Da: Avvernire del 21.01.2000
INCHIESTA Viaggio nella confessione riformata
nata 350 anni prima del Protestantesimo. Le incomprensioni e le speranze |
Non è facile spiegare i sentimenti degli evangelici di fronte al Giubileo. Disagio certo. Ma anche stupore e curiosità. L'incomprensione, il distacco, che sono posizioni comuni, per così dire ufficiali, si esprimono secondo modi e sensibilità differenti. Contano la diversa formazione e cultura personale. Eppure non c'è dubbio che anche la collocazione geografica, pesi in modo significativo: la vicinanza di Roma, rende i protestanti italiani particolarmente sospettosi. «Non è solo la questione indulgenze a creare disagio - spiega il pastore Paolo Ricca, docente di storia della Chiesa presso la Facoltà valdese di teologia della capitale -. Il Giubileo è infatti molto incentrato su Roma, troppo legato all'immagine del pellegrinaggio verso il cuore del cattolicesimo. Un atteggiamento che contrasta con la nostra visione di Chiesa e che ci sembra eccessivamente sottolineato rispetto ai contenuti fondamentali della fede. Lo dico immaginando che ci sia stato lo sforzo perché non fosse troppo così. Comunque, il nostro ultimo Sinodo, nell'agosto scorso ha dato alle singole comunità la facoltà di muoversi liberamente a seconda delle situazioni locali. Anche nel mondo cattolico esistono sfumature differenti di partecipazione al Giubileo». La Settimana di preghiera per l'unità dei Cristiani rappresenta una significativa cartina di tornasole. Accanto alle realtà locali che hanno deciso di soprassedere, ce ne sono altre in cui il calendario dei momenti comuni è ricco di appuntamenti. Esempio significativo è Torino, dove la presenza evangelica è forte. Ovunque invece è costante il disagio, la perplessità verso l'apertura della Porta Santa nella basilica di San Paolo fuori le Mura. «Noi evangelici italiani non abbiamo partecipato. Per i protestanti non esiste nessuna porta santa da aprire». Eppure comunità di altri Paesi europei hanno fatto una scelta differente. «Una decisione legittima - risponde Ricca -, figlia di realtà dai diversi equilibri, in cui esiste una sorta di reciprocità confessionale, dove c'è l'abitudine di partecipare alle feste dell'altra comunità. Paesi, penso alla Germania e forse anche agli Stati Uniti e alle Nazioni anglosassoni, nei quali il rapporto di forza tra le confessioni è meno sbilanciato che da noi». In Italia, la presenza numerica della Chiesa cattolica crea problema, insomma. «Certo - conferma il teologo - così come la centralità del Papa che pur essendo una figura dal significato universale, da noi ha un peso specifico tutto suo. Senza dimenticare comunque la simbologia stessa del gesto, che mi lascia molto perplesso. Vede, Cristo è una porta sempre aperta, aperta da Dio. Il significato del rito: Cristo è la porta della Salvezza che conduce al Padre, è un concetto centrale della nostra fede. Il modo di esprimerlo non mi convince. Soprattutto mi lascia perplesso che al termine del Giubileo quella stessa porta venga richiusa. Cristo non può essere mai una porta sbarrata». Come ogni anno la Settimana rappresenta anche l'occasione per fare il punto sul dialogo ecumenico. «Il cammino appare faticoso ma irrinunciabile. Nel senso che l'unità è oggetto della preghiera di Gesù e indicazione dello Spirito. Però non dobbiamo avere fretta. Ricordiamoci che la divisione tra cattolici e ortodossi data mille anni, quella con il protestantesimo 500. E nel corso dei secoli ciascuna confessione si è abituata a vivere da sola, a costruire la propria storia. È difficile cambiare passo, reimparare a vivere, pensare, progettare insieme». Non sembra una visione ottimistica. «Al contrario - ribatte Ricca -, io sono fiducioso. Il recente accordo cattolico-luterano sulla giustificazione, ad esempio mi sembra significativo. Però credo anche che dobbiamo metterci maggiormente nella prospettiva biblica, in cui tutto è Promessa. Voglio dire: la venuta di Gesù spinge a pregare: Gesù vieni. Noi viviamo un anticipo di quello che verrà. Dobbiamo impegnarci per assecondare il più possibile la Promessa dell'unità». C'è un problema che in questi mesi ha creato disagio tra cattolici e protestanti, soprattutto in Italia. Riguarda le indulgenze. Capitolo storico nel libro delle reciproche incomprensioni. A creare ulteriore imbarazzo nel mondo evangelico, un articolo dell'Enchiridion Indulgentiarum in cui si prevede la possibilità di ricevere il dono dell'indulgenza plenaria per i cattolici che partecipino a celebrazioni collegate con la Settimana per l'unità dei cristiani. Un'interpretazione che ha suscitato la protesta tanto del moderatore della Tavola valdese Gianni Rostan che del presidente dell'Opera delle Chiese metodiste in Italia Valdo Benecchi e del Concistoro della Chiesa evangelica luterana. Particolarmente gradita è arrivata la precisazione del Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani che in una lettera ha ribadito come «i servizi religiosi durante la Settimana così come tutti gli altri servizi ecumenici che vengono preparati e celebrati insieme a cristiani di diverse confessioni, non abbiano rapporti con la pratica delle indulgenze». «Un chiarimento, un gesto che ho molto apprezzato - sottolinea Ricca - perché soddisfa un elemento essenziale del dialogo ecumenico: l'ascolto dell'altro. Fermo restando la nostra obiezione di fondo alla pratica dell'indulgenza. Che, secondo noi evangelici, fa ombra alla perfetta e totale gratuità del perdono, della Grazia di Dio». Tra gli elementi che più potrebbero caratterizzare in chiave ecumenica il cammino giubilare c'è la proposta lanciata da Giovanni Paolo II di un martirologio interconfessionale che contempli, senza steccati di appartenenza, chi ha testimoniato la fede in Cristo fino a dare la vita. «Mi sembra una buona idea - osserva il teologo valdese -. La memoria, l'esempio dei martiri è la più alta scuola di cristianesimo. La storia del ventesimo secolo è del resto caratterizzata da figure cristiane nel senso più ampio. La ragione della loro morte è la testimonianza della fede in Gesù, non l'appartenenza a questa o a quella Chiesa. La proposta mi trova favorevole. Sempre che, naturalmente, non si voglia trasformare la memoria in culto». Alcuni interpreti evangelici parlano del Giubileo addirittura come di un ostacolo al cammino ecumenico. «Al momento semmai, mi sembra un'occasione mancata - risponde Ricca -. Penso soprattutto a due elementi contenuti nella Tertio millennio adveniente e che non hanno finora trovato realizzazione. L'idea di un incontro pancristiano che radunasse tutte le Chiese unite, nella diversità reciproca, dalla fede in Gesù. E poi l'accordo ecumenico, magari attraverso una Commissione paritetica, per promuovere insieme la remissione del debito dei Paesi poveri. Non do colpa alla cattiva volontà di nessuno, sia chiaro. Semplicemente, mi sembra che la macchina del Giubileo inteso come Anno santo abbia fagocitato tutto il resto». Riccardo Maccioni |