Gianfranco Nerozzi è uno dei migliori scrittori italiani, grazie alla sua
prosa la bistrattata letteratura horror assume un certo prestigio: un valido esempio è il suo capolavoro dal titolo L'Urlo della
Mosca, assolutamente imperdibile per gli amanti del genere. Con "Ogni respiro che fai"
è riuscito ad uscire vittorioso dal confronto con il vampiro proponendoci una
nuova immagine di questa creatura della notte che, seppur nella sua diversità,
è più simile a noi di quanto immaginiamo.
Il Catafalco gli ha fatto qualche domanda...
IL CATAFALCO: Qual
è stato il suo primo incontro con il vampiro?
NERO:
Nei
film indimenticabili con Cristopher Lee. Quando ero piccolino. Ricordo
che si raggiungeva il cinema a piedi, circa due chilometri di strada,
dalla periferia del paese. Dopo si tornava a casa che era già buio, e
quando passavamo sotto il cavalcavia dell’autostrada, l’ombra del
vampiro compariva in ogni anfratto, in ogni riflesso. L’apprensione
si concretizzava in brividi lungo la schiena, il cuore batteva forte e
provavo quell’incredibile e affascinante sensazione di paura… Poi
una volta al sicuro nel mio letto, la fantasia non si spegneva e
continuavo ad immaginarmi come possibile preda del succhia sangue,
tenevo sotto controllo la finestra con gli occhi sbarrati e un
crocefisso stretto in pugno, e sentivo caldo alla pancia mentre mi
figuravo la sagoma scura di un pipistrello stagliarsi contro il vetro,
definita dai riflessi della luna piena. Così mi addormentavo
sentendomi minacciato da un sogno strano. Ricordo anche un film di
fantascienza in televisione, che si intitolava: I vampiri dello
spazio, della serie di Quatermass, che mi spaventò/divertì da
morire; lì non c’erano dei vampiri tradizionali, però si narrava
comunque di un contagio che trasformava le persone…
IL
CATAFALCO: In Italia non sono molti gli scrittori di narrativa che si
sono cimentati con la figura del vampiro, da dove nasce l’idea di
scrivere “Ogni respiro che fai”?
NERO:
come
sempre succede, l’idea di scrivere proprio quel romanzo lì, è nata
da una concomitanza di cose. Prima di tutto da una semplice e scontata
commissione: la curatrice della collana di Adn kronos me lo ha
proposto. Io avevo già scritto un racconto intitolato Spazi
riservati, dove c’era un ispettore di polizia alle prese con un
vampiro. La fascinazione antica e mai sopita che provavo (e provo!)
per quello che si può considerare una vera e propria icona del genere
orrorifico, il vampiro appunto, mi indusse a tentare l’esperimento
di reinterpretarne il mito. Mi pareva una bella sfida. La figura del
vampiro è stato trattato in una miriade di forme artistiche:
narrative e cinematografiche. Esistono saggi sull’argomento e
persino trattati antropologici! Il vampiro compare in veste diversa in
molte mitologie, in tutti i paesi del mondo, tanto che verrebbe
persino da pensare che esistano davvero. E in un certo senso ‘essi
vivono’ sul serio, nel luogo recondito delle nostre pulsioni più
profonde. Consapevole che sarebbe stato comunque difficile riuscire
nell’intento che mi proponevo, decisi di tentare. Non volevo che i
miei vampiri fossero troppo classici. Volevo che i miei vampiri
fossero diversi, che cambiassero le cose.
IL CATAFALCO: “Ogni respiro che
fai”, come gli altri suoi romanzi, sono ambientati nel territorio
bolognese, dimostrandoci che per scovare l’orrore non è
indispensabile recarsi in magici e terribili altrove. Perché ha
deciso di far muovere Dragonero nell’Appennino Tosco-Emiliano senza
ricorrere a luoghi dove la superstizione del vampiro è endemica?
