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Un marittimo
quando doveva imbarcare su una nave aveva tre pensieri determinanti
affinche’ un imbarco risultasse buono e duraturo, ovvero: un cuoco che
sapesse fare il suo lavoro, una stazione radio efficiente per poter
telefonare a casa, una sala macchine senza problemi ed un buon primo
ufficiale di coperta all’altezza e capace. La nave, normalmente, si
riconosceva al volo non appena poggiavi le mani sulla ringhiera dello
scalandrone per salire a bordo ………. Se arrivavo sul cassero con le mani
pulite era di buon auspicio, al contrario, se mi insudiciavo le mani
d’olio accompagnato dalla ruggine e sporco vario non risparmiavo gli
accidenti al nostromo per non averlo fatto pulire e tutto cioì
sicuramente non dava una buona impressione. Arrivati sul ponte la
prima cosa che si sente e’ l’odore della cucina. Un misto di cipolla,
olio bruciato e sugo. Nei carruggetti sovrasta l’odore (?) delle scarpe
da lavoro dei marinai e dei macchinisti lasciate fuori dalla porte e
spesso con i calzini all’interno.
Salendo di un
piano, l’odore di cera profumata e di silenzio permane su tutti, si è
arrivati al piano Ufficiali. Sopra c’e’ il ponte di comando e la
stazione radio, sopra ancora la plancia con tutte le sue apparecchiature
elettroniche di navigazione e da li si disperde un perenne aroma di buon
caffè. Se si vuole vivere la parte sociale della nave, bisogna per forza
ridiscendere al piano cucina accanto alla quale ci sono le mense per gli
ufficiali e l’equipaggio. La prima persona che bisogna conoscere è il
cuoco, vero motore della nave.
Nei primi anni
70 c’era anche il cambusiere, era quello che al mattino aveva già pronto
il menù del giorno, aveva tirato fuori dalle celle frigorifere i polli,
grossi pezzi di carne, sacchi di minestra e barattoli di pomodoro e
tutto il necessario per il lavoro del cuoco nel corso della giornata.
Il cambusiere
in un secondo tempo saliva in cucina a dare una mano al cuoco per
preparare l’impasto del pane e mentre l’impastatrice ancora girava, i
due vociando si lamentavano della giornata o troppo umida o troppo
fredda, a secondo di dove si trovava la nave, per cui dovevano
correggere la lievitatura per renderla perfetta.
Lo stesso cuoco
tirava fuori dal ripostiglio le grosse teglie in alluminio rettangolari
annerite dall’uso, sempre unte e pronte per metterci l’impasto per le
focacce, le pizze e focaccia con la cipolla, mentre sulle altre
modellava con precisi movimenti le forme del pane e dei panini da
infornare a temperatura differente. Alle 06:00 arrivava sconvolto il
garzone di cucina che prima di dare il buongiorno a tutti quelli che
incontrava, si faceva mezzo litro di caffè, che tra un’infornata e
l’altra il cuoco aveva messo su, poi si accendeva una sigaretta e
respirando a pieni polmoni si appoggiava allo stipetto della porta della
cucina che dava all’esterno verso poppa. Era il segnale per iniziare ad
alimentare i grossi estrattori della cucina e in un momento non vi era
locale della nave, dalla sala macchina al ponte di comando, che non
veniva invaso dal fragrante odore del pane fresco e del caffè.
Tutta la nave
subiva un cambiamento magico: non c’era bisogno delle sveglie date via
telefono o il bussare energicamente dei marinai per ricordare “15 minuti
alla guardia”. Quell’aroma usciva da alcune gigantesche caffettiere da
12 tazzine ed il loro contenuto era poi svuotato in un grosso pentolone
contenente tre o anche quattro centimetri di acqua che continuava a
bollire. Non si conosceva la marca del caffe’, nè la qualità del sacco
del macinato forse “raccattato” da chissà quale casa di torrefazione in
giro per il mondo, ma era ugualmente un ottimo caffe’, l’importante era
il colore nero e la sua densita’ che dava quell’aroma caratteristico.
Tutte le mattine il cameriere si vantava che il caffè degli ufficiali lo
aveva preparato lui stesso con il macinato di ottima qualità, come se
non conoscevamo la reale provenienza. Agli ufficiali spettava il
tovagliolo tipo ristorante racchiuso nella busta che veniva sostituita
ogni due giorni. Poi con il passare degli anni il mozzo, il garzone di
cucina, l’aiuto cameriere ed il cambusiere sparirono dai ruolini
equipaggio. Rimase solo il cameriere per il Comando che di fatto poi
serviva tutti gli ufficiali, compresa la pulizia ed il rifacimento delle
cabine.
