IL CRISTIANESIMO E LE ALTRE RELIGIONI

ISLAM: LA VITA MORALE

 

INTRODUZIONE

 Questo elaborato inquadra la vita morale nell’Islam e nello stesso tempo mette in evidenza analogie e differenze esistenti nei confronti della morale cristiana.

Le  fonti principali sono i testi del Guzzetti,Rizzardi,Khoury.

SPIRITUALITA’ ISLAMICA

L’etica islamica è fondamento ed espressione di una spiritualità che poggia sulla fede di Dio, Uno e Unico, autore e destinatario di ogni atto comandato.

Prima di ogni gesto e di ogni azione comandata, vengono richieste al musulmano due attitudini interiori, le opzioni fondamentali dell’essere umano di fronte a Dio: la fede (imàn) e la sottomissione (islàm).

La fede è un “credo vissuto” ; di fronte a Dio unico uomo vive il senso di nullità, di creaturalità che si esprime nell’abbandono e nel sacrificio di sé, del suo tempo e della sua vita.

La sottomissione non si riduce all’obbedienza della legge che è espressione della sottomissione; essa è prima di tutto devotio, è abdicazione della propria volontà e libertà ; essa è stato di servitù, di creaturalità.

Queste attitudini interiori rappresentano l’elemento specifico, la modalità propria della professione islamica.

La scuola ortodossa della teologia musulmana sottolinea la sovranità assoluta della volontà di Dio a cui l’uomo deve sottomettersi, essa rigetta la concezione dei mu’taziliti che conferisce una qualità morale interna all’azione umana, non dipendente direttamente dalla determinazione positiva di Dio.

Essi infatti affermano che l’azione buona o cattiva  che sia, è riconoscibile dalla ragione umana che riconosce la qualità morale delle azioni.

 

IL BENE E IL MALE

Gli ash’ariti, a differenza dei mu’taziliti, insegnano che Dio nella sua libera disposizione determina ciò che deve essere considerato buono o cattivo, per cui il bene ed il male non sono qualità inerenti di un’azione umana e non possono essere riconosciuti come norme oggettive, ma rappresentano la determinazione positiva della volontà divina.

Gli ordini di Dio sono solo le norme della volontà divina e il ruolo della ragione consiste solo nel descrivere i decreti di Dio determinandone le conseguenze per l’agire pratico.

La morale quindi è soprattutto una questione che riguarda la legge islamica e la principale virtù del credente consiste nell’ubbidire a Dio ed ai suoi comandi.

Tuttavia non si deve parlare in questo contesto di formalismo, perché tale ubbidienza è espressione viva della fede in Dio e della sincera disposizione a sottomettersi alla volontà divina.

In questo contesto Cristianesimo ed Islam proclamano entrambi la necessità di una fede vivificata dalle opere buone e condannano il formalismo religioso che degenera in ipocrisia.

Una delle caratteristiche più evidente dell’Islam è la sua semplicità di strutture gerarchiche di dogma e di morale.

Le strutture gerarchiche sono praticamente inesistenti, non essendoci né veri ministri sacri, nè sacramenti.

Uguale semplicità si riscontra nel dogma islamico, fondato sul monoteismo più intransigente e sull’accettazione di Maometto come inviato di Dio.

 

MO RALE DEL GIUSTO MEZZO

La morale islamica si potrebbe definire “morale del giusto mezzo”, secondo il precetto coranico: mangiate e bevete (=godete delle cose di questo mondo) senza mai accedere (7,31).

Gli esegeti musulmani affermano che in confronto alla religione ebraica restrittiva e vagamente razzista, quella cristiana troppo disincarnata ed escatologica, l’Islam invece si presenta come la religione ideale in quanto soddisfa tutti i legittimi desideri dell’anima e del corpo anche in questo mondo.

Nulla irritava Maometto più dell’esagerazione anche nel bene, egli esortava coloro che dirigevano la preghiera a essere brevi perché ci sarebbero potuti essere fedeli deboli o malati, anziani e ancora lì esortava a rendere facile la via, non difficile.

