Dopo una lunga, eroica e
contrastata vita sul mare, Francesco Morosini divenne doge a
settantanni, assaporando finalmente la gioia del trionfo. Pochi mesi
prima dell'elezione alla massima carica della Repubblica di Venezia,
venne a sapere che il Senato aveva decretato che in una delle sale
del Palazzo Ducale fosse eretto un busto marmoreo in suo onore con
la scritta « Francisco Mauroceno Peloponnesiaco adhunc viventi ».
Da allora il titolo di Peloponnesiaco,
conferitogli per le ripetute vittorie contro i turchi del
Peloponneso, lo contraddistinguerà per sempre. Discendente di un'antica e illustre
famiglia veneziana, Francesco Morosini, figlio del procuratore
Pietro, nacque nel 1619. A un anno e mezzo perse la madre, caduta
nel Brenta accidentalmente, durante la villeggiatura. Il padre,
occupato in molteplici uffici, affidò il bambino alla nonna materna
e si risposò. Il ragazzo crebbe quindi con un
carattere indipendente e fiero: formazione determinata anche dalla
mancanza di affetti familiari. Probabilmente questa situazione
favorì pure la sua scelta per la vita del mare, quando ancora era
giovanissimo.
A diciannove anni s'imbarcò su una galea
di Pietro Badoer con la qualifica di nobile per apprendere le varie
discipline marinaresche e per addestrarsi nell'arte militare.
L'occasione per ricevere il battesimo del fuoco non tardò: coincise
con la battaglia di Valona, sostenuta nell'estate dei 1638 dai
veneziani comandati da Antonio Capello contro i corsari barbareschi
di Tunisi e di Algeri e contro una flottiglia ottomana agli ordini
del sultano Nurad. 1 veneziani espugnarono la fortezza di Valona,
misero in fuga il nemico e catturarono sedici galee barbaresche. Nel
breve ma accanito combattimento il non ancora ventenne Morosini ebbe
modo di distinguersi per coraggio e sprezzo del pericolo. Tanto che,
di lì ad appena tre anni, ottenne la promozione a sopracomito, cioè
a comandante di galea, e fu inviato a Messina per svolgere una
delicata missione diplomatico militare.
L'invasione da parte dei turchi
dell'isola di Creta e l'inizio dell'assedio di Candia richiamarono
nel Mediterraneo orientale tutte le forze della Serenissima. Anche
Francesco Morosini accorse laggiù per difendere quello che fu
definito l'ultimo baluardo cristiano in Levante. I turchi, com'è
noto, sbarcarono in forze a Creta il 23 giugno 1645 e costrinsero i
veneziani ad asserragliarsi dentro Candia, ove resistettero per
quasi un quarto di secolo, fino al 6 settembre 1669. Nel corso di
questi venticinque anni di lotte estenuanti e gloriose il coraggio e
lo spirito d'iniziativa di Morosini rifulsero innumerevoli volte.
La sua prima impresa risale a poche
settimane dopo lo sbarco nemico sull'isola. Irruppe su Milo assalì
un convoglio turco carico di vettovaglie, abbordò la « sultana » e
la catturò dopo un combattimento sanguinoso. Promosso governatore,
cioè comandante di galeazza, partecipò l'anno dopo al bombardamento
di Rethymnon, mettendosi nuovamente in luce per la sua abilità nel
manovrare l'unità contro un vento impetuoso e per lo sprezzo del
pericolo nell'esporsi al tiro delle batterie dei forti nemici.
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Seguirono , altre azioni sempre più
temerarie: nel 1647 quella nel canale di Scio e l'assalto al
castello di Chismé; nel 1648 la prima battaglia nello stretto dei
Dardanelli; nel 1651 lo scontro di Nixia con la flotta di Alì
Mazzamamma; nel 1654 la seconda battaglia dei
Dardanelli; nel 1655 l'occupazione delle fortezze di Volo e Megara;
nel 1656 la terza battaglia dei Dardanelli, nella quale morì Lorenzo
Marcello; nel 1657 la quarta battaglia dei Dardanelli, che costò la
vita a Lazzaro Mocenigo. Già da due anni provveditore generale in
Candia, gli giunse nel 1658 dal Senato di Venezia la nomina alla
carica suprema della flotta: capitano generale da mar. Lusingato per
l'ambitissima promozione, Morosini assunse subito l'iniziativa
contro i turchi. Si recò a Scio, Stampalia e Holchi per rifornire di
rematori le sue galee. Ma in una tempesta la sua galea perdette il timone, altre tre
affondarono, una galeazza finì sugli scogli. Volle anche tentare la
conquista di La Canea ma il progetto venne a conoscenza dei turchi,
per cui decise di rinunciare. |
Per tutto il 1659 incrociò attorno a
Candia e negli stretti senza riuscire ad agganciare l'avversario.
L'anno seguente tentò nuovamente l'occupazione di La Canea, ma per
l'inettitudine dei comandanti terrestri e l'indisciplina delle
truppe il tentativo fallì. Deluso e amareggiato, Morosini tolse il
comando al provveditore d'armata Antonio Barbaro e lo rinviò a
Venezia. Decisione, questa, che diede l'avvio ad una serie di
critiche ferocissime e addirittura a un processo che lo stesso
Morosini dovette subire nel 1661, quando rimpatriò. La mortificazione fu pesante. Dopo tanti
anni di lontananza, di sacrifici e di lotte, ecco quale accoglienza
riservavano i veneziani al loro ammiraglio. Dal processo, comunque,
uscì assolto e riabilitato. Poté tornare alla vita pubblica e
ricoprire nuove cariche. Venne nominato provveditore del Friuli,
assolvendo con scrupolo, per qualche anno, il compito importante ma
non certo brillante che gli era stato affidato.
