L'eroe deL mare più famoso della prima guerra mondiale,
fu Luigi Rizzo
Il "pirata dei Mas'', affondatore di due corazzate austriache.
Due medaglie d'oro, e quattro d'argento, varie promozioni sul campo,
una vasta popolarità nel paese dovuta all'audacia delle sue imprese:
questo il curriculum di Luigi Rizzo, eroe dei Mas che aveva sconfitto
i giganti nemici a bordo dei suo fragiIe guscio di noce. Eppure chi
lo ricorda ancora, di lui rievoca soprattutto la cordialità e la
cortesia squisite, l'eleganza inappuntabile, il tratto signorile, la
carica di simpatia tipica del vecchio lupo di mare. Luigi Rizzo,
siciliano, nato a Milazzo nel 1887, apparteneva a una famiglia di
grandi tradizioni patriottiche e marinare. Suo nonno si era arruolato
nel 1848 tra i militi della « Patria risorgente »;
suo zio, appena diciassettenne, aveva seguito Garibaldi sbarcato coi
Mille a Marsala suo padre e il fratello maggiore appartenevano alla
marina mercantile. Sicché Luigi, già a 8 anni, a bordo si trovava a
suo agio quanto in casa propria; 10 anni più tardi conseguiva la
licenza d'onore presso l'istituto nautico di Messina e cominciava la
sua carriera di navigante. Attorno al 1910 Rizzo prestava servizio,
come capitano e pilota, alle dipendenze della Commissione
internazionale dei Danubio, a Sulina, in Romania. Un giorno uscì a
salvare un piroscafo che stava per naufragare durante la tempesta,
meritando la prima medaglia (al valore civile, stavolta).
Entrata in guerra l'Italia, fu tra i primi a mettersi a disposizione
della Regia marina e proprio lui, siciliano, venne destinato alla
difesa marittima di Grado liberata. Nel 1916 aiutò il comandante della
piazza, capitano di fregata Alfredo Dentice di Frasso, nell'insolita
avventura di rendere inoffensiva una torpedine austriaca che si era
arenata sulla spiaggia. Per il sangue freddo e l'intraprendenza
sfoggiati in questa circostanza ebbe il comando della sezione Mas,
iniziando una lunga serie di scorribande notturne nel golfo di Trieste
in faccia alla città che trepidava per essere a sua volta liberata.
Caschetto di cuoio e giubbotto di pelle, baffoni, occhi d'aquila,
fiutava il nemico dalla prora dei suo mezzo sempre pronto a lanciarsi
all'assalto, qualunque fosse la consistenza, il numero delle navi
austriache. Durante un'azione contro quattro torpediniere catturò...
un dentice decapitato dall'esplosione di una bomba proprio a pochi
metri dal suo Mas. Al ritorno, ornò la preda con fiocchi tricolori e
la inviò al duca d'Aosta, popolarissimo comandante della III Armata,
la cui ala destra era schierata fino a Grado. Nel maggio successivo
rimase impassibile coi suo motoscafo sotto il fuoco incrociato di
batterie e aeropla- |
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ni nemici per portare a termine una cattura più consistente:
quella di alcuni aviatori austriaci finiti in mare. In autunno,
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LUIGI RIZZO -
nato a Milazzo nel 1887 morto nel 1951. |
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tra un'impresa e l'altra, ebbe poche ore
di permesso per sposare la fidanzata e tornare al suo comando. « Vorrà
dire che, se il nostro progetto riuscirà, avrà una vera licenza per
godersi la luna di miele e la promozione a capitano di corvetta»: così
gli fece sapere, di persona, il capo di Stato maggiore della Marina,
ammiraglio Thaon di Revel. L'obiettivo in programma era tra i più
ambiziosi: centrare coi siluri la corazzata "Wien", orgoglio della
flotta austroungarica, che difendeva la rada di Trieste pronta a
minacciare le nostre unità. I Mas, motobarche o motoscafi armati
siluranti, rappresentavano l'arma nuova della nostra marina,
particolarmente caldeggiata da Thaon di Revel per le particolari
caratteristiche che la rendevano adatta ai colpi di mano.
Rizzo si preparò con cura; notti e notti di perlustrazioni, di prove,
di rilevamenti. Infine, al comando del Mas 9, la notte tra il 9 e il
10 dicembre penetrò nella rada di Trieste. Centrata da un paio di
siluri, la «Wien» esplose, cominciando subito ad affondare. Il giovane
comandante, tornato indenne alla base, ebbe accoglienze trionfali, la
prima medaglia d'oro e la sospirata, anche se ritardata, luna di
miele. Nel febbraio successivo partecipò con Costanzo Ciano e Gabriele
D'Annunzio alla beffa di Buccari, riprendendo poi le incursiòni, le
snervanti attese notturne. Ebbe la gioia, dopo tante inutili attese,
di incontrare e affondare la moderna corazzata «Szent Istvàn» (Santo
Stefano) al largo di Premuda (10 giugno).
