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  il mito  

 Le vampire dell’antichità classica, prima parte: le Empuse


Le conquiste di Alessandro Magno e le peregrinazioni del popolo ebraico consentirono agli antichi miti della Mesopotamia di giungere fino al bacino del Mediterraneo e d’insinuarsi nella cultura delle popolazioni residenti, mescolandosi alle loro tradizioni. È il caso della Lilith precedentemente trattata e del suo seguito di demoni succubi, che, anche se con denominazioni diverse, entrarono a far parte del pantheon della civiltà classica, forti della loro natura lunare/femminile.
Nelle Storie di Erodoto, che raccontano le vicende delle guerre fra i Greci e i “barbari” del continente asiatico, sono rappresentate le divinità di queste popolazioni orientali in associazione con quelle greche (per esempio Zeus s’identifica con Ammone egizio e con Bel-Marduk babilonese); inoltre, le descrizioni dei culti, tributati nei vari templi, forniscono un interessante repertorio antropologico di usi, costumi e tradizioni che tuttora sono parte importante del nostro immaginario: è il caso del lupo mannaro e del vampiro.
empuse
LE EMPUSE, in una illustrazione di Aubrey Bearsdley.

F.Giovannini, Il Libro dei Vampiri (Dedalo, ’85)

In Grecia le divinità sono considerate creature vive nelle quali si possono operare continuamente identificazioni e proiezioni, custodiscono archetipi e simboli propri dell’inconscio collettivo della popolazione.
Lilith, in Grecia, diventa Ecate, la “cagna nera”, una divinità degli inferi associata alla luna. Il suo nome può risalire a Hekation, cioè cento, perché tale era il numero dei mesi lunari durante i quali il frumento cresceva e veniva raccolto. Dapprima raffigurata come una leggiadra fanciulla, presto assume connotati spaventosi diventando l’immagine di tre donne unite per il dorso in una sorta di triangolo, o di una donna con tre teste: una di cane rabbioso, una di vacca e una di leone; altre rappresentazioni le conferiscono una delle tre teste di cavallo il che è riconducibile alla sfera erotico-incestuosa della Madre. Le statue a lei dedicate erano spesso nere e poste ai crocicchi dove riceveva offerte propiziatorie, ed il suo culto, costituito da sacrifici animali (pecore e cani prevalentemente, ma alcune fonti sostengono che anche i bambini venissero immolati), si attuava alla fine di ogni ciclo lunare. Erano i tempi delle tragedie Greche, in particolare dell’Edipo di Sofocle, nelle quali si avvertiva la presenza dell’aspetto negativo della madre come ostacolo alla realizzazione della virilità. Ecate appariva sia come madre impositiva che come irresistibile tentazione allo sfogo degli istinti sessuali, rafforzando il connubio eros/thanatos. Ecate era anche la custode dei segreti della magia, quindi la protettrice delle streghe: esistevano precisi rituali chiamati “Misteri di Ecate” che rimasero vivissimi anche ai tempi delle conquiste di Roma.


EMPUSE
È già stato detto che la Lilith mesopotamica non era sola, al suo fianco si muovevano altri demoni nefasti che in Grecia diventano le Empuse e le Lamie.
Empusa letteralmente significa “colei che s’introduce a forza”: così erano chiamate le serve di Ecate o Cagne nere; Graves le descrive in questo modo: «i sozzi demoni chiamati Empuse, figlie di Ecate, hanno natiche d’asino e calzano pianelle di bronzo, a meno che, come taluni vogliono, esse abbiano una gamba d’asino e una gamba di bronzo. È loro costume terrorizzare i viandanti, ma si può scacciarle prorompendo in insulti, poiché all’udirli esse fuggono con alte strida. Le Empuse assumono l’aspetto di cagne, di vacche o di belle fanciulle e, in quest’ultima forma si giacciono con gli uomini la notte o durante la siesta pomeridiana e succhiano le loro forze vitali portandoli alla morte» (Robert Graves, I Miti Greci, Longanesi, p. 170).
L’accentuazione dei tratti equini è dovuta alla simbologia dell’asino, che era sia sinonimo di lussuria, ma anche l’animale dell’oscurità servo delle forze del male. L’Empusa è la creazione più terribile dell’immaginazione greca; ne Le Rane di Aristofane vediamo Dioniso per la prima volta sconvolto di fronte all’orrore e rischia la pazzia (un dono molto spesso elargito da queste divinità femminili, accanto alle visioni mistiche):

