IL RE DEGLI ABISSI – MESSAGGERO DI MORTE

DURANTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE IL SOMMERGIBILE SI RIVELO’ L’ARMA PIU’ TERRIBILE E NELLO STESSO TEMPO PIU’ FRAGILE  DELLA LOTTA SUI MARI

Il primo sommergibile italiano, è stato il « Delfino » dell'ingegner Giacinto Pullino, varato nel 1896. Esperimenti erano già stati fatti da Pino nel 1803, da Toselli nel 1872 e da Abbat nel 1892, ma il primo vero sottomarino italiano fu lui, il « Delfino »: 98-108 tonnellate, lungo 23,20 metri, poteva immergersi fino a 32 metri di ;profondità, un motore elettrico di 65 cavalli gli assicurava un'autonomia di 24 miglia a 2 nodi. In superficie poteva raggiungere la velocità massima di 6 nodi e in immersione quella di 5 nodi. Il 30 Maggio 1901 re Umberto assisté alle manovre dell'unità e poi volle visitare il «battello».

Il « Delfino » fu modificato nel 1902 e nel 1904, e ricevette un motore a benzina da 130 cavalli che gli dette una autonomia, in superficie, di 165 miglia. Fu uno dei primi al mondo a essere munito di periscopio. Aveva un armamento di due siluri ad era munito di rostro tagliareti. Partecipò alla prima guerra mondiale, andando in disarmo nel 1919. Dopo di lui vennero numerosi altri « battelli » creati dall'ingegnere Cesare Laurenti, un ufficiale del genio navale che si è guadagnato una fama non inferiore a quella dell'americano Holland e del francese Laubeuf. Fra il 1903 e il 1905 l'arsenale di Venezia varò la prima serie di sommergibili che, oltre al prototipo « Glauco », comprese anche « Squalo », « Narvalo », « Otaria » e « Tricheco».

Erano eccellenti bastimenti da 160‑243 tonnellate, con motore a benzina che assicurava 13 nodi in superficie e un motore elettrico che ne dava 6 in immersione, armati di due o tre tubi lanciasiluri. Nel 1907 a La Spezia, fu costruito il « Foca» di 185‑280 tonnellate, con notevoli miglioramenti delle qualità marine. Fra il 1910 e il 1911 la marina realizzò nei propri arsenali i primi otto sommergibili della classe « Medusa », i primi a utilizzare i motori diesel per la navigazione di superficie. Erano battelli da 250‑305 tonnellate, con una velocità di 12 nodì. Nel 1911 Bernardis costruì a Venezia i tipi « Nautilus » e « Nereide » da 300 tonnellate. L'« Atropo », di 231‑315 tonnellate, sarà invece fabbricato a Kiel, mentre, fino all'inizio dela guerra, vedremo scendere in mare il « Pullino» (sul quale sarà catturato Nazario Sauro), il « Ferraris », il « Giacinto » e il « Galileo » nel 1912 (unità da 355‑405 tonnellate); poi l’ « Argonauta » nel 1913, da 255‑355 tonnellate, il « Balilla (728‑975 tonnellate) destinato alla marina tedesca e requisito nel 1915, tre sommergibili :della ‑classe F (254-303 tonnellate) varati in Inghilterra su progetto Laurenti, quattro sommergibili deI,la classe W (da W‑1 a W-4) da 300‑500 tonnellate.

Laurenti diventa famoso. E’ lui il progettista dello « Swordfish », li primo sommergibile a vapore della Royal Navy, costruito nel 1913. La marina britannica aveva scopi diversi dalla nostra: alcuni suoi battelIi potevano operare con la flotta, altri, muniti di grossi calibri, fungevano da batterie nascoste, annidati sui fondali costieri. Emergevano per l'azione, poi sparivano. Noi italiani abbiamo preferito sommergibili di piccole dimensioni, capaci di immergersi

a poca profondità. Perché? Perché lo specchio della nostra probabile attività sarebbe stato l'Adriatico, mare interno e

IL « DELFINO », primo vero sottomarino italiano, progettato dall'ingegnere Giacinto Pullino e varato nel 1896. Modificato nel 1902 e nel 1904, ebbe un motore a benzina da 130 cavalli per consentirgli una maggiore autonornia.

non troppo profondo. A questo punto, occorre fornire qualche spiegazione generale sui sommerglibili. Sulle loro fiancate si nota una doppia indicazione: la prima cifra indica il dislocamento a galla, la seconda quello in immersione, con la zavorra d'acqua a bordo. Il dislocamento è un peso d'acqua uguale alla somma dei pesi della nave stessa e del suo carico: ­se si aumenta il carico, la nave affonda, se lo si diminuisce, la nave emerge di più dall'acqua. Ognì nave ha una « riserva di spinta », cioè una forza che la tiene a galla. Nelle navi da guerra essa è sempre considerevole, e altrettanto dicasi per le navi passeggeri: siamo sull' 80‑100 per cento del dislocamento, mentre si scende già al 25‑40 per cento per i mercantili. Per i sommergibili, il problema si complica. I tipi fusiformi, come quelli inglesi e americani, avevano una riserva di spinta che arrivava solo fino al 10 per cento; in alcuni francesi, pure a scafo fusiforme, la riserva di spinta era inferiore al 5 per cento. Si arrivò al paradosso dell’« Algèrien » che affondò nell'arsenale di Rocheforte perché da un rubinetto mal chiuso filtrarono a bordo due tonnellate d'acqua, l'equivalente di dieci vasche da bagno... I tipi a doppio scafo, invece, hanno una riserva di spinta molto superiore: quella della classe «Glauco» di Laurentì dei 30 per cento, nei tipi successivi si giunse al 60 per cento.

