PRESENTAZIONE
Sono lieto di presentare il documento « La fame nel mondo. Una sfida per tutti: lo
sviluppo solidale ». E stato preparato con tanta cura dal Pontificio Consiglio « Cor
Unum » su indicazione del Santo Padre Giovanni Paolo II. Anche quest'anno il Successore
di Pietro nel suo Messaggio quaresimale si è fatto voce di coloro ai quali manca il
minimo vitale: « La folla di affamati, costituita da bambini, donne, vecchi, migranti,
profughi e disoccupati, leva verso di noi il suo grido di dolore. Essi ci implorano,
sperando di essere ascoltati ».
Il documento si colloca nel solco indicato da Cristo ai suoi discepoli. La persona e il
messaggio di Gesù si incentrano infatti sulla manifestazione che « Dio è amore » (1
Gv 4, 8), un amore che redime l'uomo e lo trae dalla sua situazione di molteplice
miseria, per restituirlo alla piena dignità. La Chiesa nel corso dei secoli ha dato
innumerevoli espressioni concrete a questa sollecitudine di Dio. La sua storia potrebbe
essere scritta anche come una storia della carità verso i più poveri, attuata da
cristiani che hanno testimoniato ai loro fratelli bisognosi l'amore di Cristo che dona la
vita per il prossimo.
Lo studio qui pubblicato intende contribuire all'impegno dei cristiani di condividere
le urgenze dell'uomo di oggi. I temi trattati sono infatti di grande attualità. Questo
riguarda sia la descrizione della realtà della fame nel mondo, sia l'implicanza etica
della questione, che investe tutti gli uomini di buona volontà. La pubblicazione è di
particolare importanza in vista del Grande Giubileo del 2000 che la Chiesa si prepara a
celebrare. Lo spirito di tale documento non nasce da alcuna ideologia, ma si fa guidare
dalla logica evangelica e invita alla sequela di Gesù Cristo vissuta nella quotidianità.
Non posso far altro che auspicare una vasta diffusione di questa pubblicazione,
sperando che essa contribuisca a formare le coscienze all'esercizio della giustizia
distributiva e della solidarietà umana.
Città del Vaticano, 4 ottobre 1996, Festa di San Francesco d'Assisi
+ Angelo Card. Sodano
Segretario di Stato
LA FAME NEL MONDO
UNA SFIDA PER TUTTI:
LO SVILUPPO SOLIDALE
« L'ampiezza del fenomeno chiama in causa le strutture ed i meccanismi finanziari,
monetari, produttivi e commerciali, che, poggiando su diverse pressioni politiche, reggono
l'economia mondiale: essi si rivelano quasi incapaci sia di riassorbire le ingiuste
situazioni sociali, ereditate dal passato, sia di far fronte alle urgenti sfide ed alle
esigenze etiche del presente. Sottoponendo l'uomo alle tensioni da lui stesso create,
dilapidando ad un ritmo accelerato le risorse materiali ed energetiche, compromettendo
l'ambiente geofisico, queste strutture fanno estendere incessantemente le zone di miseria
e, con questa, l'angoscia, la frustrazione e l'amarezza ». « Su questa difficile strada
sulla strada dell'indispensabile trasformazione delle strutture della vita
economica non sarà facile avanzare se non interverrà una vera conversione della
mente, della volontà e del cuore. Il compito richiede l'impegno risoluto di uomini e di
popoli liberi e solidali » (Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptor hominis,
1979, n. 16).
INTRODUZIONE
Il diritto all'alimentazione è uno dei principi proclamati nel 1948 dalla Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo.2
La Dichiarazione sul progresso e lo sviluppo nel settore sociale del 1969,
sosteneva la necessità di « eliminare la fame e la malnutrizione e di garantire il
diritto ad una adeguata alimentazione ».3 Parimenti, la Dichiarazione universale per
l'eliminazione definitiva della fame e della malnutrizione, adottata nel 1974,
dichiara che ogni individuo « ha il diritto inalienabile di essere liberato dalla fame e
dalla malnutrizione per potersi sviluppare appieno e conservare le sue facoltà fisiche e
mentali ».4 Nel 1992, la Dichiarazione mondiale sulla nutrizione ha riconosciuto
anche che « l'accesso ad alimenti nutrizionalmente adeguati e privi di pericoli è un
diritto universale ».5
Si tratta di indicatori molto espliciti. La coscienza pubblica si è espressa senza
equivoci. Pur tuttavia milioni di individui sono ancora segnati dai danni provocati dalla
fame e dalla denutrizione o dalle conseguenze dell'insicurezza alimentare. La causa è
forse da ricercarsi nella mancanza di cibo? Proprio per nulla: in linea di massima si
conviene sul fatto che le risorse della terra, considerate globalmente, sono in grado di
nutrire tutti i suoi abitanti;6 infatti, il cibo disponibile pro capite a livello mondiale
è aumentato del 18% circa nel corso degli ultimi anni.7
L'umanità si trova oggi di fronte ad una sfida indubbiamente di ordine economico e
tecnico, ma ancor di più di ordine etico-spirituale e politico. E una questione di
solidarietà vissuta e di sviluppo autentico, al pari di una questione di progresso
materiale.
1. La Chiesa ritiene che non si possano affrontare i settori economico, sociale e
politico prescindendo dalla dimensione trascendente dell'uomo. La filosofia greca, che
tanto ha impregnato di sé il mondo occidentale, era già di questo avviso: l'uomo è in
grado di scoprire e di perseguire la verità, il bene e la giustizia con i suoi propri
mezzi, soltanto se la sua coscienza è illuminata dal divino. Infatti, è precisamente il
divino che consente alla natura umana di prendere in considerazione i doveri
disinteressati nei confronti dell'altro. Parimenti, secondo il pensiero cristiano, è la
grazia divina che infonde nell'essere umano la forza necessaria per agire secondo il suo
discernimento.8 Tuttavia la Chiesa fa appello a tutti gli uomini di buona volontà per
portare a termine questo compito titanico. Il Concilio Vaticano II affermava: « Di fronte
ad un tal numero di affamati in tutto il mondo, il Concilio insiste presso tutti e presso
le autorità, affinché si ricordino di queste parole dei Padri della Chiesa: "Nutri
colui che è moribondo per fame, perché se non lo avrai nutrito, lo avrai ucciso"
».9 Tale solenne avvertimento sollecita ad impegnarsi con risolutezza nella lotta contro
la fame.
2. L'urgenza di questo problema spinge il Pontificio Consiglio « Cor Unum » a
presentare qui di seguito alcuni elementi della sua ricerca; esso sente come suo dovere
fare appello alla responsabilità individuale e collettiva affinché vengano adottate
soluzioni più efficaci e si schiera dalla parte di coloro che già si applicano con molta
dedizione a questo nobile scopo.
Il presente documento cerca di analizzare e di descrivere le cause e le conseguenze del
fenomeno della fame nel mondo in maniera globale e non esaustiva. La riflessione è
illuminata soprattutto dal Vangelo e dall'insegnamento sociale della Chiesa e non persegue
un obiettivo di portata congiunturale; perciò l'attenzione non si focalizza sulle
statistiche riguardanti la situazione attuale, né sugli individui a rischio di morire di
fame, sulle percentuali dei denutriti, o ancora sulle regioni più minacciate e le misure
economiche da prevedere. Ispirato dalla missione pastorale della Chiesa, questo documento
vuole essere un appello pressante ai suoi membri e all'intera umanità, in quanto la
Chiesa « "è esperta in umanità": ciò la spinge ad estendere necessariamente
la sua missione religiosa ai diversi campi, in cui uomini e donne dispiegano la loro
attività in cerca della felicità, pur sempre relativa, che è possibile in questo mondo
».10 Oggigiorno la Chiesa si fa eco di questo appello provocatorio che Dio rivolge a
Caino, quando gli chiede conto della vita di suo fratello Abele: « Che hai fatto! La voce
del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!... » (Gen 4, 10). Questo versetto
duro, quasi insopportabile, riferito alla situazione dei nostri contemporanei che muoiono
di fame, non è una esagerazione ingiusta o aggressiva; queste parole indicano una
priorità e vogliono giungere alle nostre coscienze.
E un'illusione attendersi soluzioni preconfezionate: ci troviamo in presenza di un
fenomeno legato alle scelte economiche dei dirigenti, dei responsabili, ma anche dei
produttori e dei consumatori e che si radica profondamente nel nostro stile di vita.
Tuttavia, questo appello impegna ciascuno, nella rinnovata speranza di giungere ad un
miglioramento decisivo, tramite rapporti umani vieppiù solidali.
3. Questo documento si rivolge ai cattolici di tutto il mondo, ai responsabili
nazionali ed internazionali con competenza e responsabilità in questo settore, ma vuole
anche giungere a tutte le organizzazioni umanitarie, come pure a tutti gli uomini di buona
volontà. Auspica di riuscire ad incoraggiare singolarmente le migliaia di persone di
qualsiasi condizione e professione, che s'impegnano quotidianamente affinché tutti i
popoli ottengano « lo stesso diritto ad assidersi alla mensa del banchetto comune ».11
I
LE REALTÀ DELLA FAME
La sfida della fame
4. Il pianeta è in grado di offrire a ciascuno la relativa razione alimentare.12
Per raccogliere la sfida della fame, è necessario in primo luogo considerarne i
numerosi aspetti e le effettive cause. Non tutte le realtà della fame e della
denutrizione sono note con precisione, anche se diverse ne sono le cause importanti che
sono state identificate. Intendiamo delineare in primo luogo i motivi della nostra
impostazione per soffermarci in seguito sulle cause principali di questo flagello.
Uno scandalo durato troppo a lungo: la fame distrugge la vita
5. Non bisogna confondere la fame con la malnutrizione. La fame minaccia non solo la
vita degli individui, ma anche la loro dignità. Una grave e prolungata carenza di cibo
provoca la prostrazione dell'organismo, l'apatia, la perdita del senso sociale,
l'indifferenza e a volte suscita la crudeltà nei confronti dei più deboli, specie
fanciulli ed anziani. Interi gruppi vengono allora condannati a morire nel deperimento.
Purtroppo, nel corso della storia questa tragedia si ripete, ma la coscienza moderna
avverte più di prima quale scandalo costituisca la fame.
Fino al XIX secolo, le carestie che decimavano popolazioni intere erano dovute il più
delle volte a cause naturali. Oggigiorno, le carestie sono più circoscritte e provocate
quasi sempre dall'azione dell'uomo. E sufficiente far riferimento ad alcune regioni o ad
alcuni paesi per convincersene: Etiopia, Cambogia, ex-Jugoslavia, Rwanda, Haiti. In
un'epoca in cui l'uomo, meglio che in passato, ha la possibilità di far fronte alle
carestie, tali situazioni costituiscono un vero disonore per l'umanità.
La malnutrizione compromette il presente ed il futuro di un popolo
6. I grandi sforzi dispiegati hanno dato i loro frutti, tuttavia bisogna ammettere che
la malnutrizione è più diffusa della fame ed assume forme molto diverse. Si può essere
malnutriti senza avere fame. Ciò non toglie che l'organismo perda ugualmente le sue
potenzialità fisiche, intellettuali e sociali.13 La malnutrizione può essere
qualitativa, a seguito di regimi alimentari mal equilibrati (per eccesso o per difetto).
Spesso è contemporaneamente anche quantitativa e si acuisce in periodi di scarsezza di
viveri. Nel qual caso viene indicata come denutrizione o sotto alimentazione.14 La
denutrizione aumenta la diffusione e le conseguenze di alcune malattie infettive ed
endemiche e accresce il tasso di mortalità, specie nei bambini al di sotto dei cinque
anni.
Le principali vittime: le popolazioni più vulnerabili
7. I poveri sono le prime vittime della malnutrizione e della fame nel mondo. Essere
poveri significa quasi sempre: essere più facilmente vittime dei tanti pericoli che
minacciano la sopravvivenza ed essere più facilmente soggetti alle malattie fisiche.
Dagli anni 80 questo fenomeno è in crescita e minaccia un numero sempre maggiore di
persone nella stragrande maggioranza dei paesi. Nell'ambito di una popolazione povera, le
prime vittime sono sempre gli individui più fragili: bambini, donne incinte o che
allattano, malati ed anziani. Da segnalare anche altri gruppi umani ad elevatissimo
rischio di deficienza nutrizionale: i rifugiati o i profughi, le vittime di avvenimenti
politici.
Ma l'apice dell'indigenza alimentare lo si riscontra nei quarantadue paesi meno
sviluppati (PMS) di cui ventotto nella sola Africa:15 « Circa 780 milioni di abitanti dei
paesi in via di sviluppo pari al 20% della loro popolazione continuano a non
avere i mezzi sufficienti per procurarsi ogni giorno la razione alimentare indispensabile
al loro benessere nutrizionale ».16
La fame genera la fame
8. Non è raro che nei paesi in via di sviluppo le popolazioni che traggono la loro
sussistenza da una agricoltura a bassissimo rendimento, soffrano la fame nell'intervallo
fra due raccolti. Nel caso in cui i raccolti precedenti siano già stati scarsi, potrà
verificarsi una carestia con conseguente fase acuta di malnutrizione, che indebolirà gli
organismi proprio nel momento in cui sarebbero necessarie tutte le forze per prepararsi al
raccolto successivo. La penuria di viveri compromette il futuro: ci si nutre delle
semenze, si saccheggiano le risorse naturali accelerando in tal modo l'erosione, il
degrado o la desertificazione dei terreni.
Un terzo genere di situazioni, oltre quello della fame (o carestia), distinto dalla
denutrizione, è dato dall'insicurezza alimentare che genera di conseguenza fame o
malnutrizione. In effetti, ostacola la pianificazione e la realizzazione di lavori a lungo
termine necessari a promuovere e raggiungere uno sviluppo durevole.17
Cause individuabili
9. I fattori climatici e le calamità di ogni genere, pur se rilevanti, sono lungi
tuttavia dal costituire le uniche cause della fame e della malnutrizione: per ben
inquadrare il problema della fame è necessario prendere in considerazione l'insieme delle
sue cause, congiunturali o stabili, come pure le loro reciproche implicazioni. Ne
presentiamo le principali, raggruppandole in base alle classiche categorie economiche,
socio-culturali e politiche.
A) CAUSE ECONOMICHE
Le cause profonde
10. La fame deriva in primo luogo dalla povertà. La sicurezza alimentare degli
individui dipende essenzialmente dal loro potere d'acquisto, e non tanto dalla
disponibilità fisica di cibo.18 La fame esiste in tutti i paesi, è ricomparsa in quelli
europei, dell'Ovest come dell'Est; è molto diffusa nei paesi poco sviluppati o con
difficoltà di sviluppo.19
Eppure, la storia del XX secolo indica che la povertà economica non è una fatalità.
Numerosi paesi sono decollati economicamente e continuano a farlo sotto i nostri occhi,
altri, al contrario affondano, vittime di politiche nazionali o internazionali basate su
ingannevoli premesse.
La fame è la concomitante risultanza di:
a) politiche economiche non ottimali in tutti i paesi: le cattive politiche dei
paesi industrializzati si ripercuotono indirettamente, ma drasticamente, su tutti i poveri
in tutti i paesi;
b) strutture ed abitudini poco efficaci, se non con effetti apertamente
devastanti sulla ricchezza dei paesi:
a livello nazionale, in paesi con difficoltà di sviluppo, i grandi organismi,
pubblici o privati, in situazione di monopolio (il che a volte è inevitabile) si sono
tramutati da forza motrice in effetto frenante dello sviluppo; le ristrutturazioni avviate
in numerosi paesi in questi ultimi dieci anni ne hanno dato dimostrazione;
a livello nazionale nei paesi industrializzati, le rispettive deficienze risultano
meno evidenti a livello internazionale ma, direttamente o indirettamente, sono parimenti
perniciose per gli individui svantaggiati di tutto il mondo;
a livello internazionale, le restrizioni commerciali e le incentivazioni economiche
sono a volte scoordinate;
c) comportamenti moralmente disdicevoli: ricerca del denaro, potere e immagine
pubblica perseguiti come unico fine, indebolimento del senso di servizio alla comunità ad
esclusivo beneficio di individui o di caste, senza dimenticare la considerevole corruzione
sotto le più diverse forme e di cui nessun paese può fregiarsi di esserne immune.
Tutto ciò evidenzia la contingenza di qualsiasi azione umana. Di fatto, spesso e
nonostante le buone intenzioni, si sono commessi errori che hanno condotto a situazioni di
precarietà. Rilevarle serve ad avviarsi verso la loro soluzione.
In effetti, lo sviluppo economico va coltivato: le istituzioni, al pari degli
individui, debbono condividerne la responsabilità; il ruolo più efficace dello Stato è
quello che emerge dalla dottrina sociale della Chiesa e dalle analisi delle sue encicliche
sociali.
La causa profonda di uno sviluppo mancato o difficile risiede nel venir meno della
volontà e della capacità di servire gratuitamente l'uomo, mediante l'uomo e a favore
dell'uomo, atteggiamento che è frutto dell'amore. Tale mancanza impregna di sé questa
realtà complessa, a tutti i livelli: tecnico in senso lato, strutturale, legislativo e
morale; essa si manifesta nella concezione e nella realizzazione di atti le cui implicanze
a livello economico possono essere grandi o piccole.
Le incompetenze, le strutture ormai incapaci di offrire servizi al miglior costo, le
deviazioni morali di ciascuno e la mancanza d'amore sono le cause della fame. Qualunque
mancanza in uno di questi aspetti, ovunque nel mondo, senza eccezione alcuna, ha come
risultato quello di diminuire ulteriormente la razione appena sufficiente dell'affamato.
Le recenti evoluzioni economiche e finanziarie del mondo bene illustrano questi
fenomeni complessi: l'aspetto tecnico e morale vi interferiscono in maniera del tutto
particolare, condizionando i risultati delle economie. Si intende qui far riferimento
specifico alla crisi del debito nella maggioranza dei paesi con difficoltà di sviluppo,
come pure alle misure di risanamento che sono state o saranno adottate.
Il debito dei paesi con difficoltà di sviluppo
11. L'impennata unilaterale dei prezzi del greggio nel 1973 e nel 1979 ha colpito
profondamente tutti i paesi non produttori, immettendo sul mercato notevoli liquidità
finanziarie che il sistema bancario ha cercato di riciclare: fenomeno che ha causato un
generale rallentamento dell'economia di cui sono rimasti particolarmente vittime i paesi
poveri. Per svariate ragioni, durante gli anni '70 e '80, la maggioranza dei paesi ha
potuto accendere prestiti consistenti a tasso variabile ed i paesi dell'America Latina e
dell'Africa hanno potuto sviluppare in modo eccezionale il loro settore pubblico. Questo
periodo di denaro facile è stato motivo di molteplici eccessi: progetti inutili, mal
concepiti o mal realizzati, distruzione brutale delle economie tradizionali, aumento della
corruzione in tutti i paesi. Alcune nazioni asiatiche hanno evitato questi errori, il che
ha consentito loro uno sviluppo molto rapido.
L'impennata dei tassi di interesse provocata dal semplice gioco di mercato non
controllato e probabilmente non controllabile ha spinto la maggioranza dei paesi
dell'America Latina e dell'Africa a dover sospendere i pagamenti dei debiti, provocando di
conseguenza fenomeni di fuga di valuta che, a brevissimo termine, si sono tramutati in una
minaccia sia per il tessuto sociale locale pur mediocre e fragile che fosse
sia per l'esistenza stessa del sistema bancario. E stato allora possibile quantificare la
portata dei danni a tutti i livelli: economico, strutturale e morale. Come sempre, si sono
cercate in prima istanza soluzioni di natura meramente tecnica ed organizzativa, le quali,
pur se positive quando necessarie, debbono tuttavia accompagnarsi ad un vero mutamento dei
comportamenti di ognuno, e specie di coloro che in tutti i paesi ed a tutti i
livelli sfuggono all'enorme fardello che la povertà fa pesare sulle scelte di
vita.
Con l'inizio del periodo di risanamento, i trasferimenti hanno fatto registrare un
andamento negativo: blocco dei prestiti; prezzo del greggio mantenuto artificialmente ad
un livello intollerabile per i paesi in via di sviluppo; riduzione del prezzo delle
materie prime a seguito del rallentamento economico dovuto al prezzo elevato del petrolio
e contemporaneamente alla crisi del debito; reazione troppo lenta degli organismi
internazionali nel reimmettere liquidità, ad eccezione del Fondo Monetario
Internazionale; etc. Durante questo periodo, il livello di vita dei paesi sovraindebitati
iniziava a crollare.
Da quanto ricordato, si può ben valutare quanta saggezza, e non solo conoscenze
tecniche ed economiche, la gestione del pubblico denaro richieda. L'immissione di notevoli
mezzi finanziari provoca danni strutturali e personali considerevoli, invece di essere
causa di un miglioramento effettivo delle condizioni dei più svantaggiati.
Ecco la conclusione che dobbiamo trarne: lo sviluppo degli uomini passa attraverso la
loro capacità di altruismo, ovvero d'amore, il che è di estrema importanza a livello
pratico. Per dirla in breve ed in termini realistici, l'amore non è un lusso. E una
condizione di sopravvivenza per un gran numero di esseri umani.
I programmi di aggiustamento strutturale
12. La violenza dei fenomeni monetari ha indotto molti paesi ad adottare
necessariamente delle misure molto energiche, nell'intento di contenere la crisi e
ristabilire i grandi equilibri. Queste, per loro stessa natura, provocano a loro volta
forti contrazioni del potere d'acquisto medio nella nazione.
