MARINAI SENZA
STELLETTE SULLE NAVI MERCANTILI |
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La
continua minaccia di siluramento, i trasporti di truppe, la necessità
di provvedere ai rifornimenti del Paese: altissimo fu il prezzo pagato
in guerra dalla nostra flotta civile |
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Il secondo di bordo, Alfredo
Noris, di Genova, scampò al naufragio e fece questo racconto: « Era
circa l'una di notte di giovedì quando avvistai un periscopio a circa
trecento metri a sinistra della prua: l'impressione che tutti ne avemmo
fu che il sommergibile si allontanasse dal nostro veliero, che
evidentemente non formava un bersaglio che ripagasse la spesa del
siluro. Ma fu probabilmente la bandiera italiana che lo invogliò a farci
la festa. Fatto è che all'improvviso il sommergibile si voltò, lanciando
un siluro verso di noi. Non era neppure il caso di evitarlo: il veliero
era impotente a manovrare e poi la distanza era cosi breve che si può
dire che avemmo appena il tempo di vedere in acqua il siluro che già
esso ci colpiva giusto al centro... ». li veliero colpito dal
sottomarino tedesco si chiamava «Sardomene». Fu la prima nave mercantile
italiana colata a picco dal nemico nel corso della guerra mondiale del
'15 18. La sciagura, che destò a suo tempo vivissima emozione, accadde
nella notte di giovedì 1 luglio 1915, mentre il bastimento navigava
dinnanzi alla baia di Bantry, lungo le coste dell' Irlanda.
Il « Sardomene » ottimo
veliero in ferro (circa 2.000 tonnellate) di costruzione inglese, era
stato acquistato nell'estate dei 1914 da un noto armatore ligure, il
cavalier Giuseppe Mortola, di San Rocco (Camogli), ed era partito poco
dopo da Genova, con un carico di mercanzie varie, per Freemantie,
nell'Australia occidentale. Nell'andate aveva doppiato il Capo Horn e al
ritorno il Capo di Buona Speranza, compiendo così un viaggio di
circuminavigazione. Comandante era un esperto marinaio, il capitano
trentacinquenne Nardo Bianchi, nativo di Cavaso in provincia di Treviso.
Il sommergibile U 24 scoccò il siluro e per il «Sardomene » fu la fine.
La testimonianza del secondo di bordo, Alfredo Noris, prosegue così: «
La scossa sembrò sollevare la nostra nave fuori dall'acqua. L'esplosione
fu terribile: abbatté di colpo gli alberi, le vele, le sartie, spogliò
per cosi dire il veliero facendolo inclinare fortemente a sinistra. Per
l'urto due marinai stranieri furono sbalzati in acqua dal castello di
prua: uno affogò e l'altro fu salvato. Il nostromo, l' irlandese 0'
Neill, trovantesi pure nel castello di prua, si diresse verso la
scialuppa di destra.
Passando per il ponte, vide
due marinai, Francesco Orteghe e un altro, gravemente feriti. Capimmo
che non ci sarebbe stato il tempo di lanciare le scialuppe. Venne dato
l'ordine di afferrarsi ai salvagente e di gettarsi in acqua: ognuno
provvedesse a sé stesso e Dio per tutti. Fu allora che vidi per l'ultima
volta il comandante ». Alfredo Noris aggiunse: « Il capitano Bianchi
forse non voleva lasciare la nave senza prima aver messo in salvo
qualche carta preziosa o, chi sa, la cassa: entrò nella sua cabina, ma
non ne usci più! Noi balzammo in acqua: due minuti dopo il "Sardomene"
colò a picco con gran risucchio, trascinando con sé quanti non erano
così lontani da evitare il risucchio stesso. Contammo undici cadaveri in
acqua e tanti ne vennero raccolti dalla nave di scorta affrettatasi in
nostro soccorso. Due italiani erano stati uccisi dalla esplosione: il
cuoco Giorgio Valle e il marinaio Luigi Molla. Fra gli scampati, oltre a
me e a sei marinai stranieri, lo spezzino Ernesto Capetta e il
napoletano Salvatore Molla ».
