagavad-Gita riscontriamo una certa filosofia monista. 

Il buddismo non è considerata una vera e propria religione, bensì un sistema filosofico e un modo di vita incentrato sullo sforzo ascetico dell’uomo.

Tutti gli elementi buoni che possiamo riscontrare nelle altre tradizioni religiose sono comunque da collocare sul piano della rivelazione naturale e non su quello soprannaturale, al quale invece appartiene la Rivelazione cristiana. «Si riconosce che nelle diverse religioni si trovano raggi della verità che illumina ogni uomo;  semi del Verbo; che per disposizione di Dio si trovano in esse cose buone e vere; che si trovano elementi di verità, di grazia e di bene»[12], «pure contenendo lacune, insufficienze ed errori»[13].

            Rispetto al cristianesimo una posizione particolare nel panorama delle religioni è occupata dalla religione ebraica, con la quale la Chiesa condivide la Rivelazione dell’Antico Testamento: “la Chiesa non può dimenticare che ha ricevuto la Rivelazione dell’Antico Testamento per mezzo di quel popolo con cui Dio, nella sua ineffabile misericordia, si è degnato di stringere l’Antica Alleanza”[14].

 4. Si può parlare di rivelazione nelle altre religioni?

            Da tutto quello che si è andato fin qui delineando emerge la risposta al nostro quesito iniziale. Infatti, come abbiamo visto attingendo soprattutto  dal Magistero della Chiesa e come già s. Giustino, s. Ireneo e Clemente Alessandrino sostenevano in epoca patristica, nelle altre religioni troviamo i cosiddetti semi del Verbo che  illuminano quegli uomini che non professano una fede esplicita in Cristo, ma che si sforzano sinceramente di amare Dio, ricercare la verità e compiere il bene[15]. Tali semi di verità dipendono sempre da Cristo,  hanno la loro origine in Cristo, luce vera che illumina ogni uomo (cfr. Gv. 1,9), e fungono da preparazione evangelica. Per cui è solo nella Rivelazione cristiana che abbiamo avuto un’autentica, unica, definitiva e universale autorivelazione diretta di Dio: «Uno solo, infatti  è Dio, e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,5-6).

4.1    La Rivelazione, la Chiesa e il valore salvifico delle altre religioni

La presenza, dunque, degli influssi del Logos nelle altre religioni, la volontà salvifica e universale del Padre, l’azione dello Spirito Santo che raggiunge tutti gli uomini di ogni tempo e di ogni razza, fanno sì che le altre religioni rappresentino strumenti di salvezza nelle mani di Dio, «anche se non è detto che tutto in esse sia salvifico»[16], e ben inteso che è Cristo l’unica via di salvezza. Le religioni, nonostante i loro errori dottrinali,   possono aiutare i loro seguaci   a vivere secondo coscienza e a condurre una vita retta[17], e quindi a raggiungere lo scopo finale della salvezza[18]; ma è la Chiesa che possiede la pienezza dei mezzi di salvezza essendo essa che custodisce e fedelmente trasmette la divina Rivelazione. Le religioni «non si possono equiparare alla funzione che la Chiesa realizza per la salvezza dei cristiani e di quelli che non lo sono»[19].

La Chiesa esercita, dunque,  una funzione salvifica universale dalla quale dipendono  quegli elementi di salvezza presenti nelle altre religioni, ma bisogna  dare atto che per molto tempo la Chiesa ha inteso il suo rapporto con le altre religioni secondo il principio extra Ecclesia nulla salus usato in senso esclusivista, cioè non si ammetteva possibilità di salvezza per i non cristiani.  Già precedentemente al Conc. Vaticano II, però, e più solennemente proclamato in esso,  la salvezza in Cristo veniva compresa anche  in senso inclusivo: si riconosce cioè la possibilità di salvezza al di fuori della religione cristiana poiché anche queste vie straordinarie salvezza sono state provvidenzialmente disposte da Dio come una preparazione ad accogliere il Vangelo. Dice infatti la Lumen Gentium:  « quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll'aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna»[20].

 

5. Considerazione su alcune affermazioni di J. Dupuis nel suo libro “Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso”

            Nella capitolo dedicato alla Parola di Dio, unica ed universale del libro Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, J. Dupuis mostra l’intento senz’altro buono e ammirevole di favorire il dialogo interreligioso, ma dobbiamo constatare che nel farlo spesso sembra non rispettare il carattere dell’unicità e della definitività del messaggio di Cristo e della Rivelazione cristiana nel suo insieme.

            Ad esempio, parlando della pienezza della Rivelazione cristiana egli afferma allo stesso tempo: «Gesù Cristo è dunque personalmente la pienezza della rivelazione»; e più avanti: «Eppure questa rivelazione non è assoluta. Essa rimane relativa»[21], quasi a far trasparire  due concetti  antitetici fra di loro.  Infatti, il Dupuis  anche se riconosce la superiorità qualitativa della rivelazione in Cristo rispetto a tutte le altre rivelazioni, non ne ammette esplicitamente la definitività, ma  sostiene che anche dopo l’evento storico di Gesù Cristo,  l’autorivelazione divina è continuata e continua per mezzo di altri profeti: «La pienezza qualitativa – l’intensità, diciamo – della rivelazione in Gesù Cristo non costituisce, nemmeno dopo l’evento storico, un ostacolo per la prosecuzione di un’autorivelazione divina per mezzo dei profeti e dei sapienti di altre tradizioni religiose, per mezzo – ad esempio – del profeta Maometto. Nella storia ha avuto e continua ad aver luogo tale autorivelazione. Nessuna rivelazione può tuttavia eguagliare, prima o dopo Gesù Cristo, quella accordataci in lui, nel Figlio divino incarnato»[22].  A questo proposito ricordiamo che la Dei Verbum ribadisce che la rivelazione cristiana è definitiva «e non è da aspettarsi alcuna altra rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo»[23].