Le difficoltà e le sofferenze provocate da queste crisi economiche sono considerevoli,
anche se la loro soluzione consente in fin dei conti di ristabilire un maggiore benessere.
La crisi mette in luce i punti deboli, costitutivi o acquisiti, di un paese, ivi
compresi quelli originati dagli errori commessi nel processo di sviluppo dai governi che
si sono succeduti, dai loro partner o anche dalla comunità internazionale. Tali
fragilità sono molteplici e alcune di esse, a volte, si evidenziano solo a posteriori,
altre risalgono al processo della politica di indipendenza, in quanto ciò che costituiva
la forza della potenza coloniale si è tramutato in fragilità del paese divenuto
indipendente, senza che per contro potesse esservi spazio per fenomeni di compensazione.
Da notare, in linea di massima, l'onere dei grandi progetti che coincidono con momenti di
verità durante i quali il bisogno di solidarietà è sentito in maniera particolarmente
forte in tutto il paese. Ma, in verità, il primo effetto di queste politiche di
aggiustamento è quello di ridurre la spesa globale e, conseguentemente, i redditi. Agli
indigenti del paese resta un'unica alternativa: o confidare nei dirigenti successivi, o
tentare di sbarazzarsi di quelli in carica. Essi stessi sono spesso preda di gruppi
ambiziosi in cerca di potere per ragioni ideologiche o per mera cupidigia, al di fuori di
un qualsiasi processo democratico e, se necessario, appoggiandosi su forze esterne.
Una riforma economica richiede da parte della classe dirigente una grande attitudine
alla decisione politica. Ecco un criterio che permette di valutare la qualità del suo
intervento: non solo il successo tecnico del piano di stabilizzazione, ma anche la
capacità di mantenere il consenso della maggioranza della popolazione, compresi i più
svantaggiati. La classe dirigente deve saper convincere le altre fasce sociali a farsi
carico effettivamente di una parte degli oneri. Si tratta in particolare di quella cerchia
ristretta di persone con un reddito di livello internazionale, ma anche di funzionari ed
impiegati dello Stato che fino a quel momento godevano nel paese di una situazione
alquanto invidiabile e che rischiano di ritrovarsi dall'oggi all'indomani con mezzi
pesantemente decurtati o addirittura totalmente azzerati. Questo è il momento in cui
rientra in gioco la solidarietà tradizionale, in quanto i poveri sono sempre disposti a
sostenere quel membro della famiglia che ricade nella situazione di precarietà dalla
quale lo si credeva uscito.
Solo progressivamente i responsabili nazionali ed internazionali si sono preoccupati di
proteggere i più poveri nel corso di queste operazioni di risanamento economico. Ci sono
voluti molti anni prima che il concetto di operazioni concomitanti, indirizzate alle
popolazioni più esposte, acquistasse un certo spessore. D'altronde, in queste
circostanze, come pure in situazioni di emergenza, si rischia sempre di tirare il freno
troppo tardi e troppo bruscamente, con contraccolpi che possono aumentare
considerevolmente le sofferenze di coloro che si trovano all'ultimo anello della catena.
In Africa e in America Latina20 sono stati avviati dei progetti ad ampio raggio che
prevedevano:
programmi di aggiustamento strutturale con l'adozione di severe misure
macro-economiche,
l'apertura di nuove importanti linee di credito,
una profonda riforma strutturale delle inefficienze locali. Queste sono in parte
conseguenza dei monopoli statali, che consumano una importante porzione del reddito
nazionale senza rendere un servizio di qualità sufficiente a beneficio di tutti. In molti
di questi paesi, tutti i servizi pubblici ne hanno risentito e, al pari della zizzania che
si mescola spesso al grano, alcuni settori competitivi ne sono risultati penalizzati.21
Alcuni governi, spesso poco riconosciuti sulla scena internazionale, sono stati
ammirevoli: hanno avuto il coraggio politico di applicare le misure inevitabili pur
tenendo contemporaneamente in debito conto i pareri e le pressioni esterne; si sono
sforzati, offrendone l'esempio, di far aumentare nei loro paesi il livello di cooperazione
e di solidarietà e di evitarne i contraccolpi. Ciò porta a constatare che l'influenza
dell'esempio del responsabile al vertice include non soltanto la sua competenza e le sue
qualità di comando ma anche la sua capacità di saper limitare l'ingiustizia sociale,
sempre presente in queste situazioni.
I paesi industrializzati debbono seriamente porsi il seguente problema: il loro
atteggiamento e anche la loro preferenza nei confronti di paesi con difficoltà di
sviluppo si fonda sulle qualità dei responsabili politici in ambito sociale, tecnico e
politico, o il loro appoggio si basa su altri criteri?
B) LE CAUSE SOCIO-CULTURALI
Le realtà sociali
13. Si è constatato che alcuni fattori socio-culturali accrescono i rischi di carestia
e di malnutrizione cronica. I tabù alimentari, lo status sociale e familiare della donna,
la sua effettiva influenza in seno alla famiglia, la mancanza di formazione delle madri
alle tecniche dell'alimentazione, l'analfabetismo generalizzato, la precarietà del posto
di lavoro o la disoccupazione, sono altrettanti fattori che possono sommarsi e portare
alla malnutrizione come pure alla miseria. Ricordiamo che gli stessi paesi
industrializzati non sono al riparo da questo flagello: questi stessi fattori portano alla
malnutrizione occasionale o cronica di numerosi « nuovi poveri » che vivono gomito a
gomito con coloro che nuotano nell'abbondanza e nell'eccessivo consumismo.
La demografia
14. Diecimila anni or sono, la terra contava probabilmente cinque milioni di abitanti.
Nel XVII secolo, all'alba dei tempi moderni, cinquecento milioni. In seguito, il ritmo
della crescita demografica è andato aumentando: un miliardo di abitanti all'inizio del
XIX secolo, 1,65 all'inizio del XX, 3 miliardi nel 1960, 4 miliardi nel 1975, 5,2 nel
1990, 5,5 nel 1993, 5,6 nel 1994.22 Nel mentre, la situazione demografica è andata
sviluppandosi a ritmi diversi nei paesi « ricchi » e nei paesi « in via di sviluppo
».23 Tale situazione è in corso di evoluzione: la proliferazione, va ricordato, è una
reazione della natura e di conseguenza, dell'uomo alle minacce contro la
sopravvivenza della specie.
Alcune ricerche evidenziano che, nella misura in cui diventano più ricche, le
popolazioni passano da una situazione di alta natalità ed alta mortalità a quella
opposta: ridotta natalità e ridotta mortalità.24 Il periodo di transizione può
risultare critico per quanto attiene alle risorse alimentari; la mortalità infatti
diminuisce prima della natalità. L'aumento della popolazione deve essere accompagnato da
cambiamenti tecnologici, se non si vuole interrompere il ciclo regolare della produzione
agricola, non fosse altro che per l'impoverimento dei terreni, la riduzione di quelli a
riposo e l'assenza di rotazione agricola.
Le sue implicazioni
15. La crescita demografica rapida è causa o conseguenza del sottosviluppo? Eccezion
fatta per alcuni casi estremi, la densità demografica non spiega la fame. In merito si
osserva che, da una parte, è proprio nei delta dei fiumi e nelle vallate sovrappopolate
dell'Asia che sono state realizzate le innovazioni agricole della « rivoluzione verde »;
dall'altra, paesi poco popolati, quali lo Zaire o la Zambia, pur se in grado di nutrire
una popolazione venti volte più numerosa senza dover ricorrere a massicci lavori di
irrigazione, restano in realtà con difficoltà alimentari: il motivo è da ricercarsi
negli squilibri imposti dagli Stati, dalla politica e dalla gestione economica e non in
cause oggettive o nella povertà economica. Si sostiene attualmente che esistono maggiori
possibilità di contenere un'eccessiva crescita demografica intervenendo per diminuire la
povertà di massa, piuttosto che vincere la povertà limitandosi a ridurre il tasso di
crescita della popolazione.25
Fin tanto che nei paesi in via di sviluppo le famiglie continueranno a ritenere che la
loro produzione e la loro sicurezza, possano essere assicurate solo da una prole numerosa,
la situazione demografica evolverà solo lentamente. E necessario ribadire che più
generalmente sono le trasformazioni economiche e sociali26 che consentono ai genitori di
accogliere il dono di un figlio. In questo ambito, l'evoluzione dipende in gran parte dal
livello socio-culturale dei genitori. E necessario dunque prevedere per le coppie
un'educazione alla paternità ed alla maternità responsabili, nel completo rispetto dei
principi etici e morali; conviene facilitare loro l'accesso a metodi naturali di
pianificazione familiare che risultino in armonia con la vera natura dell'uomo.27
C) LE CAUSE POLITICHE
L'influenza della politica
16. Il blocco dell'afflusso di derrate alimentari è stata utilizzato nel corso della
storia, ieri come oggi, quale arma politica o militare. Può trattarsi di veri e propri
crimini contro l'umanità.
Il XX secolo ha conosciuto numerosi casi del genere, quali, ad esempio:
a) Il blocco sistematico della fornitura di cibo ai contadini ucraini da parte
di Stalin, attorno al 1930, con un bilancio di circa otto milioni di morti. Questo
crimine, a lungo passato sotto silenzio o quasi, è stato confermato recentemente in
occasione dell'apertura degli archivi del Cremlino.
b) I recenti assedi in Bosnia, specie quello di Sarajevo, quando il meccanismo
stesso degli aiuti umanitari è stato preso in ostaggio.
c) Gli spostamenti forzati della popolazione in Etiopia, per il raggiungimento
del controllo politico da parte del partito unico al governo; il bilancio è stato di
centinaia di migliaia di morti a seguito della carestia provocata dalle migrazioni forzate
e dall'abbandono delle culture.
d) Il blocco delle forniture alimentari in Biafra, durante gli anni '70; lo si
utilizzò quale arma contro la secessione politica.
Il crollo dell'Unione Sovietica da un lato ha eliminato le cause delle guerre civili,
provocate dal suo intervento diretto o dalle reazioni ad esso: rivoluzioni senza sbocco,
spostamento forzato di popolazioni, disorganizzazione dell'agricoltura, lotte tribali,
genocidi. Tuttavia sussistono o sono riapparse numerose situazioni in grado di generare
gli stessi fenomeni. Anche se non dello stesso ordine di grandezza, esse costituiscono
nondimeno un pericolo per le popolazioni: si tratta segnatamente del risorgere dei
nazionalismi, favoriti da qualche Stato a regime ideologico ma anche dalle ripercussioni a
livello locale delle lotte di influenza tra paesi industrializzati o ancora, in alcuni
paesi, e specie in Africa, dalla lotta per il potere.
Da menzionare altresì le situazioni di embargo per ragioni politiche, quali quelli nei
confronti di Cuba o dell'Iraq, i cui regimi vengono considerati una minaccia per la
sicurezza internazionale e che prendono in ostaggio, per così dire, le loro popolazioni.
Di fatto, sono le popolazioni stesse oggetto di questo tipo di atti di forza
ad esserne le prime vittime. E per questo che i costi in termini umanitari di tali
decisioni debbono essere presi in debita considerazione. D'altro canto, alcuni
responsabili politici fanno leva sulle miserie del loro popolo, provocate dalle loro
stesse macchinazioni, per costringere la comunità internazionale a ristabilire l'afflusso
di rifornimenti. Si tratta ogni volta di una situazione specifica, da affrontare caso per
caso, nello spirito della Dichiarazione Mondiale sulla Nutrizione, che afferma: «
L'aiuto alimentare non può essere rifiutato per ragioni di obbedienza politica, di
situazione geografica, di sesso, di età o di appartenenza ad un gruppo etnico, tribale o
religioso ».28
Esistono ulteriori ripercussioni dell'azione politica sulla fame. A più riprese si è
assistito all'esportazione gratuita delle eccedenze agricole (per esempio di grano) da
parte dei paesi industrializzati produttori, verso alcuni paesi con difficoltà di
sviluppo e nei quali l'alimentazione di base è costituita dal riso. Il vero obiettivo era
quello di sostenere i propri prezzi interni. Queste esportazioni gratuite hanno prodotto
risultati molto negativi: la popolazione è stata portata a modificare le sue abitudini
alimentari, scoraggiando in tal modo i produttori locali i quali, viceversa, hanno bisogno
di essere fortemente sostenuti.
La concentrazione dei mezzi
17. Le differenze di condizioni economiche all'interno dei paesi con difficoltà di
sviluppo, sono più vistose di quelle esistenti nei paesi industrializzati o fra i paesi
stessi. La ricchezza ed il potere sono molto concentrati nell'ambito di uno strato
ristretto ma complesso della popolazione, che è a contatto con gli ambienti
internazionali e in possesso del controllo dell'apparato dello Stato, esso stesso
fortemente deficitario. Qualsiasi tendenza al miglioramento vi è del tutto assente
mentre, a volte, si registrano nette tendenze alla regressione economica e sociale. Il
divario fra il tenore di vita, non solo ingenera situazioni conflittuali, che possono
condurre a violenze a catena, ma favorisce inoltre il clientelismo quale unica
possibilità di realizzazione personale. Il risultato è quello di paralizzare le
iniziative possibili sul piano meramente economico e, d'altro canto, quello di impoverire
profondamente le motivazioni altruiste che esistono in tutte le società tradizionali. In
un tale contesto, lo Stato svolge spesso un ruolo preponderante, che gli consente di
favorire i settori di esportazione della produzione il che di per sé è un bene
lasciando tuttavia uno scarso margine di profitto all'insieme delle popolazioni
locali.
In altri casi, per debolezza o per ambizione politica, le autorità fissano i prezzi
dei prodotti agricoli a livelli talmente bassi che i contadini finiscono per sovvenzionare
gli abitanti delle città, situazione che favorisce l'esodo rurale. I mezzi di
comunicazione di massa, l'elettronica e la pubblicità, contribuiscono anch'essi a questo
spopolamento delle campagne. L'aiuto allo sviluppo a beneficio di questi paesi funge
allora da incoraggiamento più o meno indiretto a quei governi che perseguono tali
pericolose strategie e vengono in tal modo a beneficiare di questo sostegno finanziario
del tutto illegittimo, in quanto le loro politiche sono nettamente contrarie al vero
interesse dei loro popoli. I paesi industrializzati debbono interrogarsi se in tal senso
non abbiano malauguratamente lanciato segnali negativi per tanti anni.
Le destrutturazioni economiche e sociali
18. Le destrutturazioni economiche e sociali sono la contemporanea risultanza di
cattive politiche economiche e delle pressioni politiche nazionali ed internazionali (cf.
nn. 11-13 e 17). Qui di seguito sono menzionate alcune delle più frequenti e delle più
perniciose:
a) Le politiche nazionali che, dietro pressione delle popolazioni svantaggiate
delle città, considerate come una potenziale minaccia alla stabilità politica del paese,
abbassano artificialmente i prezzi agricoli, a detrimento dei produttori locali di
prodotti alimentari. Tale situazione si è generalizzata in Africa nel corso del decennio
1975-85, provocando una netta diminuzione delle produzioni locali. Numerosi paesi che
disponevano di un ampio potenziale agricolo, quali lo Zaire e lo Zambia, per la prima
volta sono risultati importatori netti.
b) La politica della maggior parte dei paesi industrializzati, i quali
proteggono ampiamente la loro agricoltura, favorendo la produzione di eccedenze, che poi
esportano a prezzi inferiori a quelli del mercato interno. Diversamente i prezzi mondiali
sarebbero più elevati, beneficiando così gli altri paesi esportatori. Dopo vari anni di
stimolo all'incremento della produzione, che hanno portato a forti destrutturazioni nello
stesso sistema agricolo, i beneficiari di un tal genere di protezione si trovano oggi, in
Europa, in situazioni non giustificabili. Questa politica, sostenuta dall'opinione
pubblica locale, può risultare totalmente contraria all'interesse dei consumatori di
tutto il mondo, tanto dei paesi privilegiati quanto di quelli più poveri. Nei paesi
protetti, infatti, sono i consumarori interni a fare le spese di tale protezione trovando
sul mercato prezzi alti; mentre, nei paesi non protetti, gli agricoltori locali, che pur
sono elementi essenziali per il benessere del proprio paese, vengono penalizzati da
importazioni a prezzi tagliati che gravano notevolmente sui prezzi interni, accelerando la
loro rovina e le migrazioni verso le città.
c) Le culture tradizionali di produzione alimentare sono spesso minacciate da
uno sviluppo economico aberrante, come nel caso, ad esempio, della sostituzione delle
produzioni tradizionali con una agricoltura industriale mirata sia all'esportazione
(grandi derrate agricole destinate all'esportazione e tributarie dei mercati agricoli
internazionali), sia alla produzione di surrogati locali (per esempio, in Brasile,
produzione di canna da zucchero per l'alcool ad uso automobilistico, allo scopo di ridurre
le importazioni di petrolio, con conseguente sradicamento dei contadini dalle loro terre e
migrazioni in massa).
D) LA TERRA PUÒ NUTRIRE I SUOI ABITANTI
I notevoli progressi dell'umanità
19. A fronte delle macroscopiche incoerenze alle quali abbiamo accennato, fanno
tuttavia riscontro progressi non meno spettacolari che hanno consentito alla popolazione
mondiale di passare in trent'anni (1960-1990)29 da 3 a 5,3 miliardi. Nei paesi in via di
sviluppo « la speranza di vita alla nascita è passata dai quarantasei anni nel 1960 ai
sessantadue anni nel 1987. Il tasso di mortalità dei bambini al di sotto dei cinque anni
si è ridotto della metà, e due terzi dei lattanti al di sotto dell'anno di età sono
vaccinati contro le principali malattie dell'infanzia. Il consumo di calorie per abitante
è aumentato del 20% circa fra il 1965 ed il 1985 ».30
Dal 1950 al 1980, la produzione compessiva delle derrate alimentari nel mondo è
raddoppiata e « nel mondo esiste complessivamente sufficiente cibo per tutti »31. Il
fatto che la fame continui nonostante ciò ad esistere, evidenzia la natura strutturale
del problema: « il problema principale è costituito dalle condizioni di accesso a questo
cibo che non sono eque ».32 E un errore quello di misurare il consumo alimentare
effettivo delle famiglie utilizzando il solo parametro statistico della disponibilità di
cereali per abitante. La fame non è un problema di disponibilità, ma di solvibilità
della domanda; è un problema di miseria.
D'altro canto, è da notare che la sopravvivenza di una moltitudine di individui è
assicurata tramite una economia informale che, essendo per sua stessa natura non
dichiarata, è precaria e difficilmente quantificabile.
I mercati agro-alimentari
20. Sui mercati agro-alimentari mondiali vengono scambiati vari prodotti che non sempre
sono quelli consumati nella maggior parte dei paesi con difficoltà di sviluppo.33 Le
eccessive fluttuazioni dei prezzi, contrarie agli interessi sia dei produttori che dei
consumatori, sono la risultanza di meccanismi spontanei di aggiustamenti e risultano
amplificate dalle particolari caratteristiche di questi mercati. I tentativi di
stabilizzazione sono risultati tutti poco soddisfacenti, se non addirittura
controproducenti per gli stessi produttori. D'altro canto, un rialzo dei prezzi è reso
impossibile dallo stesso funzionamento dei mercati. Il limitato numero di operatori
commerciali a livello internazionale, non consente manovre sui prezzi e costituisce un
ostacolo all'inserimento di nuovi soggetti, il che è sempre negativo. Lo sviluppo delle
capacità di produzione dipende in maniera massiccia dalla diffusa applicazione dei
progressi tecnici nella produzione (progressi nel settore della genetica e delle varie
applicazioni). Da notare che la produzione media di riso in Indonesia è passata, in una
sola generazione, da 4 a 15 tonnellate per ettaro, con un aumento di gran lunga superiore
a quello record della popolazione. Nella maggior parte dei paesi nei quali l'agricoltura
progredisce, il rendimento agricolo migliora in tale misura da consentire un aumento,
anche netto, della produzione, nonostante la notevole contrazione nel numero degli addetti
all'agricoltura.
L'agricoltura moderna
21. L'accusa sempre più frequentemente rivolta alle culture intensive è quella di
avere un impatto negativo sull'ambiente e di mettere in pericolo le risorse naturali quali
l'acqua ed i terreni, specie per l'uso sconsiderato di concimi e di prodotti fitosanitari.
In primo luogo, per agricoltura intensiva si intende un rapporto più elevato fra consumi
intermedi essenzialmente di tipo industriale e superficie agricola
utilizzata. Ci troviamo in presenza di un affrancamento delle tecnologie agricole dalla
terra, loro supporto naturale. Il legame di reciprocità che le univa, cede il posto ad un
dualismo più temerario fra tecnologia agricola ed ambiente economico. L'agricoltura
intensiva necessita generalmente di un cospicuo apporto di capitali finanziari. Ma, nella
maggior parte dei paesi in via di sviluppo, si pratica ancora una cultura di sussistenza,
basata essenzialmente sul « capitale » umano, con mezzi tecnici limitati oltre che in
condizioni di difficoltà di approvvigionamento idrico. Anche se la « rivoluzione verde
» ha ottenuto un discreto successo, in svariati paesi in via di sviluppo non è stata in
grado di risolvere i problemi di produzione alimentare.
