Aveva individuato il Bracconiere percependolo nella testa, come un
pensiero improvviso: qualcosa di molto simile a
un fetore, fiato e gas intestinali che cantano con voce di pazzia.
Cacciare la preda, oh sìììììì! farla a pezzi...
Nutrire la bestia nascosta nel cuore...
Il viceispettore Giosuè Bonetti si era guardato freneticamente
intorno sperandodi riuscire a scorgerlo. Ma non era facile con tutto
quel movimento allucinato di teste di schiene di braccia, facce
grigie, labbra truccate...
Nella discoteca all'aperto regnava la follia: corpi sudati premevano
da ogni parte, dimenandosi, contorcendosi.
All'una di notte, ormai, non c'era nemmeno più lo spazio per stare in
piedi, figuriamoci.
Schiacciato nella ressa, Bonetti chiuse gli occhi al sussulto
impaziente del proprio cuore. Devo stanarlo, pensò, rispedirlo
nell'abisso da cui è venuto...
Ruotando la testa di qua e di la, come un'antenna umana, cercò di
restare aggrappato alla traccia, di non lasciarsela sfuggire.
Si sforzò. Ce la mise tutta impegnandosi al massimo.
Col volto teso a percepire sul fiore della pelle la carezza tiepida
dell'enorme luna estiva gonfia di rosso che splendeva lassù: triste
triste, si rivolse all'interno di se stesso e provò a sintonizzarsi
sull'onda crescente del proprio sangue, un tentativo come un altro.
E lo stratagemma sembrò funzionare: senza alcun palpito di preavviso
il suo occhio interiore, acuto come una lama di rasoio, si spalancò
al centro esatto della sua mente, strappandogli un gemito soffocato.
Agitazione, sensazione di forza ora.... desiderio.
E riuscì a vederlo, finalmente.
Contrazioni di sguardi smarriti persi nel vuoto.. .
Il Bracconiere si stava dirigendo verso le costruzioni prefabbricate
riservate ai servizi igienici, proprio a ridosso della recinzione
posteriore. E non era solo.
Come un ragno che cammina tessendo la sua tela, stava trascinandosi
dietro una giovane vergine non tanto alta, bionda e sorridente, una
preda come un'altra. Con quella sua gola bianca e tutti quei circuiti
azzurri che le pulsano sotto alla pelle. ..
Giosuè Bonetti spalancò le palpebre di colpo uscendo dal trance
forse un po' troppo in fretta. Lo sforzo gli fece partire un paio di
capillari e una lacrima di sangue gli calò da una narice, fino a
lambirgli il labbro superiore: se la leccò con la punta della lingua.
E subito dopo sorrise, cercando di ignorare le fitte sorde che
pulsavano laggiù: nel profondo di se stesso.
Una brutale rullata in tre quarti percorse la spirale di casse
pneumatiche disposte lungo i bordi della pista. 'I tuoi occhi sono
come gocce di sangue su di me... " ruggiva Camus Babb, il
vocalist dei Mastema, segnando la sua barbara sillabazione al ritmo di
una Fender Stratocaster distorta all'inverosimile.
Con la mano destra infilata nella tasca del giubbotto, stretta
sull'impugnatura zigrinata della pistola da macellazione, Bonetti si
fece largo nella calca danzante. Si sentiva sfinito, spaventato, e
anche un po' sperduto... Insopportabile ogni attimo scandito dalla sua
consapevolezza. Di disgusto per quello che era. Di gioia, di dolore.
La sua identità era diventata un nucleo attorno al quale si
addensavano gli istanti che muovevano la sua vita: una successione di
fragili momenti spezzati al di fuori da ogni controllo.
