Ecco come Gabriele
D' Annunzio, che ne fu uno dei protagonisti, descrisse sul «Corriere
della Sera» l' impresa di Buccari.
10 febbraio 1918.
... Il mattino è nuziale. Il bacino è cangiante e soave come la gola
del colombo. Le case hanno qualcosa di femineo, simili a donne che si
levino sul gomito e guardino attraverso le cortine d'oro filato.
Scorgo sul cilestro dell'acqua le nostre saettìe grige coi loro siluri
dal muso di bronzo, che luccicano, bene uniti come i miei piedi nelle
calze di carta chinese. Vedo la dirittura della riva, la vecchia
pietra degli approdi e delle partenze, e lungo la riva i marinai
allineati, la bella materia eroica. In piedi nel canotto sono
issato vigorosamente dalla mano tesa di Luigi Rizzo che ha già la sua
casacca di pelle nera e la sua berretta corsaresca. In un attimo la
coesione si forma. Tra equipaggio e capo c'è la stessa rispondenza che
tra innesco e percotitoio.
Parlo agli uomini in riga
contro un muro di mattone che ha il colore del sangue aggrumato.
Calcano coi loro calzeroni di tela grossa un'erba trista di carcere,
mai nata tra salce e selce. E, il resto dei corpi sembra asciutto e
leggero come l'esca, come una sostanza che pigli fuoco subito. « Marinai, miei compagni,
questa che noi siamo per compiere è una impresa di taciturni. Il
silenzio è il nostro timoniere più fido. Per ciò non conviene lungo
discorso a muovere un coraggio che è già impaziente di misurarsi col
pericolo ignoto. Se vi dicessi dove andiamo, io credo che non vi
potrei tenere dal battere una tarantella d'allegrezza. Ma certo avete
indovinato, dalla cera del nostro Comandante, che questa volta egli
getta il suo fegato più lontano che mai. Ora il suo fegato è il
nostro. Andiamo laggiù a ripigliarlo. » ......
« Ciascuno dunque oggi
deve dare non tutto sé ma più che tutto sé, deve operare non secondo
le sue forze ma di là dalle sue forze. « Lo giurate? compagni,
rispondetemi. » e come lo scoppio d'una fiamma repressa. « Lo
giuriamo. Viva l'Italia. » ...C'imbarchiamo.
Ridiventiamo taciturni e attenti. Ciascuno prende il suo posto; e nel
suo posto ha poco più spazio di quello che avrebbe se fosse messo fra
le quattro assi finali. Il bacino è chiarissimo, appena appena soffuso
d'indaco, puro come il bianco dell'occhio d'un bimbo. Riceviamo il
saluto delle siluranti ormeggiate, passando al traverso. Chi non
c'invidierebbe, se sapesse? Chi, se sapesse, non ci farebbe il segno
del commiato ultimo? Il comandante Costanzo Ciano ci raggiunge mentre
si sta compiendo il rifornimento della benzina. Lo vediamo torreggiare
sul pontile, nella sua gran casacca di pelle fosca...
Comincia l'eguaglianza
della corsa, fra mare e cielo. Attenzione a ogni apparenza del mare.
