Il rito è la norma che regola il modo di compiere una cerimonia. Possiamo distinguere tra riti religiosi e riti che invece sono vere e proprie procedure legali.

Alcuni esaltano il principio unificante della vita sociale e fanno quindi sentire al gruppo la propria coesione: si tratta di riti sacrificali e di riti piacolari. Questi ultimi si svolgono in caso di morte e di purificazione perché anche in tali occasioni il gruppo intende intensificare la coscienza di sé, quasi a compensarsi della perdita di uno dei suoi membri.

Altri riti invece separano alcuni membri dal resto del gruppo per creare in loro una nuova situazione psicologica e sociale. Sono riti di iniziazione che separano alcuni giovani individui dal resto del clan e che attraverso delle pratiche di ascesi potenziano l’io in un piano mistico superiore, mettendo l’individuo in condizioni di vita e di ricettività speciale di fronte al resto del gruppo.

Infine, ci sono riti utilizzati per separare e distinguere i luoghi sacri dai profani il cui scopo è esaltare l’unione tra la divinità e coloro che si sono riuniti a pregare.

Dal punto di vista pratico, i riti consistono in una parte orale, cioè preghiere, formule, etc. e una parte manuale che si svolge mediante il gesto e l’azione.

Il rito è nato in origine da un gesto spontaneo che ha accompagnato l’esplosione di un desiderio, l’espressione di un bisogno, la paura di un pericolo; e che, una volta sperimentato efficace, viene ripetuto fedelmente affinché l’effetto si riproduca ancora. Questo concetto di fissità è indispensabile all’idea genuina del rito, e perciò in tutti i riti Klingon esistono norme rigidamente stabilite.

I riti vengono trasmessi di generazione in generazione di solito attraverso una documentazione scritta, ma all’origine solo mediante l’insegnamento orale e il costume. Si è formata così una tradizione, formata da leggi, consuetudini, memorie, notizie storiche etc, che rappresenta il patrimonio culturale del popolo Klingon.

Negli ultimi tempi, in seguito al declino spirituale diffusosi come una piaga nell’Impero, si è vista una esaltazione eccessiva dell’elemento formale del rito e un fanatismo per le manifestazioni esteriori, insieme all’incapacità di penetrare il puro elemento spirituale. E’ vero infatti che nella società Klingon il rito formalizzato è usato per imbrigliare una emozionalità straripante, un impeto incontrollabile e un istinto violento da predatore, ma è indispensabile per un guerriero Klingon comprendere lo spirito del rito, penetrarne il significato profondo. Se i pensieri di un guerriero sono fissati sulle apparenze, gli sconvolgimenti hanno un immenso potere su di lui e pervadendone l’animo e confondendone la mente, fanno sì che egli perda il controllo di sé stesso. Un guerriero che non ha una vita spirituale, non ha ancora trovato sé stesso. Le sue azioni perdono di significato; egli non accresce lo spirito del suo popolo; è come il ramo secco di un albero, danneggia anche i rami vicini; è un guerriero che non ha un centro, nel quale convogliare le energie, dal quale attingere la forza interiore.

Il dovere di un guerriero è di accrescere il proprio potenziale, soprattutto attraverso una ricca vita spirituale. Accostandosi ai riti formalizzati il guerriero ha la possibilità di andare oltre la mera apparenza e raggiungere un livello superiore di comprensione.

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