Ogni sera, quando le tenebre calavano sul castello degli Speranza, la
giovane contessa Teresa scendeva a godere delle sfortune del suo
prigioniero. Tale visita sottostava a una serie di formalità, ritualizzate
come i movimenti di un sacerdote pagano che celebrasse un
antico cerimoniale solenne di fronte all'altare.
Prima di tutto congedava i servitori, perfino il sordomuto Rondo che
le obbediva come un cane ammaestrato. Poi, piagandosi ogni sera col
ferro le mani delicate, tirava i catenacci della propria camera e
chiudeva accuratamente ogni finestra. Se qualche ipotetico osservatore
avesse potuto nascondersi dietro gli arazzi avrebbe notato qualcosa di
molto strano: sopra ogni catenaccio, rozzamente e faticosamente
raspato da mani inadatte a un simile lavoro, era inciso il segno della
croce.
Poi si genufletteva per un momento sull'inginocchiatoio di quercia,
stringendo le dita sui grani del rosario; una pura abitudine, ormai,
perché aveva smesso di pregare da molto tempo. Lo specchio al lato
opposto della stanza le rimandava un'offuscata immagine, una sagoma
incerta fatta di bianco e di nero; le nere ciocche dei capelli
racchiusi da una reticella di fine merletto, il nero intenso di una
veste da lutto solcata da mani bianche con le dita intrecciate su
grani d'avorio, il volto che tendeva a un pallore mortuario,
alabastrino, ombreggiato da nere sopracciglia seriche.
Un volto fatto per la dolcezza e per l'amore, reso ora duro e crudele,
gli occhi ristretti dall'odio, le morbide labbra ridotte a una sottile
linea bianca. Una santa, trasformata dal doppio insulto del dolore e
del giuramento di vendetta in un demonio uscito di sotterra.
Rialzatasi e messo da parte il rosario, la contessa sollevò il
coperchio di un forziere intagliato e ne tolse una pesante sferza di
cuoio intrecciato. All'estremità di ognuna delle tre corregge erano
state fissate schegge di acciaio affilatissimo; il cuoio era annerito
e i frammenti d'acciaio ricoperti da una tinta rosso cupo. Sfiorò
l'acciaio coi polpastrelli e ritirò di scatto le dita insanguinate.
Scrollò le spalle, indifferente al dolore. Sull'impugnatura della
frusta, inciso rozzamente da una lama inesperta, ancora il segno della
croce.
Quando azionò la chiusura del passaggio segreto non vi furono
cigolii. Quella porta veniva tenuta sempre ben oliata e in perfetta
funzione. Tenendo un cero alto in una mano, discese i gradini
silenziosa come la propria ombra, mentre le sottane strisciando
rimuovevano fresche ragnatele e facevano correre piccoli ragni a
nascondersi nelle fessure della pietra.
Le venne incontro il tanfo salmastro di pozze stagnanti nel
sottosuolo. C'era stato un tempo in cui le sue narici delicate s'erano
contratte a quel tanfo, ma era un tempo ormai lontano. Lei stessa si
rendeva conto a malapena di quanto fosse mutata rispetto alla
fanciulla timorosa d'ogni ombra, dalle dita fragili che si ferivano a
sangue nella lotta con il catenaccio allora rugginoso, che aveva
disceso per la prima volta quei gradini con disperazione e terrore.
Si fermò e sospirò. «Perché vengo?» Si pose la domanda quasi ad
alta voce, e come un'eco rinviata dai recessi umidi rispose un
sussurro e un sospiro. «Vengo.»
Dopo due tornanti della scala a chiocciola giunse in un corridoio a
volta, rischiarato da un pallido chiarore lunare che filtrava da pozzi
d'aerazione costruiti centinaia di anni prima. Il passaggio era
ingombro di reliquie di giorni più tetri: le barre arrugginite d'una
puleggia ancora suggerivano la tortura dei tratti di corda, sbarre
incrociate simili a un duro letto, il tetro sguardo verde-bronzeo
d'una vergine di ferro. La contessa dedicò a quegli oggetti che un
tempo l'avevano fatta rabbrividire soltanto un'occhiata distratta;
ormai le sembravano amici di famiglia. Si baloccò, tuttavia, con un
pensiero fuggevole: potrebbero essere rimessi in funzione -
prima di imboccare l'ultima svolta del corridoio, dove una grata di
ferro s'innalzava dal pavimento di pietra fino al soffitto a volta.
Prendendo la grossa chiave dalla cintura, la contessa aperse la grata
e passò oltre.
«Buona serata, contessa», la salutò l'uomo incatenato al muro.