Indubbiamente la tecnica delle culture intensive potrà essere migliorata ulteriormente
ed i danni all'ambiente potranno risultare più limitati. Tuttavia e ciò vale
anche per i paesi industrializzati è il caso di far ricorso ad altri sistemi di
produzione, in grado di garantire meglio sia la tutela delle risorse naturali che la
conservazione di un'ampia distribuzione della proprietà produttiva. In tal senso, è
necessario incoraggiare le associazioni agro-zootecniche, la gestione patrimoniale
dell'acqua, come pure la formazione all'organizzazione cooperativistica.
II
SFIDE DI NATURA ETICA
DA AFFRONTARE INSIEME
La dimensione etica del fenomeno
22. Per progredire verso una soluzione del problema della fame e della malnutrizione
nel mondo, è indispensabile coglierne la natura etica.
Se la causa della fame è un male morale, al di sopra ed al di là di tutte le cause
fisiche, strutturali e culturali, le sfide sono della stessa natura morale. Ciò può
motivare l'uomo di buona volontà che crede nei valori universali, dentro la varietà
delle culture, ed in particolar modo il cristiano che vive l'esperienza del rapporto
preferenziale che il Signore onnipotente vuole stabilire con ogni uomo, chiunque egli sia.
Questa sfida richiede una migliore comprensione dei fenomeni, la capacità degli uomini
di rendersi reciproco servizio il che è realizzabile con il semplice intervento
delle forze economiche ben concepite ed anche lo sradicamento di ogni genere di
corruzione. Ma, ben oltre, la sfida si colloca principalmente sul piano della libertà di
ogni uomo di cooperare, nella sua azione di ogni giorno, alla promozione di ogni uomo e di
tutti gli uomini, ovvero di collaborare allo sviluppo del bene comune.34 Tale sviluppo
implica la giustizia sociale e la destinazione universale dei beni della terra, la pratica
della solidarietà e della sussidiarietà, la pace ed il rispetto dell'ambiente naturale.
Questa è la direzione da prendere per ridare la speranza e per costruire un mondo più
accogliente per le prossime generazioni.
Affinché sia possibile progredire in tal senso, dovrà essere favorita, promossa ed
eventualmente nuovamente incoraggiata la ricerca organica del bene comune, quale
necessaria componente delle motivazioni di base di tutti gli attori politici ed economici,
nella loro riflessione e nel loro agire, a tutti i livelli ed in tutti i paesi.
Le motivazioni personali ed istituzionali delle persone sono necessarie al buon
funzionamento della società, ivi comprese le famiglie. Ma gli uomini, ognuno per conto
suo e tutti congiuntamente, debbono far propria questa conversione che consiste nel non
sacrificare la ricerca del bene comune al proprio interesse strettamente personale, a
quello dei loro congiunti, dei loro datori di lavoro, dei loro clan, dei loro paesi, anche
se legittimi.
I principi elaborati a poco a poco dalla dottrina sociale della Chiesa costituiscono
una guida preziosa per l'impegno dell'umanità contro la fame. Il perseguimento del bene
comune è l'area di incontro ove convergono:
la ricerca della massima efficacia nella gestione dei beni terreni;
un maggior rispetto della giustizia sociale attuata mediante la destinazione
universale dei beni;
l'esercizio della solidarietà, che impedisce l'appropriazione dei mezzi finanziari
da parte dei benestanti, e che consentirà ad ogni uomo di non venire escluso dal corpo
sociale ed economico, nè di essere privato della sua dignità fondamentale.
una pratica competente e permanente della sussidiarietà che garantisce i
responsabili dall'appropriarsi del potere, che, di fatto, è il potere di servire;
E dunque l'insieme dell'insegnamento sociale della Chiesa che deve impregnare più o
meno coscientemente la filosofia dell'azione dei responsabili.
Tale affermazione rischia di essere accolta con scetticismo o addirittura con cinismo.
L'attività di molti responsabili si svolge in un ambiente duro, a volte crudele,
generatore di angosce e di una orgogliosa ricerca del potere, per mantenerlo. Costoro
possono essere inclini a ritenere che le considerazioni etiche costituiscano altrettanti
ostacoli. Tuttavia, la frequente esperienza quotidiana nei luoghi più diversi, dimostra
che le cose stanno altrimenti: in effetti, solo uno sviluppo equilibrato e che mira al
bene comune si rivelerà autentico e contribuirà anche se a lungo termine
alla stabilità sociale. Ad ogni livello, ed in tutti i paesi, molti sono coloro che
normalmente operano in maniera discreta, tenendo conto degli interessi legittimi dei loro
simili.
Compito immenso dei cristiani è, ovunque, la promozione di comportamenti di tal
genere: al pari di un pizzico di lievito in una pasta molto dura, vi sono chiamati dalla
loro stretta adesione all'amore che il Signore ha per tutti gli uomini e che essi
sperimentano nel profondo del loro essere.
Questo compito esaltante si traduce nell'offrirne l'esempio in ogni ambito, tecnico,
organizzativo, morale e spirituale, aiutandosi reciprocamente a tutti i livelli di
responsabilità, coinvolgendo tutti coloro che non ne sono « esclusi » dalle loro
condizioni sociali.
L'amore del prossimo per raggiungere lo sviluppo
23. Questa ricerca del bene comune si può fondare esclusivamente sull'attenzione e
sull'amore per gli uomini. Nelle situazioni più diverse, essi si trovano ogni giorno di
fronte all'alternativa: autodistruzione personale e collettiva o amore per il prossimo. La
seconda opzione manifesta la consapevolezza di una responsabilità che, per amore degli
uomini, non indietreggia di fronte ai propri limiti, né di fronte all'ampiezza dei
compiti da realizzare. « Come giudicherà la storia una generazione che ha tutti i mezzi
per nutrire la popolazione del pianeta e che si rifiuterebbe di farlo per un accecamento
fratricida? Che deserto sarebbe un mondo in cui la miseria non incontrasse l'amore che fa
vivere? ».35
L'amore va oltre il semplice dono. Lo sviluppo si coltiva mediante l'azione dei più
coraggiosi, dei più competenti e dei più onesti: costoro si sentono allo stesso tempo
solidali con tutti gli uomini che sono condizionati in misura maggiore o minore da ciò
che essi fanno o dovrebbero fare. Tale responsabilità universale e concreta è una
manifestazione essenziale dell'altruismo.
La solidarietà è chiaramente un'esigenza per tutti. Fortunatamente, non è necessario
attendere che la maggioranza degli uomini si converta all'amore per il prossimo, per
raccogliere i frutti dell'azione di coloro che agiscono nel proprio contesto senza
attendere. Vanno accolti come fondato motivo di speranza i risultati dell'azione di coloro
i quali, a tutti i livelli, nella loro attività quotidiana, si comportano quali servitori
di tutto l'uomo e di tutti gli uomini.
La giustizia sociale e la destinazione universale dei beni
24. Al centro della giustizia sociale si colloca il principio della destinazione
universale e comune dei beni della terra. Il Papa Giovanni Paolo II così lo ha espresso:
« Dio ha dato la terra a tutto il genere umano perché essa sostenti tutti i suoi membri,
senza escludere nè privilegiare nessuno ».36 Questa affermazione, costante nella
tradizione cristiana, non è sufficientemente ribadita, anche se essa si rivolge
chiaramente all'umanità intera, a prescindere dall'appartenenza confessionale. Tale
assioma costituisce di per sè un fondamento necessario per l'edificazione di una società
di giustizia, di pace e di solidarietà. Infatti, generazione dopo generazione, dobbiamo
considerarci come coloro che amministrano temporaneamente le risorse della terra e il
sistema di produzione. A fronte delle finalità della creazione, il diritto di proprietà
non è un assoluto, tanto è vero che è esercitato e riconosciuto in maniera diversa
dalle diverse culture; è una delle espressioni della dignità di ciascuno, ma è giusto
solo in quanto indirizzato al bene comune e se concorre alla promozione di tutti.
Le costose deviazioni dal bene comune: le « strutture di peccato »
25. Ignorare il bene comune si accompagna ad una ricerca esclusiva e a volte esasperata
di beni particolari quali il denaro, il potere, la reputazione, perseguiti per se stessi
come un assoluto: essi si convertono così in idoli. E in tal modo che nascono le «
strutture di peccato »,37 coacervo di luoghi e di circostanze, ove le abitudini sono
perverse e tali da obbligare a dar prova di eroismo qualsiasi nuovo venuto che si rifiuti
di adottarle.
Le « strutture di peccato » sono molteplici: alcune sono diffuse a livello mondiale
come per esempio i meccanismi ed i comportamenti che generano la fame altre
sono su scala molto più ridotta, ma provocano dissimmetrie tali da rendere molto più
difficile la pratica del bene. Queste « strutture » determinano sempre costi elevati in
termini umani: sono luoghi di distruzione del bene comune.
E meno frequente constatare quanto esse siano degradanti e costose a livello economico.
Se ne possono offrire esempi sconvolgenti.38 Lo sviluppo è frenato non soltanto
dall'ignoranza e dall'incompetenza, ma anche, e su vasta scala, dalle molteplici «
strutture di peccato » che agiscono quale contagiosa deviazione della destinazione
universale dei beni della terra verso scopi particolari e sterili.
E evidente, in effetti, che l'uomo non può sottomettere la terra e dominarla in
maniera efficaceadorando nel contempo falsi idoli quali il denaro, il potere e la
reputazione, considerati beni a sé stanti e non strumenti per servire ogni uomo e tutti
gli uomini. Cupidigia, orgoglio e vanità accecano colui che vi soccombe e che finisce per
non comprendere più neppure quanto le sue percezioni siano limitate e le sue azioni
autodistruttive.
La destinazione universale dei beni presuppone che denaro, potere e reputazione siano
ricercati quali strumenti per:
a) costituire mezzi di produzione di beni e servizi di effettiva utilità
sociale ed in grado di promuovere il bene comune;
b) condividere con i più svantaggiati che incarnano, agli occhi di tutti gli
uomini di buona volontà, il bisogno di bene comune: in effetti, essi sono testimonianza
vivente della carenza di tale bene. Più ancora, per i cristiani, essi sono figli amati da
Dio che, tramite loro ed in loro, viene a visitarci.
L'« assolutizzazione » di queste ricchezze le spoglia, in tutto o in parte, della
loro utilità per il bene comune. Il funzionamento dell'economia mondiale appare
globalmente mediocre specie in rapporto ai risultati di punta che ottengono alcuni
paesi su periodi alquanto lunghi ed estremamente costoso in termini umani (laddove
funziona e laddove non funziona), in quanto è profondamente minato dal costo delle
cattive abitudini, vera costrizione morale che grava sugli individui.
Invece, non appena dei gruppi di persone riescono a lavorare di comune accordo
facendosi carico della collettività intera e di ogni singola persona, si registrano
progressi notevoli: persone fino a quel momento poco utili, eccellono per la qualità dei
loro servizi e gli esiti positivi modificano progressivamente le condizioni materiali,
psicologiche e morali della vita. Si tratta in realtà degli « opposti » delle «
strutture di peccato »; le si potrebbero definire « strutture del bene comune », che
preparano la « civiltà dell'amore ».39 L'esperienza vissuta in queste situazioni offre
una pallida idea di quello che potrebbe essere un mondo in cui gli uomini avessero più
frequentemente a cuore, in tutte le loro attività e nell'esercizio di tutte le loro
responsabilità, i loro interessi comuni e la sorte di ciascuno.
All'ascolto preferenziale dei poveri ed al loro servizio: la condivisione
26. Se chi è economicamente povero è testimonianza della scarsa attenzione per il
bene comune, egli ha anche un messaggio particolare da darci. Sulla realtà della vita
pratica ha pareri ed esperienze a lui propri, che i più fortunati non conoscono. Come
afferma Papa Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica Centesimus annus: « ma
soprattutto sarà necessario abbandonare la mentalità che considera i poveri
persone e popoli come un fardello e come fastidiosi importuni, che pretendono di
consumare quanto altri hanno prodotto... l'elevazione dei poveri è una grande occasione
per la crescita morale, culturale ed anche economica dell'intera umanità ».40
I pareri degli indigenti che non sono nè più nè meno esatti e completi dei
pareri dei responsabili sono tuttavia essenziali a questi ultimi, se desiderano che
la loro azione a lungo termine non conduca all'autodistruzione. Avviare politiche
economiche e sociali difficili e costose, senza tener conto della percezione della realtà
che ha il più piccolo, rischia di portare entro un certo lasso di tempo a vicoli ciechi,
che sono assai onerosi per la terra intera. E quanto è avvenuto con il debito del Terzo
Mondo. Se i creditori ed i debitori avessero considerato il punto di vista dei più poveri
quale uno degli elementi essenziali della realtà dando così prova di maggiore
saggezza sarebbero stati indotti ad una maggiore prudenza, e in molti paesi,
l'avventura non si sarebbe risolta così male o addirittura avrebbe volto al meglio.
Nella complessità dei problemi da risolvere, o piuttosto, nella complessità delle
condizioni di vita da migliorare, questo ascolto preferenziale dei poveri consente di non
cadere nella schiavitù del breve termine, nella tecnocrazia, nella burocrazia,
nell'ideologia, nell'idolatria del ruolo dello Stato o del ruolo del mercato; gli uni e
gli altri hanno la loro utilità essenziale, ma in quanto strumenti da non assolutizzare.
Gli organismi intermedi hanno specificamente la funzione di far intendere la voce dei
poveri e di cogliere le loro percezioni, al pari delle loro necessità e dei loro
desideri. Ma spesso, questi organismi sono particolarmente disarmati di fronte al loro
compito. Risentono a volte della loro posizione di monopolio, che li porta a coltivare il
proprio potere; altre volte di posizioni concorrenziali, dove altri cercano di utilizzare
il povero come mezzo per accedere al potere. L'azione dei sindacati è dunque
particolarmente necessaria e sfiora l'eroismo quando questi vogliono svolgere una funzione
così essenziale, senza farsi distruggere o fagocitare.41
In tali condizioni, la condivisione diventa un'autentica collaborazione alla quale
ciascuno contribuisce, offrendo a tutti ciò di cui necessita la comunità degli uomini.
Il più svantaggiato svolge il suo specifico ruolo, tanto più essenziale essendo egli
realmente un escluso.42 Questo paradosso non deve meravigliare il cristiano.
Il dovere di garantire a ciascuno lo stesso diritto di accesso al minimo indispensabile
per vivere non è più unicamente obbligo morale di condivisione con l'indigente
cosa già notevole ma reintegrazione nella stessa comunità che, senza di lui,
tende ad inaridirsi e finanche a distruggersi. Il posto del povero non è alla periferia,
in una emarginazione dalla quale si potrebbe tentare bene o male di farlo uscire. Egli
deve essere posto al centro delle nostre preoccupazioni ed al centro della famiglia umana.
E là che potrà svolgere l'unico ruolo unico che gli compete nella comunità.
In questa prospettiva, la giustizia sociale, che è anche giustizia commutativa,
acquista pieno significato. Fondamento di tutte le azioni per la difesa dei diritti,
assicura la coesione sociale, la coesistenza pacifica delle nazioni, ma anche il loro
comune sviluppo.
Una società integrata
27. La concezione di una giustizia radicata nella solidarietà umana, e che a questo
titolo comanda ai più forti di aiutare i più deboli, deve condurre i nostri passi
ovunque la voce del povero si faccia sentire, per aprire un solo cantiere ove giustizia,
pace e carità congiungano i loro sforzi.
Le società non possono validamente costituirsi sull'esclusione di alcuni dei loro
membri. Ne consegue, per coerenza, ed è quindi implicito, il diritto che anche i poveri
hanno di organizzarsi per meglio ottenere l'aiuto di tutti nella lotta di liberazione
dalla loro miseria.
La pace, un equilibrio di diritti
28. Una pace duratura non è frutto di un equilibrio di forze ma di un equilibrio di
diritti. La pace non è neppure frutto della vittoria del forte sul debole, ma,
all'interno di ogni popolo e fra i popoli, frutto della vittoria della giustizia sui
privilegi iniqui, della libertà sulla tirannia, della verità sulla menzogna,43 dello
sviluppo sulla fame, la miseria o l'umiliazione. Per giungere ad una vera ed autentica
pace, ad un'effettiva sicurezza internazionale, non è sufficiente impedire le guerre ed i
conflitti; è necessario anche favorire lo sviluppo, creare condizioni in grado di
garantire il pieno godimento dei diritti fondamentali dell'uomo.44 In tale contesto,
democrazia e disarmo diventano due esigenze della pace, indispensabile per uno sviluppo
autentico.
Il disarmo, un'urgenza da cogliere
29. I conflitti regionali sono costati circa diciassette milioni di morti in meno di
mezzo secolo. « Negli anni '80, il totale mondiale delle spese militari ha raggiunto un
livello senza precedenti in tempi di pace; valutate a un bilione (mille miliardi) di
dollari l'anno, rappresentano all'incirca il cinque per cento del totale del reddito
mondiale ».45 Di qui l'importanza e l'urgenza, per tutti i responsabili politici ed
economici, di far sì che tali enormi somme stanziate per la morte, nell'emisfero
settentrionale come in quello meridionale, lo siano, d'ora in poi, per la vita. Un tale
atteggiamento costituirebbe il riscontro fattuale delle ragioni morali che sostengono il
disarmo progressivo; in tal modo si potrebbero rendere disponibili importanti risorse
finanziarie a vantaggio dei paesi in via di sviluppo, somme indispensabili al loro
autentico progresso.46
Una « struttura di peccato » particolarmente radicata è costituita dall'esportazione
di armi in misura superiore alle necessità legittime di autodifesa dei paesi acquirenti,
oppure destinate a trafficanti internazionali, che oggi propongono su catalogo le armi
più sofisticate a coloro che hanno i mezzi per acquistarle. Su questo terreno fiorisce la
corruzione, ma il male è ancor più profondo. Si devono lodare quei governi che,
subentrati a regimi che avevano impegnato i loro paesi nell'acquisto di armi in quantità
di gran lunga superiore ai loro bisogni, hanno avuto il coraggio di denunciare questi
contratti, rischiando in tal modo di alienarsi la benevolenza dei paesi esportatori.
Rispetto dell'ambiente
30. La natura ci sta dando una lezione di solidarietà che rischiamo di dimenticare.
Nella catena stessa della produzione alimentare, tutti gli uomini si scoprono elementi
attivi o passivi di un ecosistema. Un nuovo campo di responsabilità si apre alle
coscienze.
Non si può voler contemporaneamente nutrire un maggior numero di persone ed indebolire
l'agricoltura. Tuttavia, l'agricoltura risulta tanto più inquinante (ricorso massiccio a
concimi, pesticidi e macchinari) quanto più diffusa diventa l'industrializzazione, senza
che purtroppo a ciò faccia riscontro una corretta lavorazione. Assieme ad altri elementi
necessari alla vita, aria e acqua, terreni e foreste sono minacciati dall'inquinamento,
dal consumo eccessivo, dalla desertificazione provocata dall'uomo e dal disboscamento. In
cinquant'anni, metà delle foreste tropicali sono state rase al suolo, il più delle volte
per ricavarne terreni, o per politiche cieche di sfruttamento accelerato, volto a
riequilibrare l'onere del debito. Nelle regioni più povere, la desertificazione è
provocata da pratiche di sopravvivenza che aumentano la povertà: pastorizia eccessiva,
taglio di alberi ed arbusti per la cottura degli alimenti e per il riscaldamento.47
Ecologia e sviluppo equo
31. Una gestione ecologicamente sana del pianeta è urgente. Limitandosi al solo
aspetto della produzione agroalimentare già notevole si evidenziano due
elementi. In primo luogo, il suo costo andrà integrato nell'attività economica:48 qui
bisogna domandarsi se sono sempre i poveri a doverne sopportare l'onere a scapito della
loro alimentazione. In secondo luogo, la preoccupazione di comprendere meglio l'equilibrio
fra ecologia ed economia fa maturare l'idea attuale di sviluppo duraturo. Ma questo
obiettivo non deve offuscare la necessità di promuovere, con ancor maggior vigore, uno
sviluppo equo. In ultima analisi, lo sviluppo non può essere duraturo se non nella misura
in cui è equo. Altrimenti, è probabile che alle distorsioni attuali se ne aggiungano di
nuove.
Cogliere insieme la sfida
32. Fame e malnutrizione richiedono azioni specifiche che non possono essere dissociate
da un impegno rinnovato per lo sviluppo integrale della persona e dei popoli. Di fronte
all'ampiezza di questo fenomeno, la Chiesa Cattolica deve sempre più contribuire a
migliorare tale situazione. Fa dunque appello alla partecipazione di tutti, alla
concertazione ed alla perseveranza.
Molti, fortunatamente, sono gli sforzi già messi in atto per vincere la fame da parte
di singole persone, delle Organizzazioni non governative, dei poteri pubblici e delle
Organizzazioni internazionali. Basti ricordare soltanto la Campagna mondiale contro la
fame ed altre iniziative, alle quali i cristiani partecipano volentieri.
Riconoscere il contributo dei poveri alla democrazia
33. Il dinamismo dei poveri è poco conosciuto. Per invertire questa tendenza è
necessario modificare vari atteggiamenti e prassi, economiche, sociali, culturali e
politiche. Quando i poveri sono tenuti in disparte dall'elaborazione di quei progetti che
li riguardano, la storia dimostra che, in linea di principio, non ne traggono beneficio.
La solidarietà della comunità umana è tutta da costruire. Non si imparerà a
condividere il pane quotidiano, se non favorendo un riorientamento delle coscienze e delle
azioni dell'intera società.49 Sono questi gli atteggiamenti che conducono ad una vera
democrazia.
