Da: Avvernire del 22.01.2000
INTERVISTA Il leader dei protestanti tedeschi
parla di sacrifici e nodi del dialogo: dal primato alle indulgenze |
BERLINO.
Un «rappresentante unitario» della cristianità, un primato simbolico da «primus inter
pares». Ragiona, immagina, ipotizza, il reverendo Manfred Kock, presidente del Consiglio
della Chiesa evangelica tedesca (Ekd). Le riflessioni del leader dei protestanti tedeschi
sono importanti e nuovissime, perché il «rappresentante unitario» a cui sta pensando è
proprio il Pontefice della Chiesa cattolica romana: quello che dunque Kock ipotizza, sia
pure con estrema cautela e con precise condizioni, è un possibile - parziale e simbolico
- riconoscimento del ministero pontificio da parte dei protestanti. L'idea del Präses
(questo il nome ufficiale della sua carica) emerge nel corso di una conversazione con Avvenire
sul Grande Giubileo del 2000. Un Giubileo che però non convince del tutto i protestanti
tedeschi, a dimostrazione che c'è ancora strada da fare. È da qui che partiamo. Quali
sono le sue impressioni sulle celebrazioni del Giubileo? «Anzitutto vorrei
sottolineare che anche noi abbiamo festeggiato l'inizio di quest'anno. Ricordo inoltre che
il 27 novembre in Germania abbiamo celebrato con una funzione ecumenica l'avvio del
Giubileo. Certo per noi non è un Anno Santo come per i cattolici, ma sono pur sempre i
2000 anni con Cristo. Ecco perché anche noi guardiamo con grande interesse a quanto
accade a Roma, io stesso ho seguito con attenzione, in televisione, l'apertura della Porta
Santa. La mia impressione è, però, che vi si sia presentata una Chiesa piuttosto diversa
da noi protestanti». In che senso? «Una Chiesa con una notevole dose di
solennità e molti ornamenti, qualcosa di trionfale. Siamo consci che per la Chiesa
cattolica questa pompa è espressione della sua adorazione di Cristo, noi protestanti
però ci domandiamo se questo sfarzo sia davvero conciliabile con il modo in cui Gesù ha
vissuto». Vi lascia perplessi anche l'aspetto dell'indulgenza... «Non si può
dimenticare che è stato all'origine della divisione durante la Riforma. Ci saremmo
augurati maggiore cautela. L'evidenza data a Roma all'indulgenza plenaria dimostra che il
cammino da percorrere verso l'unità è ancora lungo». Ma scorgete soltanto elementi
di preoccupazione? «Siamo critici, ma vorrei subito precisare quelli che per noi sono
gli aspetti positivi. Già il fatto che Giovanni Paolo II abbia invitato a partecipare ai
riti solenni esponenti di diverse confessioni è un importante segnale: che ci stiamo
avvicinando gli uni verso gli altri, che percorriamo insieme il sentiero della Chiesa nel
nuovo millennio. Del resto, pur avendo ancora dei problemi, la recente firma della
Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione ad Augsburg è un importante
passo avanti, dimostra che si è creata una base comune su cui costruire. E se io ho
potuto esprimere critiche tanto apertamente è proprio perché ormai siamo già così
vicini». Il Papa ha detto che tutti i cristiani dovrebbero sacrificare qualcosa sulla
via dell'unità. Che cosa è disposta a sacrificare la Chiesa evangelica? «Vede, se
ci troviamo a parlare di quello che al momento è il punto di divergenza decisivo, e cioè
il significato del ministero pontificio, ebbene, allora io dico: si può immaginare una
figura unitaria simbolica». Che cosa intende per «figura unitaria simbolica»? «Un
primus inter pares che, nei rapporti verso l'esterno, disponga di una forza
simbolica in nome della cristianità». Sta forse parlando del Papa? «Sì. Dico in
generale del ministero pontificio e delle sue funzioni. Qui però vorrei subito
sottolineare che noi protestanti non potremmo immaginarci che un simile ministero unitario