La contessa inclinò il capo. «Buona serata a voi, messere», rispose
con la sua voce melodiosa, la cui modulazione era talmente radicata in
lei che perfino la trasformazione da gentildonna a demonio non poteva
alterarla.
Osservò l'uomo che le stava innanzi; le braccia erano incatenate da
ceppi ai polsi, assicurati alla parete da lunghe catene che passavano
attraverso un anello posto in alto. Anche le gambe erano assicurate da
ferrei ceppi alle caviglie, collegati da una catena.
Una camicia bianca a brandelli e brache da cavallo in pelle chiazzate
di bruno costituivano tutto il suo abbigliamento, eppure, nel
ricambiare l'inchino, i suoi capelli chiari colsero i riflessi del
cero e l'ombra mutevole sul muro di pietra sembrò il riflesso di
ampie ali.
La donna, ben attenta a rimanere oltre il raggio delle catene, lasciò
che i suoi occhi indugiassero su quei tratti magri, segnati, e
sottilmente sensuali. Quando l'uomo risollevò il capo i suoi occhi,
che brillavano di una strana fiamma, incrociarono quelli di lei:
tremò, come colto da qualche tormento terribile.
Il lungo sguardo fu quasi quello di un amante. La contessa fu scossa
ancora dall'insolita bellezza dell'uomo incatenato. Bellezza? Una
parola strana, eppure di bellezza si trattava, la bellezza di
un'inquieta aquila in gabbia che batte le ali con la fiera
disperazione e il tormento di una brama bestiale. Ma fu lo sguardo di
lui a cedere per primo, sebbene quando tornò a parlare la sua voce
avesse un tono beffardo.
«Siete bella stasera, madonna», disse, «mi rammarico di non potervi
baciare la mano.»
Un fremito d'indefinibile emozione sembrò alterare i lineamenti della
donna. «Baciate, dunque», disse, «se così vi piace», e protese
verso l'uomo le dita sottili, graffiate e sanguinanti. Era un gesto
canzonatorio, ma l'uomo le strinse la mano e s'inchinò profondamente,
poggiando le labbra sulle dita. Ma di colpo s'avventò come preda
d'una follia improvvisa, con le mani incatenate che serravano
dolorosamente il polso della donna, e portò avidamente la mano alle
labbra. Con un unico gesto rapido ella sollevò la frusta e, liberando
la mano con uno strattone, colpì con una sola brutale sferzata. Egli
si ritrasse per un attimo, e in quell'istante la contessa fu fuori
dalla sua portata, con lo sguardo fiammeggiante.
«Ho dimenticato», disse beffarda, «che c'è la luna piena e voi
siete... affamato!»
Se ne stava abbattuto tra le sue catene, senza degnarsi di rispondere
alla beffa. Infine, rispose con calma: «Ahimè, di nuovo la luna
piena. Non sono tremendi i vostri sogni, madonna?»
Ella rabbrividì, come a respingere ricordi molesti, ma rispose: «Mi
ritengo fortunata se non vi è possibile fare altro male che questo...
mandarmi sogni malvagi!» Un tremito di disgusto le distorse la bocca.
Di colpo arretrò e sollevò di nuovo la frusta.
«Angelo, conte Fioresi», gridò con voce altisonante, «ti sei
nutrito della tua ultima vittima... vampiro!»
La sua risata risuonò alta.
«Per tre mesi ti ho tenuto in catene e ho visto la tua forza
diminuire e crescere il tuo malvagio appetito!»
Di colpo l'uomo dette violenti strattoni alle catene, ma il furore
esaurì le sue forze, e ben presto egli ricadde esausto, lasciandosi
andare contro la parete, con le spalle abbandonate.
«Un tempo avresti potuto infrangere quelle catene», riprese la
donna, sorridendo crudele e trionfante, «se non avessi inciso la
croce su ogni bracciale! Ormai qualsiasi semplice catena può
trattenerti, credo!»
Egli fece per risollevarsi appoggiando le mani al muro.
«Madonna», disse a mezza voce, «la mia vita è alla vostra mercé;
potete concluderla a vostro piacimento. Nessuno potrebbe biasimarvi
se mi procuraste la morte. Ma perché traete piacere dai miei
tormenti?»
«Hai bisogno di chiederlo?» esclamò la contessa in un acuto tono
angosciato... ultimo residuo della fanciulla ch'era stata non più
tardi di tre mesi prima. «Proprio tu, giunto a questo castello come
mio pretendente, che hai ingannato mio padre fingendo di essere il
nipote del suo più vecchio amico? Quante volte ha conversato con te,
dicendo di avere l'impressione, quand'era in tua compagnia, che
l'amico della sua infanzia fosse tornato dalla tomba? Non sapeva
quanto fosse vicino al vero!»
il conte scosse la testa.