NERO:
Mi
pareva una dimensione perfetta quella: la campagna ai bordi delle
autostrade sull’Appennino tosco emiliano. Ci sono luoghi perfetti:
gelidamente isolati, paesi senza più abitanti, stazioni di servizio
sperdute… Se io fossi un vampiro, sicuramente mi muoverei laggiù.
Poi mi piaceva l’idea di ricostruire un poco l’atmosfera magica
country - on the road che si respira nel capolavoro Near Dark (Il buio
si avvicina) opera indimenticabile di quella stupenda e geniale
regista che è Kate Bigelow. Il furgone con i vetri oscurati che usa
il mio eroe vampiro è un omaggio citazione a quel film. Poi mi
serviva un posto molto isolato dove collocare la Fonderia, il luogo di
culto del Curatore, il cattivaccio della storia.
IL CATAFALCO: I vampiri di “Ogni
respiro che fai” si nutrono attraverso l’apparato respiratorio (i
reperti autoptici parlano addirittura di un quadro clinico di
emopneumotorace). Come mai ha scelto questa modalità di assimilazione
che, in un certo senso, rende in vampiri più simili agli umani,
rispetto alla classica suzione e deglutizione.
NERO:
Il
nutrimento così può avvenire in modo più diretto, certo; entrando
nei polmoni, il sangue è assimilato e messo subito in circolo. Ma
questo non è l’unico motivo per cui ho scelto una soluzione del
genere. Tutte le caratteristiche dei miei vampiri dovevano essere
subordinate al messaggio che volevo dare. Ogni respiro che fai è un
romanzo che essenzialmente tratta del senso di soffocamento che ci
prende alla gola e ci stringe quando non riusciamo più ad accostarci
a noi stessi. Respirare il sangue diventa quindi metafora di
un’impossibilità esistenziale. Così come l’idea delle falene al
posto dei pipistrelli. Al centro di tutta la vicenda descritta
compaiono luci finte e messaggi sbagliati, torme di giovani sono
attirati verso miraggi di falsa luminosità. La falena testa di morto,
inoltre, rappresenta un’altra citazione, un evidente omaggio al
Silenzio degli innocenti. Al centro della vicenda, come in tutte le
storie che racconto, il contrasto fra bene e male resta confuso, la
luce e l’ombra si compenetrano. Per quello che i miei vampiri hanno
quella particolare pigmentazione nelle pupille che le fa diventare
come frammenti di specchio durante l’atto della predazione. Così le
vittime debbono subire i riflessi della propria disperazione, in un
infinito gioco di sguardi. Dragonero vampirizza solo coloro che
desiderano scappare, esseri perduti in partenza, che non hanno più
scampo e che desiderano perdersi nel nulla. Il Curatore invece
risucchia enegia cercando di rendere tutto uguale, creando esseri
privi di idee, senza un’anima vera.
IL CATAFALCO: Senza cadere nella
prolissità che caratterizza molti autori horror, lei riesce, con
poche parole efficaci, a conferire ai suoi personaggi una vasta gamma
d’emozioni che si agitano nel loro animo. Come mai i sentimenti
svolgono un ruolo così importante nei suoi testi?
NERO:
Si
dice che l’horror non sia un genere ma un’emozione. E
la cosa che cerco di fare, che faccio sempre, quando scrivo, è
parlare di sentimento. Il sentimento non è mai una cosa pulita del
tutto, perché deve fare i conti con la pulsione e l’impossibilità
interiore, con la paura e la perdita delle illusioni. I miei
personaggi sono sempre vittime dei loro stessi sentimenti, e la
vittima rappresenta l’altra faccia dell’eroe, la sua metà oscura.
Con le mie storie, voglio che i lettori si inorridiscano e si
commuovano. Precipitare in uno stato di dannazione serve per capire
dove si trova la redenzione. Nel mio romanzo, c’è questo passaggio
continuo dall’incubo alla tenerezza. Ci sono immagini estremamente
poetiche, come quando Dragonero registra con una videocamera le albe
che si perde per poi rivedersele ogni sera, quando si risveglia dal
suo sonno forzato. Oppure descrizioni di gente fatta letteralmente a
pezzi. La malinconia si alterna alla paura, la gioia al dolore:
sentimenti, emozioni, tutta roba per cui vale la pena boccheggiare!