Proprio di fronte alla baracca dei servizi, un gruppo di 'skin' già
parecchio bevuti, bisogna dire vedendolo arrivare e accorgendosi del
suo cranio pelato, lo scambiarono per un camerata e allora alzarono le
bocce di whisky per invitarlo a bere. Bonetti concesse loro solo una
rapida occhiata e passò oltre, sprezzante più che mai; ma poi parve
ripensarci e tornò rapidamente sui suoi passi; si frugò nelle
tasche, sfoggiò il muso più duro che aveva in dotazione guardandoli
ad uno ad uno, poi mostrò il tesserino da poliziotto ordinando
seccamente di scavarsi dai coglioni: e in fretta! Uno della ghenga
probabilmente il capo a giudicare dal cipiglio da brutto canchero
notando il suo aspetto esile, si fece avanti con i pollici infilati
nelle tasche e la testa reclinata da una parte e prese a fare il
'grosso', organizzandosi subito con un bel sorrisino strafottente
stampato sulla faccia: "Non ci fai mica paura, sai?", disse,
con fare minaccioso "questurino del mio cazzo..."
Ma poi precipitò nello sguardo del poliziotto, ...nei suoi occhi così
chiari, Così grandi... così? e provò una dolorosa sensazione di
dilatazione dentro alla testa, come se le vene gli si stessero
gonfiando. Allora si bloccò, come sull'orlo di un precipizio,
lasciando che i pollici gli scivolassero fuori dalle tasche delle
braghe di pelle nera; poi si prese il capo fra le mani e indietreggiò
di un passo sopra a un paio di gambe diventate improvvisamente troppo
molli senza riuscire a trovare la forza di scollare il proprio sguardo
dalle pupille trasparenti del poliziotto.
Bonetti a quel punto parlò di nuovo, e cercò di farlo senza lasciare
che trapelasse l'impazienza nel tono della sua voce: "Andatevene
vi ho detto!"
mormorò a denti stretti; poi smise di fissare il 'grosso' che
finalmente poté sospirare per il sollievo ed asciugarsi le lacrime
che gli sgorgavano dagli occhi puntò l'indice in avanti e aggiunse,
quasi in un soffio: "Che vi conviene... ".
E loro, stavolta, non se lo fecero dire due volte e sgombrarono
precipitosamente il campo allontanandosi in direzione della pista
centrale. Bonetti aspettò che scomparissero, ingurgitati dalla calca
danzante e solo allora grugnì soddisfatto. Meno male, pensò. Era
meglio non doversi preoccupare di un branco di scomodi testimoni,
anche se stronzi, anche se strafatti..,
Dopo aver controllato, a destra e a manca, si scacciò una maledetta
zanzara da una guancia, girò il culo e s'infilò nella baracca e si
guardò attorno con circospezione: tutto fermo, tutto immobile, non
c'era neanche un cane là dentro, per fortuna. Probabilmente doveva
ringraziare il gruppo di 'skin': nessuno si era arrischiato ad
affrontare le loro facce, e le loro bottiglie, solo per farsi una sana
pisciata o una cagata o cosa cazzo...
Con le narici tese allo spasimo e il cuore a regime di tempesta,
percorse il piccolo corridoio fino a raggiungere quello che doveva
essere il bagno delle femmine e lì si trovò di fronte a una porta
chiusa, allora tirò fuori di scatto la pistola e la puntò avanti.
Inspirando una profondissima boccata dal naso, accolse il sentore di
sangue e di feci versate che impregnava pesantemente l'aria.
Si udivano dei gemiti provenire da dentro, accompagnati da rumori
acquosi, come di fango calpestato.
Avvertendo un brivido gelato percorrergli il rilievo della spina
dorsale, nonostante il caldo assassino, Bonetti strinse più forte il
calcio della pistola; la canna tremava impazzita. Spogliandosi
definitivamente della sua paura, con un calcio e un grido, sfondò la
porta del cesso e irruppe all'interno.
La vergine era ancora viva.
Era stata costretta supina, con la schiena adagiata sulla tazza, i
capelli lunghi e biondi a spazzolare il pavimento incrostato di
sporcizia, e i piedi che si muovevano avanti e indietro: molto
lentamente. Un gemito gorgogliante fuoriusciva dal buco di sangue che
aveva al posto della bocca: la lingua le era stata strappata per
impedirle di gridare. Il Bracconiere, inginocchiato di fronte a lei,
se la stava risucchiando con passione, maiale che non era altro: si
era aperto un varco con gli artigli nel suo addome lacerando e
spostando le viscere fino a mettere a nudo il grosso cordone violaceo
che costituiva la vena cava inferiore e lì si era attaccato come alla
canna di un rubinetto, i denti aguzzi infissi nel tessuto spugnoso e
le labbra protese immerse nel sangue in un tripudio di bollicine
schiumose.