rappresentativo possa dettare norme in questioni dottrinali e di vita ecclesiale». Dunque,
la Chiesa evangelica tedesca potrebbe, almeno in teoria, esser pronta a riconoscere il
ministero pontificio, sia pure in modo limitato e simbolico? «Nel senso sopra
indicato, mi posso senz'altro immaginare una cosa del genere. Però ripeto, bisogna tener
ben presenti i limiti che ho indicato». Sarebbe un grande passo. È una pura ipotesi,
o ne state discutendo nel Sinodo evangelico? «Vede, se pensiamo di procedere sulla
via del dialogo ecumenico, questo potrà accadere solo se noi protestanti accettiamo che
la grande Chiesa cattolica romana si è costituita in questo modo. Perché questo accada,
però, bisogna prima che ci si riconosca gli uni gli altri come Chiese. Non siamo ancora a
questo punto». Eppure le due Chiese hanno già annullato la condanna reciproca
dell'epoca della Riforma. «È vero, tuttavia Roma continua a definirci
"comunità ecclesiali" e non "Chiesa". Se si risolvesse questo punto,
sarebbe un primo passo verso il superamento della divisione. Dopodiché si potrà parlare
di quella rappresentanza unitaria della cristianità di cui si diceva». Torniamo
all'Anno Santo. Per la Chiesa cattolica e per i singoli fedeli è un'occasione per una
purificazione della memoria. Di che cosa sente di doversi purificare la sua Chiesa? «Vede,
la nostra Chiesa non comincia solo 500 anni fa, vive in continuità da Cristo in poi. Per
questo partirei da molto indietro, dalle crociate, dai roghi delle streghe: tutti episodi
che pesano anche sulla coscienza di noi cristiani protestanti. Io dico che questo non deve
più accadere, non deve più accadere che si affermi un atteggiamento fanatico che porti a
limitare la libertà degli altri. A ciò, e adesso parlo specificamente di noi protestanti
(ma lo stesso è accaduto con la Chiesa cattolica) si è aggiunta un'eccessiva vicinanza
con regimi, sovrani, sistemi statali. Oggi registro con soddisfazione che le Chiese sono
chiaramente dalla parte di chi soffre e dei poveri di questo mondo, e non dalla parte dei
potenti». Lei tocca un altro tema del Giubileo, e cioè la possibilità di
collaborazioni concrete sul fronte della lotta alla povertà, alle nuove forme di
schiavitù, per la remissione del debito. L'Anno Santo potrà dare nuovi stimoli? «Guardi,
la collaborazione in questi campi è già ampiamente in atto. Lo scorso anno, per il
vertice di Colonia, abbiamo avuto una serie di iniziative ecumeniche. Su questi temi
Giovanni Paolo II, l'arcivescovo di Canterbury e altri leader ecclesiali in tali questioni
parlano con una sola voce». Quali sono i problemi più urgenti? «Ritengo che, a
breve termine, cruciale sia la questione delle enormi differenze tra ricchezza e povertà
sul pianeta. Un altro punto importante è la preservazione del Creato: le Chiese devono
far comprendere che non possiamo saccheggiare la Terra, ma che abbiamo responsabilità nei
confronti delle future generazioni. E infine c'è la questione della morale pubblica e
delle responsabilità dei politici». Dal momento che parliamo di auspici, è ottimista
sulle possibilità di arrivare all'unità dei cristiani in questo secolo? «Credo che
troveremo una riconciliazione nella diversità. Cioè che manterremo Chiese differenti,
senza però considerarci l'un altro come una minaccia, bensì come arricchimento, come
espressione della molteplicità cristiana. Nel Vangelo di Giovanni si racconta della rete
tirata in secco gonfia di pesci, e si legge: "e la rete non si spezzò". Ecco,
questa immagine biblica per me è un magnifico simbolo». (continua-le precedenti
puntate sono state pubblicate il 20 - anglicani - e il 21 gennaio - valdesi).
Giovanni Maria Del Re |