L' INSIDIA SUBACQUEA: IL SILURO A BERSAGLIO

L'arma più micidiale  nella guerra sul mare  fu ideata da un italiano  che serviva  nella marina austriaca e venne realizzata a Fiume  da un ingegnere inglese

Il siluro è l'arma tipica dei sommergibile, anche se può essere lanciato dallo scafo di una nave di linea, o di un incrociatore, mediante lanciatori con espulsione a polvere; oppure dal ponte di un cacciatorpediniere; oppure dai motoscafi siluranti, come i Mas, e, nella seconda guerra mondiale, dalle motovedette, sia con lanciatori a tenaglia, sia con tubi speciali. Gli ultimi a lanciare a loro volta i siluri sono stati gli aerei. Anche per il siluro, come per la mina, lo scopo è quello di far esplodere una carica di alto esplosivo contro la carena d'una nave, al fine di sfondarla e provocarne l'affondamento per allagamento. Il siluro è in sé e per sé un piccolo sommergibile a funzionamento automatico; governato da un meccanismo meraviglioso ed efficiente, che può dirigerlo, se ben regolato, a una velocità iniziale di 40 nodi, dritto su un bersaglio distante da 6.000 a 9.000 metri. Naturalmente la percentuale di errori di mira aumenta con il percorso, per cui i lanci vanno fatti alla minima distanza possibile senza venire scoperti.

Il siluro (e qui parliamo di quelli della prima guerra mondiale mentre nella seconda ci sono state numerose modifiche e varianti), consta essenzialmente di una testa ogivale che contiene una carica di circa 115 chili di tritolo; di un serbatoio capace di una certa quantità di aria compressa per azionare il motore vero e proprio; il complesso di guida dei timoni orizzontali e di direzione. Possiede anche una « testa » di esercizio, che viene usata durante le manovre, cioè non carica di esplosivo. In compenso, è fornita di una sostanza che brucia e forma un fumo nero e graveolente, il quale serve a localizzare e recuperare l'arma costosissima.

Il siluro è munito di dispositivi di sicurezza: uno va tolto prima dei lancio in quanto blocca il percussore; un altro si arma soltanto dopo il lancio e dopo che il siluro ha compiuto in acqua una cinquantina di metri. L'aria compressa aziona un motore a turbina, questo mette in moto due eliche coassiali, controrotanti per compensare possibili deviazioni. Il siluro viaggia di solito quattro metri e mezzo sott'acqua e viene mantenuto a questa profondità, o a un'altra che si può stabilire, mediante un piatto idrostatico e un pendolo, in grado di correggere eventuali deviazioni. Molte volte, però, questi congegni funzionano male e allora il siluro « fa il delfino », cioè emerge, torna a tuffarsi, scende sotto la profondità prestabilita, balza fuori di nuovo e finisce per esplodere.

 

 

 

Il siluro, arma micidiale fu largamente usato durante la prima guerra mondiale.L'ordigno era in grado di colpire un bersaglio distante dal 6000 ai 9000 metri.

 
 

La direzione, invece, è controllata da un giroscopio da cui ci si aspetta sempre un funzionamento perfetto; esistono anche congegni per consentire a un siluro di « sentire » la scia di una nave che abbia  «scapolato » di poppa, e di virare per andare a colpirla dall'altro lato. Tutto ciò in teoria: nella pratica, le cose sono sempre andate un po' diversamente.  Vi sono siluri che viaggiano ad aria fredda; altri a ossigeno che si scioglie più rapidamente nell'acqua e lascia una traccia minore di bollicine; altri a aria riscaldata con un piccolo bruciatore ad alcool. I tedeschi usavano siluri a corsa relativamente lenta, e a percorso non molto lungo, i quali avevano una carica esplosiva più forte: dovevano, in pratica, lanciare a distanza minore dal bersaglio e ciò spiegherebbe il perché facevano centro molto più spesso degli alleati. I siluri italiani, su brevetto Whitelhead, erano a corsa lunga e rapida e talvolta non esplodevano o cambiavano direzione. Gli americani usavano il tipo Bliss Leavitt, molto veloci e con una portata superiore ai novemila metri.

A proposito di siluri che non scoppiavano, e che facevano andare in bestia i comandanti di sommergibili e di Mas, Ettore Bravetta, in una nota dei suo La grande guerra sul mare (Mondadori Milano, 1925). ricorda che noi usavamo quelli della Whitehead di Fiume, una ditta inglese, ma che ci servivamo anche dai tedeschi e allora accadevano strane cose: « Un tecnico competitissimo, che è forse la più alta autorità vivente in fatto di costruzioni di siluri, mi ha assicurato che la ditta tedesca Schwarzkopf, produttrice dei siluri di bronzo fosforoso, poneva nelle cartucce di accensione del riscaldatore dell'aria compressa una certa quantità di vetro pestato, che, assorbito e portato dall’aria stessa entro i cilindri, li smerìgliava sensibilmente, con la conseguenza che dopo i lanci di collaudo i siluri stessi perdevano di velocità e funzionavano pessimamente ».

