UN PUNTO (.) NELLA NOTTE

 
 

 
     
 

0ra è facile comunicare con chi si vuole in qualsiasi parte del mondo; basta avere un cellulare e/o un personal computer, un modem ed è tutto molto semplice. Nel 1965, al tempo della mia ferma in Marina come R.T., tutto questo era impensabile. Per telefonare a casa bisognava prenotare la telefonata nei centri Siptel e dopo un'attesa che variava dai 10 minuti fino ad un'ora, venivi chiamato in una cabina e iniziava la tua telefonata di tre minuti per la cifra iperbolica di trecen­tocinquanta lire (la paga giornaliera da Sottocapo imbarcato era di duecentodieci lire).

Non esistevano i fax e per avere un messaggio scritto l'unica alternativa ai radiotelegrafisti erano le telescriventi. In questo scenario, quando a seguito delle tue attitudini venivi selezionato per diventare R.T., solo il pensiero di comunicare con il mondo e di essere tra i pochi della nave che potevano comunicare con l'esterno ti riempiva il cuore di felicità.

Al mio imbarco su Nave Po eravamo 2 RT, poi sono rimasto solo per circa sei mesi. Durante le navigazioni (fino ad un max. di 72 ore) ero sempre di guardia e di notte riuscivo a dormire con la testa appoggiata sul tavolo e con la cuffia sulla testa tra una trasmissione del PIN (posizione in mare) e un'altra.Noi, normalmente, comunicavamo con altre navi solo in caso di necessità, altri­menti i nostri interlocutori erano le stazioni radio a terra della Marina Militare, ma potevamo captare in silenzio tutti i messaggi che transitavano sulla nostra frequenza.

Nave da carico "PO" della MMI  (Foto tratta dal WEB)

Forse a chi non è stato un RT potrà sembrare impossibile, ma noi riuscivamo a capire dal tono e dalla manipolazione del segnale se il nostro interlocutore era un veterano o una recluta e addirittura se era un nostro collega di corso.Le tante ore di ascolto, soprattutto di notte quando l'unico rumore era quello del motore della nave, ti davano la possibilità di riconoscere, pur senza mai vederle, tante persone dalla personale battitura sul tasto di una serie di punti e di linee.

Tutte le nostre comunicazioni venivano "ascoltate" dal Centro Radio di Roma (il Grande Fratello) che emetteva periodicamente una pubblicazione, inviata a tutti i Comandi, nella quale erano elencati gli errori commessi dai vari radiotelegrafisti. Tra gli errori, però, per un tacito accordo tra controllori e controllati, non era indicata una ''specie di saluto" da un telegrafista all'altro che si svolgeva in questo modo:

Chi trasmetteva il messaggio doveva chiudere con AR (punto‑linea, punto­linea‑punto); chi lo riceveva doveva confermare con R (punto‑linea‑punto). La trasmissione a questo punto doveva finire, invece veniva aggiunto un punto e l'altra parte rispondeva con due punti. Cosa volessero dire questi punti mai nessuno lo ha saputo spiegare ma tra di noi piccoli modem umani volevano dire tante cose: un saluto, un ciao, un buonanotte amico, buon viaggio, buona fortuna.

Soprattutto voleva dire che quando eri in navigazione di notte bastava solo un punto per non farti sentire solo.

 
     
 

di Bruno Bardelli

 
  ex RT della MMI