Quattro mesi dopo
l'affondamento del « Sardomene » la nostra marina mercantile dovette
lamentare una ben più grave e dolorosa perdita: quella dell' « Ancona ».
Il grosso piroscafo (8.200 tonnellate) fu colato a picco dal siluro di
un sottomarino tedesco presso Marettimo, lungo la costa siciliana; nella
sciagura perirono 195 persone. Altri moderni transatlantici perdemmo nei
mesi e negli anni successivi: il « Verona », il « Napoli », il « San
Guglielmo », lo « Stampalia », il « Regina Elena », il « Principe
Umberto », il « Duca di Genova». In cifre assolute, su 1.542 mila
tonnellate di naviglio mercantile possedute al 30 giugno 1915 furono
perduti 241 piroscafi per 716 mila tonnellate lorde, oltre 425 velieri
per 104 mila tonnellate nette. Includendo anche le perdite per sinistri
normali o non precisamente accertate, e le perdite di guerra precedenti
la nostra entrata in conflitto, la flotta mercantile italiana denunciò
il 4 novembre 1918 la perdita di oltre un milione di tonnellate lorde di
naviglio, alle quali fecero compenso appena 178 mila tonnellate di navi
costruite nei nostri cantieri e 73 mila tonnellate di navi acquistate
all'estero.
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Un
migliaio di marittimi persero la vita, oltre ad alcune centinaia di
militari addetti alle artiglierie di bordo. I passeggeri morti e
dispersi, secondo conteggi non ufficiali, furono 853. Alla fine dei
conflitto, la consistenza dei nostro naviglio mercantile a
propulsione meccanica si era ridotta ad appena 881 mila tonnellate
lorde. Alle perdite totali occorre poi aggiungere le innumerevoli
avarie per fatto di guerra o per danneggiamenti vari, tra le quali
frequenti le collisioni in convoglio. |
M/n
« REGINA ELENA »
affondata nella 1°g.m |
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Le classi
giovani (dal 1890 al1895) erano sotto le armi: e per la leva di mare
erano stati richiamati |
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anche molti anziani, in particolar modo specialisti.
Restavano nelle città e nei borghi marinari gli uomini che avevano
superato l'età attiva, e alcuni giovani riformati o sfuggiti in
qualche modo alla partenza. Su questi si basava il commercio
mercantile, la navigazione di cabotaggio, la pesca d'alto mare. Il
rischio del loro mestiere era aumentato in maniera allarmante specie
nell'Adriatico, divenuto un lago chiuso dalla stretta di Otranto a
sud, entro il quale i sommergibili e il naviglio leggero austriaci
costituivano una perenne insidia. Va aggiunto che gli equipaggi dei
piroscafi delle linee mediterranee, e quelli delle linee
transatlantiche, che sia pur diradando i viaggi continuarono a
funzionare, erano formati da marinai civili: e questi correvano
tutti i rischi dei militari pur non essendolo, perché si era
arrivati al punto di fornire i bastimenti di cannoni, per difendersi
dagli attacchi dei sottomarini in caso di necessità. Senza capire
che bastava questo a giustificare le mosse d'assalto nemiche, poiché
non si poteva invocare lo status di marineria civile quando si
sparavano cannonate.
Nel Tirreno e nel Mar
Ligure la vita era meno pericolosa, perché là l'offesa austriaca era
pressoché improponibile. Ma il crescere del rischio nel resto dei
Mediterraneo faceva diminuire la frequenza dei trasporti,
paralizzava in gran parte i commerci, facilitava le comunicazioni.