La motivazione della seconda medaglia d'oro è più eloquente, nella sua
concisa laconicita'. di qualunque racconto: « Comandante di una
sezione di piccole siluranti in perlustrazione nelle acque della
Dalmazia, avvistava una poderosa forza navale nemica composta di due
corazzate e numerosi cacciatorpediniere e senza esitare, noncurante
dei grande rischio, dirigeva immediatamente con la sezione
all'attacco. Attraversava con incredibile audacia e somma perizia
militare e marinaresca la linea fortissima delle scorte e lanciava due
siluri contro una delle corazzate nemiche colpendola ripetutamente in
modo da affondarla. Liberavasi con grande abilità dal cerchio di
cacciatorpediniere che da ogni lato gli sbarrava il cammino e,
inseguito e cannoneggiato da uno di essi, con il lancio di una bomba
di profondità lo faceva desistere dal l'inseguimento danneggiandolo
gravemente».
Impresa bellica marinara tra le più spettacolari di ogni tempo. Pochi
motoscafi contro una squadra di navi da guerra che avrebbero potuto
radere al suolo una città. Un guscio di noce che riesce ad abbattere
il gigante dei mare: 20.000 tonnellate di stazza, 40 bocche da fuoco,
4 tubi lanciasiluri, meraviglia della cantieristica navale dell'impero
absburgico. Rizzo poi, quasi per non perdere l'abitudine, nell'azione
di sganciamento trova modo di dare una botta pressoché irreparabile
anche a un cacciatorpediniere.
Col suo eccezionale curriculum, Rizzo avrebbe potuto aspirare alla
vetta della gerarchia militare, cogliere prebende e onori nell'ambito
del regime che nel volgere di lì a pochi anni doveva instaurarsi nel
paese. Ma era uomo d'azione non di compromessi, di intrigo, di
burocratica operosità, di calcolo. Rispose subito all'appello di
D'Annunzio, il compagno di Buccari, in occasione dell'avventura
fiumana, schierandosi al fianco dei legionari. Nel 1920 avanzò domanda
di essere dispensato dal servizio attivo: sarà in seguìto nominato
contrammiraglio, riceverà motu proprio di Vittorio Emanuele IlI
il titolo trasmissibile di conte di Grado e le chiavi della città,
che da secoli non erano state offerte ad alcuno. Trieste gli
manifesterà la sua riconoscenza dedicando al suo nome la grande diga
del Vallone di Muggia.
Tornato a indossare l'abito borghese (che gli stava altrettanto bene
della divisa), ebbe vari incarichi di prestigio nell'ambiente che più
gli era caro da presidente della società di navigazione Eolia di
Messina, a presidente dei Lloyd Triestino. Si dedicò alla moglie e ai
figli via via nati (Giacomo, Guglielmina, Giorgio). Ma nel suo petto
pulsava sempre il cuore del guerriero. Nel 1936 si offrì volontario
per la campagna in Africa Orientale, ricevendo in cambio la nomina ad
ammiraglio di divisione per meriti eccezionali. Il 10 giugno 1940,
scoppiata la seconda guerra mondiale, ebbe il comando dei
caccia‑antisommergibili.
Da questo momento in avanti conobbe l'amarezza delle disillusioni.
Vedeva puntualmente bocciate con cortese ma definitivo diniego le sue
documentate proposte di organizzare scientificamente la lotta contro i
predatori degli abissi. Il solito ritornello: « Mancanza di mezzi ».
Ai colleghi ripeteva che Napoleone sosteneva giustamente essere
necessarie in guerra, per vincere, oltre al coraggio, tre cose:
denaro, denaro, denaro. E l'Italia, povera da sempre, poteva possedere
gli uomini come Lui, insuperabili nei colpi di mano, ma non certo i
denari necessari ad affrontare l'emorragia di una guerra moderna. E
allora.........
Non era nel suo stile « creare grane », battere i pugni sul tavolo,
provocare lo scandalo. Fece in modo di venire esonerato. Mise a
profitto la sua esperienza alla guida dei Cantieri riuniti
dell'Adriatico. L' 8 settembre 1943, divenuto di dominio pubblico
l'avvenuto armistizio con gli alleati, affondò le navi mercantili «
Duilio » e « Giulio Cesare » per evitare che cadessero in mano ai
tedeschi. Questi ultimi, ovviamente, si ricordarono di lui non appena
possibile: la conseguenza fu l'arresto e la traduzione nel carcere di
Klagenfurt. Qui apprese che il figlio Giorgio, ventiduenne, comandante
di una squadriglia Mas, era rimasto ucciso da una bomba di stukas
durante i drammatici giorni dell'armistizio.