XANTIA  È meglio andare avanti: questo è il posto dei mostri di cui parlava Eracle.
DIONISO  Ma che vada a farsi fottere! Faceva il fanfarone per mettermi paura, geloso com’è del mio coraggio guerriero: “Non ce n’è un altro” vanaglorioso come Eracle. Mostri! Avrei piacere di incontrarne qualcuno e avere un’avventura che valga la pena di questo viaggio.
XANTIA  Bravo! Stt… sento un rumore…
DIONISO  Dove?
XANTIA  Di Dietro.
DIONISO  Passa di dietro.
XANTIA  No, davanti.
DIONISO  Passa davanti.
XANTIA  Perdio ecco un mostro gigantesco.
DIONISO  Com’è?
XANTIA  Tremendo; e prende tutte le forme, ora bue, ora mulo, ora donna bellissima.
DIONISO  Dov’è che mi ci fiondo?
XANTIA  Ma già non è più donna, è un cane.
DIONISO  Allora è l’Empusa!
XANTIA  In effetti ha tutto il viso in fiamme.
DIONISO  E una gamba di bronzo?
XANTIA  E l’altra di merda.
DIONISO  Dove posso scappare?
XANTIA  E io?


L’Empusa compariva improvvisamente, a volte portata da una carrozza trainata da cani latranti, e seduceva i malcapitati: entrava a forza nelle case dove gli uomini dormivano e li costringeva ad estenuanti amplessi. Schiacciandosi contro il corpo delle vittime, succhiava le energie vitali (inutile specificare in quale prezioso umore fosse contenuta la vita…). Probabilmente l’idea delle Empuse giunse in Grecia dalla Palestina, dove questi demoni erano chiamati Lilim.
Per Filostrato l’Empusa è una donna morta che ritorna dalla tomba per godere dell’amore che gli fu negato da una fine prematura; lo vediamo ne La vita di Apollonio di Tiana, dove una fanciulla fantasma adesca il giovane e aitante Menippo, e dopo alcuni incontri egli desidera sposarla per poi godere dei piaceri coniugali:

Un giorno Apollonio prese a scrutare Menippo misurandolo con lo sguardo come fa uno scultore, e dopo averlo studiato a lungo gli disse:
“Sai tu, che sei bello e desiderato dalle donne più belle, che abbracci una serpe ed è una serpe che ti abbraccia?”
Menippeo rimase attonito, e Apollonio seguitò: ”Tu hai una donna che non è tua moglie: ma pensi forse che lei ti ami?”.
“Certamente”, rispose il giovine.
(…)
“Lasciatemi dire, allora”, proseguì Apollonio, “che queste decorazioni sono simili a esso: sono soltanto l’apparenza insostanziale di una sostanza. Perché possiate comprendere meglio, sappiate che la seducente fidanzata è un Vampiro, una di quelle Empuse che il popolo chiama Lamie o Mormolyce. Anche i Vampiri sono attratti dal sesso: ma ancor più amano il sangue e la carne umana, e usano il sesso per intrappolare coloro che vogliono divorare.”
La donna allora gridò: “Taci e vattene via” e si mostrò indignata per quelle insinuazioni…


(VVAA, Storie di Vampiri, Newton & Compton, 1994, p. 971).


Il fatto che le vicende si svolgano alla luce del giorno non ha alcun significato; bisogna tenere presente che siamo nell’antica Grecia: le ore meridiane conciliano l’apparizione di questo tipo di demoni, a causa del caldo soffocante che impedisce agli uomini di svolgere qualsiasi attività, al pari delle lunghe notti dei paesi del Nord dell’Europa. Inoltre non stiamo parlando del vampiro come lo si conosce oggi, bensì di figure mitiche dalle quali, si suppone, il vampiro abbia avuto origine.


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