La democrazia è generalmente considerata elemento essenziale per lo sviluppo umano, in
quanto consente una partecipazione responsabile alla gestione della società; d'altra
parte, i due elementi vanno di pari passo, e la fragilità dell'una può compromettere
l'altro. Se il principio d'uguaglianza soccombe di fronte ai rapporti di forza, il ruolo
dei poveri nella società sarà ridotto a quello della mera sopravvivenza. Una democrazia
si giudica dalla sua capacità di coniugare libertà e solidarietà, prendendo così
radicalmente le distanze dal liberalismo assoluto o da altre dottrine, che negano il senso
della libertà o che costituiscono ostacolo alla vera solidarietà.50
Le iniziative comunitarie
34. Di fronte alla miseria, ovunque un numero crescente di individui e di gruppi
scelgono di partecipare ad azioni comunitarie. Tali iniziative vanno fortemente
incoraggiate. Attualmente, un numero sempre maggiore di paesi appoggia la partecipazione
popolare, ma alcune realtà operano tentando ancora, con conseguenze a volte molto
pesanti, di ridurre al silenzio tali iniziative che, se li disturbano, rappresentano
tuttavia le basi indispensabili per un effettivo sviluppo.
Alcune Organizzazioni non governative (ONG) per lo sviluppo, create a partire da
iniziative locali, hanno favorito la formazione di una nuova società civile a base
popolare in molti paesi in via di sviluppo, organizzando mezzi di concertazione e di
sostegno molto diversificati. Grazie ai dinamismi popolari che in tal modo si sono aperti
la strada, numerosi individui fra i più indigenti, possono finalmente uscire dalla loro
miseria e migliorare la loro condizione di fronte alla fame e alla malnutrizione.
Nel corso degli ultimi anni, alcune Associazioni Internazionali Cattoliche e nuove
comunità ecclesiali hanno avviato varie iniziative in campo socio-economico. Per
combattere la fame e la miseria, si ispirano alle corporazioni medioevali e specie alle
unioni cooperative del XIX secolo, nelle quali promotori del bene comune fondavano delle
istituzioni secondo lo spirito evangelico o trovando supporto nella solidarietà sociale.
Il primo a sottolineare la necessità di organizzarsi per la promozione sociale fu il
quacchero P. C. Plockboy (, 1695). Altri pionieri del passato più conosciuti sono:
Félicité Robert de Lamennais (1782-1854), Adolf Kolping (, 1856), Robert Owen
(1771-1858), il barone Wilhelm Emmanuel von Ketteler (1811-1877), mentre oggigiorno
sorgono associazioni che mirano al bene comune della società e intendono arginare
l'egoismo, l'orgoglio e l'avidità che spesso costituiscono le leggi della vita
collettiva. Le esperienze maturate nel corso di tutta la storia ed i risultati di queste
nuove iniziative danno adito a sperare di trarne i frutti in futuro.51
L'accesso al credito
35. « Uno dei grandi risultati delle ONG è stato quello di garantire ai poveri
l'accesso al credito ».52 Questo accesso al credito da parte di gruppi popolari è
divenuto una pratica d'avanguardia, in grado di far progredire un'economia di sussistenza
informale fino a costituire un reale tessuto economico di base. Forse, si è ancora
lontani dall'innalzare in maniera significativa il livello del Prodotto Interno Lordo
(PIL), ma l'importanza del fenomeno risiede anche nel suo significato intrinseco e nella
strada che apre. Sostenendo le iniziative comunitarie, dando fiducia ai partners locali,
si evita il persistere di schemi assistenziali e si gettano lentamente le basi di uno
sviluppo integrale.53
Il ruolo fondamentale delle donne
36. Nella lotta contro la fame e in favore dello sviluppo, il ruolo della donna è, di
fatto, fondamentale, pur se spesso non ancora sufficientemente riconosciuto ed apprezzato.
E opportuno sottolineare il ruolo primario della donna nella sopravvivenza di intere
popolazioni, specie in Africa. Sono spesso le donne che producono il necessario per
l'alimentazione delle famiglie. Specie nei paesi in via di sviluppo, ad esse spetta di
dare alla loro famiglia un'alimentazione sana ed equilibrata, ma diventano le prime
vittime di decisioni adottate a loro insaputa, quali l'abbandono delle culture orticole e
dei mercati locali di cui, tuttavia, esse sono i principali operatori. Tale approccio non
rispetta le donne e nuoce allo sviluppo; in simili condizioni, il passaggio all'economia
di mercato e l'introduzione delle tecnologie possono peggiorare nonostante le
migliori intenzioni le condizioni di lavoro delle donne.
La malnutrizione colpisce le donne in maniera particolare: sono loro le prime a
risentirne, ed il loro stato si ripercuote poi sulle loro maternità, incidendo sul futuro
sanitario e scolastico dei figli.
Ma lo scopo di questa lotta deve inseririsi in un contesto più ambizioso: mirare a
migliorare nei paesi poveri lo status sociale delle donne, offrendo loro un miglior
accesso alle cure sanitarie, alla formazione ed anche al credito. In tal modo, le donne
potranno collaborare al meglio all'aumento della produzione, alla realizzazione dello
sviluppo, all'evoluzione economica e politica dei loro paesi.54
Ma questo progresso deve aver cura di conservare i ruoli dell'uomo e della donna, senza
scavare un solco fra di loro, evitando di femminilizzare gli uomini o di virilizzare le
donne.55 L'auspicabile evoluzione della condizione della donna non deve far perdere di
vista, tuttavia, l'attenzione che essa deve dare alla vita che nasce e che sboccia. Alcuni
paesi in fase di sviluppo ne offrono l'esempio, arginando quelle eccessive modifiche della
sensibilità femminile che si verificano attualmente in Occidente, senza con ciò
paralizzare la donna nel suo ruolo tradizionale. In effetti, non bisogna ripetere in
questo ambito gli errori commessi penalizzando le strutture tradizionali a vantaggio dei
modelli occidentali, particolarmente inadatti alle situazioni locali ed adottati senza i
necessari adeguamenti.
Integrità e senso sociale
37. E imperativo motivare tutti gli attori sociali ed economici a favorire politiche di
sviluppo che abbiano per obiettivo quello di assicurare a tutti gli uomini pari
opportunità di vivere dignitosamente e questo con il concorso degli sforzi e dei
sacrifici necessari. Ciò risulterà però impossibile se i responsabili non dimostreranno
indiscutibilmente la loro integrità e il loro senso del bene comune. I fenomeni di fughe
di capitali, di spreco o di appropriazione delle risorse a vantaggio di una minoranza
familiare, sociale, etnica o politica, sono diffusi e di pubblico dominio. Tali deviazioni
vengono denunciate di sovente, senza che per questo gli autori siano di fatto sollecitati
a porre fine a queste attività a volte di notevole entità che ledono gli
interessi dei poveri.56
E specialmente la corruzione57 che spesso ostacola le riforme necessarie al
perseguimento del bene comune e della giustizia, le quali vanno di pari passo. La
corruzione, dalle molteplici cause, costituisce in primo luogo un gravissimo abuso della
fiducia che la società accorda ad un individuo, a cui viene affidato il mandato di
rappresentarla ed il quale, invece,approfitta di tale potere per trarne vantaggi
personali. La corruzione è uno dei meccanismi costitutivi di numerose « strutture di
peccato » ed il suo costo per il pianeta è di gran lunga superiore all'ammontare
complessivo delle somme sottratte.
III
VERSO UN'ECONOMIA PIU' SOLIDALE
Per meglio servire l'uomo e tutti gli uomini
38. La crescita della ricchezza è necessaria allo sviluppo, ma le grandi riforme
macro-economiche che comportano sempre una limitazione dei redditi possono
fallire, se le riforme strutturali non vengono avviate con l'energia ed il coraggio
politico necessari, specie per quanto attiene al settore pubblico: riforma del ruolo dello
stato, eliminazione degli ostacoli politici e sociali. In questo caso, causano inutili
sofferenze ed accelerano una ricaduta. Queste grandi riforme, a volte eccessivamente
brutali, sono sempre accompagnate da aiuti provenienti dalla comunità internazionale che
fa pressione sul potere politico, spesso dietro sua richiesta, per porre il paese di
fronte alle sue scelte ed aiutarlo ad adottare delle decisioni, che i paesi
industrializzati non hanno più avuto motivo di adottare dagli anni della ricostruzione,
dopo la seconda guerra mondiale.
Per le istituzioni internazionali è doveroso includere nei piani elaborati dai
governi, ascoltatone il parere, delle disposizioni mirate ad alleviare la sofferenza di
coloro che verranno maggiormente colpiti da tali misure necessarie. Sta a loro nutrire
fiducia nei confronti dei dirigenti del paese, cosicché questo realmente benefici, in
quel determinato momento, degli aiuti finanziari pubblici e privati. Le istituzioni
internazionali debbono anche far pressione sul governo affinché tutte le categorie
sociali possano partecipare allo sforzo comune. Diversamente, questo non sarà in grado di
percorrere la strada, se pur appena abbozzata, del bene comune e della giustizia sociale,
così difficile da salvaguardare in tali circostanze.
Per raggiungere tale obiettivo, il personale degli organismi internazionali deve dar
prova non solo di rigore tecnico cui, fortunatamente, è solito ma deve
anche dimostrare di avere a cuore gli interessi dei singoli individui, il che non può
essere inculcato tramite disposizioni burocratiche o ricorrendo ad una formazione di
natura puramente economica. E in queste situazioni che l'ascolto preferenziale del povero
deve farsi particolarmente attento: si debbono prevedere disposizioni precise, di comune
accordo con le ONG e le Associazioni cattoliche che sono a contatto e contemporaneamente
al servizio dei più deboli. Non si insisterà mai troppo su questo punto: esso è
essenziale e i responsabili nazionali ed internazionali possono facilmente trascurarlo, in
quanto il lavoro tecnico presenta di per sé considerevoli difficoltà.
In linea di massima, tutti gli organismi nazionali ed internazionali, in rapporto
permanente con i singoli paesi con difficoltà di sviluppo, debbono aprire canali di
comunicazione personali ed ufficiosi fra coloro che operano sul campo, al servizio delle
popolazioni, ed il personale tecnico che mette a punto i programmi di riforma. Ma per non
scivolare nell'economicismo e nell'ideologia, ciò deve realizzarsi nella reciproca
fiducia tra coloro che condividono il servizio agli uomini ed a ciascun uomo.
Far convergere l'azione di tutti
39. I paesi più ricchi hanno una responsabilità di primo piano nella riforma
dell'economia mondiale.
In questi ultimi tempi hanno privilegiato i rapporti con i paesi che registrano un
certo decollo economico quelli effettivamente in via di sviluppo ed anche
con i paesi dell'Est europeo, la cui evoluzione può costituire una minaccia
geograficamente vicina.
Sul loro stesso territorio, i paesi ricchi non mancano di indigenti e di difficoltà
nell'attuazione delle necessarie riforme. Esiste allora la tentazione di far slittare in
secondo piano il problema dei poveri dei paesi con difficoltà di sviluppo. « Non spetta
a noi farci carico della miseria del mondo » è la fase che riecheggia spesso nei paesi
globalmente ricchi.
Un simile atteggiamento, se si confermasse, sarebbe sia indegno che miope. Ogni
persona, ovunque si trovi, specie se dispone di mezzi economici e di autorità politica,
deve aprirsi all'ascolto della miseria dei più derelitti, per tenere conto nelle proprie
decisioni e nelle proprie azioni degli interessi di costoro. Questo appello si rivolge a
tutti coloro che debbono prendere delle decisioni concernenti i paesi in via di sviluppo.
Ma esso si rivolge anche a tutti coloro i quali, sia nell'ambito dei diversi paesi, sia
a livello internazionale, bloccano di fatto le possibilità di agire in favore del bene
comune, per proteggere interessi che di per sé possono essere del tutto legittimi. La
protezione di un diritto acquisito in un determinato paese, può comportare il persistere
della fame in una qualche parte del mondo, senza che si possa cogliere un nesso preciso di
causalità, nè identificarne le vittime; diventa facile, allora, negarne l'esistenza.
Altri atteggiamenti conservatori, ad altri livelli ed in altri luoghi, possono entrare in
gioco e contribuire alle stesse situazioni di stallo.
La riforma del commercio internazionale è in via di realizzazione e allo stesso tempo
sempre auspicata. Di fatto, coinvolge soprattutto i poveri dei paesi ricchi. Di qui la
capitale importanza che queste priorità non facciano dimenticare la situazione degli
indigenti dei paesi poveri, che sono pressoché senza voce a livello internazionale.
Costoro debbono ritornare al centro delle preoccupazioni internazionali, congiuntamente
alle altre priorità. E lodevole il fatto che, recentemente, la Banca Mondiale abbia dato
preminenza allo « sradicamento della miseria ».
I responsabili dei paesi in via di sviluppo non debbono, a loro volta, confidare su
un'ipotetica riforma internazionale prima di dedicarsi alle riforme interne ai loro paesi,
spesso palesemente necessarie per favorire un certo decollo economico. Questo decollo non
dipende da misure particolari ma, da una coraggiosa e costante applicazione di semplici
regole che consentano, a chi ne è in grado, di avviare iniziative valide, conservandone
parte dei frutti; e d'altra parte impediscano, a coloro che ne sono incapaci, di prelevare
dalle risorse nazionali un compenso non correlato al loro apporto. I popoli debbono «
sentirsi i principali artefici ed i primi responsabili del loro progresso economico e
sociale ».58 Come già precedentemente menzionato, spetta ai governi e alle istituzioni
in rapporto con i paesi in via di sviluppo, manifestare chiaramente la loro preferenza in
favore di atteggiamenti responsabili e coraggiosi al servizio delle comunità nazionali.
La volontà politica dei paesi industrializzati
40. I poteri pubblici dei paesi globalmente ricchi, debbono intervenire sull'opinione
pubblica per sensibilizzarla alla situazione dei poveri, siano essi vicini o lontani.
Spetta a loro, parimenti, sostenere vigorosamente l'azione delle istituzioni
internazionali che si occupano di queste sofferenze, per aiutarle ad intraprendere
iniziative immediate e durature in grado di arginare la fame nel mondo. E quanto la
Chiesa, da parte sua, chiede con grande tenacia da oltre cento anni nei confronti di tutti
e contro tutti: essa chiede che i diritti dei più deboli siano protetti, tra l'altro,
tramite interventi delle pubbliche autorità.59
Per sensibilizzare e mobilitare la comunità internazionale, specie per quanto attiene
alla dimensione etica delle problematiche in questione, si possono trovare riferimenti
energici e precisi in numerosi testi elaborati, per esempio, dal Consiglio Economico e
Sociale (precisamente dalla sua Commissione dei diritti dell'uomo) o dall'UNICEF.
Limitandosi a menzionare i lavori della FAO, ben nota in proposito, la convergenza già
evocata fra l'insegnamento della Chiesa e gli sforzi di crescente mobilitazione intrapresi
dalla comunità internazionale, affiora in tutta la sua evidenza, in un certo numero di
strumenti quali la « Charte des Paysans » (carta dei lavoratori agricoli) contenuta
nella Dichiarazione mondiale sulla riforma agraria e lo sviluppo rurale (1979),60
il Patto mondiale sulla sicurezza alimentare,61 la Dichiarazione mondiale sulla
nutrizione ed il Programma di azione adottato dalla Conferenza Internazionale
sull'Alimentazione (1992),62 senza dimenticare diversi codici di condotta o impegni
internazionali politicamente o moralmente vincolanti sui pesticidi, sulle
risorse fitogenetiche, ecc. E importante far notare che questo punto di vista etico è
stato recentemente fatto proprio dalla Banca Mondiale.63
Lo sviluppo umano non potrà essere il risultato di meccanismi economici che funzionano
in modo automatico, e che basta favorire. L'economia diventerà più umana grazie ad un
insieme di riforme a tutto campo, tutte ispirate dal miglior servizio del vero bene
comune, ovvero da una visione etica fondata sul valore infinito di ogni uomo e di tutti
gli uomini; da una economia che si lascia ispirare dalla « necessità di costruire i
rapporti fra i popoli su uno scambio costante di doni, su una effettiva « cultura
oblativa », in virtù della quale ogni paese sarebbe aperto ai bisogni dei meno
avvantaggiati ».64
Stabilire equamente le condizioni di scambio
41. Il funzionamento dei mercati, per favorire lo sviluppo, necessita tuttavia di una
saggia regolamentazione. Il mercato ha sue proprie leggi che oltrepassano la capacità di
decisione dei suoi partecipanti, per quanto costoro siano sufficientemente numerosi e
sufficientemente indipendenti gli uni dagli altri; è quanto avviene sui mercati delle
materie prime minerali, nonostante i considerevoli sforzi compiuti sia dai governi
ivi compresi alcuni organismi internazionali, in particolare dall'UNCTAD (Conferenza delle
Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo) sia da imprese del settore privato.
Non risulta possibile, in nome di ragioni politiche o umanitarie, affrancarsi dal livello
dei prezzi risultante dal cieco funzionamento dei mercati. Tuttavia, ci si deve assicurare
che questi non siano oggetto di tentativi di manipolazione.
D'altronde, è compito dei paesi importatori non conservare o non erigere nuove
barriere, che frenino l'eventuale ingresso di beni provenienti da quei paesi in cui una
parte importante della popolazione ha fame; i paesi importatori debbono far sì che i
benefici locali di tali operazioni commerciali, vadano soprattutto a vantaggio dei più
indigenti. E un problema molto delicato che richiede un atteggiamento coraggioso e
preciso.
Superare il problema del debito
42. Come già precedentemente riferito, a partire dal 1985, la questione del debito è
stata gestita dalla comunità internazionale; la sua prima preoccupazione è di evitare lo
sgretolamento del sistema finanziario che collega fra loro tutte le istituzioni
finanziarie di tutti i paesi. Questo sistema ha consentito, nelle diverse nazioni e nel
corso delle varie crisi, il consolidamento dei crediti, con il risultato di mettere sullo
stesso piano tutti i creditori di uno stesso paese. Ciò non è conforme nè al diritto
nè alla giustizia sociale. Per contro, coloro che hanno concesso prestiti, sono stati
indotti a rinunciare ad una parte variabile a seconda di ciascuno dei propri
crediti. E necessaria molta equità e molta vigilanza per evitare che i paesi più
coraggiosi e più efficienti in materia di riforme vengano penalizzati rispetto ad altri.
E evidente che il debito deve ancora diminuire in misura notevole ma, pur dimenticando
le circostanze che lo hanno provocato, è giusto che tale contrazione debba accompagnarsi,
in tutti i paesi, a riforme in grado di evitare che si ricada in irregolarità quali:
spesa pubblica eccessiva, spesa pubblica non mirata, sviluppo privato locale senza
riscontro economico, eccessiva concorrenza tra paesi erogatori di prestiti e paesi
esportatori, il che favorisce vendite inutili o addirittura dannose. In ogni caso va
riconosciuto che un miglioramento delle condizioni dei paesi con difficoltà di sviluppo,
non sarà possibile senza una maggiore stabilità del quadro sociale e
politico-istituzionale.
Aumentare l'aiuto pubblico a favore dello sviluppo
43. Per il secondo decennio di sviluppo, il progetto dell'UNCTAD prevedeva che l'aiuto
ai paesi in via di sviluppo raggiungesse lo 0,7% del PIL dei paesi industrializzati. Tale
obbiettivo, raggiunto solo da alcuni paesi,65 è stato recentemente rivisto al Vertice di
Copenaghen.66 In media l'aiuto ai paesi in via di sviluppo si attesta attualmente sullo
0,33% del PIL, ovvero a meno della metà dell'obiettivo prefissato!
Il fatto che alcuni paesi riescano a raggiungere tale obiettivo ed altri no, evidenzia
come la solidarietà sia frutto della determinazione dei popoli e degli Stati, e non il
risultato di automatismi tecnici. E raccomandabile, inoltre, serbare una quota maggiore di
questo aiuto al finanziamento di quei progetti che vengono elaborati con la partecipazione
degli stessi poveri. Poiché in democrazia i responsabili politici dipendono dalla loro
opinione pubblica, si dovrà sostenere uno sforzo di ampio respiro affinché l'opinione
pubblica acquisti più chiara coscienza dell'importanza di questo bilancio di aiuti per lo
sviluppo. « Noi tutti siamo solidarmente responsabili delle popolazioni sottoalimentate
(...) occorre educare la coscienza al senso di responsabilità che incombe a tutti e a
ciascuno, specie ai più favoriti ».67
L'aiuto pubblico pone numerosi problemi di natura etica, sia ai paesi donatori che a
quelli destinatari. Ovunque, la moralizzazione dei circuiti di nuova liquidità
costituisce un problema difficile, e la mancanza di etica può risultare a vantaggio di
gruppi di interesse più o meno ufficiali, negli stessi paesi esportatori. Si « congelano
» in tal modo situazioni di potere assimilabili alle « strutture di peccato », che
favoriscono ovunque il clientelismo.
Si tratta di potenti meccanismi inibitori delle vere riforme e dello sviluppo del bene
comune, che possono causare conseguenze nefaste quali, per esempio, disordini locali e
lotte inter-tribali specialmente nei paesi più fragili in tal senso.
La lotta contro queste « strutture di peccato » è portatrice di grande speranza per
i paesi più svantaggiati.