Il leggendario eroe della grande guerra, fedele al governo
legittimo, era un prigioniero «scomodo » per i nazisti, che
quattro mesi più tardi lo destinarono al campo di concentramento
di Hirschegg, vicino al lago di Costanza. Un lager per ospiti
illustri quali Nitti, la duchessa d'Aosta, Irene di Grecia e
Anna di Francia. Ebbe il conforto d'essere raggiunto dalla figlia
Guglielmina, che aveva chiesto e incredibilmente ottenuto il «
privilegio» di dividere le sue sofferenze. Un caso molto raro nel
quadro dell'immane tragedia, simbolo di quanto forte possa essere,
contro ogni ostacolo, la solidarietà familiare.
Rizzo, liberato nel maggio 1945 dalle truppe francesi del generale De Lattre de Tassigny, trovò in Italia più ostilità che braccia aperte. Dovette perfino subire un processo di epurazione con l'accusa,
risultata del tutto infondata, di aver tratto profitto dal regime
fascista. Inutili amarezze dopo tante sofferenze e un continuo,
disinteressato prodigarsi per il paese. Anche stavolta subì in
silenzio, senza provocare scandali, sfogandosi soltanto con gli amici
rimasti tali. Certo, nessuno avrebbe mai potuto distruggere il suo
passato. L'oblio, questi sì, calò sopra il suo nome e la sua
personalità. |
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Nella primavera dei 1951 l'eroe di Premuda seppe d'avere
«qualcosa» che non funzionava in un polmone e che soltanto un
intervento chirurgico, |
Un' istantanea di Luigi Rizzo in pantaloni e giacca di tela cerata
impermeabile. |
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forse, avrebbe potuto risolvere. A quale medico avrebbe
affidato il proprio destino? Conoscendolo, non c'era che un chirurgo:
Raffaele Paolucci di Valmaggiore, vecchio amico dei Mas, il
siluratore, insieme con Rossetti, della corazzata austriaca « Viribus Unitis » (1 novembre 1918, nel porto di Pola). Rizzo si recò
a Roma, abbracciò Paolucci pregandolo di pronunciarsi su « un piccolo
intervento per eliminare una piccola, banale lesione ». Il
professor Paolucci, docente universitario di fama europea, accertò
subito che il male era tutt'altro che banale; bisognava asportare il
polmone. Tra compagni d'arme non era il caso di spendere troppe parole.
Bastava uno sguardo. L'intervento fu di quelli brillanti, che si usa
definire « clinicamente riuscito ». L’
ammiraglio si riprese con rapidità, poté alzarsi e passeggiare,
telefonare al nipotino Francesco, figlio di Guglielmina, a Milazzo.
Pareva il ritorno alla vita, l'uscita dal tunnel dei male. Il paziente
spiegò: « Provo la stessa sensazione di quando rientravo alla base coi
mio Mas dopo essere stato sotto il fuoco dei nemico ». Purtroppo, nei
giorni successivi venne preso da crisi invincibili di sonnolenza. Il
tumore aveva raggiunto il cervello. La fine fu rapida. Rizzo chiuse la
sua vita nello stile di sempre: in silenzio, senza cedimenti e senza
debolezze. A
Milazzo, per i funerali, c'erano tutti i compagni d'arme, sia della
prima sia della seconda guerra mondiale. I superstiti, almeno. Gli
amici, le uniformi, la bandiera. Quelli che non avevano dimenticato.
Due meDaglie d'oro per l' eroismo di Rizzo |
«
Per la grande serenità ed abilità professionale e pel mirabile eroismo
dimostrato nella brillante, ardita ed efficace operazione da lui
guidata, di attacco e di distruzione di una nave nemica entro la munita
rada di Trieste ».
(Rada di Trieste, notte 9‑10 dicembre 1917).
«
Comandante di una sezione di piccole siluranti in perlustrazione nelle
acque di Dalmazia, avvistava una poderosa forza navale nemica composta
di due corazzate e numerosi cacci atorpediniere e, senza esitare,
noncurante del grande rischio, dirigeva immediatamente con la sezione
all'attacco. Attraversava con incredibile audacia e somma perizia
militare e marinaresca la linea fortissima delle scorte, e lanciava due
siluri contro una delle corazzate nemiche, colpendola ripetutamente in
modo da affondarla. Liberavasi con grande abilità del cerchio di
cacciatorpediniere che da ogni lato gli sbarrava il cammino e, inseguito
e cannoneggiato da uno di essi, con il lancio di una bomba di
profondità, lo faceva desistere dall'inseguimento danneggiandolo
gravemente ».
(Costa Dalmata, notte sul 10 giugno 1918).
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