«No», disse con voce stanca, «se volete ripetere quella vecchia e
triste storia, narratela al vero. Che qualcuno come me possa tornare
dal mondo dei morti sono racconti di vecchie comari. Noi non moriamo,
ma viviamo più volte la durata d'una vita mortale, a meno che un
incidente ci tolga la vita... oppure... che ci venga vietata troppo a
lungo l'altra nostra fonte vitale.»
Il viso contorto della donna sembrò vacillare nella luce fioca.
«Sia pure così. Il tuo vecchio amico, mio padre, s'ammalò e morì;
poi toccò a Rico, mio fratello, morire d'un morbo devastante. Ultima
fra tutti Cassilda, la sorella che mi aveva fatto da madre quand'ero
restata orfana, sepolta in terra non consacrata... e ancora quando
desideravi sposarmi.»
«Madonna, voi mi chiamate demonio...»
«Puoi forse negarlo?» gridò lei «Puoi asserire d'essere uomo, tu
che non hai toccato né cibo né acqua per mesi da quando sei qui
rinchiuso?»
«Ho ammesso di non essere un uomo simile a voi», rispose lui a testa
china. «La mia razza è assai più antica della vostra, madonna,
forse nata prima che il vostro Dio desse la potenza a quelli come voi.
Come alcuni animali, noi viviamo, superata la fanciullezza, soltanto
grazie al sangue di creature viventi. fino al mio tredicesimo anno, mi
sono creduto simile agli altri uomini. Eppure non ho ucciso la vostra
famiglia, contessa. E anche se l'avessi fatto; se l'avessi fatto? Il
vostro fratello maggiore, Stefano, è stato ucciso a duello dal sire
di Monteno, eppure i Monteno sono ospiti onorati nel castello degli
Speranza. io non so...» Sembrò fremere d'improvviso dolore... «non
so... la morte era già nella vostra famiglia quando giunsi qui.»
«Menti!» esclamò la contessa e la sferza sibilò nell'aria,
colpendo l'uomo sul viso e sul torace. Egli urlò rauco, mentre un
sorriso malvagio distorceva il viso della donna.
«Mi dà gioia sapere che puoi soffrire!» esclamò. «Soffri, come io
ho sofferto!»
La sferzata l'aveva fatto sanguinare; ella osservò le gocce rosse con
uno strano sorriso soddisfatto.
«Fate attenzione, madonna», disse Angelo, conte Fioresi, in un
sussurro. «Io cerco il sangue degli uomini per non morire; ma voi lo
cercate per il vostro piacere.»
Ella sollevò di nuovo la sferza, poi abbassò il braccio.
«Perché non dovrei perseguire la tua morte?» esclamò. «Perché
non dovrei ucciderti? Perché non dovrei liberare il soave mondo di
Dio da un essere quale tu sei?»
«Perché i vostri sogni sono tanto malvagi?» domandò lui sommesso,
«e perché un tempo mi avete amato, madonna? Il vostro Dio ha
proibito la vendetta per i suoi credenti. Perché non potete
risparmiarmi, lasciandomi alla sua vendetta e al suo inferno... o alla
sua misericordia?»
La contessa si voltò di scatto ripercorrendo di corsa il corridoio e
la scala a chiocciola. I suoi passi riecheggiavano nella notte. E
Angelo, conte Fioresi, uomo, mostro, vampiro, qualsiasi cosa fosse, si
nascose il viso tra le mani e pianse.
La contessa spalancò le finestre della propria camera, tramando
mentre il vento notturno le soffiava via dalle gonne il tanfo della
segreta; avrebbe voluto inginocchiarsi, ma le parole del vampiro le
bruciavano il cuore: Dio ha proibito la vendetta.
Che sono diventata? si chiese attonita. Giaceva sul
grande letto, timorosa di addormentarsi, tanto grande era l'orrore del
sogno che la visitava. era un malvagio incantesimo del vampiro
incatenato, si disse: eppure così grande era il terrore, durante le
notti di luna piena, che non osava chiudere gli occhi. Giacque,
riandando con la mente a com'era riuscita a imprigionare l'essere
malvagio in forma umana che ora languiva nella segreta.
Da quando era giunto tra loro le era sempre rimasto accanto. Ella aveva pensato che tenesse alla mano di Cassilda, perché sua sorella
era più matura e più bella di lei; e tuttavia egli dimostrava per
Cassilda solamente una strana gentilezza cortese. Era quella
gentilezza che ora ella non riusciva a raccordare con i successivi
orrori. Quando suo padre, e poi suo fratello, erano morti, aveva
pianto: «Sono sventurata; ora non mi vorrete». Ed egli, sorridendo,
aveva dichiarato: «Quando sarete mia moglie, forse la malasorte si
stancherà di perseguitarvi».
