Il siluro è l'arma
tipica dei sommergibile, anche se può essere lanciato dallo scafo
di una nave di linea, o di un incrociatore, mediante lanciatori
con espulsione a polvere; oppure dal ponte di un
cacciatorpediniere; oppure dai motoscafi siluranti, come i Mas, e,
nella seconda guerra mondiale, dalle motovedette, sia con
lanciatori a tenaglia, sia con tubi speciali. Gli ultimi a
lanciare a loro volta i siluri sono stati gli aerei. Anche per il
siluro, come per la mina, lo scopo è quello di far esplodere una
carica di alto esplosivo contro la carena d'una nave, al fine di
sfondarla e provocarne l'affondamento per allagamento. Il siluro è
in sé e per sé un piccolo sommergibile a funzionamento automatico;
governato da un meccanismo meraviglioso ed efficiente, che può
dirigerlo, se ben regolato, a una velocità iniziale di 40 nodi,
dritto su un bersaglio distante da 6.000 a 9.000 metri.
Naturalmente la percentuale di errori di mira aumenta con il
percorso, per cui i lanci vanno fatti alla minima distanza
possibile senza venire scoperti.
Il siluro (e qui
parliamo di quelli della prima guerra mondiale mentre nella
seconda ci sono state numerose modifiche e varianti), consta
essenzialmente di una testa ogivale che contiene una carica di
circa 115 chili di tritolo; di un serbatoio capace di una certa
quantità di aria compressa per azionare il motore vero
e proprio; il complesso di guida dei timoni orizzontali e di
direzione. Possiede anche una « testa » di esercizio, che viene
usata durante le manovre, cioè non carica di esplosivo. In
compenso, è fornita di una sostanza che brucia e forma un fumo
nero e graveolente, il quale serve a localizzare e recuperare
l'arma costosissima.
Il siluro è munito di
dispositivi di sicurezza: uno va tolto prima dei lancio in quanto
blocca il percussore; un altro si arma soltanto dopo il lancio e
dopo che il siluro ha compiuto in acqua una cinquantina di metri.
L'aria compressa aziona un motore a turbina, questo mette in moto
due eliche coassiali, controrotanti per compensare possibili
deviazioni. Il siluro viaggia di solito quattro metri e mezzo
sott'acqua e viene mantenuto a questa profondità, o a un'altra che
si può stabilire, mediante un piatto idrostatico e un pendolo, in
grado di correggere eventuali deviazioni. Molte volte, però,
questi congegni funzionano male e allora il siluro « fa il delfino
», cioè emerge, torna a tuffarsi, scende sotto la profondità
prestabilita, balza fuori di nuovo e finisce per esplodere.
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Il
siluro, arma micidiale fu largamente usato durante la
prima guerra mondiale.L'ordigno era in grado di colpire
un bersaglio distante dal 6000 ai 9000 metri. |
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La direzione, invece,
è controllata da un giroscopio da cui ci si aspetta sempre un
funzionamento perfetto; esistono anche congegni per consentire a
un siluro di « sentire » la scia di una nave che abbia
«scapolato » di poppa, e di virare per
andare a colpirla dall'altro lato. Tutto ciò in teoria: nella
pratica, le cose sono sempre andate un po' diversamente.
Vi sono siluri che viaggiano ad aria fredda; altri a ossigeno
che si scioglie più rapidamente nell'acqua e lascia una traccia
minore di bollicine; altri a aria riscaldata con un piccolo
bruciatore ad alcool. I tedeschi usavano siluri a corsa
relativamente lenta, e a percorso non molto lungo, i quali
avevano una carica esplosiva più forte: dovevano, in pratica,
lanciare a distanza minore dal bersaglio e ciò spiegherebbe il
perché facevano centro molto più spesso degli alleati. I siluri
italiani, su brevetto Whitelhead, erano a corsa lunga e rapida e
talvolta non esplodevano o cambiavano direzione. Gli americani
usavano il tipo Bliss Leavitt, molto veloci e con una portata
superiore ai novemila metri.