Inoltre il  Dupuis estende il concetto della progressività della Rivelazione anche alle altre rivelazioni presenti nelle altre tradizioni religiose dove, come abbiamo visto, per lui sono avvenute e continuano ad avvenire autentiche autorivelazioni divine, e arriva a dire finanche che si  può persino parlare di complementarità fra la rivelazione ebraico-cristiana e altre rivelazioni esterne ad essa; addirittura «un’analoga complementarità è rinvenibile fra i libri sacri delle altre tradizioni religiose e il corpus biblico»[24], fermo restando, dice l’autore, che Cristo è il criterio di discernimento. Così sarebbe giustificato, secondo Dupuis,  anche l’introduzione nella liturgia della Parola  «delle parole di Dio contente nei libri sacri delle altre tradizioni religiose»[25].

Pur riconoscendo la superiorità del Cristo, la teologia del Dupuis potrebbe essere inquadrata in quella corrente denominata teocentrismo salvifico , «che accetta un pluralismo di mediazioni salvifiche legittime e vere. All’interno di questa posizione, …, un gruppo di teologi attribuisce a Gesù Cristo un valore normativo, in quanto la sua persona e la sua vita rivelano, nel modo più chiaro e decisivo, l’amore di Dio per gli uomini. La maggiore difficoltà di tale concezione è che non offre, né all’interno né all’esterno del cristianesimo, un fondamento di tale normatività che si attribuisce a Gesù»[26].

  

6. Conclusione

            Al termine di questo elaborato si può quindi concludere dicendo che l’attribuzione delle cose buone e vere presenti nelle altre religioni all’azione dello Spirito non è un modo di svalutare o disprezzare le religioni, ma il miglior modo di comprendere queste religioni da parte del cristianesimo[27], dove sussiste la piena e  definitiva Rivelazione di Dio.

Inoltre un dialogo interreligioso non può annullare le identità proprie di ciascuna religione per favorire apparentemente tale dialogo, poiché si attenterebbe al contenuto della propria fede e della propria etica;  ma deve essere soprattutto incentrato sulle convergenze e sulle coincidenze già presenti [28].

 

BIBLIOGRAFIA

  •  Lumen Gentium, Costituzione dogmatica su «La Chiesa», Conc. Vat. II

  •  Dei Verbum, Costituzione dogmatica su «La divina Rivelazione», Conc. Vat. II

  • Nostra Aetate, dichiarazione su “Le relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, Conc. Vat. II

  • Commissione Teologica Internazionale, Il cristianesimo e le religioni, ed. Paoline, Milano 1997

  •  Redemptoris Missio

  • Editoriale, Il cristianesimo e le altre religioni. Si può parlare di “rivelazione” nelle altre religioni”?, in Civiltà Cattolica, 4(1995), 107-119

  •  Dupuis J., Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, Queriniana, Brescia 1997

 

 


[1] Cfr. DV, 6;  Commissione Teologica Internazionale [CTI], Il cristianesimo e le religioni, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, n. 37

 

[2] Cfr. CTI, Il cristianesimo e le religioni, op. cit., n.53

[3] Ibid.,  pag. 59

[4] Ibid., pag. 60

[5] Cfr. Editoriale, Il cristianesimo e le altre religioni. Si può parlare di rivelazione nelle altre religioni?, in La Civiltà Cattolica [CC],  4 (1995), pagg. 116

[6] Ibid, pg. 117

[7] Ibid, pg. 116

[8] CTI, Il cristianesimo e le religioni, op. cit, n. 92

[9] Nostra Aetate [NA], 3

[10] CTI, Il cristianesimo e le religioni, op. cit, n. 89

[11] Nostra Aetate, n.2

[12] CTI, Il cristianesimo e le religioni, op. cit., n.81

[13] Redemptoris Missio, n.56

[14] Cfr. Nostra Aetate, n. 4

 

[15] Cfr. Lumen Gentium, n. 16

[16] CTI, Il cristianesimo e le religioni, op. cit., n. 85

[17] Lumen Gentium, n. 16

[18] Cfr. CTI, Il cristianesimo e le religioni, op. cit., n. 84

[19] Ibid., n. 86

[20] Lumen Gentium, n.16

[21] Cfr. DUPUIS J., Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, Queriniana, Brescia 1997, pag. 337

[22] Ibid., pg. 338

[23] Cfr. Dei Verbum, n. 4

[24] Ibid., pag. 341

[25] Ibid., pag. 342

[26] Cfr. CTI, Il cristianesimo e le religioni, op. cit., n. 19

[27] Ibid., n. 94

[28] Cfr. Ibid., n. 101