Ma sembrava che in quei giorni un'oscura maledizione incombesse su di
loro, perché vi furono morti per tutto il villaggio, come se una
misteriosa pestilenza li perseguitasse. Infine anche Cassilda era
morta, anche se il cappellano del castello, padre Milo, ne aveva
nascosto il corpo a Teresa.
Quel giorno Angelo si era recato dove ella stava piangendo, nei pressi
della cappella... ahimè, soltanto ora le tornava in mente che egli
non si era mai inoltrato oltre la porta della cappella... le belle
fattezze distorte di quel che sembrava sincera pietà. Era stata in
realtà infernale ipocrisia?
«Teresa, Teresa non sopporto di vedervi tanto sola!»
Che cosa sarebbe successo, si chiedeva ora, se avesse ceduto alle sue
implorazioni? Sarebbe entrato con lei nella cappella? I segni di croce
di Teresa l'avevano trattenuto saldamente; avrebbe potuto davvero
sposarla?
Avrebbe forse Teresa raggiunto il proprio scopo legandolo grazie al
Sacramento... ?
Quella sera padre Milo, i lineamenti contratti e tremante per
l'orrore che lo pervadeva, l'aveva trascinata nella cappella,
benedicendola col segno della croce, e l'aveva fatta sedere su una
panca, restando dritto davanti a lei, il volto teso per il dolore e
l'orrore. Dapprima Teresa aveva ascoltato confusa il suo racconto
sconnesso di strane morti nel villaggio, dei segni trovati sulla gola
del padre e del fratello, del sospetto di orrori ancor più terribili
legati alla morte di Cassilda. Soltanto con lenta incredulità s'era
resa conto di quel che le stava dicendo... quelle morti erano opera di
un vampiro!
«Ma si tratta soltanto di ignobili superstizioni», aveva protestato.
Il prete aveva scosso la testa.
«No, è opera del demonio, compiuta da qualcuno in combutta con
quello stesso demonio!» le aveva risposto padre Milo, il volto
contratto e pallido. Lentamente, parola dopo parola, l'aveva convinta.
Ma anche allora aveva creduto solo in parte ai terribili racconti del
prete... il conte era stato visto volare dalle finestre della torre
vecchia in forma di pipistrello, una santa donna del villaggio aveva
fiutato odor di sudario e muffa di bara quando le era passato accanto;
ma quando finalmente si fu convinta a credere, s'era inginocchiata ai
piedi del prete, mentre una furia di rabbia e di terrore le sorgeva
dal cuore.
«Che cosa possiamo fare?» aveva chiesto, e padre Milo aveva risposto
gravemente:
«Quella creatura deve morire.»
«La morte sola non sarà sufficiente!» aveva gridato lei angosciata,
il viso bianco come il velo che aveva sul capo. «Ricordo... ricordo
la notte prima che lei morisse. Cassilda venne al mio capezzale e
pianse; e io... io non compresi perché!»
Padre Milo le aveva posto una mano sul capo. «Sopportate con coraggio
quanto debbo dirvi, figliola: Cassilda è morta di propria mano, per
paura di quello stesso fato!»
Teresa aveva gridato per il dolore. «La morte soltanto non può
essere sufficiente per quel mostro! Deve soffrire... soffrire come la
mia famiglia e io abbiamo sofferto!»
«La vendetta appartiene soltanto a Dio», aveva ribattuto il prete.
«Non ne sono sicuro, ma ho udito che codeste mostruose creature del
demonio... non possono morire veramente, ma vivono nelle loro bare,
risorgendone per cercare il sangue degli esseri viventi. Figliola,
devo recarmi a Roma per ottenere la dispensa a combattere questa...
questa cosa, così che ce ne possiamo liberare per sempre.»
«Dovete partire stasera stessa.»
«Ma prima dobbiamo metterci tutti al sicuro», aveva risposto il
prete, «in modo ch'egli non possa farvi danno né distruggervi come
ha fatto con la vostra famiglia. Fate attenzione, ma non dimostrate
alcun mutamento nei vostri modi, così che non abbia motivo di
sospettare che sappiamo chi egli sia veramente. Poi, quando sarò
tornato, potremo distruggerlo e mandarlo nella morte reale dentro la
sua bara perché Dio nella sua infinita misericordia lo punisca o lo
perdoni.»
Teresa s'era coperta il volto con le mani. «Un essere uscito dalla
tomba e io l'ho amato!» aveva bisbigliato. «La misericordia di Dio?