Siamo qui agli antipodi dell’atteggiamento cristiano fondato sulla rinuncia, talvolta eroica dei beni di questo mondo. “Chi non rinuncia a tutto ciò che possiede non può essere mio discepolo” Lc 14,33.

 

IL PECCATO

Nella concezione islamica Allah resta assolutamente  inaccessibile all’uomo , inoltre essa ignora del tutto la redenzione di Cristo.

Perciò nell’Islam ortodosso, il peccato non comporta la perdita della grazia santificante, cioè dell’amore di Dio, ma solo la violazione da parte del peccatore di un patto con il suo Signore. In virtù di tale patto, l’uomo si era arreso a Dio, diventando musulmano e credente , ma restando sempre nel rapporto di uno schiavo col suo padrone.

Quindi, di fronte al peccato, Dio può a suo piacimento perdonare per misericordia o punire per giustizia.

In altre parole, secondo l’etica islamica, il peccato è un errore, o tutt’al più un segno di gratitudine e un’ingiustificata preferenza accordata ai beni di questo mondo, ma non suscita mai da parte di Allah quel lamento di amante tradito che riecheggia talvolta nelle pagine della Bibbia.

Un simile appello patetico dell’amore di una creatura non è concepibile in Allah, che già raggiunge il massimo della sua benevolenza degnandosi di amare e perdonare a suo piacimento. Così anche il pentimento del peccatore consiste più nel riconoscere d’aver fatto un calcolo sbagliato e dispiacersene, che nel dolore di aver perduto l’amore di Dio.

In campo pratico, l’Islam ortodosso ha conservato( come il Cristianesimo) il Decalogo mosaico come base del suo codice morale, anche se manca ogni riferimento diretto alla fonte biblica.

Le violazioni più o meno gravi di questo codice corrispondono ad altrettanti peccati che i teologi islamici dividono in peccati gravi e leggeri ;

tuttavia i criteri che determinano la qualifica delle azioni umane non sono condivisi da tutti i teologi.

Ghazali si riferisce a tre livelli di importanza per la vita dell’uomo, distinguendo così i peccati gravi come quelli contro Dio e la fede perché impediscono in modo diretto la salvezza vera ed eterna dell’uomo, poi individua i peccati che annientano o danneggiano la vita dell’uomo (assassinio, mutilazione, ecc.), infine i peccati che si oppongono ai mezzi che rendono possibile la vita ( crimini contro la proprietà, la buona fama).

In innumerevoli versetti il Corano ripete che Dio è ricco di misericordia e perdono, pronto a perdonare tutti i peccati dell’uomo, quando Egli vuole, tranne l’infedeltà nelle sue diverse forme: coloro che commettono sacrilegi, gli ipocriti che nascondono le loro infedeltà e cercano di fuorviare gli altri dalla fede.

Una variante particolarmente grave dell’infedeltà è l’associazionismo, vale a dire il riconoscere altri dei accanto al Dio vero; per queste categorie l’intercessione del Profeta non serve a nulla.

La condizione essenziale per ottenere il perdono degli altri peccati è la fede, il pentimento con l’abbandono delle cause del peccato e con la ferma risoluzione di non peccare più.

Inoltre, se si sono lesi diritti altrui, bisogna riparare il danno arrecato.

Questi elementi sono comuni anche alla morale cristiana; manca però ciò che costituisce l’essenza del pentimento cristiano, cioè il dolore d’aver offeso un Dio infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa, ed aver contribuito col peccato alla morte di Cristo.

 

LE VIRTU’

La morale islamica, in coerenza col suo spirito giuridico, mira ad assicurare la coesione della comunità mediante la pratica delle virtù, così che si potrebbe definire “morale di solidarietà” che privilegia le virtù sociali.

Esse devono essere praticate non per vana gloria ma “per la faccia di Dio”.