 Sommergíbile al momento del varo nell'autunno del 1915

Nei primi tempi si pensò di lasciare ai sommergibili una riserva di spinta positiva di mezza tonnelIata circa, la quale consentiva una maggiore sicurezza: il sommergibile si poteva manovrare con le pinne di prora e di poppa, in navigazione sommersa, e, fermando i motori, si veniva a galla automaticamente, affiorando con tutta la torretta. In seguito si arrivò alla spinta zero, col sommergibile fermo fra due acque, e le correzioni di assetto che si fanno con le casse estreme, a prora e a poppa.  Il principio è quello della leva: più lungo il braccio, più leggero lo sforzo; bastano venti chili in più o in meno per inclinare il muso del sommergibile o farlo alzare.

Col mare agitato, il sommergibiile va appesantito di qualche tonnellata per evitare che affiori improvvisamente, scoprendosi; lo stesso si fa in azione, quando è opportuno « andar sotto » in fretta per sottrarsi all'offesa nemica; ed è bene affiorare lentamente quando si deve emergere a quota periscopica, cioè far sporgere dall'acqua soltanto il periscopio. Durante la prima guerra mondiale, molti comandanti di sommergibili impararono che il periscopio li rendeva visibili al nemico, per cui lo mascheravano con vecchie cassette da frutta, damigiane, barattoli vari: un rottame che galleggia dà meno nell'occhio... Nella prima guerra monidiale un cannoniere dell'incrociatore inglese « Birmingham » riuscì a distruggere, col primo colpo, il periscopio dell’« U‑50 » tedesco. Un successo senza precedenti, anche se dovuto al caso. Comunque, se il periscopio è colpito, il sommergibile non va a fondo, perché vi sono valvole automatiche per bloccare l'entrata dell'acqua. Il periscopio esteso al massimo, fino alla prima guerra mondiale, era lungo cinque metri: quindi venire a quota periscopica voleva dire portare il battello a quattro metri sotto la superficie, con un metro di periscopio fuori.

L'immersione, a quell’epoca, avveniva in due‑tre minuti circa e costituiva già un problema, perché i caccia potevano arrivare addosso al sottomarino a 30 nodi e più, corrispondenti a 55/56 km. all'ora su strada. I Mas, i velocissimi motoscafi armati di siluri e bombe di profondità, erano il principale nemico dei sommergibili: piombavano su di essi a 40 nodi, a quasi 80 all'ora, e per questo li avevano soprannominati « le streghe del mare ». Sono stati gli inglesi a inventare l'espressione « immersione rapida », o crash dive. Si aprivano di colpo i valvoloni di immersione e l'acqua di mare entrava a torrenti: giù in pochi secondi, un minuto circa. Seguiva un'affannosa operazione per «riagguantare» il battello che scendeva come un sasso. E bisognava riprenderlo in mano prima che la pressione schiacciasse lo scafo.Per riemergere, poi, bisognava mettere in azione o le pompe ad aria compressa, o le pompe elettriche. Nascevano nuovi problemi. Le pompe ad aria compressa erano azionate da serbatoi che venivano caricati e mantenuti carichi dai motori diesel durante la navigazione in superficie. Una volta esaurita l'aria compressa, bisognava risalire con i motori elettrici e a forza di pinne, tornando a galla per ricaricare i serbatoi. Se « sopra » c'era il nemico, occorreva restare sotto zitti, al buio, per non consumare energia elettrica, per non farsi sentire, con tutti gli apparecchi fermi. Era un gioco a nascondino, con in palio la vita. Ancora: le batterie hanno una vita ridotta. E’ necessario ricaricarle e Ia carica avviene in superficie con un generatore ingranato al motore diesel, oppure in immersione con un motore elettrico ingranato al generatore. Ma in questo secondo caso si carica poco. Le batterie hanno un altro difetto: a contatto con l'acqua di mare l'acido che contengono sviluppa cloro, gas letale per l'uomo, soprattutto in ambiente chiuso a una

Sulla torretta di un sommergibile durante la prima guerra mondiale.

certa profondità. Molte perdite di sommergibili furono dovute a lesioni al banco delle batterie: si perdeva l'acido, che colava nell'acqua di sentina e in pochi minuti lo scafo si riempiva di cloro. Era finita, non si faceva in tempo a riemergere. In conclusione, a bordo dei sommergibili, tutto deve essere assolutamente in ordine, tutto sempre a posto, tutto deve funzionare al cento per cento. Altrimenti è la morte. Una mancanza da niente, a terra, o su una nave, su un sommergibile può significare la fine per tutti.

 

Da NAVI e MARINAI