Voglio vederlo bruciare all'inferno per l'eternità!»
Il prete si era segnato, scotendo tristemente la testa. «Mi addolora
sentirvi proferire parole tanto malvagie!», aveva ribattuto. «Volete
porre limiti alla misericordia di Dio?»
«Per quel demonio, si!»
«Eppure, figliola, un gran santo disse una volta a Satana medesimo:
'anche a te io prometto la misericordia di Dio, quando l'avrai
invocata. Pensateci, Teresa: il conte Fioresi è un valente soldato e
un cortigiano galante. ha sopportato per molti anni questa maledizione
del demonio e dev'essere per lui un vero inferno star lontano dalla
vista di Dio. Potete voi negare che un giorno Iddio misericordioso
abbia a perdonarlo?»
«Se lo pensassi», aveva esclamato Teresa con veemenza, «troverei un
modo per tenerlo lontano per sempre da quel perdono... per farlo
vivere e soffrire come me e i miei»
Il prete aveva risposto semplicemente: «Siete sconvolta e non c'è da
esserne stupiti. Pregate Dio che vi perdoni le vostre parole
inconsulte». Le aveva porto una mano per farla rialzare. «Stasera
devo partire; andiamo nella vostra stanza, dove ci renderemo sicuri.»
Con le proprie mani aveva inciso il segno della croce sopra ogni porta
e finestra, aspergendole con acqua benedetta. Aveva lasciato per
ultima la porta principale, ma quando s'era volto verso di essa Teresa
aveva provato un improvviso, pungente terrore. Neppure per salvare se
stessa dalla morte poteva sopportare di essere segregata tra gli
incanti, anche se incanti sacri.
«Questa la sigillerò io stessa col mio crocifisso quando sarò
dentro,» aveva detto e in quel mentre le si era delineato nel cuore,
improvviso e completo, un piano.
«Forse è meglio così», aveva risposto cogitabondo il prete. Aveva
tratto da sotto la tonaca una piccola fiala. «Dategli questa nel
vino», disse, «e Dio ci perdoni, figliola, ma per lo meno lo
manderà prima alla morte. Quando sarò tornato da Roma affronteremo
il vampiro con la picca e col fuoco.» Con riverenza le aveva porto la
corona del rosario. «Questo è stato benedetto da un grande Santo ed
è un retaggio della mia famiglia. Gli impedirà di risorgere dalla
tomba fin quando non sarò tornato.»
Le aveva posto una mano sul capo, per benedirla. «E badate», aveva
aggiunto con tono severo, «di dimenticare quegli insani pensieri di
vendetta! Vi comando, pena la salvezza della vostra anima, di pregare
per quella sperduta pecorella di Dio; pregate per l'anima di Angelo
Fioresi.»
Ma le sue parole erano cadute sopra un cuore inaridito. Teresa aveva
chinatola testa, e dentro di sé aveva gridato: «Mai!»
Aveva preparato con le proprie mani il cibo e le bevande per il primo
tratto di cammino del prete; ma dopo avergli augurato buon viaggio e
appena il suo palafreno si fu avviato, s'era voltata con il primo
sorriso crudele sul volto, frantumando con le mani la piccola fiala.
«Non tornerai», aveva sussurrato, «e mia sarà la
vendetta!»
Allontanandosi dal portone aveva incontrato lo sguardo sorridente del
conte Angelo, e s'era sforzata di sorridere e di porgergli la mano per
il bacio.
«Perché il prete ci ha lasciati?»
«Per assicurarsi licenza per le nostre nozze», gli aveva risposto
con decisione.
«Siamo dunque soli?» Il conte l'aveva attirata a sé sorridendo.
«Che il suo cammino sia rapido!»
Ma sulla sua fronte era comparso uno strano corruccio, e Teresa ne era
rimasta sgomenta al punto da sottrarsi al suo bacio.
«Non ora!»
Era rimasta sveglia, quella notte, sentendosi come la capra incatenata
al paletto per attrarre il puma a caccia di preda, il viso rischiarato
dalla debole luce proveniente dalla porta socchiusa, in attesa del
paso e dell'ombra, di nere ali che passassero la soglia. Terrorizzata,
s'era stretta al petto la croce, riflettendo; è dunque vero che il
vampiro si muove con passo silente, inavvertibile come il gatto o uno
spettro.
Lentamente, l'ombra s'era chinata fino a che le labbra piene le
avevano sfiorato la gola poi, come se fingesse il risveglio, ella
aveva mormorato: «Angelo?»
«Amor mio...»
«Aspetta», aveva sussurrato Teresa, stringendo freneticamente la
croce, «la porta è socchiusa.»