Tra le virtù inculcate con maggior insistenza dal Corano ricordiamo: fratellanza di tutti i credenti, bontà, rispetto ai genitori, onestà nell’agire, generosità, pudicizia, perdono, umiltà.

Fratellanza: proclamata in modo categorico dal Corano “I credenti sono tutti fratelli” (49,10).

Come tra i primi cristiani così anche tra i primi musulmani l’ardore della nuova fede infervorava i cuori e lì disponeva a un generoso aiuto fraterno.

Purtroppo, passato il primo fervore, in entrambe le religioni l’egoismo umano tentò di avere il sopravvento, in ogni caso il Corano condanna chiaramente ogni forma di razzismo e di discriminazione razziale.

Un hadith afferma: “Gli uomini sono tutti uguali tra di loro, come i denti del pettine del tessitore. Nessuna differenza tra bianco e nero, tra arabo e non arabo, se non nel loro grado di amor di Dio”.

Bontà: corollario della solidarietà islamica, giunge fino al perdono delle offese. Pur accettando la legge del taglione cercano di limitarla e renderla più umana. Alcuni versetti sembrano presi dal vangelo: “Una parola gentile e di perdono vale di più di un’elemosina seguita da offese”.

Dal contesto di bontà fraterna deriva la denuncia contro la rapacità dei tutori e padroni disonesti, che sfruttavano e maltrattavano gli orfani e le vedove. Riguardo la schiavitù, è accettata come un dato di fatto, ma si è cercato di mitigarne le conseguenze negative, incoraggiando la liberazione degli schiavi più meritevoli, condannando la prostituzione delle schiave e favorendo così una graduale abolizione della stessa schiavitù.

Rispetto ai genitori: tra le virtù sociali messe maggiormente in evidenza.

Maometto, orfano sin dalla più tenera età, proclamò che “Il paradiso si trova ai piedi della mamma”.

Un habith dice che uno dei peccati più gravi che l’uomo possa commettere è maledire suo padre e sua madre, ciò avviene quando lascia ingiurie verso di loro.

Si noti che il Corano, così come anche nel Cristianesimo, autorizza i figli a disobbedire ai genitori quando cerchino di distoglierli dai doveri religiosi. Il Cristianesimo, oltre a sancire il comandamento del Decalogo della stessa legge naturale, inserisce un elemento soprannaturale che manca in quella religione troppo umana che è l’Islam. Per i Cristiani l’amore reciproco tra padri e figli è simbolo dell’amore tra Dio e gli uomini.

Il Dio Cristiano non è un padrone che esige una resa incondizionata, ma è un padre che ama talmente i suoi figli da dare loro per fratello il suo stesso figlio Gesù.

San Giovanni lo afferma a chiare lettere: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito” Gv 3,16.

In questo campo la distanza tra le due religioni è immensa.

Onestà nell’agire: virtù essenziale per una società di commercianti com’era quella della Mecca e per la stessa solidarietà musulmana, basata sulla fiducia reciproca.

Il Corano condanna chi non mantiene la parola data e prescrive ammende a quanti violano il giuramento.

Anche Gesù ha insegnato l’onestà dell’agire e l’osservanza dei giuramenti e patti, egli però ha proposto un ideale più elevato.

Leggiamo nel vangelo di Matteo “Avete udito che fu detto agli antichi: non spergiurare, ma adempi col Signore i tuoi giuramenti; ma io vi dico: non giurate affatto….sia invece il vostro parlare si, si; no, no. Il di più proviene dal maligno”.

L’Islam è rimasto a livello morale degli antichi. Tanto più che, in situazioni speciali i musulmani sono autorizzati a dissimulare la fede, a patto che il cuore resti fedele all’Islam.

Anche questa è una delle concezioni della debolezza umana tipiche all’Islam e respinte dal Cristianesimo. Leggiamo ancora nel vangelo di Matteo: “Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò avanti al padre mio….chi invece mi rinnegherà…..anch’io lo rinnegherò…”.