A proposito di siluri
che non scoppiavano, e che facevano andare in bestia i
comandanti di sommergibili e di Mas, Ettore Bravetta, in una
nota dei suo
La
grande guerra sul mare
(Mondadori
Milano, 1925). ricorda che noi usavamo quelli della
Whitehead di Fiume, una ditta inglese, ma che ci servivamo
anche dai tedeschi e allora accadevano strane cose: « Un
tecnico competitissimo, che è forse la più alta autorità
vivente in fatto di costruzioni di siluri, mi ha assicurato
che la ditta tedesca Schwarzkopf, produttrice dei siluri di
bronzo fosforoso, poneva nelle cartucce di accensione del
riscaldatore dell'aria compressa una certa quantità di vetro
pestato, che, assorbito e portato dall’aria stessa entro i
cilindri, li smerìgliava sensibilmente, con la conseguenza
che dopo i lanci di collaudo i siluri stessi perdevano di
velocità e funzionavano pessimamente ». |
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Un abile sabotaggio a
un cliente di cui si diffidava, quindi: e allora le forniture
tedesche erano per noi una norma, dato che l'Italia denunciò la
Triplice Alleanza soltanto nel 1915. Del resto, è ben noto il
particolare che l'artiglieria da campagna rumena venne messa fuori
servizio dalla rottura di tutte le fiale dei livelli a bolla
d'aria degli alzi di punteria, avvenuta ai primi freddi, perché la
casa produttrice, la Krupp, le aveva riempite d'acqua anziché
della solita miscela incongelabile. Naturalmente, se la Romania si
fosse schierata a fianco degli imperi centrali, la Krupp, con un
pretesto qualunque, avrebbe provveduto alla sostituzione delle
livelle...
Anche alle origini
del siluro si incontrano nomi italiani. All'assedio di Anversa
(1584‑1585), un ingegnere mantovano, Federico Giannibelli,
inventore di macchine militari, lanciò un ordigno esplodente
(il brulotto) contro lo sbarramento di barche formato dagli
spagnoli sulla Schelda. Ma si tratta, ovviamente, di un
lontano precursore. Chi condusse a fondo l'invenzione fu un
ufficiale della marina austroungarica, il capitano di fregata
Giovanni Biagio Luppis. Italiano di lingua e di nome, Luppis
era nato a Fiume nel 1814 e morirà a Milano l'11 Gennaio 1875,
al numero 19 di via Sant'Andrea. Aveva avuto l'idea della
nuova arma soprattutto in funzione della difesa costiera, ma
la sezione navale del
ministero della
Guerra di Vienna, a cui aveva presentato il suo progetto, non
lo aveva preso in considerazione. Deciso a procedere da solo,
Luppis sperimentò a Fiume verso il 1860 il « salvacoste », una
specie di barilotto semovente mosso da un meccanismo a
orologeria, contenente una carica di esplosivo. Non venne a
capo di nulla. Allora pensò di associare alla sua impresa
l'ingegnere inglese Robert Whitehead (1823‑1905). Whitehead
aveva lavorato nei cantieri di Marsiglia e di Trieste e nel
1856 aveva assunto la direzione dello stabilimento tecnico di
Fiume, di cui nel 1872 divenne proprietario. Egli modificò
l'idea di Luppis e di tentativo in tentativo si arrivò nel
1866 al primo siluro vero e proprio (il nome si deve al Saint
Bon), lungo tre metri e mezzo, del diametro di 356 millimetri,
con una carica esplosiva di poco superiore ai 15 chili e con
un motore ad aria compressa azionato da un serbatoio da 30
atmosfere. La velocità era di 7 nodi all'ora. Gli esperimenti
avevano luogo con la collaborazione della cannoniera austriaca
« Gemse », munita di un tubo di lancio ideato dallo stesso
Whitehead e collocato a prora. Le prove furono interrotte
dalla perdita dell'unico esemplare di « torpedo », ripescato
soltanto un anno e mezzo |
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La
sezione di un siluro italiano usato nella prima guerra
mondiale. |
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dopo. Intanto Whitehead
ne aveva fabbricata un'altra che però non manteneva la rotta voluta.
Poi, eliminati i difetti, cominciarono gli esperimenti ufficiali per
conto della marina austroungarica. A seicento metri di distanza, con
navi ferme, su trenta lanci sedici colpirono il bersaglio, protetto
da una rete di canapa; con la nave silurante in moto, su sei lanci
due raggiunsero il bersaglio, e con entrambe le navi in moto uno su
tre fece centro. Come ricorda Santi Corvaja, su
Storía Illustrata n. 227,
dell'ottobre 1976, i siluri Whitehead cominciarono a essere prodotti
nello stabilimento che in seguito si chiamò « silurificio » a
partire dal 1873. La prima vittima, in guerra, dei siluro, fu un
guardacoste turco, l'« Intibah », centrato da 80 metri di distanza,
il 26 Gennaio 1878 a Batum, dalle torpediniere russe «Cesme» e «Sinope»,
della squadra dell'ammiraglio Makharoff. E’ singolare notare che
Makharoff andò a picco a sua volta, con la corazzata « Petropawlowsk
», quasi fulmineamente, il 13 Aprile 1904, davanti a Port Arthur,
per due siluri che colpirono contemporaneamente le due fiancate,
proprio in corrispondenza della « santa-barbara ».
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