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MARZO 2002.........................www.caserta24ore.it    
 
[03.03.2002]
 

LA TESTIMONIANZA DA UN VIAGGIO NEL CARCERE DI SECONDIGLIANO

Fausto Cerulli

Sono entrato da un'ora nel carcere di Secondigliano: un fabbricato immenso, chilometri di cemento. Oltre la strada asfaltata un quartiere alveare, orrendamente e premeditatamente moderno, carcere più del carcere. Da quando sono entrato, per andare a visitare un carcerato, che è una delle canoniche opere di misericordia, ho visto solo guardie , centinaia di guardie, affaccendate a spulciare tesserini di avvocati e permessi di colloquio, ed a spiare in diecine di monitor i loro stessi movimenti: il cosiddetto controllo del territorio.

I detenuti sono i grandi assenti: è il paradosso del carcere, costruito per custodire persone ed impegnato a fare in modo che i custoditi siano il meno possibile visibili.
Spiegazione elementare del paradosso: la reclusione tende d astrarsi dalla sostanza fisica dei suoi protagonisti passivi, li rimuove, li rinchiude in una gabbia senza vetri, in un circuito futuristico invisibile; come accade per tutti i tabù che si rispettano, e che secondo gli strizza cervelli post, para e meta freudiani, si annidano nella parte più riposta della corteccia cerebrale.
Anche questo è il carcere: un cervello enorme e senza pensiero, pieno di gangli che corrispondono alle porte: e le porte conducono ad altri gangli sempre più complessi e sempre più svuotati di senso: così più ti interni nel carcere e meno ti senti sorvegliato, perdi persino la percezione di essere controllato.
Infine arriva il tuo assistito, scortato da due o tre guardie, con addosso una tuta, che è la divisa moderna dei detenuti, e le scarpe da tennis: improbabili atleti di una gara contro il tempo, contro la noia, contro l'essere sempre meno visibili, anche a se stessi. Anche la loro sofferenza, in questo meccanismo di asepsi, finisce per sembrarti banale: una regola del gioco, un tassello scontato del mosaico: e non lo senti come un recluso, almeno non lo senti più recluso di te. Anche il tuo conversare con lui diventa grigio,quello che si verifica, adesso lo capisco, è un crollo complessivo di tensione: E questo crollo è il fine dell'Istitutizione, la sua ragione di essere, assoluta e coinvolgente: Per questo, dentro il carcere, si assomigliano tutti, detenuti, guardie, operatori: ed anche tu finisci per somigliare a questa somiglianza assoluta.

A colloquio finito, ripercorri all'indietro i meandri di questo inutile cervello automatico, e non è vero che ti senti diverso: anche se fuori dell'ultimo cancello ti troverai nel mondo libero dei liberi ti porti addosso come un odore di sottile spionaggio.
Quando ritorni a riveder le stelle, se hai un'anima, hai un'anima ferita ma non troppo: Il traffico, davanti al carcere, è furibondo: un raggio di sole a caso mi fa lo spettrogramma dell'aria che respiro, avvelenata. Dove comincia, il carcere, mi chiedo, e dove trova fine. Siamo in ballo già tutti, spiati da qualcuno che non si accorge neppure di spiarci. E' il non senso brutale, la brutalità del non senso.
Una cosa è sicura: carcere e giustizia non si incontrano mai. Non date retta a chiacchiere: ci siamo dentro tutti, fino al collo dell'anima.

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