Generosità: incoraggiata dall’Islam ma in piena sintonia col suo atteggiamento verso le ricchezze e i beni di questo mondo.

E’ un atteggiamento ben diverso da quello evangelico. Per Cristo infatti le ricchezze rappresentano sempre un pericolo e possono renderci loro schiavi. Da qui la prima beatitudine evangelica: “Beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli” Mt 5,3.

Ben diversa è la concezione islamica, che è molto concreta e realistica; per il Corano le disuguaglianze sociali, e quindi le ricchezze vengono da Dio, queste ultime possono essere un segno delle benedizioni divine, ma non in senso esclusivo: Dio infatti può concederle anche agli empi.

In ogni caso, esse sono effimere e pericolose. Per Gesù le ricchezze sono sempre una tentazione; perciò egli esortava i suoi seguaci a rinunciarvi liberamente prima di esservi costretti dalla morte.

Il Corano, invece trae la conclusione opposta, e invita a godere i beni di questo mondo, ma nel debito modo.

Difende perciò la proprietà privata e condanna il furto, ma lancia invettive roventi e gravi minacce contro i ricchi avari e corrotti, ed insiste sul dovere di aiutare i bisognosi, destinando loro elemosina legale o zakat.

 

NORME DI BUONA EDUCAZIONE

E’ noto che il Corano regola tutta la vita dell’uomo, quindi non deve destare meraviglia se in essi s’incontrano anche norme di buona creanza o buona educazione.

-         Si deve tenere un contegno modesto e usare gentilezza anche verso i miscredenti.

-         Vi sia sempre cortesia nel salutare.

-         Si evitino derisioni e insulti tra i credenti.

-         Non si porti mai una testimonianza falsa e non ci si soffermi su discorsi frivoli.

Esistono anche una serie di divieti:

-         Vietati in modo assoluto sono i giochi d’azzardo, gli alcolici. In un primo tempo il Corano aveva dichiarato che il vino era un buon alimento e solo gradualmente lo proibì per evitare abusi e scandali. Ancor oggi alcuni musulmani di idee più liberali non condannano l’uso delle bevande alcoliche, ma il loro abuso che provoca ubriachezza.

-         E’ anche vietato riprodurre immagini di essere viventi, tranne le piante.

Un habit del Profeta dice: “Nel giorno della Resurrezione gli uomini in cui Dio infliggerà i castighi più terribili sono i pittori”.

 

CONCLUSIONE

Se volessimo ricomporre in una visione d’insieme gli elementi caratteristici dell’etica islamica, dovremmo da un lato indicare un senso di terrore istintivo di fronte alla realtà divina e la sottomissione totale incomprensibile di un padrone a volte implacabile, a volte arbitrariamente misericordioso; dall’altro lato, però, un orientamento positivo e attivo verso la realtà dell’esistenza umana che induce al rifiuto della disperazione, della sofferenza e dell’angoscia, e invita anzi a godere dei molti piaceri concessi della volontà divina.

In prospettiva cristiana, è una morale troppo accondiscendente all’imperfezione umana e respinge troppo facilmente la tensione eroica che forma per Gesù la base indispensabile di un’autentica vita morale; tuttavia, anche il modesto ideale musulmano, se perseguito con sincerità e costanza, è sufficiente per dare un senso alla vita umana.

Mi piace citare, a conclusione, questo significativo passo coranico:

Cor. II, 177 . “La pietà non consiste nel volger la faccia verso l’oriente o verso l’occidente, bensì la vera pietà è quella di chi crede in Dio(…), dà dei suoi averi, per amor di Dio, ai parenti e agli orfani e ai poveri e ai viandanti e ai mendicanti e per riscattar prigionieri, di chi compie la preghiera e paga la decima, chi mantiene le proprie promesse quando le ha fatte, di chi nei dolori e nelle avversità è paziente e nei dì di strettura ; questi sono i sinceri, questi i timorati di Dio!”.