Avevano la prevalenza (e quindi la scorta) le operazioni dirette a
rifornire le basi militari o le città, ma per esempio la pesca
poteva ora esercitarsi soltanto sottocosta e quindi si vedevano nei
porticcioli del litorale adriatico le flottiglie di pescherecci,
abituate ad uscire in alto mare, inoperose e inerti, gli uomini
disoccupati, i vecchi che passavano le giornate ad aggiustare reti,
i ragazzi che frequentavano anzitempo le osterie e le donne che
cercavano un lavoro qualsiasi, perché i mariti non portavano più a
casa denaro. Per tutta questa gente, che pure non combatteva, la
guerra fu un lungo e silenzioso sacrificio. Spesso fu pagato ad
altissimo prezzo il coraggio d'imbarcarsi per necessità su quelle
navi, delle quali si sapeva che era perenne il rischio di essere
colpite da un siluro nemico. |
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Scrive Vito Dante Fiore nel suo libro
L'industria dei trasporti
marittimi in Italia: « Nel
campo marittimo le conseguenze del conflitto furono fondamentali
sotto tutti i punti di vista... In particolare, il contributo
che la marina mercantile nazionale fu chiamata a dare si
tradusse in apporti consistenti per accrescere le forze navali
disponibili, mediante la requisizione di navi migliori e più
veloci per essere trasformate in incrociatori ausiliari o in
nave ospedale, mentre molte unità minori vennero requisite per
essere |
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utilizzate nella
difesa del traffico contro i sommergibili e del dragaggio delle
mine per |
M/n
« DUILIO » affondato nella 1° g.m. |
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tener aperte alla
navigazione le rotte più importanti. « In secondo luogo, la flotta
mercantile, specialmente quella passeggeri, fu impiegata in alcuni
momenti critici in importanti operazioni di trasporto di truppe e
materiali. I servizi postali tradizionali furono soprattutto
impegnati in trasporti di militari, materiali e approvvigionamenti
alla popolazione civile, in condizioni completamente diverse dal
tempo di pace. Infine, alla flotta mercantile libera da carico fu
affidato il compito di assicurare i trasporti indispensabili per
mantenere in attività le industrie e per alimentare la popolazione
». L'armamento italiano fu colto dallo scoppio della guerra in una
fase di promettente sviluppo.
Persino nel periodo
della nostra neutralità, dall'Agosto del 1914 al Maggio dei 1915,
tale sviluppo non conobbe cedimenti. Le società libere
transatlantiche erano in via di realizzare ampi programmi con la
costruzione di quattro grosse navi. Si trattava dei transatlantici «
Duilio », in costruzione a Sestri Ponente, e dei gemello « Giulio
Cesare », in costruzione a Bournemouth (Inghilterra), ambedue da
22.500 tonnellate, per conto della Navigazione Generale Italiana;
degli altri due gemelli «Conte Rosso » e « Conte Verde », da 18.000
tonnellate, in costruzione in Gran Bretagna per conto dei Lloyd
Sabaudo; degli altri due gemelli « Dante Alighieri » e « Giuseppe
Verdi », da 9.500 tonnellate, in costruzione a Riva Trigoso per
conto della Transatiantica Italiana; del piroscafo « San Gennaro »,
di 12.500 tonnellate, in costruzione in Gran Bretagna per conto
della Siculo Americana.
Le nostre compagnie
sovvenzionate stavano invece completando la costruzione di navi di
notevoli caratteristiche. Le più importanti erano i due grandi
piroscafi «Esperia » e « Ausonia », da 10.250 tonnellate, ordinati
dalla Società Italiana Servizi Marittimi (Sitmar) per la nuova linea
celere dell'Egitto; il primo era in costruzione a Riva Trigoso e il
secondo ai cantieri Blohm e Voss di Amburgo. Inoltre erano in
costruzione il « Città di Trieste », da 4.500 tonnellate, ad Ancona
e il « Città di Napoli » da 4.000 tonnellate, a Palermo. La marina
libera da carico, infine, aveva quasi raddoppiato la sua consistenza
in pochi anni, grazie a una serie di importanti acquisti. Erano, tra
l'altro, in costruzione i modernissimi piroscafi « Milazzo » e «
Volturno » (considerati i maggiori del mondo, della loro specie)
rispettivamente da 11.477 e 14.240 tonnellate; potevano trasportare
nelle loro stive 10 mila tonnellate di carbone e 4.400 tonnellate di
nafta. |
Oltre al trasporto dei rifornimenti (grano, carbone, nafta, ecc.)
