SALVATORE  TODARO

IL CORSARO GENTILUOMO  CHE  SALVA  I  NAUFRAGHI

Il mare era grosso e l'alba era livida, quella mattina. I marinai, sulla lancia per tutta la notte non avevano fatto altro che ributtare a mare, con grossi barattoli, l'acqua che le onde e le fessure riversavano continuamente sul fondo della grossa barca. Nessuno aveva dormito. Ma erano vivi. Poche ore prima, dopo un serrato com- battimento a colpi di cannone, la loro nave era affondata, colata a picco. E ora, il nemico che li aveva attaccati e sconfitti, li riportava verso la vita. Un sommergibile italiano, " traínava " in pieno Atlantico una lancia di naufraghi di un piroscafo belga, affondato poco prima perché trasportava un carico di armi e munizioni per gli inglesi. Era il 16 ottobre dei 1940. Il sommergibile si chiamava "Cappellini", lo comandava uno dei più incredibili personaggi della seconda guerra mondiale il capitano di corvetta Salvatre Todaro, l'ultimo dei "corsari gentiluomini". Pochi giorni dopo, per questo episodio il comandante dell'unità affondata, il "Kabalo", inviava a Todaro una lunga lettera di ringraziamento, e i giornali di tutta Europa raccontavano l'episodio come un " barlume meraviglioso di umanità e cavalleria " in una guerra spietata. Gli unici a protestare per questo " comportamento antimilitare ", furono i nostri "alleati", i tedeschi. Il comandante Todaro mandò loro a dire che il loro atteggiamento si spiegava solo col fatto che " non avevano alle spalle duemila anni di civiltà". Barbari, o qualcosa di simile. Detto nel 1940, aveva un peso e un significato. Salvatore Todaro è senza dubbio uno dei personaggi più alfascinanti e sconcertanti che la Marina Militare Italiana abbia avuto nelle sue file, durante il conflitto. Nato per caso a Messina, da un padre sottufficiale dell'esercito, veneto di origine e

 

 

 

 

tradizioni, aveva 32 anni, quando ebbe il comando del sommergibile che doveva portarlo in Atlantico, all'appuntamento col " Kabalo ". Ma non era un novellino, anzi i marinai erano capaci di qualunque trucco, pur d'essere imbarcati con lui. Aveva una fortissimo ascendente su di loro pur non alzando mai la voce. Dicono che sapesse perfino ipnotizzarli e che conoscesse in anticipo l'esito delle missioni alle quali erano destinati. Lo provano decine di testimonianze di suoi colleghi e degli stessi marinai. Per questo, sul sommergibile " Cappellini ", quando si parlava del Comandante si usava (in sua assenza), un solo nome:     "Mago Bakù ". Tutto ciò nulla toglie allo straordinario

Sopra: Naufraghi belgi tratti in salvo   nell' Ottobre 1940 dal Smg. Cappellini al comando del  C. C.  Salvatore Todaro