Attenzione a ogni apparenza del cielo. Se fossimo avvistati da una
nave nemica, scoperti da un esploratore aereo, dovremmo rinunziare
all'impresa; che non è se non una sorpresa, e' una sorpresa mortale. Le ore filano. Il fervore
della scia accompagna la musica dei miei pensieri. Di tratto in tratto
una bùccina suona nel vento. Non è quella dei Tritoni, se bene una
torma di bei delfini danzi al nostro traverso di sinistra. Non è se
non il nero megafono, che trasmette le correzioni di rotta. Un marinaio m'improvvisa
un giaciglio a poppa, con tre salvagente. Mi distendo supino, col capo
contro la gabbia delle due bombe da sommergibili. La foschia non si
dirada... Non torneremo indietro‑
«Memento Audere Semper» leggo su la tavoletta che sta dietro la ruota
del timone: il motto composto poco fa, le tre parole che sono la
disciplina dei nostro Corpo. Il timoniere ha trovato subito il modo di
scriverle in belle maiuscole, tenendo con una mano la ruota e con
l'altra la matita. «Ricòrdati di osar sempre». Mi assopisco. Ho il
sole in faccia. Distinguo nella trasparenza delle palpebre i ragnateli
sinistri tessuti in fondo alle mie orbite. Odo, sul croscio dell'onda
spumosa, un uomo accosciato accanto a me masticare il suo pane di
guerra. Sento che i miei piedi si raffreddano. Ricevo uno spruzzo di
sale sul viso. Apro gli occhi... Abbiamo lasciato a dritta la Levrera.
Seguiamo la rotta di tramontana. La foschia è cosi fitta che non
riusciamo a scor-
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gere né la costa di Cherso né quella dell'Istria.
Angelo Procaccini che sta al timone, un Veneto tenuto a battesimo da
Angelo Emo di San Simeon piccolo, fiutando il vento con le sue nari
sagaci di corsaro legittimo, mi dice: « Non sente l'odore della terra?
»...Avanti, avanti! Le coste
si serrano. Riconosciamo la bocca di Fianona e il promontorio di
Prestenizze. Penetriamo nella stretta fauce del Quarnaro, come tre
spine aguzze. Il canale di Farasina, ben munito, ben guardato, con i
suoi proiettori, con le sue batterie, con i suoi lanciasiluri, con
i suoi sbarramenti, con ogni sorta di difese e di ostacoli, ecco
che noi sappiamo violarlo. Ordinati a triangolo, |
A
sinistra, Luigi Rizzo col braccio alzato assieme a D'Annunzio
(col cappuccio) e Costanzo Ciano a destra poco prima della
partenza per Buccari. Il comando dei Mas alloggiava nella
sezione per maschi del carcere locale e l'iscrizione sulla
porta era stata opportunamente modificata da un marinaio
spiritoso in modo che anziché Regia casa di pena per maschi si
leggesse « per mas ». |
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una prua, due prue,
stando noi dritti in gruppo sul ponte, neri contro la notte, tagliamo
nettamente il pericolo che non s'illumina e non tuona. La prua è ben dritta contro
la gola dei nemico. Avvistiamo l' isola di Unie nella sera stellata.
Accostiamo per passare fra Unie e la Galiola dove incagliò Nazario
Sauro. L'ombra dell'impiccato palpita per qualche attimo tra siluro e
siluro, come una bandiera in gramaglia. Al traverso di Punta Sottile
facciamo rotta nel canale di Farasina, aumentando la nostra velocità.
L'ombra ci lascia con un gesto di promessa. Torna a Pola, per sorridere
dalla sua larga faccia guatando la flotta cautelosa che senza dubbio
seguiterà a covare la gloriuzza di Lissa......
11 febbraio 1918. …
Nasce il nuovo giorno, con un numero di data caro alla mia
superstizione. Navighiamo da quattordici ore. Teniamo da cinque ore le
acque del nemico. Gli siamo entrati nella strozza, e poi nel profondo
stomaco. Siamo un pugno d'uomini sopra tre piccole navi, soli, senza
alcuna scorta, lontanissimi dalla nostra base, a una sessantina di
miglia dalla più potente piazza marittima imperiale, a poche miglia
dalle superate difese di Farasina, a poche centinaia di metri dalle
batterie di Porto Re. Un allarme, e andiamo in perdizione...
Si rallenta. Si tenta.
Nessuna specie di ostruzioni. Si rasenta la punta Sersica. Si naviga a
poche braccia dalla costa di ponente. Porto Re è al buio. La vigilanza
giace. La batteria tace. « Che buona gente, questi Austriaci! », mi
mormora Luigi Rizzo accostando al mio orecchio quella sua bietta mal
rasa che gli è servita a fendere il fianco della Wien con un colpo solo.