Ripensare l'aiuto
44. Spetta ai paesi industrializzati non soltanto aumentare i loro aiuti ai paesi in
via di sviluppo, ma anche ripensare la maniera in cui tali aiuti vengono distribuiti. Gli
« aiuti vincolati » sono da criticare se concepiti in funzione del paese erogatore o
donatore, e se abbinati a condizioni che vincolano il paese ricevente tramite, ad esempio,
l'acquisto di beni prodotti nel paese donatore, l'impiego di mano d'opera specializzata
straniera, a svantaggio della mano d'opera locale, la conformità ai programmi di
aggiustamento strutturale, ecc. D'altro canto, si può considerare il fatto che gli aiuti
non vincolati sono in grado di produrre realmente i risultati migliori, come si è
verificato in numerosi casi. Tuttavia, conviene non scartare a priori l'eventualità di
aiuti vincolati, nella misura in cui questi siano concepiti quale mezzo per distribuire in
maniera equa i vantaggi derivanti alle varie parti in causa o nella misura in cui
consentano una gestione sana dei mezzi a disposizione.
Gli aiuti di emergenza, una soluzione tampone
45. Gli aiuti alimentari di emergenza meritano alcune osservazioni, in quanto oggetto
di controversie basate sulla considerazione che tali aiuti non sono in grado di agire
sulle cause stesse del problema della fame. Mezzi di azione umanitaria agli occhi di
alcuni, sono considerati, al contrario, da altri, quale leva di sviluppo e addirittura, da
molti, come arma commerciale. Si rimprovera loro, fra l'altro, di scoraggiare gli
agricoltori locali, di modificare le abitudini alimentari, di fungere da mezzo di
pressione politica a motivo della dipendenza che inducono, di giungere troppo tardi, di
favorire il sorgere di una mentalità assistenziale e, in ultimo, di avvantaggiare i soli
intermediari, di favorire la corruzione e anche di non arrivare ai più indigenti. In
alcuni paesi vengono protratti all'infinito, non senza motivo, così da tramutarsi in
elementi strutturali. In tal caso vengono a costituire una forma di aiuto permanente alla
bilancia dei pagamenti, in quanto riducono il deficit nazionale. Tali aiuti possono essere
concessi anche quale forma di sostegno in periodi di aggiustamento strutturale
particolarmente difficile, nel momento in cui vengono soppresse le sovvenzioni per il
consumo dei prodotti primari.
Gli aiuti alimentari di emergenza devono rimanere una soluzione temporanea, all'unico
scopo di consentire ad una popolazione di sopravvivere ad una situazione di crisi. In
quanto aiuto umanitario, non possono essere contestati in linea di principio. In effetti,
sono unicamente le loro deviazioni a suscitare critiche: per esempio, il loro arrivo
spesso tardivo o non confacente ai bisogni, la loro distribuzione mal organizzata o
distorta dall'intervento di fattori politici, etnici o dal clientelismo, i furti e la
corruzione, che impediscono ai viveri di giungere ai più indigenti. E piuttosto l'aiuto
strutturale prolungato ad apparire agli uni come una leva di sviluppo ed agli altri come
un'arma commerciale, un fattore di destabilizzazione della produzione e delle abitudini
alimentari, una causa di dipendenza. In realtà, può avere effetti sia benefici che
nefasti. A prescindere dal fatto che l'aiuto consente la sopravvivenza di popolazioni
intere, non bisogna passare sotto silenzio i suoi aspetti positivi, quali la possibilità
di realizzare lavori infrastrutturali, le transazioni triangolari, la creazione di riserve
negli stessi paesi in via di sviluppo. Si tratta di un'arma a doppio taglio, di cui
tuttavia, non è possibile fare a meno.
La concertazione dell'aiuto
46. Si potrebbe ovviare ad alcune delle critiche che questi aiuti alimentari suscitano
potenziando la concertazione fra i vari partners della catena: Stati, autorità locali,
ONG, associazioni ecclesiali. Gli aiuti potrebbero venire limitati nel tempo e meglio
distribuiti alle popolazioni con reale deficit alimentare; sarebbe anche raccomandabile
che venissero costituiti da prodotti locali ogni qual volta ciò risultasse possibile. Gli
aiuti di emergenza debbono, in primo luogo, contribuire a liberare le popolazioni dalla
loro dipendenza. A tal fine, a prescindere dall'infrastruttura soddisfacente o meno e
dalle capacità locali di distribuzione, gli aiuti debbono accompagnarsi a progetti che
mirino a premunire le popolazioni colpite da future penurie alimentari. E in tal modo che
gli aiuti di emergenza, devoluti a determinate condizioni, potranno considerarsi alla
stregua di una incisiva azione di solidarietà internazionale. Di fatto, questo tipo di
assistenza non sarà in grado di offrire « una soluzione soddisfacente nella misura in
cui si continua a tollerare una miseria estrema, che non cessa di aggravarsi provocando un
numero sempre maggiore di vittime della malnutrizione e della fame ».68
La sicurezza alimentare: una soluzione permanente
47. Il problema della fame non potrà risolversi se non rafforzando a livello locale i
quattro elementi costitutivi della « sicurezza alimentare ».69 « La sicurezza
alimentare esiste nel momento in cui tutti gli abitanti hanno liberamente accesso agli
alimenti necessari a condurre una vita sana ed attiva ».70 A questo scopo, è importante
mettere a punto programmi che valorizzino la produzione locale, una legislazione efficace
che protegga le terre agricole e ne assicuri l'accesso alla popolazione rurale. La mancata
realizzazione di queste misure nei paesi in via di sviluppo è dovuta al frapporsi di
numerosi ostacoli che vi si oppongono. Infatti diviene sempre più difficile e complesso
per i responsabili politici ed economici di questi paesi mettere a punto una politica
agricola. Fra le più importanti cause del fenomeno ricordiamo la fluttuazione dei prezzi
e delle valute provocata anche dalla sovrapproduzione di prodotti agricoli. Per garantire
la sicurezza alimentare si dovrà favorire la stabilità e l'equità del commercio
internazionale.71
Priorità alla produzione locale
48. L'importanza primaria dell'agricoltura nell'ambito di ogni processo di sviluppo, è
ormai riconosciuta. Quale che sia l'evoluzione della congiuntura commerciale
internazionale, l'indipendenza economica e politica, ma anche la situazione alimentare dei
paesi in via di sviluppo, avrebbero molto da guadagnare dalla messa a punto di sistemi
agricoli in grado di privilegiare lo sviluppo interno, pur rimanendo aperti all'esterno.
Tutto ciò richiede la creazione di un ambiente economico e sociale basato su una migliore
conoscenza ed una migliore gestione dei mercati agricoli locali, sul rafforzamento del
credito rurale e della formazione tecnica, sulla garanzia di prezzi locali remunerativi,
su migliori circuiti di trasformazione e di commercializzazione dei prodotti locali, oltre
che su un'effettiva concertazione fra i paesi in via di sviluppo, un'organizzazione degli
stessi lavoratori agricoli e la difesa collettiva dei loro interessi. Sono questi
altrettanti obiettivi la cui realizzazione dipende dalla competenza come pure dalla
volontà degli uomini.
L'importanza della riforma agraria
49. La produzione alimentare locale è spesso ostacolata da una cattiva distribuzione
delle terre e dall'utilizzo irrazionale dei terreni. Oltre la metà della popolazione dei
paesi in via di sviluppo non possiede terra e tale proporzione è in aumento.72 Anche se
quasi tutti questi paesi hanno elaborato politiche di riforma agraria, pochi sono quelli
che le hanno tradotte in pratica. Inoltre, gli spazi agricoli utilizzati dalle società
alimentari multinazionali, sono destinati a nutrire quasi esclusivamente le popolazioni
dell'emisfero Nord ed i sistemi di coltivazione adottati tendono ad impoverire i terreni.
Si fa urgente una « riforma coraggiosa delle strutture e di nuovi modelli di rapporti fra
gli Stati e le popolazioni ».73
Ruolo della ricerca e dell'educazione
50. I doveri che incombono sui responsabili politici e finanziari sono di primaria
importanza. Tuttavia, per raccogliere la grande sfida della fame, della malnutrizione e
della povertà, ciascun uomo è chiamato ad interrogarsi su ciò che fa e su ciò che
potrebbe fare.
Sarebbero necessari a tale scopo:
l'apporto della scienza: gli intellettuali sono invitati anch'essi a mobilitare le
loro conoscenze e la loro influenza per cercare una soluzione al problema. Le ricerche nel
settore della biotecnologia, per esempio, possono contribuire a migliorare sia
nell'emisfero Nord che in quello Sud la sicurezza alimentare mondiale, le cure
sanitarie o anche l'approvvigionamento di energia. Da parte loro, le scienze umane,
tramite una migliore lettura ed una più esatta interpretazione dell'organizzazione
sociale, possono meglio mettere in luce, allo scopo di correggerli, gli squilibri dei
sistemi vigenti e le nefaste conseguenze che questi ingenerano. Possono pure contribuire
alla definizione ed alla messa a punto di nuove vie per la solidarietà fra i popoli;
la sensibilizzazione degli individui e dei popoli: l'amore per il prossimo è un
compito affidato ai genitori, agli educatori, ai responsabili politici, a qualsiasi
livello essi operino, come pure agli specialisti dei mezzi di comunicazione di massa che
hanno una responsabilità maggiore per far maturare la coscienza dell'umanità;
uno sviluppo autentico in ogni paese: è necessario dare una importanza prioritaria
a quell'educazione che non si limita alla mera trasmissione degli elementi necessari per
la comunicazione o per un lavoro di utilità personale o pubblica, ma che offre le basi
per una coscienza morale. Dovrà venire eliminata qualsiasi dicotomia fra educazione e
sviluppo, due obiettivi talmente interdipendenti, così strettamente interconnessi l'uno
all'altra, che è necessario perseguirli congiuntamente, se si vogliono ottenere risultati
durevoli. E un dovere di solidarietà quello di consentire ad ogni uomo di beneficiare «
di un'educazione che corrisponda alla sua vocazione ».74
Gli Organismi Internazionali:
Associazioni Internazionali Cattoliche,
Organizzazioni Internazionali Cattoliche (OIC),
Organizzazioni Non Governative (ONG) e reti da loro costituite
51. Affiancandosi ad altre iniziative precedenti, alcuni organismi, fondati anche da
volontari, si sono messi da qualche decennio al servizio degli individui e delle
popolazioni in difficoltà. Questi Organismi Internazionali spesso conosciuti con il nome
di: Associazioni Internazionali Cattoliche, Organizzazioni Internazionali Cattoliche (OIC)
ed Organizzazioni Non Governative (ONG), sono ben noti per il loro dinamismo; il loro
banco di prova sono stati la promozione dello sviluppo integrale dei poveri e la risposta
a situazioni di emergenza (carestie o penurie). Sanno attirare l'attenzione su situazioni
disperate, mobilitando fondi privati e pubblici ed organizzando soccorsi sul posto. La
maggior parte di questi hanno perfezionato nel corso degli anni la loro lotta contro la
fame, abbinandola ad una azione di più ampio respiro a favore dello sviluppo. Fra le loro
realizzazioni più conosciute ci sono progetti in favore di nuove iniziative adottate in
loco in maniera autonoma, o progetti tesi a rafforzare le istituzioni e le collettività
locali.
Da parte sua, la Chiesa cattolica, da sempre (e dunque ben prima che le ONG esistessero
come tali) incoraggia, ispira e coordina queste forze e questi mezzi, tramite innumerevoli
associazioni parrocchiali, diocesane, nazionali ed internazionali e tramite grandi reti.75
Intendiamo qui esprimere il nostro apprezzamento per il lavoro degli Organismi
Internazionali nel loro insieme, siano essi di ispirazione direttamente cristiana,76 di
ispirazione religiosa o di ispirazione laica.
La duplice missione degli Organismi Internazionali
52. La missione degli Organismi Internazionali è duplice: sensibilizzazione ed azione.
Se la seconda è evidente, la prima è spesso ignorata, anche se entrambe sono
indissociabili l'una dall'altra: la sensibilizzazione di tutti alle realtà ed alle cause
del cattivo sviluppo è fondamentale e primaria.
Da essa dipende direttamente l'indispensabile raccolta di fondi privati da una parte, e
dall'altra la presa di coscienza di un maggior numero di persone. La costituzione di
questa base popolare è necessaria per ottenere un aumento dell'aiuto pubblico allo
sviluppo e la trasformazione delle « strutture di peccato ».
Una solidarietà fraterna
53. Gli Organismi Internazionali debbono considerare i gruppi ai quali vengono in
aiuto, quali effettivi interlocutori paritetici. E così che nasce una solidarietà dal
volto fraterno, nel dialogo, nella reciproca fiducia, nell'ascolto rispettoso dell'altro.
In questo settore così delicato, il Papa Giovanni Paolo II ha voluto offrire un segno
del suo particolare interesse: si tratta della Fondazione « Giovanni Paolo II per il
Sahel », il cui scopo è la lotta contro la desertificazione nei paesi del sud del
Sahara, e della Fondazione « Populorum Progressio » a favore dei più diseredati
dell'America Latina, entrambe con amministrazione autogestita dalle Chiese locali delle
rispettive regioni.77
IV
IL GIUBILEO DELL'ANNO 2000
UNA TAPPA NELLA LOTTA CONTRO LA FAME
I Giubilei: dare a Dio ciò che è di Dio
54. Nella lettera Apostolica Tertio millennio adveniente, in vista della
celebrazione del secondo millennio della nascita di Cristo, il Papa Giovanni Paolo II
ricorda l'antichissima pratica dei giubilei nel vecchio Testamento, radicata nel concetto
di anno sabbatico. L'anno sabbatico era un tempo specificamente consacrato a Dio; secondo
la legge di Mosè veniva celebrato ogni sette anni. Prevedeva che si facesse riposare la
terra, si liberassero gli schiavi e anche si condonassero i debiti. L'anno giubilare, che
ricorreva, invece, ogni cinquanta anni, ampliava le prescrizioni precedenti: lo schiavo
israelita, in particolare, non solo era liberato, ma rientrava in possesso della terra dei
suoi avi: « Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel
paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo: ognuno di voi tornerà nella
sua proprietà e nella sua famiglia » (Lv 25, 10).
Il fondamento teologico di questa ridistribuzione era il seguente: « Non si poteva
essere privati in modo definitivo della terra, poiché essa apparteneva a Dio, né gli
israeliti potevano rimanere per sempre in una situazione di schiavitù, dato che Dio li
aveva « riscattati » per sé, come proprietà esclusiva, liberandoli dalla schiavitù in
Egitto ».78
Ritroviamo qui l'esigenza della destinazione universale dei beni. L'ipoteca sociale
legata al diritto alla proprietà privata, si traduceva così, periodicamente, in leggi di
diritto pubblico, per ovviare alle trasgressioni dei singoli rispetto a tale esigenza:
desiderio smodato di guadagno, profitti di dubbia provenienza e modi ben diversi di
utilizzo della proprietà, del possesso e del sapere, in aperta violazione del fatto che i
beni creati debbono servire a tutti in maniera equa.
Questo quadro giuridico, associato al giubileo ed all'anno giubilare, preannunziava a
grandi linee l'insegnamento sociale della Chiesa, strutturatosi, in seguito, sulla base
del Nuovo Testamento. Indubbiamente, poche furono le realizzazioni concrete che
accompagnarono l'ideale di società legato all'anno giubilare. Sarebbe stato necessario un
governo equo, in grado di imporre i precetti sopra menzionati, volti a ristabilire una
certa giustizia sociale. Il magistero sociale della Chiesa, sviluppatosi specie a partire
dal XIX secolo, ha in certo modo trasformato questi precetti in principio di eccezione,
essenzialmente di competenza dello Stato e destinato a ridare ad ogni persona la
possibilità di godere di parte dei beni della creazione. Questo principio è
costantemente ricordato e proposto a chi vuole intenderlo.
Diventare « provvidenza » per i propri fratelli
55. Fondamentalmente, la pratica dei giubilei trova il suo riferimento nella Divina
Provvidenza e nella storia della salvezza.79 Se si prende avvio da tale origine, le
realtà della fame e della malnutrizione possono essere comprese quale conseguenza del
peccato dell'uomo, come rivelato già dai primi versetti del libro della Genesi: « Yahvè
dice a Caino: "Dove è Abele, tuo fratello?" Egli rispose "Non lo so. Sono
forse il guardiano di mio fratello?". Yahvè riprese "Che hai fatto? La voce del
sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per
opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo, esso
non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra" » (Gen 4,
9-12).
L'immagine qui evocata esprime con perfetta chiarezza il rapporto che intercorre fra il
rispetto per la dignità della persona umana e la fecondità dell'ambiente ecologico,
ormai macchiato e ferito. Tale rapporto ritorna come una eco nel corso di tutta la storia
umana fino a costituire, verosimilmente, lo sfondo teologico dei rapporti di causalità,
precedentemente analizzati a proposito della fame e della malnutrizione. Le alee naturali,
a volte così sfavorevoli, appaiono amplificate dalle conseguenze della smisurata sete di
potere e di profitto e dalle « strutture di peccato » che ne derivano. L'uomo, voltando
le spalle all'intenzione di Dio espressa nella creazione, non riesce più a vedere se
stesso, i suoi fratelli ed il suo futuro, se non attraverso una miopia che lo condanna
all'esperienza dell'erranza che segna il genere umano: « ... che hai fatto di tuo
fratello? ».
Dignità dell'uomo e fecondità del suo lavoro
56. Dio, tuttavia, non cessa di voler restituire la creazione agli uomini e di volerli
aiutare, tramite Cristo Redentore, a coltivare ed a custodire il giardino, (cf. Gen 2,
15-17) evitando che si tramuti in fango ed escluda qualcuno. In questa situazione,
l'intero sforzo teso a restituire la dignità della persona umana e l'armonia fra l'uomo e
la creazione è iscritto, per la Chiesa, nel mistero della Redenzione operata dal Cristo,
rappresentato simbolicamente dall'albero della vita nel giardino dell'Eden (cf. Gen 2,
9). Quando entra liberamente in comunione con questo mistero, l'uomo trasforma l'erranza
alla quale è condannato in un pellegrinaggio, con luoghi e tappe della fede, ove apprende
nuovamente ad instaurare un giusto rapporto con Dio, con i suoi simili e con tutta la
creazione. Sa bene allora che tale giustificazione nasce e si nutre della fede, della
fiducia in Dio, e che spesso si attua nell'uomo dal cuore povero. Costui diventa allora di
nuovo pienamente partecipe del compimento della creazione, resa caduca dal peccato
originale: « la creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di
Dio... per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio » (Rm 8, 19 e 21).
Il significato dell'economia umana si dispiega così nella sua pienezza: possibilità
per l'uomo e per tutti gli uomini di coltivare la terra, di vivere « della terra... (dove
cresce) quel corpo della nuova famiglia umana, che già riesce ad offrire una certa
prefigurazione del mondo a venire ».80 La dinamica di questa economia in cammino proviene
dalla nostra adesione a questo pellegrinaggio, così che essa si « faccia carne » nelle
nostre persone. Abbandonarvisi in una progressiva incondizionalità ci ricongiunge alla
Chiesa, questo popolo di pellegrini in cammino, e la fa procedere tutta intera verso il
Regno di Dio. Spetta dunque a ciascuno di noi, battezzato in Cristo, mostrare questa
fecondità di cui la Chiesa è depositaria e la cui missione è di restaurare la
fecondità di tutta la creazione. Di fronte alla logica delle « strutture di peccato »
che debilitano l'economia umana, siamo chiamati ad essere persone che si lasciano
interrogare intimamente da Dio ed in tal modo assumono un atteggiamento critico nei
confronti dei modelli dominanti.
In tale prospettiva, la Chiesa invita tutti gli uomini a sviluppare le proprie
conoscenze, le proprie competenze e le proprie esperienze, ciascuno a seconda dei doni
ricevuti e a seconda della propria vocazione. Questi doni, queste vocazioni, proprie di
ogni singola persona, sono d'altronde ammirevolmente illustrate dalle tre parabole
(dell'amministratore, delle dieci vergini e dei talenti) che precedono quella del Giudizio
finale (cf. Mt 24, 45-51 e 25, 1-46) di cui si è trattato precedentemente: la
complementarità e la diversità delle vocazioni e dei carismi orientano la risposta
d'amore dell'uomo, chiamato a divenire « provvidenza » per i suoi fratelli, « una
provvidenza saggia ed intelligente, che guida lo sviluppo dell'uomo e lo sviluppo del
mondo, in armonia con la volontà del Creatore, per il benessere della famiglia umana ed
il compimento della vocazione trascendente di ciascun individuo ».81
L'economia degradata dalla mancanza di giustizia
57. La Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente, propone alcune iniziative
molto concrete per promuovere attivamente la giustizia sociale,82 ed in tal senso essa
incoraggia a ricercare altre forme di risposta al problema della fame e della
malnutrizione, che il Giubileo potrebbe fare proprie.
La pratica giubilare è particolarmente necessaria nell'ambito dell'economia che,
lasciata a se stessa, diventa di fatto anemica, in quanto non attua più la giustizia.
Ogni crisi economica, il cui effetto estremo è la penuria alimentare, si configura
fondamentalmente quale crisi di giustizia, che non viene più realizzata.83
Il popolo eletto del Vecchio Testamento lo aveva già capito ed ora sta a noi
attualizzarlo. Questa crisi va analizzata oggi nel contesto del libero mercato:
all'interno di ogni singolo paese, come pure nei rapporti internazionali, il libero
mercato può costituire uno strumento appropriato per la distribuzione delle risorse e per
un'efficace risposta ai bisogni.84 La realizzazione della giustizia sociale stabilizza lo
scambio commerciale: ciascuno ha diritto di parteciparvi, pur correndo il rischio di
cadere in un neo maltusianismo economico, che si limiterebbe ad una visione stereotipa
della solvibilità e dell'efficacia.