Alcune
compagnie di navigazione nel 1980 cercarono di fare le mense tipo quelle
aziendali terrestri: il cuoco preparava il mangiare e poi lo metteva
nelle scaldavivande. Al momento del servizio mensa ognuno si alzava da
tavola e prendeva il vassoio con le posate e il cibo che c’era e che più
gli aggradava. Sulle altre navi con vecchie tradizioni, alle 10:45 un
marinaio veniva dirottato in cucina e aiutava il cuoco, preparava le
mense e serviva a tavola. Quindi dopo aver svolto il compito di
ripulitura e lavaggio mense e posate, ritornava a fare il marinaio fino
alle 18:45, in quanto alla sera la mensa era unica alle 19:00. A causa
del Canale di Suez, per pagare meno tasse di transito/pedaggio, a bordo,
molti locali di vita, ovvero mense, locali attigui di riposo, vennero
svuotati e il locale mensa divenne una sala da pranzo unica. Un grande e
lungo tavolo per gli ufficiali, un poco piu’ distante altri due
tavoloni per marinai e macchinisti. I sottufficiali si erano
drasticamente ridotti al solo nostromo che era l’unica figura che non si
poteva togliere dal ruolo equipaggio insieme al cuoco (!). Il cuoco alla
fine degli anni 80 non poteva più dare sfogo alle sue fantasie
culinarie, ma si doveva attenere a delle cartelle imposte dai servizi
medici di terra per la riduzione di malattie dannose alla salute umana:
infarto e ictus. Quindi la distribuzione di alcool e sigarette era sotto
la responsabilità diretta del Comandante.
La problematica
più grossa che hanno dovuto sempre combattere i cuochi seri, era la data
di scadenza del prodotto da cucinare, questo a vantaggio dei fornitori
navali ed a sfavore della salute del marittimo. Inoltre con questo
sistema delle ditte esterne di rifornimento degli alimenti di bordo,
prima il cambusiere e poi il cuoco, non potevano più ordinare
direttamente il necessario, perdendo di fatto la provvigione, che veniva
spartita tra cambusiere, cuoco e Comandante. Altro grosso problema era
l’approvvigionamento dei viveri freschi, insalata, frutta e formaggi che
venivano portati a bordo dal rappresentante della ditta con cui
l’armatore aveva stabilito il contratto salvo i casi in cui l’equipaggio
metteva insieme i soldi dopo aver rinunciato alla quota o razione
equatoriale giornaliera, per comprarsi viveri freschi (generalmente
american steak ed aragoste).
Spesso a
bordo delle navi mercantili l’insalata era piena di animaletti, la
frutta mezza ammuffita ed il formaggio rancido. Oggi poi con gli
equipaggi multi etnici l’alimentazione e’ in prevalenza basata sul riso
e pollo in un unico piatto. Le cose sono ancora drasticamente cambiate
rispetto a quando si navigava negli anni settanta, dove alla domenica il
prosciutto crudo non mancava mai, e il formaggio parmigiano per la
minestra a pranzo ed a cena era sempre presente.
Ps. Allego
di seguito, solo a titolo informativo, quello che a bordo delle navi
mercantili veniva chiamata razione equatoriale non prelevata, era
un po’ simile a quanto succedeva tanti anni fa in quella militare,
secondo la descrizione del T.V. Alfredo De Cristofaro (IK6IJF): per
quanto riguarda le mense militari di bordo fino al 1991 funzionavano
così, come Ufficiale in 2° di “Nave Tremiti” avevo il compito di
amministrare le mense. In pratica ogni mese nominavo un “capo gamella”
che era un sottufficiale addetto alla cucina che supervisionava la
preparazione dei pasti. Egli si preoccupava di fare gli acquisti dei
viveri in piazza e si occupava dello svolgimento delle mense affinché
tutto funzionasse nel migliore dei modi. L’amministrazione delle mense
funzionava più o meno così, innanzitutto i viveri venivano divisi in
viveri secchi (caffè, zucchero, farina etc. etc.) e viveri freschi
(carne, verdure, frutta etc. etc.).
Ogni giorno
ad ogni membro dell’equipaggio spettava un tot in grammi di ciascun
prodotto, per esempio 120 g di carne fresca, 20 g di caffè e così via.
Invece di ritirare tutte le quantità spettanti presso il magazzino
viveri della Marina si poteva mettere in economia una parte delle
spettanze giornaliere, per esempio invece di ritirare per ogni membro
dell’equipaggio 20 g di caffè al giorno, io sceglievo di ritirarne solo
10 e gli altri 10 g li mettevo “in economia”. Alla fine del mese
risultava un certo quantitativo di viveri messi in economia cioè non
ritirati per i quali la Marina (l’Ufficio del Commissariato dal quale
dipendeva l’Unità) versava alla nave il corrispettivo in denaro dei
viveri messi in economia, con questo assegno chiamato allora
“miglioramento vitto” si potevano acquistare tutti quei prodotti
alimentari che la Marina non passava nel suo calmiere, sulle navi più
grandi le cose erano leggermente diverse ma più o meno il concetto di
base era lo stesso. |
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