Ma non dice « buona gente » in verità. Mi scodella gli attributi di
Bartolomeo Colleoni. Gli prendo il polso, glielo tasto. Ride, abbassando
i lunghi cigli su i suoi occhi saracini. E’ il polso quieto di un Arabo
che abbia trascorso la sua esistenza a fumare e a sonnecchiare addossato
a un muro bianco.. .Siamo dentro la baia
nemica, siamo proprio in fondo al vallone di Bùccari, nella sua
estremità settentrionale, di contro all'ancoraggio, inosservati,
insospettati... A Bùccari nessuna finestra
è illuminata. Accostiamo ancora. Gli ordini sono dati con la voce, da
bordo a bordo. Ciascuna prua prende la sua posizione per il lancio. E'
un'ora e un quarto dopo la mezzanotte.
Ho le mie bottiglie sotto
la mano pronto alla beffa: forti bottiglie nerastre, di vetro spesso,
panciute, col cartello dentro avvolto in rotolo, scritto di mio pugno,
scritto di buon inchiostro. Le ho preparate io stesso... Poso la prima bottiglia
nell'acqua, con le sue belle fiamme spiegate... Poso la seconda bottiglia
nella rotta del ritorno, prima di doppiare la punta di Babri. Vedo la
terza agitarsi nella nostra scia insolente, mentre usciamo dalla stretta
e ci dirigiamo come padroni verso l'imboccatura della baia passando
dinanzi alla batteria di Porto Re che s'illumina senza tuonare...
|
Alle due e cinque minuti
accostiamo per imboccare il canale. Non abbiamo altre armi che due
mitragliatrici a prua e una a poppa. Sono pronte, con le loro cassette
di nastri. Ma per tutte le coste, a dritta e a manca, non appare indizio
di allarme. Cerchiamo di conservare la formazione a triangolo, dando la
voce. La terza silurante perde velocità, non ci può seguire. D'improvviso, all'altezza
di Prestenizze, parte un fuoco di fucileria da qualche posto di vedetta.
Nessuno curva il capo. Nel fosso di poppa c'è il solo timoniere. Uno
scoppio di facezie risponde. |
Per giunta, accendiamo il fanaletto di
poppa e rallentiamo, la terza saetta non essendo più in vista dietro di
noi. Che accade? un'avaria? di
che sorta? Non esitiamo a invertire la rotta per ricercare la
ritardante, deliberati di mandarla a picco e di prendere a bordo
l'equipaggio, se non sia possibile riparare il guasto in breve. Ed ecco il meglio della
beffa. Ripassiamo davanti a Prestenizze, ci ricacciamo nella strozza del
nemico! Le sentinelle non tirano più. Non possono credere a tanta
impertinenza. Certo la nostra sfacciata manovra li mette nel dubbio che
si tratti di naviglio austriaco. Per tendere gli orecchi, per meglio
cogliere i rumori, ci fermiamo in mezzo al canale di Farasina ben
munito, ben guardato; e restiamo là fermi, da padroni, un lungo quarto
d'ora. « Memento audere semper ». Si ascolta. Nulla. Si
risale ancora a tramontana. La ricerca è inutile. Non si scorge segnale
di soccorso, non s'ode richiamo. E’ probabile che, riparata l'avaria, la
ritardante abbia proseguita la sua rotta di ostro. E per la quarta volta
passiamo sopra gli sbarramenti, ridendo delle sentinelle sbalordite...
Poco innanzi le cinque,
nella nebbietta brilla il segnale della terza silurante che lietamente
si ricongiunge alle compagne. La trinità navale è dunque incolume...