Stabilito ciò, si deve constatare che la giustizia ed il mercato sono spesso
analizzati come due realtà antinomiche, il che implica che la persona umana si sente
libera da qualsiasi responsabilità in ordine alla giustizia sociale. L'esigenza di
equità, di conseguenza, non è più di competenza dell'individuo, che soggiace con
rassegnazione alle leggi del mercato: essa viene trasferita allo Stato e, più
precisamente, allo Stato-provvidenza.
In linea di massima, le filosofie morali diffuse oggi sono ampiamente responsabili
dello spostamento d'accento nella riflessione: si è passati dal campo del comportamento
giusto, a quello della giustizia delle strutture e delle procedure, una costruzione
teorica praticamente irrealizzabile. D'altronde, questa provvidenza dello Stato, ad intra
ed ad extra, risulta oggi ben logora, sempre meno garante di una vera giustizia
distributiva, essa stessa nociva all'efficienza delle economie nazionali. Non costituisce
tutto ciò argomento di riflessione in merito al rapporto fra carenza di contributi
individuali alla realizzazione di una giustizia sociale e di una sobrietà dei nostri
comportamenti economici da un lato e, dall'altro, crescente inefficacia dei meccanismi di
ridistribuzione, che si ripercuote a sua volta sull'efficacia globale della nostra
economia?
Equità e giustizia nell'economia
58. Per poter offrire una risposta a questa antinomia fra mercato e giustizia,
l'insegnamento sociale della Chiesa cerca di approfondire la nozione di prezzo equo,
ripresa dal pensiero scolastico, riferendola non soltanto al criterio di giustizia
commutativa, ma ampliandola a quello di giustizia sociale, ovvero all'insieme dei diritti
e dei doveri della persona umana. La realizzazione di tale giustizia sociale, basata sulla
equità dei prezzi, presuppone una duplice conformità: conformità del contesto
giuridico, che delimita il mercato con la legge morale; conformità dei molteplici atti
economici individuali, che stabiliscono il prezzo del mercato e la stessa legge morale.
Una responsabilità personale che si limiti alla sola legge civile è insufficiente, in
quanto questa implica, in svariati casi, « l'abdicazione della sua coscienza morale ».85
Come il prezzo sul mercato deriva dalla molteplicità dei valori d'uso attribuitigli dai
consumatori, così sarà la nostra condotta morale, arbitro dei valori d'uso attribuiti,
che farà convergere o meno il prezzo del mercato verso il prezzo equo. Nel momento in cui
gli agenti economici non integrano le loro scelte economiche con il dovere di giustizia
sociale, il meccanismo di mercato dissocierà il prezzo concorrenziale dal prezzo equo.
Nella preparazione al Giubileo dell'anno 2000, siamo tutti invitati a incarnare la
legge morale nella quotidianità dei nostri « atti economici ».86 Ne deriva che il
carattere equo o non equo del prezzo è in qualche modo « nelle nostre mani », in quelle
del produttore e dell'investitore, in quelle dei consumatori, come in quelle di coloro che
gestiscono il potere pubblico a livello decisionale.
Ciò non comporta che lo Stato e la comunità degli Stati siano dispensati
dall'esercitare una tutela in grado, fra l'altro, di sopperire, se pur in maniera
imperfetta, alla carenza del dovere individuale di giustizia sociale, a questa assenza di
conformità alla legge morale che incombe a ciascuno. Il bene comune, che costituisce un
obiettivo politico, prevale sulla mera giustizia commutativa degli scambi.
Ispirare nuove proposte giubilari
59. L'appello di Dio trasmesso dalla sua Chiesa, è chiaramente un appello alla
condivisione, alla carità attiva e fattiva, rivolto non solo ai cristiani, ma a tutti gli
uomini di buona volontà ed a tutti gli uomini capaci di buona volontà, ovvero a tutti
gli uomini, senza eccezione alcuna. La Chiesa si pone in tal modo alla guida di quei
movimenti che, avendo a cuore la persona umana in generale e ogni uomo in particolare,
promuovono l'amore solidale. Presente ed attiva a fianco di tutti coloro che si adoperano
nell'azione umanitaria per rispondere ai bisogni ed ai diritti più fondamentali dei loro
fratelli, la Chiesa ricorda costantemente che la « soluzione » della questione sociale
necessita della collaborazione di tutte le forze.87
Ogni persona di buona volontà, in effetti, può percepire i risvolti etici connessi al
divenire dell'economia mondiale: combattere la fame e la malnutrizione, contribuire alla
sicurezza alimentare e ad uno sviluppo agricolo endogeno dei paesi in via di sviluppo,
valorizzarne le loro potenzialità di esportazione, preservare le risorse naturali
d'interesse planetario... L'insegnamento sociale della Chiesa vi scorge altrettanti
elementi costitutivi del bene comune universale, che le nazioni industrializzate debbono
riconoscere e promuovere. Parimenti, questi dovrebbero costituire l'obiettivo essenziale
delle organizzazioni economiche internazionali e l'effettiva posta in gioco per la
mondializzazione degli scambi. Questo bene comune universale una volta riconosciuto
dovrebbe ispirare un rafforzamento del quadro giuridico istituzionale e politico
che regoli gli scambi commerciali internazionali, e contemporaneamente ispirare nuove
proposte giubilari. Ciò richiederà coraggio da parte dei responsabili delle istituzioni
sociali, governative, sindacali, tanto difficile è divenuto oggigiorno inserire gli
interessi di ciascuno all'interno di una visione coerente del bene comune.
In merito, la Chiesa non ha per sua missione quella di proporre soluzioni tecniche, ma
coglie l'occasione di questa preparazione al grande Giubileo per lanciare un vasto appello
per proposte e suggerimenti capaci di accelerare lo sradicamento della fame e della
malnutrizione.
Fra queste proposte, due sono particolarmente importanti:
a) La costituzione di scorte alimentari di sicurezza sull'esempio di
Giuseppe in Egitto (cf. Gen 41, 35) che consentano di offrire in caso di
crisi momentanea, un'assistenza concreta alle popolazioni colpite da calamità. I
meccanismi per la costituzione e la gestione di queste scorte dovrebbero essere concepiti
in maniera tale da evitare qualsiasi tentazione burocratica, atta a prestare il fianco a
lotte di influenza politica o economica da una parte, o alla corruzione dall'altra, e in
grado di evitare una qualsiasi manipolazione diretta o indiretta dei mercati.
b) La promozione di orti familiari, specie in quelle regioni in cui la povertà
priva le persone, in particolar modo i capi famiglia ed i loro cari, del pur minimo
accesso all'utilizzo della terra come pure all'alimentazione di base, sulla scia di quanto
il Papa Leone XIII invocava, per le stesse ragioni, a favore degli operai del XIX secolo:
« (l'uomo) giunge a mettere tutto il suo cuore nella terra che lui stesso ha coltivato,
che promette, a lui ed ai suoi, non soltanto lo stretto necessario, ma anche una certa
agiatezza.... ».88
Nella maggior parte delle aree del mondo, è necessario prevedere ed adottare
iniziative atte a fornire ai più poveri la disponibilità di un angolo di terra, le
nozioni necessarie e anche un minimo di attrezzi agricoli strumenti, consentendo in tal
modo di compiere passi rilevanti per uscire da situazioni di miseria estrema.
In ultimo, ed in una prospettiva più ampia, si raccoglieranno testimonianze e studi
basati sull'esperienza e sull'osservazione in contesti specifici, per tentare di
costituire una banca dati che illustri in termini pratici, da tutte le angolazioni, le
reali situazioni di « strutture di peccato » e di « strutture di bene comune ».89
V
LA FAME: UN APPELLO ALL'AMORE
Il povero ci chiama all'amore
60. In tutti i paesi del mondo, l'esperienza della vita quotidiana ci sollecita
se non chiudiamo gli occhi a incrociare lo sguardo di coloro che hanno fame. In
questo sguardo, è « la voce del sangue di tuo fratello che grida a me dal suolo » (Gen
4, 10).
Sappiamo che è Dio stesso che ci chiama in colui che ha fame. La sentenza del Giudice
universale condanna senza alcuna clemenza: « ... Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco
eterno preparato per il Diavolo ed il suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete
dato da mangiare... » (Mt 25, 41 ss).
Queste parole che salgono dal cuore di Dio fattosi uomo, ci fanno comprendere il
significato profondo del soddisfacimento dei bisogni elementari di ogni uomo agli occhi
del suo Creatore: non abbandonate colui che è fatto ad immagine di Dio, voi
abbandonereste il Signore stesso. E Dio stesso che ha fame e che ci chiama nel gemito di
colui che ha fame. Discepolo del Dio che si rivela, il cristiano è sollecitato ad
ascoltare, se così si può dire, l'appello del povero. E infatti un appello all'amore.
La povertà di Dio
61. Secondo gli autori dei salmi, i canti del Vecchio Testamento, « i poveri » si
identificano con i « giusti », con coloro « che cercano Dio », « che lo temono »,
che « hanno fiducia in lui », che « sono benedetti », che « sono i suoi servitori »
e « conoscono il suo nome ».
Come riflessa in uno specchio concavo, tutta la luce degli « ANAWIM », i poveri della
prima Alleanza, converge verso la donna che costituisce la cerniera fra i due Testamenti:
in Maria riluce tutta la dedizione a Yahvè e tutta l'esperienza che guida il popolo di
Israele, e si incarna nella persona di Gesù Cristo. Il « Magnificat » è la lode che
gli rende testimonianza: l'inno dei poveri la cui ricchezza è tutta in Dio (cf. Lc 1,
46 ss).
Questo canto si apre con un'esplosione di gioia che esprime un'immensa gratitudine: «
L'anima mia magnifica il Signore ed il mio spirito esulta in Dio mio salvatore ». Ma non
sono le ricchezze o il potere che fanno esultare Maria: infatti, ella si vede piuttosto «
piccola, insignificante e umile ». Questa idea di base ispira tutta la sua lode e si
oppone radicalmente a coloro che mirano a soddisfare la loro sete d'orgoglio, di potere e
di ricchezza. Chi si atteggia in tal modo sarà « disperso », « rovesciato dal suo
trono », « rinviato a mani vuote ».
Gesù stesso riprende questo insegnamento di sua Madre nel suo discorso evangelico
sulle Beatitudini, che iniziano e non a caso con l'espressione « beati i
poveri ». Le sue parole indicano in cosa consista l'uomo nuovo, in opposizione alle «
ricchezze » che costituiscono l'oggetto delle sue critiche.
E ai poveri che si indirizza la sua Buona Novella (cf. Lc 4, 18). L'« inganno
delle ricchezze », al contrario, allontana dalla sequela di Cristo (cf. Mc 4, 19).
Non si possono servire due padroni, Dio e Mammona (cf. Mt 6, 24). La preoccupazione
per il domani è indice di mentalità pagana (cf. Mt 6, 32). Per il Signore non si
tratta di belle parole; infatti ne dà testimonianza con la propria vita: « Ma il figlio
dell'uomo, lui, non ha ove posare il capo » (Mt 8, 20).
La Chiesa è con i poveri
62. Il precetto biblico non va né falsato né taciuto: è in controtendenza con lo
spirito del mondo e con la nostra sensibilità naturale. La nostra natura e la nostra
cultura sono turbate davanti alla povertà.
La povertà evangelica è a volte oggetto di commenti cinici da parte degli indigenti,
come pure da parte dei benestanti. I cristiani sono accusati di voler perpetuare la
povertà. Un tale disprezzo della povertà sarebbe propriamente diabolico. Il segno di
Satana (cf. Mt 4) è quello di opporsi alla volontà di Dio facendo riferimento
alla sua Parola.
Un discorso del Papa Giovanni Paolo II può aiutarci ad evitare di giungere a tale
conclusione, che ci permetterebbe di giustificare il nostro egoismo. In occasione della
sua visita alla favela del Lixão de São Pedro, in Brasile, il 19 ottobre 1991, il Santo
Padre, riflettendo sulla prima beatitudine del Vangelo di San Matteo, illustrò il nesso
fra povertà e fiducia in Dio, fra beatitudine ed abbandono totale al Creatore. E
dichiarava: « Ma esiste un'altra povertà, molto diversa da quella che Cristo proclamava
beata, e che colpisce una moltitudine di nostri fratelli, impedendone lo sviluppo
integrale in quanto persone. Di fronte a questa povertà, che è carenza e privazione dei
beni materiali necessari, la Chiesa fa sentire la sua voce... E per ciò che la Chiesa sa
che ogni trasformazione sociale deve necessariamente passare per una conversione dei cuori
e prega a tal fine. Questa è la prima e la principale missione della Chiesa ».90
Come già affermato, l'appello di Dio, di cui la sua Chiesa si fa eco, evidentemente è
un richiamo alla condivisione, alla carità attiva e concreta che si indirizza non solo ai
cristiani, ma a tutti gli uomini. Come sempre, e oggi più che mai, la Chiesa è vicina a
tutti coloro che svolgono un'azione umanitaria a servizio dei loro fratelli, per la
soddisfazione dei loro bisogni e per la difesa dei loro diritti fondamentali.
Il contributo della Chiesa allo sviluppo della persona e dei popoli, non si limita
unicamente alla lotta contro la miseria e il sottosviluppo. Esiste una povertà provocata
dal convincimento che basti proseguire sulla via del progresso tecnico ed economico per
rendere ogni uomo più degno di tale nome. Ma all'uomo non può bastare uno sviluppo
senz'anima, e l'eccesso di opulenza risulta a suo danno, al pari dell'eccesso di povertà.
E il « modello di sviluppo » creato dall'emisfero settentrionale e che questo diffonde
nell'emisfero meridionale, ove il senso religioso ed i valori umani ivi presenti,
rischiano di essere spazzati via dall'invasione di un consumismo fine a se stesso.
Il povero ed il ricco sono entrambi chiamati alla libertà
63. Dio non vuole la povertà del suo popolo, cioè di tutti gli uomini, poiché Egli
nel grido di ciascuno di essi rivolge a noi una chiamata. Ci dice semplicemente che il
povero, al pari del ricco accecato dalla sua ricchezza, sono entrambi uomini mutilati: il
primo, per circostanze che lo oltrepassano suo malgrado, il secondo, a motivo delle sue
stesse mani, troppo piene, e con la sua stessa complicità. Così ambedue si trovano
ostacolati ad accedere alla libertà interiore alla quale Dio non cessa di chiamare tutti
gli uomini.
Il povero « colmo di ricchezze » non troverà in questo un'egoistica rivalsa sulla
cattiva sorte, bensì una condizione che gli consentirà infine di non vedere limitate le
sue capacità fondamentali. Il ricco, « rimandato a mani vuote », non è punito per
essere ricco, ma è liberato dalla pesantezza e dall'opacità inerenti al suo attaccamento
troppo esclusivo ai beni, di qualsiasi natura essi siano. Il canto del Magnificat non è
una condanna, ma un appello alla libertà e all'amore.
In questo processo di duplice guarigione, il povero è chiamato a sanare il suo cuore
ferito da un'ingiustizia che può condurlo fino all'odio per se stesso e per gli altri. Il
ricco è chiamato ad abbandonare il suo fardello di paccottiglie, lui che si tappa gli
occhi e le orecchie e nasconde le profondità del suo cuore sotto le coltri delle sue
povere ricchezze: denaro, potere, immagine e piaceri di ogni tipo, che riducono la
percezione che ha nei confronti di se stesso e degli altri, e che, nel mentre aumentano i
suoi beni, fanno crescere i suoi desideri.
La necessaria conversione del cuore dell'uomo
64. La fame nel mondo fa toccare con mano le debolezze degli uomini, a tutti i livelli:
la logica del peccato evidenzia come il peccato stesso, questo male del cuore dell'uomo,
è all'origine delle miserie della società, attraverso il meccanismo, se così si può
dire, delle « strutture di peccato ». Per la Chiesa, sono l'egoismo colpevole, la
ricerca ad ogni costo del denaro, del potere e della gloria, che rimettono in questione lo
stesso valore del progresso in quanto tale. « Infatti, sconvolto l'ordine dei valori e
mescolando il male col bene, gli individui ed i gruppi guardano solamente alle cose
proprie, non a quelle degli altri; e così il mondo cessa di essere il campo di una
genuina fraternità, mentre invece l'aumento della potenza umana minaccia di distruggere
ormai lo stesso genere umano ».91, legata alla nozione di "progresso", dalle
connotazioni filosofiche di tipo illuministico... Ad un ingenuo ottimismo meccanicistico,
è subentrata una fondata inquietudine per il destino dell'umanità... Oggi si comprende
meglio che la pura accumulazione di beni e servizi, anche a favore della maggioranza, non
basta a realizzare la felicità degli uomini », l. c., pp. 547-550.]
Per contro, l'amore che si instaura nel cuore dell'uomo, gli consente di superare i
propri limiti e di agire nel mondo, creando « strutture del bene comune »: queste
favoriscono il cammino verso la « civiltà dell'amore »92 per coloro che sono ad esse
più sensibili, i quali vi trascinano anche gli altri.
L'uomo è così chiamato a riformare il suo agire; la posta in gioco è di vitale
importanza per il mondo. Egli è condotto a riformare il suo cuore, con un movimento del
suo essere teso all'unificazione di sé e della comunità umana nell'amore. Questa riforma
dell'uomo nella sua totalità, è radicale per profondità e conseguenze, in quanto
l'amore è radicale per la sua stessa essenza; non accetta divisioni, abbraccia tutti gli
impulsi della persona, le sue azioni al pari della sua preghiera, i suoi mezzi materiali
al pari delle sue ricchezze spirituali.
La conversione del cuore degli uomini, di ciascuno e di tutti insieme, è la proposta
di Dio che può cambiare profondamente la faccia della terra, cancellarne gli orrendi
tratti della fame che sfigurano parte del suo volto. « ... Convertitevi e credete al
Vangelo » (Mc 1, 15) è l'imperativo che accompagna l'annuncio del Regno di Dio e
che realizza la sua venuta. La Chiesa sa che questo mutamento intimo e profondo, spingerà
l'uomo nella sua vita di tutti i giorni a guardare oltre il suo immediato interesse, a
mutare man mano la sua maniera di pensare, di lavorare, di vivere, per apprendere in tal
modo, nel quotidiano, ad amare nel pieno esercizio delle sue facoltà, nel mondo così
come è.
Per quanto poco ci prestiamo a ciò, Dio stesso se ne prenderà cura.
« Diffidate degli idoli »
65. Ecco la promessa che ci fa il Signore : « Vi aspergerò con acqua pura e sarete
purificati: io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi
darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore
di pietra e vi darò un cuore di carne » (Ez 36, 25-27).
Che questo magnifico linguaggio biblico non ci tragga in errore! Non si tratta qui di
un appello ai buoni sentimenti, per arrivare ad una semplice condivisione materiale, per
quanto valida ed efficace possa essere. Si tratta della proposta più impegnativa che ci
possa essere, quella di Dio stesso, che viene ad offrire a ciascuno di noi un cammino di
liberazione dai nostri idoli ed ad insegnarci ad amare. Questo impegna tutto il nostro
essere, che si trova così riunificato. Allora, potremo vincere le nostre paure ed i
nostri egoismi per essere attenti ai nostri fratelli e servirli.
I nostri idoli ci insidiano da molto vicino; sono la nostra ricerca, individuale e
comunitaria, di ricchi o di poveri, dei beni materiali, del potere, della reputazione, del
piacere, considerati come fini a se stessi. Servire questi idoli rende schiavo l'uomo e
povero il pianeta (cf. n. 25). L'ingiustizia profonda subita da colui che non dispone del
necessario, risiede precisamente nel fatto che egli è obbligato, spinto dalla necessità,
a ricercare innanzitutto questi beni materiali.
Il cuore del povero Lazzaro è più libero di quello del ricco malvagio e Dio,
attraverso la voce di Abramo, non chiede soltanto al ricco di condividere la mensa con
Lazzaro, ma gli chiede di cambiare il suo cuore, di accettare la legge dell'amore per
diventare suo fratello (cf. Lc 16, 19 ss.).
E liberandoci dai nostri idoli che Dio consentirà non solo che il nostro lavoro
trasformi il mondo, accrescendo i diversi tipi di ricchezza, ma soprattutto farà in modo
che il lavoro stesso venga inteso come servizio a tutti gli uomini. Il mondo, allora,
potrà ritrovare la sua bellezza originale, che non è unicamente quella della natura il
giorno della Creazione, ma quella del giardino mirabilmente lavorato e reso fertile
dall'uomo, al servizio dei suoi fratelli, alla presenza amorevole di Dio e per amore suo.
« "Contro la fame cambia la vita", è il motto nato in ambienti ecclesiali e
che indica ai popoli ricchi la via per diventare fratelli dei poveri... »93
L'attenzione al povero...