Un abile sabotaggio a un cliente di cui si diffidava, quindi: e allora le forniture tedesche erano per noi una norma, dato che l'Italia denunciò la Triplice Alleanza soltanto nel 1915. Del resto, è ben noto il particolare che l'artiglieria da campagna rumena venne messa fuori servizio dalla rottura di tutte le fiale dei livelli a bolla d'aria degli alzi di punteria, avvenuta ai primi freddi, perché la casa produttrice, la Krupp, le aveva riempite d'acqua anziché della solita miscela incongelabile. Naturalmente, se la Romania si fosse schierata a fianco degli imperi centrali, la Krupp, con un pretesto qualunque, avrebbe provveduto alla sostituzione delle livelle...

Anche alle origini del siluro si incontrano nomi italiani. All'assedio di Anversa (1584‑1585), un ingegnere mantovano, Federico Giannibelli, inventore di macchine militari, lanciò un ordigno esplodente (il brulotto) contro lo sbarramento di barche formato dagli spagnoli sulla Schelda. Ma si tratta, ovviamente, di un lontano precursore. Chi condusse a fondo l'invenzione fu un ufficiale della marina austroungarica, il capitano di fregata Giovanni Biagio Luppis. Italiano di lingua e di nome, Luppis era nato a Fiume nel 1814 e morirà a Milano l'11 Gennaio 1875, al numero 19 di via Sant'Andrea. Aveva avuto l'idea della nuova arma soprattutto in funzione della difesa costiera, ma la sezione navale del

 ministero della Guerra di Vienna, a cui aveva presentato il suo progetto, non lo aveva preso in considerazione. Deciso a procedere da solo, Luppis sperimentò a Fiume verso il 1860 il « salvacoste », una specie di barilotto semovente mosso da un meccanismo a orologeria, contenente una carica di esplosivo. Non venne a capo di nulla. Allora pensò di associare alla sua impresa l'ingegnere inglese Robert Whitehead (1823‑1905). Whitehead aveva lavorato nei cantieri di Marsiglia e di Trieste e nel 1856 aveva assunto la direzione dello stabilimento tecnico di Fiume, di cui nel 1872 divenne proprietario. Egli modificò l'idea di Luppis e di tentativo in tentativo si arrivò nel 1866 al primo siluro vero e proprio (il nome si deve al Saint Bon), lungo tre metri e mezzo, del diametro di 356 millimetri, con una carica esplosiva di poco superiore ai 15 chili e con un motore ad aria compressa azionato da un serbatoio da 30 atmosfere. La velocità era di 7 nodi all'ora. Gli esperimenti avevano luogo con la collaborazione della cannoniera austriaca « Gemse », munita di un tubo di lancio ideato dallo stesso Whitehead e collocato a prora. Le prove furono interrotte dalla perdita dell'unico esemplare di « torpedo », ripescato soltanto un anno e mezzo

La sezione di un siluro italiano usato nella prima guerra mondiale.

dopo. Intanto Whitehead ne aveva fabbricata un'altra che però non manteneva la rotta voluta. Poi, eliminati i difetti, cominciarono gli esperimenti ufficiali per conto della marina austroungarica. A seicento metri di distanza, con navi ferme, su trenta lanci sedici colpirono il bersaglio, protetto da una rete di canapa; con la nave silurante in moto, su sei lanci due raggiunsero il bersaglio, e con entrambe le navi in moto uno su tre fece centro. Come ricorda Santi Corvaja, su Storía Illustrata n. 227, dell'ottobre 1976, i siluri Whitehead cominciarono a essere prodotti nello stabilimento che in seguito si chiamò « silurificio » a partire dal 1873. La prima vittima, in guerra, dei siluro, fu un guardacoste turco, l'« Intibah », centrato da 80 metri di distanza, il 26 Gennaio 1878 a Batum, dalle torpediniere russe «Cesme» e «Sinope», della squadra dell'ammiraglio Makharoff. E’ singolare notare che Makharoff andò a picco a sua volta, con la corazzata « Petropawlowsk », quasi fulmineamente, il 13 Aprile 1904, davanti a Port Arthur, per due siluri che colpirono contemporaneamente le due fiancate, proprio in corrispondenza della « santa-barbara ».

 

Da NAVI e MARINAI