necessari al Paese, oltre all'impiego dei naviglio in azioni di
guerra, di difesa del traffico e nel servizio di dragaggio delle
mine, la marina mercantile fu chiamata ad effettuare numerosi
trasporti di truppe, che si tradussero in almeno cinque grosse
operazioni oltremare. Queste furono: l'occupazione dell'Albania; il
salvataggio dell'esercito serbo; il trasporto del corpo di
spedizione in Macedonia; il trasporto di contingenti di truppe in
Libia; e infine la partecipazione al trasferimento del corpo di
spedizione americano in Europa. A differenza di quanto sarebbe
avvenuto nella seconda guerra mondiale, il conflitto dei 1915 18 non
fu caratterizzato, sui mari, dalla cosiddetta battaglia dei
convogli, che esaurì e distrusse gran parte delle nostre forze
navali. Non vi fu, in altre parole, la necessità indilazionabile di
scartare via mare i rifornimenti.
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Nella prima
guerra mondiale, ove se ne eccettuino le basi di Durazzo e
di Valona, non si registrarono quindi dislocamenti oltremare
di truppe nazionali. Sicché la marina non ebbe, almeno nella
misura rivelata dal secondo conflitto, il compito delle
scorte. D'altra parte, tranne che nell'Adriatico, la
navigazione mercantile e i rifornimenti via mare ebbero da
temere una sola insidia, quella dei sottomarini:
estremamente ridotta nel Mediterraneo e limitata a quelle
unità che, se austriache, riuscirono a filtrare oltre lo
sbarramento di Otranto; e, se |
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Il
transatlantico « AMERICA » in
navigazione. |
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tedesche, che
avevano fatto il loro ingresso da Gibilterra o addirittura
si trovavano nel Mediter- |
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raneo già allo
scoppio delle ostilità. E vi erano rimaste, appoggiandosi alle
basi turche. Ecco perché, in questo quadro, acquistano rilievo
in modo particolare le due imponenti operazioni della spedizione
in Albania e del salvataggio dell'esercito serbo, di cui si dà
conto qui sotto, e che videro impegnate a fondo, con la nostra
flotta, anche e soprattutto la marina mercantile.
La prima spedizione
di notevoli proporzioni venne avviata per l'Albania tra l' 1 e
il 19 Dicembre 1915. Partirono 544 ufficiali, 20.036 uomini di
truppa, 2.909 quadrupedi, 477 carri, 46 pezzi, viveri per 30
giorni. Le navi impiegate furono fl nuovissimo transatlantico «
Dante Alighieri », e i piroscafi passeggeri « America », «
Palermo », « Cordova », «Valparaiso », «Indiana », « Re Umberto
» che effettuarono in complesso 17 viaggi. La spedizione ebbe la
sua base principale a Taranto, e una seconda a Brindisi. Da
entrambi i porti continuarono a partire rilevanti complementi
fino a permettere, alla fine di Marzo dei 1916, una consistenza
del corpo di spedizione di 67 mila uomini circa, al cui
rifornimento in personale o materiale fu provveduto con
trasporti continuativi. La spedizione dell'Albania si intersecò
con un'altra importantissima operazione, quella per il
salvataggio dell'esercito serbo disfatto dalla massiccia
offensiva austriaca. Dalla fine di Novembre del 1915 ai primi di
Marzo del 1916 furono imbarcati 183 mila uomini con un movimento
complessivo di 350 navi, di cui 250 unità passeggeri e 100 navi
da carico. Tra le grandi navi impiegate vanno citati i
transatlantici « Re Vittorio », « Cordova », « Duca di Genova»,
« Dante Alighieri », « Regina Elena », « Re Umberto ». Quest'ultima
e la « Marechiaro » andarono perdute.
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