66. Il cristiano, là dove Dio lo ha posto nel mondo, risponderà all'appello di colui
che ha fame ponendosi seriamente delle domande circa la propria stessa vita. L'appello di
colui che ha fame spinge l'uomo a interrogarsi sul senso e sul valore della sua attività
quotidiana. Cercherà di vedere le conseguenze, prossime ed a volte più remote, del suo
lavoro professionale, volontario, artigianale, domestico. Misurerà la ricaduta, molto
più concreta e più ampia di quanto potesse ritenerla, dei suoi atti, anche di quelli
più ordinari, e dunque della sua effettiva responsabilità. Esaminerà la gestione del
suo tempo, che nel mondo attuale, per difetto o per eccesso, provoca tante sofferenze; per
esempio, nel caso della disoccupazione, può diventare un fattore altamente distruttivo.
Aprirà gli occhi della mente e del cuore e, se saprà cogliere l'invito rivolto da Dio a
tutti gli uomini, si porrà con regolarità, discrezione ed umiltà all'ascolto e al
servizio di chi è nel bisogno. E questo un richiamo rivolto in particolar modo a coloro
che il linguaggio corrente definisce « i responsabili ».
San Paolo ribadisce, e non a caso, che « Gesù Cristo..... da ricco che era si è
fatto povero per voi » (2 Cor 8, 9). In effetti, Egli voleva renderci ricchi con
la sua povertà e con l'amore che noi dobbiamo avere nei confronti del povero.
... nell'ascolto di Dio
67. L'ascolto di Dio presente nel povero, aprirà il cuore dell'uomo e lo solleciterà
a cercare un incontro personale sempre nuovo con Dio. Questo incontro che Dio stesso
vuole, Lui che non cessa di cercare ogni uomo e tutto l'uomo, proseguirà nel cammino
quotidiano che trasforma progressivamente la vita di colui che accetta « di aprire la
porta » a Dio medesimo che umilmente bussa (cf. Ap 3, 20).
L'ascolto di Dio richiede del tempo, con Dio e per Dio. E la preghiera personale: essa
sola consente all'uomo di mutare il proprio cuore e, di conseguenza, il proprio agire. Il
tempo dedicato a Dio non è tolto ai poveri. Una vita spirituale forte ed
equilibrata non ha mai distolto alcuno dal servizio dei suoi fratelli. E se San Vincenzo
de' Paoli (, 1660), famoso per il suo impegno in favore dei diseredati, diceva: « Lascia
la tua preghiera se tuo fratello ti chiede una tazza di tisana », non bisogna scordarsi
che il santo pregava circa sette ore al giorno e trovava nella preghiera il sostegno al
suo agire.
Cambiare vita...
68. L'uomo che è all'ascolto di suo fratello e che si apre alla presenza ed all'azione
di Dio, rimetterà progressivamente in discussione le sue abitudini di vita. La corsa
all'abbondanza, alla quale partecipa un numero sempre crescente di individui, spesso in
mezzo ad una crescente miseria, cederà progressivamente il passo ad una maggiore
semplicità di vita che in molti paesi è già dimenticata, ma che ridiventerà possibile
ed anche auspicabile, nel momento in cui il consumatore nelle sue scelte cesserà di
preoccuparsi dell'apparire.
Infine, l'uomo, che così accetta di mutare il suo modo di vivere per cercare di
conformarsi a quello che Dio stesso ci ha mostrato nelle parole di Cristo, e che riflette
sulle conseguenze della sua attività quale che essa in apparenza sia, importante o
insignificante si metterà in tal modo al servizio del bene comune, della
promozione integrale di tutti gli uomini e di ogni singolo uomo.
...per cambiare la vita
69. Liberato progressivamente delle sue paure e delle sue ambizioni puramente
materiali, illuminato sulle possibili conseguenze dei suoi propri atti, quale che sia il
suo ruolo, l'uomo, che così accoglie la presenza di Dio in tutti gli aspetti della sua
vita, diventerà un operatore della civiltà dell'amore. Discretamente, in profondità, il
suo lavoro assumerà il carattere di una missione, nella quale si farà obbligo di
esercitare e sviluppare i suoi talenti, di contribuire alla riforma delle strutture e
delle istituzioni, di avere un comportamento esemplare, che inciterà il suo prossimo ad
agire parimenti, e di porsi al servizio della dignità dell'uomo e del bene comune.
Le circostanze della vita fanno sì che un tale approccio al lavoro venga considerato
impossibile. Ma l'esperienza dimostra che anche in situazioni apparentemente senza via
d'uscita, ciascuno ha sempre un seppur piccolo margine di manovra, e che le sue scelte
hanno un'importanza concreta, sia per i suoi simili sul posto di lavoro, come pure per il
bene comune. Ciascuno, in un certo senso, è responsabile degli altri.94 E unodei segnali
dell'appello all'amore che Dio non cessa di far riecheggiare. In circostanze a volte
difficili, che possono addirittura provocare sofferenze prossime alla
testimonianza-martirio, ciascuno deve trovare sostegno nella forza di Dio, che ci promette
il suo aiuto se noi lo poniamo al centro della nostra vita, compresa quella attiva.
« Coraggio, popolo tutto del paese, al lavoro, perché io sono con voi... ed il mio
Spirito sarà con voi, non temete » (Ag 2, 4-5). Il cristiano lotta contro le «
strutture di peccato » e si fa addirittura strumento della loro distruzione. Pratiche
tanto deleterie sul piano dello sviluppo economico e sociale saranno allora meno diffuse.
Nelle regioni ove i cristiani, con coraggio e determinazione, coinvolgeranno uomini di
buona volontà, la miseria potrà cessare di progredire, le abitudini di consumo potranno
mutare, potranno realizzarsi riforme, la solidarietà svilupparsi e la fame arretrare.
Sostenere le iniziative
70. In prima fila tra questi cristiani figurano i religiosi e i ministri ordinati,
chiamati a dare la loro vita per Dio e per i propri fratelli.
Per tutto il corso della storia della Chiesa, dai diaconi degli Atti degli Apostoli
(cf. At 6, 1 ss), fino ad oggi, vi sono stati uomini e donne straordinari,95 ordini
religiosi e missionari, associazioni di cristiani laici, istituzioni ed iniziative
ecclesiali, che hanno cercato di aiutare i poveri e gli affamati. Hanno combattuto la
sofferenza e la miseria sotto tutte le loro forme, in obbedienza a Cristo.
La Chiesa ringrazia tutti coloro che attualmente prestano questi servizi sotto forma di
azioni concrete in favore del prossimo, nelle diocesi, nelle parrocchie, presso le
organizzazioni missionarie, le organizzazioni caritatevoli e le altre ONG. Essi
trasmettono l'amore di Dio e mostrano l'autenticità del Vangelo.
La Chiesa cattolica è presente in tutti i continenti con circa 2700 diocesi o
circoscrizioni molto diverse fra loro,96 molte delle quali impegnate già da tempo
nell'azione contro la fame e la povertà. Le diocesi e le parrocchie sono luoghi
privilegiati di discernimento in ordine a ciò che i cristiani possono fare. In tali
contesti, facilitano l'organizzazione di gruppi a livello popolare, di gruppi locali e di
comunità. Comunità di accoglienza a misura d'uomo possono ridare fiducia, aiutare ad
organizzarsi, a meglio vivere, ad uscire dalla rassegnazione e dall'annientamento. Il
Vangelo ridiventa così speranza per i poveri, in un crogiuolo ove la forza di Cristo si
coniuga con quella dei diseredati.
Ciascuno è chiamato a partecipare a questa azione. Ciascuno, a seconda delle sue
condizioni di vita, della sua posizione nel mondo e nel suo ambiente circostante, deve
tradurre in azioni questo appello all'amore che Dio ci trasmette tramite la presenza dei
nostri fratelli che hanno fame. La meravigliosa varietà umana, nella diversità delle
culture, comporta una molteplicità di impegni e missioni.
E il caso, dunque, che ogni cristiano favorisca le diverse iniziative locali. La Chiesa
cattolica è consapevole di condividere questo impegno con le altre chiese cristiane e con
le altre comunità religiose, come pure con tutti gli uomini di buona volontà. Le azioni
a carattere umanitario sono un importante campo di azione per il cristiano, che dovrà
tuttavia contribuirvi in maniera particolare affinché gli scopi dell'associazione e della
sua azione rimangano centrati al servizio integrale dell'uomo, senza escludere la sua
dimensione spirituale. In tal modo egli sarà un baluardo contro coloro che potrebbero
tentare di sviare il dinamismo dell'associazione verso obiettivi politici ispirati al
materialismo e ad ideologie che, in ultima analisi, sono sempre distruttive dell'uomo.
La chiamata alla missione nella quotidianità di ogni cristiano
71. Il cristiano è al servizio dei suoi fratelli, in tutti i campi della sua attività
e della sua vita. L'amore operoso è un appello rivolto a tutti i cristiani nel loro
lavoro quotidiano, come pure nelle loro iniziative personali. L'impegno del cristiano, al
pari delle sue azioni umanitarie e caritative, proviene dalla stessa chiamata alla
missione.
Nella loro attività professionale, come pure in quella di volontariato o nel lavoro
domestico, spesso notevole, l'uomo e la donna sono chiamati a vivere la stessa missione,
quella di annunciare e servire la Buona Novella nelle gioie e nelle sofferenze quotidiane
e in ogni situazione. La qualità del proprio lavoro, la partecipazione a riforme giuste,
l'esempio umile nel comportamento, l'attenzione agli altri, sempre presente anche al di
là dei legittimi obiettivi personali ed istituzionali, tutto ciò è un bagaglio
quotidiano per l'uomo e la donna che cercano di offrire a Dio, in tutti gli aspetti della
loro vita, la possibilità di avvicinarsi loro e di far crescere il mondo intero nel Suo
amore. Saranno allora vieppiù capaci di lottare contro gli sprechi e le ingiustizie e di
offrire le loro sofferenze e le loro gioie a Cristo Salvatore, che dà loro il suo Spirito
nella vita di ogni giorno.
Il cristiano cercherà di affidare tutte le proprie azioni nelle mani di Colui che
parla direttamente al nostro cuore per bocca di ogni povero. Il cristiano, trascinatore di
uomini di buona volontà, con i quali condivide i valori umani fondamentali, dovrà
vigilare a che il suo agire personale e quello dei suoi fratelli cristiani, rimanga
ispirato alla Parola di Dio e radicato nella vita divina, in unione con la Chiesa e con i
suoi pastori. La comunione nell'azione deve essere comunione con il Signore, che veglierà
egli stesso affinché tale azione sia pensata e realizzata nello Spirito Santo e non perda
la sua qualità di missione dalla radice divina, missione nella quale il Servo dell'Uomo
è cercato in modo personale quale fonte, forza e fine dello stesso agire.
Il cristiano troverà il suo continuo sostegno nella preghiera alla beata Vergine
Maria, orante ed agente in uno stesso movimento di servizio incondizionato a Dio ed agli
uomini. La Madre di Dio supplicherà lo Spirito Santo di effondersi nell'intelligenza e
nel cuore del cristiano, che diventerà in tal modo, nel suo agire, un collaboratore
libero, responsabile e fiducioso, in una azione che testimonierà l'amore di Dio e avrà
fin d'ora il suo peso di eternità.
Città del Vaticano, Palazzo San Calisto, 4 ottobre 1996, Festa di San Francesco
d'Assisi.
Paul Josef Cordes
Arcivescovo titolare di Naisso
Presidente
Pontificio Consiglio « Cor Unum »
Mons. Iván MarIn
Segretario
Pontificio Consiglio « Cor Unum »
INDICE
Presentazione
Introduzione [nn. 1-3]
I
LA REALTA DELLA FAME
La sfida della fame [n. 4]
Uno scandalo durato troppo a lungo: la fame distrugge la vita [n. 5]
La malnutrizione compromette il presente ed il futuro di un popolo [n. 6]
Le principali vittime: le popolazioni più vulnerabili [n. 7]
La fame genera la fame [n. 8]
Cause individuabili [n. 9]
A) Cause economiche
Le cause profonde [n. 10]
Il debito dei paesi con difficoltà di sviluppo [n. 11]
I programmi di aggiustamento strutturale [n. 12]
B) Le cause socio-culturali
Le realtà sociali [n. 13]
La demografia [n. 14]
Le sue implicazioni [n. 15]
C) Le cause politiche
L'influenza della politica [n. 16]
La concentrazione dei mezzi [n. 17]
Le destrutturazioni economiche e sociali [n. 18]
D) La terra può nutrire i suoi abitanti
I notevoli progressi dell'umanità [n. 19]
I mercati agro-alimentari [n. 20]
L'agricoltura moderna [n. 21]
II
SFIDE DI NATURA ETICA DA AFFRONTARE INSIEME
La dimensione etica del fenomeno [n. 22]
L'amore del prossimo per raggiungere lo sviluppo [n. 23]
La giustizia sociale e la destinazione universale dei beni [n. 24]
Le costose deviazioni dal bene comune: le « strutture di peccato »[n. 25]
All'ascolto preferenziale dei poveri ed al loro servizio: la condivisione [n. 26]
Una società integrata [n. 27]
La pace, un equilibrio di diritti [n. 28]
Il disarmo, un'urgenza da cogliere [n. 29]
Rispetto dell'ambiente [n. 30]
Ecologia e sviluppo equo [n. 31]
Cogliere insieme la sfida [n. 32]
Riconoscere il contributo dei poveri alla democrazia [n. 33]
Le iniziative comunitarie [n. 34]
L'accesso al credito [n. 35]
Il ruolo fondamentale delle donne [n. 36]
Integrità e senso sociale [n. 37]
III
VERSO UN'ECONOMIA PIU SOLIDALE
Per meglio servire l'uomo e tutti gli uomini [n. 38]
Far convergere l'azione di tutti [n. 39]
La volontà politica dei paesi industrializzati [n. 40]
Stabilire equamente le condizioni di scambio [n. 41]
Superare il problema del debito [n. 42]
Aumentare l'aiuto pubblico a favore dello sviluppo [n. 43]
Ripensare l'aiuto [n. 44]
Gli aiuti di emergenza, una soluzione tampone [n. 45]
La concertazione dell'aiuto [n. 46]
La sicurezza alimentare: una soluzione permanente [n. 47]
Priorità alla produzione locale [n. 48]
L'importanza della riforma agraria [n. 49]
Ruolo della ricerca e dell'educazione [n. 50]
Gli organismi internazionali: Associazioni Internazionali Cattoliche, Organizzazioni
Internazionali Cattoliche (OIC), Organizzazioni non governative(ONG) e reti da loro
costituite [n. 51]
La duplice missione degli Organismi Internazionali [n. 52]
Una solidarietà fraterna [n. 53]
IV
IL GIUBILEO DELL'ANNO 2000
UNA TAPPA NELLA LOTTA CONTRO LA FAME
I Giubilei: dare a Dio ciò che è di Dio [n. 54]
Diventare « provvidenza » per i propri fratelli [n. 55]
Dignità dell'uomo e fecondità del suo lavoro [n. 56]
L'economia degradata dalla mancanza di giustizia [n. 57]
Equità e giustizia nell'economia [n. 58]
Ispirare nuove proposte giubilari [n. 59]
V
LA FAME: UN APPELLO ALL'AMORE
Il povero ci chiama all'amore [n. 60]
La povertà di Dio [n. 61]
La Chiesa è con i poveri [n. 62]
Il povero ed il ricco sono entrambi chiamati alla libertà [n. 63]
La necessaria conversione del cuore dell'uomo [n. 64]
« Diffidate degli idoli! » [n. 65]
L'attenzione al povero... [n. 66]
... nell'ascolto di Dio [n. 67]
Cambiare vita... [n. 68]
... per cambiare la vita [n. 69]
Sostenere le iniziative [n. 70]
La chiamata alla missione nella quotidianità di ogni cristiano [n. 71]
(1) Nell'elaborazione del presente documento, il cui originale è in lingua francese,
particolare cura è stata posta nel tener conto degli studi più diversi e recenti;
purtuttavia, il fatto che vengano citati nel testo non ne implica un'approvazione
integrale e senza riserve.
(2) Cf. ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), Déclaration universelle des
droits de l'homme (Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo), adottata e
proclamata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nella sua risoluzione 217 A (III)
del 10 dicembre 1948, art. 25.1.
(3) ONU, Déclaration sur le progrès et le développement dans le domaine social
(Dichiarazione sul progresso e lo sviluppo nel settore sociale), proclamata
dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nella sua risoluzione 2542 (XXIV) dell'11
dicembre 1969, parte II, art. 10b.
(4) ONU, Déclaration universelle pour l'éliminataion définitive de al faim et de
la malnutrition (Dichiarazione universale per l'eliminazione definitiva della fame e della
malnutrizione), Conférence Mondiale de l'Alimentation (Conferenza Mondiale
sull'Alimentazione) Roma, 16 novembre 1974, n. 1.
(5) FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura) ed OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità), Conférence Internationale sur la Nutrition,
Déclaration mondiale sur la nutrition (Conferenza Internazionale sulla Nutrizione,
Dichiarazione mondiale sulla nutrizione), Rapporto finale della Conferenza, n.
1, Roma 1992.
(6) 3 Cf. ibid., n. 1. Cf. anche FAO, Necessità e risorse, Atlante
dell'alimentazione e dell'agricoltura, Roma 1995, p. 16: « In media nel mondo sono
disponibili circa 2700 calorie alimentari a testa al giorno, abbastanza da soddisfare il
fabbisogno energetico di tutti. Ma non esiste uniformità nella produzione, né nella
distribuzione alimentare. Alcuni paesi producono più di altri, ma sono i sistemi di
distribuzione e il reddito familiare a determinare l'accesso agli alimenti ».
(7) Cf. FAO, Agriculture: Horizon 2010 (Agricoltura: Orizzonte 2010), Doc. C
9324, Roma 1993, p. 1.
(8) Cf. Conc. Oecum. Vat. II, Costituzione Pastorale Gaudium et spes (1965), n.
40: « La Chiesa, che è insieme società visibile e comunione spirituale, cammina insieme
con l'umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena, ed è come
il fermento e quasi l'anima destinata a rinnovarsi in Cristo e trasformarsi in famiglia di
Dio. Tale compenetrazione di città terrena e città celeste non può certo essere
percepita se non con la fede... ».
(9) Conc. Oecum. Vat. II, Costituzione pastorale Gaudium et spes (1965), n. 69.
(10) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Sollicitudo rei socialis (1987), n.
41, AAS (1988), p. 570.
(11) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Sollicitudo rei socialis (1987), n.
33, l. c., p. 558; cf. anche Paolo VI, Lettera Enciclica Populorum progressio
(1967), n. 47, AAS (1967), p. 280.
(12) Cf. FAO, Necessità e risorse. Atlante dell'alimentazione e dell'agricoltura,
Roma 1995, p. 16. Cf. anche nota n. 4.
(13) Cf. Alan Berg, Malnutrition: What can be done? Lessons from World Bank
Experience, The John Hopkins University Press for World Bank, Baltimore, Maryland,
1987.
(14) Alcuni studi condotti dalla FAO e dall'OMS hanno stabilito che il minimo
giornaliero necessario è di circa 2100 calorie e la disponibilità quotidiana necessaria
di alimenti deve essere pari a 1,55 volte il metabolismo di base; al di sotto di questi
parametri un individuo può essere considerato sofferente di sotto alimentazione cronica
(cf. FAO ed OMS, Conférence Internationale sur la Nutrition. Nutrition et
développement. Une évaluation d'ensemble [Conferenza Internazionale sulla Nutrizione.
Nutrizione e sviluppo. Una valutazione d'insieme], Roma 1992). Attualmente, esistono
ancora nel mondo 800 milioni di individui sotto alimentati, il fabbisogno medio di un
adulto è di 2500 calorie al giorno. Gli abitanti dei paesi industrializzati assimilano
circa 800 calorie in eccesso al giorno, mentre gli abitanti dei paesi in via di sviluppo
debbono accontentarsi di un apporto di due terzi di tale razione (cf. Le sud dans votre
assiette. L'interdépendance alimentaire mondiale, CRDI, Ottawa 1992, p.26).
(15) 3 Cf. Documento preparatorio dell'UNCTAD (Conferenza delle Nazioni Unite per il
Commercio e lo Sviluppo) alla seconda Conférence des Nations Unies sur les Pays Moins
Avancés (Conferenza delle Nazioni Unite sui Paesi meno sviluppati), Parigi 1990.
(16) FAO ed OMS, Conférence Internationale sur la Nutrition. Déclaration mondiale
sur la nutrition, (Conferenza Internazionale sulla Nutrizione. Dichiarazione mondiale
sulla nutrizione) Rapporto finale della Conferenza Roma 1992, n. 2.
(17) Cf. Banca Mondiale, Poverty and Hunger, 1986. Questo documento descrive i
livelli di insicurezza alimentare (transitori o cronici), le cause economiche di tali
situazioni ed i mezzi per porvi rimedio a medio ed a lungo termine. Tale distinzione, pur
se utile, presenta l'inconveniente di non evidenziare direttamente le correlazioni fra le
diverse cause, il che metterebbe più chiaramente in luce il loro ordine di importanza, in
quanto alcune cause sono allo stesso tempo effetto di cause più profonde. Il concetto di
durevole associato allo sviluppo aveva in origine il senso di un processo compatibile con
il rispetto dell'ambiente, mentre ora tale nozione comprende anche quella della permanenza
dello sviluppo.
(18) Cf. Banca Mondiale, Poverty and Hunger, 1986.
(19) Il termine italiano traduce l'espressione francese « pays en mal de
développement », la quale esula dal campo della mera economia, e si applica ai paesi la
cui evoluzione economica e sociale è eccessivamente onerosa in termini di sofferenze
umane, di mezzi finanziari e, in ugual misura, di abbandono di conoscenze e pratiche
usuali e di perdita di un patrimonio acquisito nel corso dei secoli.