Nel 1667 gli eventi nel Mediterraneo
orientale precipitarono e Venezia si trovò di fronte a una svolta
pericolosa della sua storia. A Cipro e nella fortezza di Candia i
presidi della Serenissima erano ormai allo stremo, minacciati sempre
più pesantemente dalle forze turche, ora comandate dal gran visir
Koprogli. Si decise, in una situazione tanto difficile, di ricorrere
ad estremi rimedi, sollecitando l'intervento dell'unico uomo che si
riteneva all'altezza dei momento: Francesco Morosini. Lo si richiamò
dal Friuli e lo si mandò in Levante, nominandolo nuovamente capitano
generale da mar.
Lammiraglio partì dalla riva degli
Alberoni sulla nave « Sansone » fra l'entusiasmo dei marinai, fra il
rombo festoso delle salve d'artiglieria, fra il saluto del popolo
che riconosceva in lui il salvatore di Candia e il nuovo
vessillifero della cristianità. Ma tutti gli sforzi risultarono
vani. La disperata battaglia di Morosini e dei suoi durò diciotto
mesi, ma alla fine dovettero cedere alle preponderanti forze
musulmane Venuto meno anche l'appoggio degli alleati francesi, dei
savoiardi, dei pontifici e dei Cavalieri di Malta, gli uomini della
Serenissima, asserragliati in Candia, dovettero alzare bandiera
bianca. L'assedio costò loro la perdita di oltre 12 mila soldati;
più di 30 mila furono le vittime turche. Morosini il 15 settembre
1669 dovette scendere a trattative con l'avversario. Firmò una pace
onorevole, che consentì l'evacuazione della guarnigione veneziana,
il ritiro dei pochi beni rimasti, delle opere d'arte delle chiese,
delle vedove di tanti eroi e degli orfani.
Tornato a Venezia, Morosini affrontò
calunnie e critiche di quanti non avevano mai cessato di
osteggiarlo. Subì un secondo processo e anziché una condanna,
ottenne un altissimo riconoscimento: fu insignito della dignità di
procuratore di San Marco. Negli anni che seguirono si ritirò dalla
vita politica occupando solo incarichi prestigiosi: prima savio del
consiglio, poi revisore delle fortificazioni terrestri e nel 1683
nuovamente provveditore dei Friuli. Ma improvvisamente la situazione
generale politica mutò. Venezia si alleò con Austria e Polonia e si
riaprirono le ostilità contro i musulmani. A Morosini, ormai
sessantasettenne, nominato per la terza volta capitano generale da
mar, venne affidato nel 1684 il comando supremo delle operazioni
contro i turchi per la riconquista della Morca che portò a pieno
compimento in un quadriennio meritandosi il soprannome di
Peloponnesiaco.
Dopo aver conquistato la roccaforte di
Santa Maura, l'azione di Morosini, sostenuta dalla flotta, si estese
rapidamente a tutta la penisola: caddero Prevesa, Corone, Navarino
Patrasso, Corinto. A metà settembre dei 1687, senza contrasto, le
navi veneziane entrarono al Pireo. Per espugnare definitivamente la
città, le milizie della Serenissima dovettero bombardare l'Acropoli
dove s'erano asseragliati gli ultimi difensori. Il Partenone subì
gravi danni. Nel 1688, dopo aver invano tentato la
conquista anche di Negroponte, mentre con la flotta si trovava a
Porto Poro, nel piccolo seno di Egina gli giunse la notizia della
morte di Marcantonio Giustinian, doge di Venezia. E di lì a qualche
giorno Giuseppe Zuccato, segretario del Senato, arrivò su una galea
per consegnargli ufficialmente la lettera di proclamazione a doge.
Il rientro di Morosini a Venezia, il 23
settembre 1689, fu un trionfo. Papa Alessandro VIII gli inviò in
dono un elmo e una spada. Tutta l'Europa cattolica lo elogiò perché
era riuscito a ridare a Venezia una terra strappata agli infedeli. In Morea, intanto, le operazioni
militari entrarono in una fase di ristagno; i turchi si
risollevarono e riassunsero l'iniziativa. A Venezia si tornò a
preoccuparsi e nella sala dello scrutinio il maggior consiglio si
riunì per trovare un successore a Domenico Mocenigo, rimosso nel
frattempo dalla carica di capitano generale da mar per la sua
inerzia. Molti proposero di richiamare al comando Morosini. Ci fu
un'animata discussione e alla fine si arrivò all' elezione. I
duecento consiglieri votarono così: 33 schede bianche, 45 voti
dispersi, 27 voti per Girolamo Dolfin e 95 per Francesco Morosini.
Oramai il leggendario ammiraglio aveva
settantacinque anni e pensò di rifiutare l'incarico. L'assemblea gli
chiese di accettare per la salvezza di Venezia la nomina per la
quarta volta a capitano generale da mar. Morosini allora non si
sottrasse e il 25 maggio 1693 salpò alla volta di Nauplia. Morì
pochi mesi dopo il 6 gennaio 1694 sulla tolda della generalizia, con
gli occhi rivolti al mare.
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