Ammiraglio all'età
record di 47 anni, a soli 51 Angelo lachino comandò in guerra la
nostra flotta in mare per molto tempo. Fu il solo ammiraglio
italiano, dall'unità in poi, a dirigere tanto a lungo (quasi per
due anni e mezzo) un complesso navale di grosse dimensioni, tale
da non sfigurare rispetto a quelli delle principali marine.
Figlio di un
professore di scuole medie, lachino nacque a Sanremo il 24 aprile
1889. Si votò giovanissimo alla vita del mare. A soli quindici
anni entrò all'Accademia di Livorno, formandosi alla dura scuola
nella quale era ancora fresco il ricordo della marina velica, con
le sue severe e a volte spietate corvée. Fece in tempo a
partecipare alle operazioni della campagna di Libia e poi, quale
comandante di unità siluranti, alla guerra italo‑austriaca del
1915‑1918. Fu lui a pilotare la torpediniera che trasportò fino a
Pola il mezzo d'assalto di Rossetti e Paolucci.
Dopo il 1918 ottenne
numerose destinazioni all'estero. Comandò anche, per un certo
periodo, una delle cannoniere italiane dislocate a Tien Tsin,
quando anche il nostro Paese partecipava alle « concessioni »
strappate dalle potenze europee, dagli americani e dai giapponesi,
al «celeste impero». Sull' «Emanuele Carlotto», lachino
dovette affrontare bufere che non ricordavano certo le tranquille
navigazioni in Mediterraneo. Se la cavò sempre egregiamente,
dimostrandosi un esperto e coraggioso navigatore.
Con questo bagaglio
professionale ed umano, il giovane ufficiale diede la scalata ai
gradi della gerarchia navale quando, tornato in patria, si trovò a
respirare l'atmosfera particolare che si era creata in conseguenza
dei primi massicci programmi di costruzioni navali voluti dal
fascismo. Per volontà di Mussolini, il sottosegretario ammiraglio
Domenico Cavagnari stava costruendo la « Grande Marina» e dozzine
di unità pesanti e leggere scendevano in mare. C'era posto per
giovani ufficiali, ambiziosi e preparati, in una marina che non
doveva certo lesinare i «comandi» in mare. Angelo lachino,
ovviamente, ne approfittò e fece una rapida, brillantissima
carriera.
L' Ammiraglio
Angelo lachino, nato a Sanremo, fu il comandante in capo della
flotta italiana dal 9 Dicembre 1940 all' Aprile 1943. Iachino morì
a Roma, a 87 anni, il 3 Dicembre 1976. |
Dopo aver ottenuto il
comando del Distretto marina in Estremo Oriente, a Pechino, venne
nominato comandante dell'Accademia dì Livorno e quindi, allo
scoppio della guerra nel 1940, della seconda Squadra navale,
quella dei nostri incrociatori pesanti, da diecimila tonnellate.
In tale veste partecipò allo scontro di Capo Teulada del 27
Novembre 1940 e in quell' unica occasione lo « Zara » e il «
Trento » riuscirono a centrare con due colpi l'incrociatore
inglese «Berwick ».
Pochi giorni dopo, il
9 Dicembre, lachino venne chiamato a sostituire l'ammiraglio Inigo
Campioni nella carica di comandante in capo della flotta. Egli
tenne questo incarico importantissimo per quasi tutta la guerra,
fino all'Aprile del 1943, allorché lo rimpiazzò l'ammiraglio Carlo
Bergamini, destinato a perire nell'affondamento della corazzata «
Roma ».
Il «duello» di
lachino con i comandanti della « Mediterranean Fleet » di base ad
Alessandria (prima Cunningham, poi Vian) e con l'ammiraglio
Somerville, che comandava la Forza navale inglese H di Gibilterra,
fu spesso impari e conobbe momenti di alta drammaticità.
Nel Febbraio del 1941
Somerville si spinse fino al Golfo di Genova e bombardò il
capoluogo ligure: lachino gli diede la caccia invano, mai servito
da « Super marina » e peggio dalla ricognizione aerea. Altrettanto
sfortunate furono anche le due battaglie delle Sirti, alle quali
partecipò da protagonista: quella del 16 Dicembre 1941 e quella
del 22 Marzo 1942.
Lo scontro fatale per
lachino e per la nostra marina fu comunque quello dei 28 Marzo
1941 che va sotto il nome di battaglia di Capo Matapan. La nostra
flotta pagò allora a quella inglese il pedaggio più pesante, con
la perdita di tre incrociatori, di due cacciatorpediniere e di
circa tremila uomini. Fu colpa dei radar, dell'aviazione navale e
delle portaerei che non avevamo, della decrittazione degli ordini
di operazioni? Forse di tutte queste cose insieme.
lachino, molti anni
dopo, tentò di spiegare e scrisse che la nostra Marina affrontò
quella inglese con una struttura di comando e con mezzi tecnici
decisamente inadeguati. Un'accusa, indiretta, a chi aveva
realizzato la « Grande Marina », badando più alle apparenze che
alla sostanza. Gli inglesi, per parte loro, affermarono
cavallerescamente che lachino fu «sfortunato ».
Dopo il tragico scontro
di Capo Matapan, l'ammiraglio sanremese inseguì a lungo e invano
una « rivincita ».
Ceduto a Bergamini il
comando, delle forze navali riunite, lachino si tirò in disparte per
attendere l'ormai vicina e fatale conclusione della guerra. Lasciò
il servizio attivo molto più tardi, nel 1954, con il grado di
ammiraglio d'armata.
Morì a Roma, a 87 anni,
il 3 Dicembre 1976.
Autore di studi sulla
tattica navale nonché sull'impiego delle artiglierie e del naviglio
sottile e subacqueo, Angelo lachino scrisse anche, negli ultimi anni
della sua vita, con molto successo, numerosi libri, spesso polemici,
dedicati agli episodi di guerra di cui fu protagonista e vittima ad
un tempo:
Operazione Mezzo Giugno, Le due
Sirti, Tramonto di una Grande Marina, Gaudo e Matapan, Il punto su
Matapan.
Il ricordo della notte del 28 Marzo 1941, come si vede, fu
ossessionante per l'ammiraglio.
L'ultima volta che
lachino partecipò ad una manifestazione della « sua » marina fu nel
1966, dieci anni prima che morisse, a Castellamare di Stabia.
Varavano l'incrociatore lanciamissili «Vittorio Veneto». Si
trattava di una cerimonia storica: era la prima grande nave della
Marina a scendere in mare da quando la guerra era finita. Dino
Buzzati, che gli era stato accanto sulla plancia dell'altra «
Vittorio Veneto », veterana di tutte le battaglie contro la
Mediterranean Fleet, gli si trovò vicino anche in quella occasione
lieta. E ne scrisse uno dei suoi più bei «pezzi ». Buzzati se lo
studiò e scrisse:
|
«
L'ammiraglio se ne stava silenzioso. I suoi occhi azzurri,
gelidi, guardavano lontano, oltre lo scafo in bilico sullo
scalo, al di là delle bandiere. Forse per il vento gelido
che tirava giù dritto dalle montagne dell' Irpinia, ma più
probabilmente a causa dei ricordi, di tanto in tanto
qualcosa di lucido gli passava nello sguardo. In quel
momento la sua mente andava a quella notte - anch'essa
gelida ‑ di venticinque anni prima, quando tremila suoi
marinai erano « periti per acqua » a Sud di Capo Matapan
». |
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