IL CATAFALCO: in “Ogni respiro
che fai”, come anche ne “Le bocche del buio”, vediamo che il
riappropriarsi, da parte del protagonista, dei contenuti rimossi
dell’infanzia significa impadronirsi della verità e quindi
procedere verso la soluzione del problema. Perché l’aspetto
inquietante dell’infanzia assume questo ruolo decisivo?
NERO:
esistono
due zone di confine: il prima e il dopo, entrambe coincidono con il
nulla, con il non essere, quello che c’è prima di nascere e quello
che ci aspetta dopo la morte. La vicinanza dell’oltre, determina
sensibilità accentuate. Come dice King, un bambino possiede ancora
una vista a dieci decimi nei confronti dell’elemento fantastico. Una
percezione che si perde crescendo e forse si riacquista invecchiando,
quando la linea di demarcazione si avvicina di nuovo. Recuperare
quella sensibilità serve per capire i mostri che incombono. Ne ‘Le
bocche del buio’, solo i bambini possono vedere la dimensione del
Carbonaio: dentro gli specchi, sempre quelli! Il protagonista deve
riconoscere quello che è stato nella propria dimensione infantile per
riuscire a sconfiggere il buio. In questo romanzo ho dato una
particolare interpretazione della sindrome di morte improvvisa nella
culla, forse l’incubo peggiore che perseguita tutti i genitori del
mondo; nel suo ultimo romanzo Palaniuck ha scelto di trattare la
stessa cosa, dichiarando che l’horror rappresenta in questo momento
l’unica forma espressiva degna di essere vissuta. La verità è che
dobbiamo, tutti quanti prenderci delle responsabilità nei confronti
della nostra fantasia. Esplorare continuamente zone di confine, per
conoscere noi stessi, scendere sul fondo. Tornare bambini. Avere il
coraggio di spaventarci.
IL CATAFALCO: Tornando
all’infanzia, le ha scritto “Una notte troppo nera”, un romanzo
per ragazzi (godibile anche da un pubblico più attempato). Può
commentarci l’esperienza dello scrivere per bambini che,
probabilmente, implica il confrontarsi con lettori ben più esigenti
degli adulti?
NERO:
Un’esperienza
bellissima che vorrò senz’altro ripetere. Scrivere per bambini,
scrivere per la Disney: un mito ritrovato anche per un ‘duro’ come
me, grandioso! Nella fattispecie, il tipo di romanzo che si doveva
produrre doveva avere Topolino come protagonista in un mondo di umani
normali e le difficoltà d’immedesimazione con il personaggio, sono
state particolarmente dure per molti degli autori coinvolti. Io sono
stato aiutato dal tipo di storia che avevo inventato, qualcosa che
aveva a che fare con la dimensione dei sogni. E in fondo Topolino
rappresenta un sogno bello dentro il cuore dei bambini. In
fondo
occorreva trovare la maniera di fare quello che ho già detto prima,
perché è quello che occorre sempre fare! Riuscire ad avere il
coraggio di tornare bambini per guardare il mondo con uno stupore
genuino. Il libro è già alla quinta edizione e forse è quello mio
che ha venduto di più. Poi, al di là della soddisfazione o dei
successi di vendita, ho guadagnato un sacco di punti nei confronti di
mio figlio, che allora aveva nove anni. L’ho inserito con me nella
foto di quarta di copertina, me lo sono portato alla conferenza stampa
e negli incontri fatti con gli alunni nelle scuole, presentandolo come
mio socio (e consigliere ufficiale di favola) Lui è entrato nella
parte perfettamente, firmando autografi a destra e a manca. Ha pensato
di avere un padre ‘forte’ e così sono diventato il suo eroe, la
massima aspirazione di ogni papà che si rispetti.
IL CATAFALCO: Come vede il
panorama della narrativa horror in generale, e vampirologica in
particolare, in Italia?