coraggio di quest'uomo, autore di decine di imprese memorabili. Comandante di sommergibile, Salvatore Todaro aveva poca fiducia nei siluri. Per questo, gran parte delle sue azioni di guerra furono condotte allo scoperto, con lotta in 
superficie, a cannonate. Una tattica che faceva inorridire gli strateghi della guerra sottomarina, ma che esaltava Todaro e il suo equipaggio. A cannonate fu affondato il " Kalbalo ", affrontato a viso aperto dal sommergibille italiano, in uno scambio serrato di colpi durissimi che si protrasse per due ore. Quando l'unità belga affondò, il comandante Todaro ordinò che si prendesse a rimorchio la :lancia sulla quale avevano preso posto i superstiti e i naufraghi, ventisei in tutto. Ma non si limitò a questo. Li trainò nella notte, a velocità ridotta, in pieno Atlantico, diretto verso S. Maria delle Azzorre, dove aveva intenzione di sbarcarli. Ma il cavo di collegamento fra la lancia e il sommergibile si spezzò due volte. E per due volte, Todaro ordinò al suo equipaggio di tornare indietro, prima per riagganciare il cavo, poi, visto che la lancia non reggeva più il mare, fece salire a bordo e sistemare in coperta tutti i naufraghi. Così navigò in emersione per due giorni, rischiando un avvistamento. Alle Azzorre, mise a disposizione dei naufraghi un battellino e, quattro alla volta, li fece trasportare a terra. Poi riprese il mare e tornò a pattugliare l'Atlantico settentrionale. L'episodio si ripete, con cadenze pressoché identiche, all'alba del 5 gennaio 1941. Il "Cappellini " è in perlustrazione sulla rotta dei piroscafi che trasportano uomini e materiale bellico. La zona, questa volta, è l'Atlantico centrorientale. Avvistato il piroscafo "Shakespeare",  Todaro ordina l'attacco: come al solito in superficie, a cannonate. Lo " Shakespeare " è bene armato e risponde bene. Ma il sommergibile italiano si fa sotto, dove la portata dei suoi colpi è micidiale. Il " Cappellini " perde un uomo, lo ",Shakespeare " affonda. Ancora una volta, Todaro fa prevalere l'umanità sulle leggi della guerra: raccoglie venti naufraghi su una lancia e li traina verso l'Isola del Sale, nel gruppo di Capo Verde. A bordo del sommergibile viene trasportato il solo comandante dei piroscafo, gravemente ferito. Come al solito, durante il viaggio, il cavo di collegamento si spezza. Ci vogliono due ore di ricerche per ritrovare la lancia, che intanto stava affondando. Todaro ordina che i naufraghi siano presi a bordo e sistemati sopra coperta. Naviga così per un giorno e mezzo, quindi sbarca i superstiti inglesi all'isola dei Sale, il suo nome e il suo mito varcano la Manica. Passano appena pochi giorni ed è il terzo appuntamento col destino. All'alba dei 14 gennaio, le vedette avvistano un grosso  piroscafo britannico, trasformato in incrociatore ausiliario. E' armato di due cannoni e fila veloce. Si chiama " Eumaeus ". Attacco, dopo un lungo inseguimento. La nave inglese ha inizialmente il sopravvento, perché i suoi cannoni hanno una gittata più lunga dei sommergibile italiano. Ma quando il " Cappellini " riesce a farsi sotto, i suoi colpi micidiali spazzano la coperta della nave. Ma i cannoni inglesi continuano a sparare. Quanta gente c'è a bordo, quanti uomini? Todaro se lo chiede quando s'accorge che, nonostante che il piroscafo sia rimasto gravemente colpito, l'intensità dei suoi colpi non diminuisce. Nel frattempo, il sommergibile ha un cannone fuori uso, un ufficiale gravemente ferito e un cannoniere scelto colpito alla testa. Anziché rinunciare, Todaro spinge il sommergibile ancora all'assalto: l'unico cannone diventa rovente per il ritmo dei colpi. Il cannoniere si scrolla via il sangue dalla fronte con una manata, come fosse sudore. Todaro lo guarda: vorrebbe decorarlo li, in piena battaglia e lo fa, a modo suo: " Da questo momento ", gli dice, " sei autorizzato a darmi del tu. E sarai l'unico che potrà dirmi , "tu, comandante" . Centrato da una serie di colpi, l'  " Eumaeus " sta intanto affondando lentamente. Todaro lo vede, ma ha fretta. Dal momento dell'attacco sono passate due ore. E' molto probabile che altre navi o aerei nemici si stiano avvicinando al teatro della battaglia, non può rischiare. Si avvicina ancora al piroscafo e da una distanza inferiore ai settecento metri fa partire per la prima volta un siluro. L'esplosione segna la fine della nave: ma da essa cominciano a uscire uomini, in continuazione. Era un trasporto truppe, con a bordo tremila soldati inglesi. Non c'è nulla da fare per loro: non dispongono neppure di una lancia di salvataggio. Poi, il pericolo è concreto: da un momento all'altro il sommergibile può essere avvistato. Todaro ordina l'immersione e si allontana dalla zona dei combattimento. Ma è stato individuato: deve subire un attacco che procura al sommergibile gravi danni. Restando in immersione un'intera notte potrà sfuggire alla caccia e rifugiarsi nel porto neutrale di La Luz, nella Gran Canaria. Ci starà cinque giorni, poi, effettuate le riparazioni più urgenti, uscirà dal porto beffando cinque navi inglesi che lo attendevano. Dopo queste imprese, il comandante Todaro è una leggenda, ma una leggenda scomoda. Troppo anticonformista, troppo deciso a combattere   "a modo suo ". Resterà al comando del " Cappeffini " ancora per diversi mesi, ma nell'autunno dei 1941, con la consueta prassi di un " normale avvicendamento ", viene sbarcato. Torna sul mare coi motoscafi d'assalto. Partecipa, sempre da temerario, a numerosi scontri, entra a Sebastopoli, contro gli ordini dei tedeschi, alla testa dei piccoli mezzi d'assalto e viene infine inviato a comandare un "piropeschereccio ",      il " Cefalo " che appoggia i motoscafi d'assalto nelle missioni più ardite. Il 13 dicembre dei 1942 parte per una missione notturna, come quasi tutte le notti. Obiettivo è il porto di Bona, in Tunisia. Ma il tempo è pessimo, l'azione non si può effettuare. Il " piropeschereccio " ritorna nel porticciolo di "La Galite ", che lo ospitava. Sono le otto dei mattino. Gli uomini che hanno partecipato all'azione vanno a dormire, tutto è rinviato alla notte successiva, tempo permettendo, Va a dormire anche Todaro, nella sua cuccetta. Un quarto d'ora dopo, due "Spitfire" vengono avvistati, mentre puntano sull'isolotto. La loro preda è il  "Cefalo ": scendono a volo radente, spezzonando e mitragliando. Un marinaio, in coperta, viene abbattuto, la nave subisce gravi danni. Quando la contraerea riesce a mettere in fuga i due aerei inglesi, si cerca il comandante Todaro. E sempre nella sua cuccetta, con gli occhi chiusi: non s'è neppure mosso. Una scheggia, una sola, gli ha trapassato la tempia. Aveva detto, pochi mesi prima: " lo morirò quando il mio spirito sarà lontano da me ". Aveva 34 anni, sua moglie era in attesa di un secondo figlio, che fu una bambina. Ricordano il suo straordinario coraggio: tre medaglie d'argento al valore, due di bronzo, due croci di ferro una medaglia d'oro, alla memoria. La Marina Militare gli ha dedicato una corvetta, la  "Salvatore Todaro ".

Romano Asuni (dalla Domenica del Corriere)