«Non credo», aveva bisbigliato egli voltandosi, ma con passi
affrettati Teresa era corsa alla porta, chiudendola con forza e
legando il catenaccio col crocifisso. «Ora», aveva esclamato, bianca
come il suo abbigliamento notturno, «vedremo se ti sarà facile
uscire come sei entrato, Angelo, conte Fioresi... demonio, mostro,
assassino... vampiro!» Era corsa verso di lui, tenendo sollevato il
lume. Il conte s'era voltato di scatto come una bestia in pericolo di
morte, correndo verso la porta sigillata col crocifisso, poi verso
l'altra porta, invano.
Con voce inquietante Teresa aveva detto: «Finora non l'avevo creduto,
neppure per metà. sembrava una menzogna mostruosa, ma quanto vera,
adesso!»
Il conte aveva proteso le mani verso di lei, che aveva alzato la croce
per tenerlo distante, ma sebbene s'aspettasse che le si precipitasse
contro, pronto a uccidere, non s'era mosso. «Teresa», aveva
implorato, «non è ciò che pensi. Ti prego... ti supplico, ascoltami
prima che sia troppo tardi.»
Ma, irata e furente, non aveva voluto ascoltare. Aveva afferrato la
sferza avventandola su di lui, in una pioggia di colpi sul viso e
sulle spalle. Egli aveva gridato, e con un movimento rapido, le aveva
strappato la frusta dalle mani per scagliarla sul tappeto.
«Badate, signora», le aveva detto con voce intensa, «io conosco
molte cose che voi ignorate. E vi dico, Teresa, che in questo momento
correte un pericolo più mortale del mio. Volete ascoltarmi...
ascoltarmi solo per un momento, per amore del vostro defunto
genitore?»
«Ascoltare te, mostro, assassino, spettro vivente?» aveva
esclamato Teresa; un sorriso lugubre gli aveva attraversato il viso.
«Di nuovo l'antica fola che risorgo da una funebre bara? No, signora,
non ho mai conosciuto la morte, non ancora. Né desidero morire, per
ora. Ma se adesso mi ucciderete, sarete voi in pericolo, quindi
ascoltatemi»
S'era mosso di nuovo verso di lei, come se avesse voluto afferrarla e
costringerla ad ascoltarlo, ma ella aveva afferrato il crocifisso che
stava sull'inginocchiatoio, protendendolo dinnanzi a sé. Egli s'era
ritratto, e Teresa aveva esultato. «Dunque è vera quella
superstizione?» Egli si era acquattato, il viso nascosto dal braccio
levato.
«È vera in parte, Teresa; non posso farvi alcun male fin quando
portate quel simbolo della vostra fede, quel segno che vi mette sotto
la protezione di Dio. Ma per l'ultima volta vi prego...»
«Vuoi adescarmi con le parole?» aveva gridato lei. Il crocifisso
stretto nel pugno, aveva raccolto la sferza colpendo la figura
contratta del conte. Egli aveva fatto un passo indietro, seguito da
lei che seguitava a sollevare e abbassare la frusta. «Dunque puoi
sanguinare e soffrire?» aveva esclamato con tono di trionfo.
«Proprio come voi», aveva mormorato il conte, cadendo sulle
ginocchia. Proteggendosi con la croce, Teresa aveva brandito la
sferza, assaporando ogni colpo sordo e le striature di sangue che a
poco a poco segnavano il corpo del conte. Infine lo aveva sovrastato,
ansante; egli giaceva privo di sensi e insanguinato ai suoi piedi.
Guardinga, timorosa che quello svenimento fosse una finzione, Teresa
era corsa fino al forziere estraendone le pesanti catene. Guidato
dalle sue fragili dita un anello di diamanti aveva inciso la croce sui
bracciali che avrebbero serrato polsi e caviglie del conte. Aveva poi
chiamato Rondo, il sordomuto, e col suo aiuto aveva trascinato il
conte per tutta la lunga scala e, tremante, aveva assicurato le catene
alla parete della segreta. poi, colma di disgusto e d'orrore ma pure
di soddisfazione per aver dato inizio alla vendetta, era caduta quasi
priva di sensi sul letto.
«Spalanca la finestra» aveva indicato a cenni a Rondo, «sto per
svenire!»
Quando il muto se n'era andato, aveva dormito, ma i suoi sogni erano
stati terribili. Le era sembrato di alzarsi e di trascorrere come un
silenzioso fantasma per tutto il castello, e intanto la sua mente
veniva percorsa in modo confuso da cruenti orrori di sangue e volti
spettrali. Si era risvegliata per scoprire che durante il sonno aveva
camminato ed ora si sporgeva per metà dalla finestra.
