Per riflettere sul tema dell'aborto (cfr. P. Giacobbe, L'urlo muto, Casa Mariana, Frigento, 1987)
L'urlo muto: un delitto chiamato "aborto"
Uccidere in nome della libertà
Molte donne oggi non accolgono il frutto stesso del loro concepimento, spezzando così una vita nata da poco, una piccola vita che avrebbe voluto vedere il volto di sua madre, una piccola vita che sarà perduta per sempre, ma che continuerà ad esistere nella coscienza di quella donna che gli ha impedito di esistere. Queste donne hanno sempre ragioni individuali per praticare un tale atroce delitto, soprattutto non vogliono perdere la propria libertà. Il pensare che tali delitti vengono perpetrati in nome della libertà è una cosa che disgusta e offende profondamente. Si invocano i diritti alla libertà delle persone e contemporaneamente si offende in maniera indegna la libertà essenziale dell'altro, in questo caso del nascituro.
Non si dica che il nascituro non è "persona", se ciò fosse vero non ci sarebbe la triste e meschina necessità di sopprimerlo. Infatti egli già porta in sé i semi dell'uomo futuro. E' ormai incontestabile la sua sostanziale autonomia biologica. Egli dipende dalla madre per l'ambiente vitale, la protezione e il nutrimento, ma sviluppa da sé la propria vita. Non è in alcun modo soltanto una parte del corpo materno, in questo ha un suo originale e unico patrimonio genetico, iscritto nel DNA, in base al quale possiede tutte le informazioni sufficienti per costruirsi organismo adulto.
Di seguito trattiamo la triste fine che fanno milioni di embrioni umani impiegati in vari laboratori per la sperimentazione bellica, batteriologica e... cosmetologica.