NERO:Eccola:
la nota dolente! E’ difficilissimo farsi pubblicare romanzi horror
dalle grosse case editrici. Sembra che esista una sorta di ritrosione
epidermica, appena sentono quella parola lì: orrore, si chiudono a
riccio perché ritengono che sia un genere che non vende. Fatto sta
che molti autori conclamati nostrani, Lucarelli in testa, fanno a
volte horror camuffati da gialli. Ed è la solita ‘roba da matti’!
Anche io ho vinto il Premio Tedeschi per il miglior giallo (!!)
dell’anno con un horror travestito. Cerco da tempo con tutte le mie
forze di sfondare questa maledetta porta al di là dei compromessi
obbligatori. Confido di riuscirci prima o poi.
IL CATAFALCO: Fra i moderni autori
e registi che si sono occupati di vampirismo, quali, secondo lei, sono
riusciti a proporlo nella maniera migliore o più originale?
NERO:
mi è piaciuto molto Vampires di John Carpenter, tratto dal romanzo
omonimo di un autore splatterpunk americano che si chiama John
Steackley. Nel film ci sono alcune idee piuttosto innovative: i
cacciatori di vampiri che usano balestre con arpioni per estrarre i
succhia sangue dal buio e portarli a dissolversi alla luce del sole
prima fra tutte. Poi l’ambientazione originale, molto
western…
Il Dracula di Coppola è un’opera
abbastanza interessante ma che secondo me non mantiene sempre il ritmo
giusto e risulta spesso priva di pulsione vera. Intervista con il
vampiro non è stato male, meglio il romanzo però. Poi due capolavori
assoluti: Near dark della Bigelow, di cui ho già parlato prima. E il
bellissimo Addiction di Abel Ferrara con un grandioso cammeo di
Cristopher Walken. Attendo con ansia la nuova versione cinematografica
del mitico I am a legend del geniale Richard Matheson. I romanzi che
trovo più significativi: la saga di Ann Rice, soprattutto i primi
libri. Poi non si può non citare Salem’s lot di King. Infine Dan
Simmons con Danza macabra e lo stupendo I figli della paura. Nel
panorama nostrano: decisamente poca roba; mi viene in mente solo Magia
rossa di Gianfranco Manfredi. Nel campo del fumetto, lodevole il
Damphir pubblicato dalla Bonelli…
IL CATAFALCO: Recentemente ha
curato l’antologia “In fondo al nero”, che ha come protagonista
l’horror scritto in Italia. In questa compaiono anche alcuni
racconti di vampiri, ci può dire quali criteri ha adottato per la
scelta dei testi in questione?
NERO:
me
li hanno proposti, mi sono piaciuti, così li ho inseriti. Mi sono
sembrati tutti abbastanza buoni, tutti
con un approccio poco tradizionale. Originalissimo quello di
Alessandra C; affascinante quello di Franco Ricciardiello;
accattivante il racconto di Luca Masali. Ecco In Fondo al nero
rappresenta uno dei tentativi di cui dicevo prima. Andato male. Il
libro ha venduto abbastanza ma non così tanto da creare il caso
eclatante che serviva per far proseguire un discorso orrorifico
nostrano ad alti livelli. Non certo per colpa degli autori che sono
stati tutti bravissimi. Ci sono state vicende editorali abbastanza
grottesche legate all’antologia, che ne hanno decretato la morte sul
nascere. Il libro non è stato fatto uscire negli Oscar, nonostante i
grossi nomi presenti, ed è rimasto solo l’amaro in bocca da
deglutire. Peccato. Ritengo davvero, al di là del fatto di essere
parte in causa come curatore e autore, che sia stato un prodotto
decisamente di ottima fattura. Comunque, per quanto mi riguarda, la
passione è rimasta intatta, e ne esce persino rafforzata. Non mi
arrendo: affilo le unghie e snudo i canini.
E resto sempre pronto a mordere un po’.
* Intervista rilasciata il
05-02-2004.
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