Bonetti mosse un passo sul pavimento crivellato di spruzzi. Il
Bracconiere aveva sollevato la testa girandosi di scatto: gli occhi
pervasi di luce rossastra, la bocca grondante di sugo forzata in un
verso risentito molto simile a una risata.
Si guardarono per un attimo che parve interminabile, come in uno
specchio: due facce pallide e scarne con la stessa espressione di
rassegnato stupore.
Le mani del Bracconiere continuavano a muoversi veloci e dispettose
sulla carne, massacrandola, animate da un orrido riflesso
incontrollato...
Bonetti atteggiò le labbra in una smorfia raggelata ed inghiottì un
fiume di saliva, poi tirò il grilletto mirando al centro della
fronte.
Con un'esplosione secca, il chiodo da macellazione s'infisse
profondamente nell'osso cranico e il Bracconiere ululò rabbiosamente:
"Uhnnnnnnnn!". Artigliò l'aria vuota muovendo le braccia in
fretta come a volersi alzare in volo.
Rigurgitò uno sbocco di vomito che timbrò le piastrelle smaltate
della parete con un complicato merletto di sangue mal digerito; infine
cadde in avanti, cominciando subito a disgregarsi accartocciandosi su
se stesso.
La ragazza non doveva avere più di sedici anni e stava soffrendo le
pene dell'inferno: i suoi occhi apparivano fiaccati, scoloriti per il
dolore, come se le pupille fossero imbevute di siero di latte.
Cristo, che modo plateale di fare le cose, pensò Bonetti, mentre
spingeva via col piede quel poco di materia fumante che restava del
corpo del Bracconiere. Si chinò sulla ragazza traendo respiri
affannati dal bordo delle labbra.
Affascinato e angosciato insieme da tutti quei lamenti, cercò di
farsi plagiare da un attimo d'indifferenza. Non era proprio il caso,
proprio adesso, di farsi venire una delle sue solite crisi di
coscienza del cazzo.
Attanagliato da una moltitudine di pensieri imprecisi, al di fuori di
ogni controllo pensieri per lo più ricolmi di desideri di oscenità e
di angoscia si fece forza ed esplorò la ferita sul ventre di lei.
Senza rendersene conto aveva attivato i propri charismi mentali e
adesso il sangue si agitava fermentando nello squarcio, come una cosa
viva. Era come se cercasse di allungarsi verso di lui, per contagiarlo
inumidendo di rosso la sua espressione disperata.
Quasi come in una sorta di ribellione interiore, Che cosa sono...
... che cosa sono diventato...
si sollevò di scatto riguadagnando la posizione eretta e si guardò
attorno, con un certo stupore. La testa gli girava
come una trottola per la debolezza, gli ultimi sprazzi di energia se
ne erano andati irrimediabilmente per i cazzi loro, in poche parole:
era stanco come una bestia. Del resto, non era facile mantenere
sgombri i propri spazi riservati. Occorreva stare in orecchia,
vigilare, eliminare tutti quanti i maledetti Bracconieri. Durante il
periodo estivo, poi, le cose si complicano, perché il sangue
soprattutto di sera con quella luna che se ne sta appesa nel cielo così
grande e così matura che sembra quasi che ti possa cadere sulla testa
da un momento all'altro e più scuro, più fluido, più appetitoso,
roba per cui vale la pena boccheggiare, insomma.
La ragazza lanciò un gemito sottile. E Bonetti, tanto per confondere
le acque, si sforzò di emettere una risata, ma gli riuscì solo un
verso isterico e gorgogliante come di vomito sputato in un pozzo nero.
Non infilava qualcosa nello stomaco da almeno una settimana se non di
più e se andava avanti così sarebbe finito in niente.
Con un gesto così lento da sembrare persino studiato, spalancò la
bocca azionando i muscoli mandibolari per snudare le zanne.
Poi si chinò sull'addome squarciato con le labbra frementi e la
lingua protesa, come sopra a un frutto.
*Dal Sito Incubatoio
16 Tratto
da AA.VV., "Sospeso", Editrice L'Entronauta, 94
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