(20) L'Asia ha fatto registrare globalmente una performance molto più efficace,
dovuta, in complesso a migliori politiche e a migliori realizzazioni, senza che tuttavia
la qualità dei rapporti interpersonali possa essere considerata migliore, né i livelli
di corruzione più bassi.
(21) In alcuni paesi si sono dovuti effettuare dei tagli nel settore dell'educazione.
Da notare che in molti dei paesi con difficoltà di sviluppo, una certa propensione a
favorire l'insegnamento superiore a spese dell'istruzione primaria, costituisce un
problema ricorrente che le istituzioni internazionali debbono affrontare nel loro dialogo
con questi paesi.
(22) Cf. UNFPA (United Nations Populations Fund Fondo delle Nazioni Unite per la
Popolazione), The State of World Population 1993, New York 1993; United Nations,
World Population Prospects; the 1992 Revision, New York 1993. Cf. anche FNUAP (Fonds
des Nations Unies pur la Population), Etat de la population mondiale 1994. Choix et
responsabilités.
(23) PNUD (Programme des Nations Unies pour le Developpement Programma delle
Nazioni Unite per lo Sviluppo), Rapport mondial sur le developpement humain, 1990.
Economica, Parigi 1990. Cf. ibidem, p. 94: nei paesi in via di sviluppo, laddove
vive la maggior parte delle persone che soffrono la fame, la popolazione rurale è più
che raddoppiata e la popolazione urbana è triplicata o quadruplicata in 30 anni (dal 1950
al 1980).
(24) Cf. Franz Böckle u.a., Armut und Bevölkerungs-Entwicklung in der Dritten Welt
(Povertà e sviluppo demografico nel terzo mondo) edita dal Gruppo di lavoro
scientifico sui problemi della Chiesa universale della Conferenza Episcopale tedesca, Bonn
1991.
(25) Cf. Pontificia Accademia delle Scienze, Popolazione e Risorse. Rapporto.
Città del Vaticano 1993 (i dati statistici forniti hanno già subito delle modifiche).
(26) Cf. Pontificio Consiglio per la Famiglia, Evoluzioni demografiche. Dimensioni
etiche e pastorali, Città del Vaticano 1994. Cf. Le contrôle des naissances dans
les pays du Sud: promotion des droits des femmes ou des intérêts du Nord, in «
Inter-mondes », vol. 7, n. 1, ottobre 1991, p. 7: recentemente, numerose ricerche hanno
dimostrato che altri tre fattori, oltre al controllo delle nascite, contribuiscono
parimenti al rallentamento della crescita della popolazione mondiale. Si tratta dello
sviluppo economico e sociale, del miglioramento delle condizioni di vita delle donne, e,
paradossalmente, della riduzione della mortalità infantile. Cf. anche UNICEF (United
Nations Children's Fund Fondo delle Nazioni Unite per l'Infanzia), La situation
des enfants dans le monde, Ginevra 1991.
(27) Cf. Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla Settimana di Studi su
« Risorse e Popolazione » organizzata dalla Accademia Pontificia delle Scienze (22
novembre 1991), nn. 4 e 6: « La Chiesa è consapevole della complessità del problema...
Ma al momento di adottare misure di emergenza, non bisogna essere indotti in errore;
l'applicazione di metodi che non risultano in armonia con la vera natura dell'uomo,
finisce di fatto per causare danni drammatici... che colpiscono in particolare gli strati
più poveri e deboli della popolazione, aggiungendo ingiustizia ad ingiustizia », AAS (1992),
pp. 1120-1122. Cf. anche Cardinal Angelo Sodano, Intervento alla Conferenza delle
Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo (CNUED), di Rio de Janeiro (13 giugno 1992), L'Osservatore
Romano, 15-16 giugno 1992.
(28) FAO e OMS, Conférence Internationale sur la Nutrition. Déclaration mondiale
sur la nutrition (Conferenza Internazionale sulla Nutrizione. Dichiarazione mondiale sulla
nutrizione), Rapporto finale della Conferenza, Roma 1992, n. 15.
(29) Cf. FAO, Agriculture: Horizon 2010, Doc. C 9324, Roma 1993, n. 2.13.
(30) Cf. PNUD Rapport Mondial sur le Dévloppement humain 1990 (Rapporto Mondiale
sullo Sviluppo umano 1990), Economica Paris 1990, p. 18.
(31) FAO ed OMS, Conférence Internationale sur la Nutrition. Déclaration mondiale
sur la Nutrition, (Conferenza Internazionale sulla Nutrizione. Dichiarazione
mondiale sulla nutrizione.) Rapporto finale della Conferenza, Roma 1992, n. 1.
(32) Ibidem.
(33) L'Argentina risulta fra i massimi esportatori di grano e di carne bovina: Questa
nazione, dunque, non è da annoverarsi fra i paesi con difficoltà di sviluppo; è un
paese industrializzato il cui andamento economico sul lungo periodo era insoddisfacente
per ragioni essenzialmente imputabili alle debolezze dei suoi sistemi politici. Tale
situazione è profondamente mutata negli ultimi anni e le conseguenze economiche sono già
evidenti.
(34) Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana 1992, §
1906 ove si trova la definizione di « bene comune », ripresa da Gaudium et spes,
n. 26, § 1: « l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi
come ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più
speditamente ».
(35) Giovanni Paolo II, Discorso al Palazzo della CEAO (Comunità Economica
dell'Africa Occidentale), Ouagadougou, 29 gennaio 1990, AAS (1990), p. 818.
(36) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Centesimus annus (1991), n. 31, AAS
(1991), p. 831.
(37) Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Reconciliatio et pænitentia (1984),
n. 16, AAS (1985), pp. 213-217 (in termini di peccato sociale che produce mali
sociali), Lettera Enciclica Sollicitudo rei socialis (1987), nn. 36-37, l. c.,
pp. 561-564 e Lettera Enciclica Centesimus annus (1991), n. 38, l. c., p.
841. Questi documenti utilizzano anche espressioni quali « situazioni di peccato » o
anche « peccati sociali », facendo sempre risalire la causa di questi peccati
all'egoismo, alla ricerca del profitto ed al desiderio di potere.
(38) La realizzazione dell'arma chimica, senza « ricadute », che serve solo ad
attaccare o a difendersi, ne è testimonianza. A mero titolo di esempio, le 500.000
tonnellate di prodotti mortali, in grado di distruggere 60 miliardi di uomini, di cui
dispone l'ex Unione Sovietica, hanno avuto un costo di produzione di 200 miliardi di
dollari USA, ed altrettanto costerà distruggerle. Si tratta di risorse reali, e dunque di
una perdita secca per il pianeta. Questa avventura perversa si traduce in un abbassamento
del tenore di vita degli uomini (principalmente, ma non solo, nell'ex URSS) e addirittura
in fame per numerose famiglie che altrimenti non l'avrebbero conosciuta.
(39) Cf. Paolo VI, Omelia del Natale 1975 a conclusione dell'Anno Santo, AAS
(1976), p. 145. Questo concetto è stato utilizzato per la prima volta dal Papa Paolo VI.
(40) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Centesimus annus (1991), n. 28, l.
c., p. 828.
(41) Cf. Larry Salmen, Listen to the People, Participant-Observer Evaluation of
Development Projects, The World Bank and Oxford University Press 1987. A tale
proposito si può ricordare il metodo dell'osservatore partecipante, praticato da un
consulente della Banca Mondiale. Profondamente motivato dall'amore per gli uomini, non ha
esitato a trascorrere periodi da tre a sei mesi, nelle « favelas » dell'America del Sud
(specie Quinto e La Paz), per condurre la stessa vita della popolazione. Ogni volta è
stato così in grado di consigliare gli architetti che lavoravano al rinnovamento urbano,
per evitare che le nuove costruzioni venissero sistematicamente danneggiate dai nuovi
abitanti, usciti dalle loro misere catapecchie. E l'ascolto preferenziale del povero che,
nel caso specifico è anche beneficiario, come lo stesso buon senso, che richiede eroismo.
In un secondo momento, il consulente ha diffuso questo metodo in Thailandia, coinvolgendo
l'autorità mondiale della Banca per convincere i funzionari di Bangkok ad andare a vivere
loro stessi per un certo periodo con i loro concittadini svantaggiati per garantire in tal
modo il successo dei programmi di nuovi alloggi urbani.
Da segnalare ugualmente lo straordinario intervento di un pastore inglese, Stephen
Carr, che ha vissuto per 20 anni in due villaggi africani, servendosi unicamente delle
risorse e delle tecniche tradizionali. Era divenuto molto influente in quei luoghi e, di
passaggio a Washington, è stato intervistato dalla Banca Mondiale nell'anno 1985/86. La
sua testimonianza ha illuminato gli specialisti della Banca, che accusavano un insuccesso
dopo l'altro nei progetti agricoli dell'Organismo in Africa. Esiste una simbiosi fra il
contadino e la terra. La bella terra d'Africa è buona ma molto fragile. I cambiamenti di
abitudini indotti nei contadini dall'economia moderna e la perdita dei valori ancestrali
ha comportato la distruzione della terra. I missionari cattolici, e forse anche altri, lo
avevano perfettamente capito. Le vecchie missioni erano rispettose dei talenti e specie
dell'esperienza tradizionale. Questi valori sono stati riscoperti da alcune ONG, fra le
quali la FIDESCO, con sede in Francia e presente in alcuni altri paesi europei.
(42) Cf. l'opera del P. Joseph Wrejinsky e di ATD - Quart-Monde.
(43) Cf. Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Pacem in terris (1963), cap. III, AAS
(1963), pp. 279-291.
(44) Giovanni Paolo II, Discorso alla Conferenza della FAO in occasione della
celebrazione del 50.esimo anniversario dell'Organizzazione (23 ottobre 1995), n. 2, L'Osservatore
Romano, 23-24 ottobre 1995.
(45) Banca Mondiale, Rapport sur le développpement dans le monde 1990 (Rapporto
sullo sviluppo nel mondo), 1990, Washington 1990, p. 19.
(46) Cf. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Il commercio
internazionale delle armi. Una riflessione etica, Città del Vaticano 1994.
(47) Cf. FAO, Développement durable et invironnement, les politiques et activités
de la FAO (Sviluppo duraturo ed ambiente, politiche ed attività della FAO), Roma
1992.
(48) 3 Cf. Giovanni Paolo II, Discorso alla venticinquesima sessione della
Conferenza della FAO (16 novembre 1989), n. 8, AAS (1990), pp. 672-673.
(49) Cf. Chirografi d'istituzione delle Fondazioni Pontificie « Giovanni Paolo
II per il Sahel », fondata il 22 febbraio 1984 e « Populorum Progressio », fondata il
13 febbraio 1992. La sede legale delle due Fondazioni è presso il Pontificio Consiglio «
Cor Unum », Stato della Città del Vaticano; la sede del Consiglio di Amministrazione
della Fondazione « Giovanni Paolo II per il Sahel » è a Ouagadougou (Burkina Faso) e
quella della Fondazione « Populorum Progressio » a Santafé di Bogotà (Colombia).
(50) Cf. Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea generale delle Nazioni Unite
in occasione del 50o anniversario dell'Organizzazione (5 ottobre 1995), nn. 12 e 13,
L'Osservatore Romano, 6 ottobre 1995.
(51) Citiamo alcune di queste iniziative: Economia di Comunione Opera di Maria,
Movimento del Focolare (Grottaferrata, Roma) AVSI Comunione e Liberazione (Milano),
FIDESCO Communauté Emmanuel (Parigi); « Famiglia in Missione » Cammino Neocatecumenale
(Roma), Opera sociale « Kolping International » (Colonia).
(52) PNUD, op. cit., p. 31 (cf. nota n. 29).
(53) Cf. IFAD (International Fund for Agricultural Development Fondo
Internazionale per lo Sviluppo Agricolo), The Role of Rural Credit Projects in Reaching
the Poor, Rome-Oxford 1985.
(54) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera alle donne (29 giugno 1995), n. 4, AAS (1995),
pp. 805-806.
(55) Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Mulieris dignitatem (1988),
nn. 6-7, AAS (1988), pp. 1662-1667. Cf. anche Esortazione Apostolica post-sinodale
Christifideles laici (1988), AAS (1989), pp. 489, 492.
(56) Si può trarre una valutazione dell'ordine di grandezza della corruzione, dalle
stime dei servizi competenti di repressione delle frodi (specie in Francia, TRACFIN)
sull'entità del riciclaggio del denaro.
(57) 3 Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Sollicitudo rei socialis (1987),
n. 44, l. c., pp. 576-577.
(58) Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Pacem in terris (1963) cap. III, AAS (1963),
p. 290.
(59) Cf. Leone XIII, Lettera Enciclica Rerum novarum (15 maggio 1891), Leonis
XIII P.M. Acta, XI, Romae 1892, pp. 97-144.
(60) Cf. FAO, « Charte des paysans » (Carta dei lavoratori agricoli):
Dichiarazione di principio e programma d'azione nel Rapporto della Conférence
Mondiale sur la Réforme agraire et le Développement rural (Conferenza Mondiale sulla
Riforma agraria e lo Sviluppo rurale), Roma 1979.
(61) Cf. FAO, Rapporto della Conferenza della FAO, 23a sessione, C85REP,
p. 46; Roma, 9-28 novembre 1985.
(62) Cf. nota n. 4.
(63) Cf. Banca Mondiale, Rapport sur le développement dans le monde, 1990,
avant-propos, Washington 1990.
(64) Giovanni Paolo II, Discorso in occasione del 50o anniversario della FAO, n
4, L'Osservatore Romano, 23-24 ottobre 1995.
(65) Cf. PNUD, Rapport mondial sur le développement humain 1992, Economica,
Parigi 1992, p. 49; cf. anche ONU, Rapport de la Conférence des Nations Unies
sur l'environnement et le développement (Rapporto della Conferenza delle Nazioni
Unite sull'ambiente e lo sviluppo), Rio de Janeiro 1992, par. 33.13: « I paesi
industrializzati reiterano il loro impegno a devolvere lo 0,7% del loro PIL all'APD [Aide
Publique au Développement]- percentuale stabilita dall'ONU e da loro convenuta- e, se non
già realizzato, accettano di rivedere i loro programmi di aiuto per raggiungere tale
livello prima possibile...Alcuni paesi si sono impegnati a raggiungere tale livello prima
dell'anno 2000...I paesi che lo hanno già fatto debbono essere lodati ed incoraggiati a
continuare a contribuire all'azione comune tesa a mettere a disposizione le importanti
risorse supplementari necessarie".
(66) Cf. ONU, Rapport du Sommet Mondial pour le Développement Social (Rapporto
del Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sociale), Copenaghen, 6-12 marzo 1995, Déclaration
et Programme d'action (Dichiarazione e programma d'azione), par. 88b.
(67) Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Mater et magistra (1961), cap. III, AAS
(1961), p. 440.
(68) Giovanni Paolo II, Discorso in occasione del 50o anniversario della FAO, n. 3, L'Osservatore
Romano, 23-24 ottobre 1995.
(69) Cf. PNUD, op. cit., pp. 164-165 (cf. nota n. 64).
(70) FAO, Necessità e risorse... (cf. nota n. 11), p. 35. La sicurezza
alimentare dipende generalmente da quattro elementi: la disponibilità di
approvvigionamenti alimentari, l'accessibilità ad una alimentazione sufficiente,
la stabilità degli approvvigionamenti, l'accettabilità culturale degli
alimenti o di determinate associazioni di alimenti.
(71) Cf. anche Pacte mondial de sécurité alimentaire (Patto mondiale di sicurezza
alimentare) (1985), già menzionato al n. 40.
(72) FAO, Landlessness. A growing problem, « Economic and Social Development
Series », 2, n. 28, Roma 1984; versione francese: Le paysannat sans terre. Un
problème toujours plus aigu, in « Collection FAO: développement économique et
social », n. 28, Roma 1985.
(73) Giovanni Paolo II, Messaggio in occasione della Giornata Mondiale per la Pace
del 1o gennaio 1990, « La pace con Dio Creatore, la pace con tutta la creazione »,
n. 11, AAS (1990), p. 153.
(74) Conc. Oecum. Vat. II, Dichiarazione Gravissimum educationis, n. 1, che
rinvia a Pio XI, Lettera Enciclica Divini illius magistri (1929), AAS
(1930), pp. 50 ss.
(75) Cf. anche Pontificio Consiglio « Cor Unum », Catholic Aid Directory, 4a
ed., Città del Vaticano 1988 (prossimamente sarà pubblicata la 5a edizione). Si
considerino, ad esempio, gli Organismi Membri di « Cor Unum »: Association
internationale des Charités de St. Vincent de Paul (AIC), Caritas Internationalis, Unione
Internazionale Superiore Generali (U.I.S.G.), Unione Superiori Generali (U.S.G.),
Australian Catholic Relief, Caritas Italiana, Caritas Liban, Catholic Relief Services
U.S.C.C., Deutscher Caritasverband, Manos Unidas, Organisation Catholique Canadienne pour
le Développement et la Paix, Secours Catholique, Kirche in Not, Société de Saint
Vincent de Paul, Secrétariat des Caritas de l'Afrique francophone, Caritas Aotearoa
(Nuova Zelanda), Caritas Bolivia, Caritas Española, Caritas Moçambicana, Misereor,
Österreichische Caritaszentrale, Ordine di Malta.
(76) Molto importante è l'Unità IV del Consiglio Mondiale delle Chiese a Ginevra; da
menzionare altresì l'opera della Croce Rossa nel mondo.
(77) Cf. nota n. 48.
(78) Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente (1994),
n. 12, AAS (1995), p. 13.
(79) Cf. ibid., n. 13, l.c., pp. 13-14.
(80) Conc. Oecum. Vat. II, Costituzione Pastorale Gaudium et spes (1965), n. 39.
(81) Giovanni Paolo II, Meditazione in occasione della veglia di preghiera al Cherry
Creek State Park, nell'ambito della celebrazione della VIII Giornata mondiale della
gioventù, 14.8.1993, AAS (1994), p. 416.
(82) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente (1994),
n. 51: « ... proponendo il Giubileo come un tempo opportuno per pensare, tra l'altro, ad
una consistente riduzione se non proprio al totale condono del debito
internazionale che pesa sul destino di molte Nazioni », l. c., p. 36.
(83) Cf. a tale proposito H. Hude, Ethique et Politique, capitolo XIII: « La
justice sur le marché », Ed. Universitaires, Parigi 1992.
(84) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Centesimus annus (1991), n. 34,
l. c., pp. 835-836.
(85) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium vitae (1995), n. 69, AAS
(1995), p. 481.
(86) La Lettera Enciclica Centesimus annus (1991) del Papa Giovanni Paolo II
offre delle indicazioni in tal senso al n. 36: « Individuando nuovi bisogni e nuove
modalità per il loro soddisfacimento, è necessario lasciarsi guidare da un'immagine
integrale dell'uomo, che rispetti tutte le dimensioni del suo essere e subordini quelle
materiali ed istintive a quelle interiori e spirituali. Al contrario, rivolgendosi
direttamente ai suoi istinti e prescindendo in diverso modo dalla sua realtà personale
cosciente e libera, si possono creare abitudini di consumo e stili di vita oggettivamente
illeciti. Il sistema economico non possiede al suo interno criteri che consentano di
distinguere correttamente le forme nuove e più elevate di soddisfacimento dei bisogni
umani dai nuovi bisogni indotti, che ostacolano la formazione di una matura personalità.
E perciò necessaria ed urgente una grande opera educativa e culturale, la quale comprenda
l'educazione dei consumatori ad un uso responsabile del loro potere di scelta, la
formazione di un alto senso di responsabilità nei produttori e, soprattutto, nei
professionisti delle comunicazioni di massa, oltre che il necessario intervento delle
pubbliche autorità... alludo al fatto che anche la scelta di investire in un luogo
piuttosto che in un altro è sempre una scelta morale e culturale », l. c., pp.
838-840.
(87) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Centesimus annus (1991), n. 60, l.
c., pp. 865-866.
(88) Leone XIII, Lettera Enciclica Rerum novarum (1891), n. 35.
(89) Cor Unum cercherà di favorire la realizzazione di questo progetto.
(90) Giovanni Paolo II, Secondo viaggio in Brasile (12-21 ottobre 1991), Discorso
nella favela del Lixão de São Pedro, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIV2
(1991), p. 941.
(91) Conc. Oecum. Vat. II, Costituzione Pastorale Gaudium et spes (1965), n. 37.
Cf. anche Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Sollicitudo rei socialis (1987), nn.
27-28: « una simile concezione [di sviluppo], legata alla nozione di
"progresso", dalle connotazioni+++
(92) 3 Cf. nota n. 38.
(93) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptoris missio (1990), n. 59, AAS
(1991), pp. 307-308.
(94) Questa convinzione non è soltanto diffusa presso i cristiani. E alla base di un
movimento recentemente costituito negli Stati Uniti, il « comunitarismo ». Il sociologo
A. Etzioni presenta il movimento che auspica la promozione del bene comune di ogni uomo
nel suo studio The Spirit of Community. Rights, Responsabilities and the Communitarian
Agenda,Crown Publishers, inc. New York 1993.
(95) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Sollicitudo rei socialis (1987),
n. 40, l. c., p. 569.
(96) Cf. Secretaria Status Rationarium Generale Ecclesiae, Annuarium statisticum
Ecclesiae, Typis Vaticanis (1994), p. 41.