Mi ha forse stregata? s'era chiesta, lasciandosi cadere di
nuovo sopra il letto per riaddormentarsi al primo apparire dell'alba.
Si era risvegliata all'imbrunire ed era discesa tremante nella cripta;
ma le sue paure si erano dissolte alla vista del suo nemico in catene.
Era incominciato così il rito della discesa serale nella cripta...
Mentre i giorni scorrevano, quel rito l'assorbì sempre più, finché visse solamente per il momento in cui giungeva di fronte all'uomo
incatenato, fissando i suoi occhi fieri simili a quelli d'un falco in
gabbia, e ancorché le sue suppliche diventavano un tormento troppo
grande, le metteva a tacere con la sferza crudele sulla quale aveva
inciso la croce perché non potesse più strappargliela di mano.
I sogni malefici continuavano a tormentarla. L'incantesimo sembrava
diffondersi in tutto il castello, perché alcuni servitori fuggirono e
altri vennero a riferirle storie di morte nel villaggio, ma ella li
scacciava come mosche petulanti. Il portatore di morte, pensava, è
saldamente incatenato nella segreta; non possono ascrivere quelle
morti a visite soprannaturali, né tutte le morti potevano avere una
simile causa! Era impaziente e crudele con loro, in fremente attesa
del momento in cui sarebbe discesa per pascersi delle sofferenze del
suo prigioniero, per poi tornare a dormire il sonno dell'estrema
prostrazione.
La gente del villaggio mormorava per il mancato ritorno di padre Milo,
e mandarono alcune anziane donne dalla contessa per pregarla di
trovare un altro sacerdote. «Volete darmi ordini?» aveva urlato
Teresa, percorrendo avanti e indietro la sala a passi irosi; e quando
la delegazione se ne fu andata rimase orripilata a fissare la propria
immagine nello specchio: penseranno che sia pazza!
La luna crebbe e calò per tre mesi, senza portare grandi mutamenti.
Giunse infine una notte in cui Angelo quasi non si mosse quando ella
gli parlò, ma giacque apparentemente privo di sensi tra paglia e
catene.
Finalmente aperse gli occhi e mormorò: «Saziatevi della mia
disperazione, madonna. La fine è prossima. ma vedo che siete sempre
più in pericolo. per la vostra salvezza, vi prego; ponete fine a
tutto questo.»
«Ma come», lo schernì lei, «il demonio sta male, il demonio vuol
farsi frate! Devo scegliervi come sacerdote in sostituzione di padre
Milo?»
«Non sono un mostro» le rispose, «anche se non posso biasimarvi
perché così credete. Eppure, Teresa, io sono qui saldamente in
catene. Perché, dunque, la vostra gente muore?»
Insensibile, ella scrollò le spalle. «Di quelli ne muore sempre
qualcuno. Sono forse responsabile di loro, anime e corpi?»
L'essere incatenato le dedicò un intenso sguardo scrutatore. «Un
tempo non avreste parlato così. Eravate gentile e pia.»
«Se sono diventata un demonio infernale, chi altro se non voi mi ha
resa così?»
Egli quasi scoppiò a ridere. «No, no, vi siete messa al sicuro da
me, ma forse demonio vi siete fatta da sola.»
«Silenzio» sibilò la donna, «Silenzio!» Calò con forza la
frusta, e con un grido terribile l'uomo cadde, con le labbra ferite e
sanguinanti.
Teresa lasciò cadere la frusta e s'inginocchiò acanto a lui. «Hai
detto il vero», riflettè, «la fine è prossima. Lasciamo che
giaccia qui per sempre.»
Il crocifisso che ancora portava al collo oscillava gettando una
strana ombra sul prigioniero, e un pensiero fugace la colse:
ho avuto la mia vendetta. Non è troppo tardi per deporre l'odio e
fare come mi aveva detto padre Milo; porre fine alle sue sofferenze e
rinviarlo alla misericordia di Dio. mi basta colpirlo al cuore. ha
detto che non può risorgere da morte. E potrei pregare per lui,
facendo penitenza con le preghiere per i morti. Così anch'io tornerò
alla provvidenza di Dio. E Angelo... Angelo tornerà a quella polvere
a cui dovrebbe appartenere da tempo, e la sua anima volerà a subire
il castigo che Dio vorrà.
Aveva la strana impressione che la segreta fosse ricolma di spiriti
attenti; era come se fosse un crocicchio in attesa che una vittima
venisse impiccata o perdonata, e la vittima era lei stessa. poteva
metter da parte l'odio e implorare misericordia, oppure...