Lasciamo dietro di noi le soglie dei Quarnaro posseduto. La nostra
piccola bandiera quadrata si muove come una mano che faccia un continuo
cenno. Ha il rosso rivolto verso l'Istria che mi par di rivedere in
sogno, simile a un grappolo premuto o a un cuore pesto... L'alba non è eguale per
tutti. Dall'Italia navighiamo verso l'Italia.
Gabriele D'Annunzio
Siamo trenta d'una sorte,
e trentuno con la morte.
EIA, l'ultima! Alala'!
Siamo trenta su tre gusci
su tre tavole di ponte:
secco fegato, cuor duro,
cuoia dure, dura fronte,
mani macchine armi pronte,
e la morte a paro a paro.
EIA, carne del Carnaro!
Alala'!
Con un'ostia tricolore
ognun s'e comunicato.
Come piaga incrudelita
coce il rosso nel costato,
ed il verde disperato
rinforzisce il fiele amaro.
EIA, sale del Quarnaro!
Alala'!
Tutti tornano, o nessuno.
Se non torna uno dei trenta
torna quella del trentuno,
quella che non ci spaventa,
con in pugno la sementa
da gittar nel solco avaro.
EIA, fondo del Quarnaro!
Alala'!
Quella torna, con in pugno
il buon seme della schiatta,
la fedel seminatrice,
dov'e' merce la disfatta,
dove un Zanche la baratta
e la da' per un denaro.
EIA, pianto del Quarnaro!
Alala'!
Il profumo dell'Italia
e' tra Unie e Promontore.
Da Lussin, da Val d'Augusto
vien l'odor di Roma al cuore.
Improvviso nasce un fiore
su dal bronzo e dall'acciaro.
EIA, patria del Quarnaro!
Alala'!
Ecco l'isole di sasso
che l'ulivo fa d'argento.
Ecco l'irte groppe, gli ossi
delle schiene, sottovento.
Dolce e' ogni albero stento,
ogni sasso arido e' caro.
EIA, patria del Quarnaro!
Alala'!
Il lentisco il lauro il mirto
fanno incenso alla Levrera.
Monta su per i valloni
la fumea di primavera,
copre tutta la costiera,
senza luna e senza faro.
EIA, patria del Quarnaro!
Alala'!
Dentro i covi degli Uscocchi
sta la bora e ci da' posa.
Abbiam Cherso per mezzana,
abbiam Veglia per isposa,
e la parentela ossosa
tutta a nozze di corsaro.
EIA, mirto del Quarnaro!
Alala'!
Festa grande. Albona rugge
ritta in pie' su la collina.
Il ruggito della belva
scrolla tutta Farasina.
Contro sfida leonina
ecco ragghio di somaro.
EIA, guardie del Quarnaro!
Alala'!
Fiume fa le luminarie
nuziali. In tutto l'arco
della notte fuochi e stelle.
Sul suo scoglio erto e' San Marco.
E da ostro segna il varco
alla prua che vede chiaro.
EIA, sbarre del Quarnaro!
Alala'!
Dove son gli impiccatori
degli eroi? Tra le lenzuola?
Dove sono i portuali
che millantano da Pola?
A covar la gloriola
cinquantenne entro il riparo?
EIA, chiocce del Quarnaro!
Alala'!
Dove sono gli ammiragli
d'arzana'? Su la ciambella?
Santabarbara e' sapone,
e capestro ogni cordella
nella ex voto navicella
dedicata a San Nazaro.
EIA, schiuma del Quarnaro!
Alala'!
Da Lussin alla Merlera,
da Calluda ad Abazia,
per il largo e per il lungo
siam signori in signoria.
Padre Dante, e con la scia
facciam "tutto il loco varo".
EIA, mastro del Quarnaro!
Alala'!
Siamo trenta su tre gusci,
su tre tavole di ponte:
secco fegato, cuor duro,
cuoia dure, dura fronte,
mani macchine armi pronte,
e la morte a paro a paro.
EIA, carne del Carnaro!
Alala!
Gabriele D'Annunzio
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