Le sue labbra si piegarono in un sorriso d'estrema crudeltà. Mai, mai
avrebbe rinunziato al piacere che tutto ciò le procurava! No,
lasciamo ch'egli soffra, lasciamo che soffra per sempre! A che serviva
il perdono divino? Fuori di là Dio disponeva di ben altri domini!
«È dunque troppo tardi», disse l'uomo. Teresa fece per ritrarsi,
ma, inesorabile, il conte si rialzò a sedere, la tenne stretta con
forza, poi si stappò i ceppi dai polsi e dalle caviglie.
Con un grido acuto, Teresa cadde all'indietro e tentò di rialzarsi.
Inciampò nella frusta abbandonata al suolo e scivolò sulle pietre
mentre Angelo correva verso di lei, la sovrastava.
«Avrei potuto salvarti», le disse. «Ripensa, Teresa, ai tuoi sogni
terribili. Non sono forse iniziati prima ch'io giungessi al castello
degli Speranza? Molti anni or sono, una delle donne Fioresi venne in
moglie a uno Speranza; e io sapevo che almeno uno della vostra
discendenza sarebbe stato... interamente del nostro sangue. Se fosse
stato Rico, l'avrei preso come scudiero al mio servizio, per
riguardarlo e proteggerlo. Ti... ti avrei salvata», disse con voce
quasi impercettibile, «avrei avuto cura di te come qualcosa di più
prezioso della mia vita. Ti ho sorvegliata, ho badato a te,
mantenendoti nell'innocenza inconsapevole di quel che eri, anche se sono
giunto troppo tardi per salvare tuo padre...»
Teresa gridò d'orrore mentre quelle parole filtravano nella sua
mente, ma egli proseguì implacabile.
«Quando Rico morì, non ressi più e, disperato, cercando soltanto di
proteggerti, ne misi al corrente Cassilda. Non... non potevo
immaginare che per l'orrore si sarebbe uccisa. pensavo soltanto che,
insieme, avremmo potuto proteggerti fin quando fossi riuscito a
renderti edotta senza danno di quel che eri. Avresti potuto accettare
il tuo destino... non come qualcosa di cui avere orrore, ma
semplicemente come una diversa condizione di vita; una diversa natura
che vive innocua secondo altre leggi. No,
non ho assassinato i tuoi»,proseguì, «Ho
vissuto così per duecento anni. Fin dal primo anno in cui appresi
quale fosse la mia natura, nessun uomo è... è morto per il mio
tocco; io so come... vivificarmi... facendo non più danno di una
sanguisuga. Non sono né malvagio né crudele, madonna, perché io
vivo come mi compete.»
Si chinò su di lei, che si ritrasse, folle di terrore, tendendo verso
di lui il crocifisso.
«No», disse il conte con
dolcezza, prendendola per le spalle, «non
può più proteggerti.»
Proseguì, quasi con tristezza:
«Mi è stato insegnato a
temerlo; mi è stato instillato, nel più profondo del cuore e della
mente, a non toccare mai nessuno che si richiamasse con sincerità
alla misericordia di Dio. Fin quando ancora ignoravi la tua vera
natura, Teresa, fin quando la tua fede e la tua pietà erano sincere,
non potevo procedere oltre quel simbolo. E la croce che hai inciso
sulle mie catene, pensando, mentre lo facevi, che così avresti
protetto altri dal male che potevo far loro, era per me una barriera.
Ma ora sei malvagia. Hai respinto gli insegnamenti della fede. Non
puoi più fare appello a Dio perché ti protegga. ormai la croce per
te è solamente un simbolo inerte, e non può trattenermi.»
le strappò il crocifisso dal collo, lo fissò con sguardo triste e lo
depose lontano.
«Può darsi che io non abbia mai
avuto un'anima», osservò con voce stanca, «ma
tu, Teresa, hai gettato la tua. Sei troppo mostruosa per poter vivere,
anche tra la mia gente.»
L'ultima cosa che la contessa vide fu il suo volto, distorto dalla
pena, disfarsi in un'ombra sanguigna in cui ella affondò come morta.
diverse ore dopo la gente del villaggio si radunò per guardare il
castello degli Speranza rovinare tra le fiamme, e nessuno notò un
tranquillo uomo dal viso sfregiato che silenziosamente s'inoltrava a
cavallo nella foresta, piegato dalla sofferenza, rannicchiato sulla
sella per il dolore e la pena. Non si volse a guardare le fiamme, ma
continuò a cavalcare con la testa china sul collo dell'animale,
gemendo di continuo: «Teresa!
Teresa! Teresa!»
* da Le
più belle storie di Marion Zimmer Bradley
(Longanesi,
1990)
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