Il custode delle chiavi della città

Mehmed "Meho" Dizdar
 
 

"Chi ero io prima della guerra in Bosnia Erzegovina? Innanzi tutto un professore della lingua jugoslava. Poi sono stato assessore alla cultura e infine capo della Polizia di Stolac".

L’incontro con Mehmed "Meho" Dizdar avviene nella casa di Mostar di suo fratello "Muho", esponente del Parlamento Federale. Uno strano modo di essere parlamentare, in quanto non percepisce stipendio ma solo un piccolo rimborso per la benzina che brucia su per le strade dell’Erzegovina, per raggiungere la sede del Parlamento a Sarajevo. Un Parlamento che dalla sua nascita si è riunito solo poche volte: "Io sono membro della commissione per i problemi culturali ma ancora, dopo un anno, non ci siamo mai riuniti".

Sono originari di Stolac, una piccola cittadina a sud dell’Erzegovina sotto il controllo Croato Bosniaco. La storia di questo piccolo paese è simile alle tragedie subite da tante altre città bosniache. Prima la guerra fratricida fra serbi e croato-musulmani e poi la guerra fra croati e musulmani. Anche sull’esito della vittoria Stolac somiglia alle altre città della Bosnia. I musulmani hanno avuto la peggio e sono scappati verso i paesi stranieri disposti, mal volentieri, ad ospitarli. Oppure si sono rifugiati nelle città amiche: Mostar o, peggio, Sarajevo.

Dizdar è un cognome di spicco nella comunità dell’Erzegovina e "Meho" annovera fra i suoi parenti più stretti anche il poeta e scrittore Mehmedalija "Mak" Dizdar, anche lui originario di Stolac. Ora Meho è il portavoce di tutti i profughi o sfollati che sono scappati da Stolac. Una carica di fatto riconosciuta anche dall’Unhcr (Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati di Guerra).

"Il gruppo più numeroso di sfollati, circa 5 mila persone su un totale di più di 8 mila, è qui a Mostar, altri 2.100 sono "fuori" ed altri ancora a Sarajevo. Io sono il Presidente di tutte queste persone che sono state cacciate dalle loro case di Stolac. Sono un po' come Tuðman, che si definisce Presidente di tutti i croati, sotto il cielo e sopra la terra", ride guardando in maniera amichevole gli interlocutori. Ci troviamo in un piccolo salotto -una delle tre stanze che forma l'intera casa-, con Meho, noi tre, la nostra interprete, il fratello, i familiari e alcuni amici. Sembra quasi una riunione di famiglia, accompagnata dai soliti riti sociali in uso da queste parti: un po' di rakija e caffè da sorseggiare di tanto in tanto. In un angolo c'è anche un piccolo televisore con uno schermo un po' incerto e due ragazzi che seguono una trasmissione sul campionato di calcio inglese. Anche loro però seguono con l'orecchio la nostra conversazione, come tutti gli altri, che in silenzio ci guardano senza disturbarci. Più che una normale chiacchierata in famiglia c'è quindi quella piccola solennità che accompagna ogni parola detta, o anche ogni allusione o battuta, sapendo che un giorno comunque da qualche parte altri potranno riascoltarla o rileggerla, quella parola.

Ora che la guerra è finita "Meho" Dizdar lavora per far in modo che il trattato di Dayton venga realizzato in uno dei suoi punti principali: il rientro dei profughi nelle proprie abitazioni. Un lavoro non certo facile, sia perché i croati di Stolac non lo permettono, sia perché sulla sua testa pende un mandato di arresto. I croati lo considerano "Criminale di Guerra".

"Forse sono un criminale di guerra perché sono stato per tutto il 1993 chiuso nel loro lager -dice con voce forte e decisa-, o forse perché ho il coraggio di denunciare apertamente ciò che i croati hanno fatto a Stolac contro la popolazione civile. Ho scritto anche un libro su questo. Le divergenze con i croati risalgono all'aprile del 1992, quando Stolac fu circondata dai blindati serbi e solo le barricate la proteggevano dal loro ingresso. Io ero stato appena rimosso dal mio incarico di Capo di Polizia. I croati mi avevano sostituito con un loro uomo che poi si rivelò un vigliacco e fu il primo a scappare. Io ero un uomo conosciuto, così fui scelto a rappresentare il paese durante le trattative con i serbi.

Fin da subito ebbi la sensazione che fra i croati di Mate Boban ed i serbi di Radovan KaradæiÊ, ci fosse un accordo per la spartizione della Bosnia. Stolac doveva andare alla Croazia. Scelsi di far entrare i serbi perché in quella situazione secondo me erano il male minore in quanto, anche se ben armati, erano numericamente inferiori sia ai croati che ai musulmani. Se nel loro accordo di spartizione della Bosnia Stolac doveva andare ai croati, la mia decisione fece sfumare il loro piano in quanto i serbi erano dentro la città, oramai, e sicuramente per controllare il territorio avrebbero avuto bisogno dell’appoggio di una parte non esigua di popolazione, quella musulmana, anche se non bene armata.

La conferma di un secondo accordo fra Boban e KaradæiÊ venne quando i serbi, qualche mese dopo, quasi inspiegabilmente, si ritirarono fra le montagne facendo finta di non reggere l’offensiva dei croati. A quel punto per noi musulmani fu la fine. Io nell’aprile 1993 fui arrestato e rinchiuso in un lager per dodici mesi, iniziando la mia carriera di "criminale".

Alcuni rappresentanti della Comunità Internazionale mi hanno anche regalato una copia del manifesto dove troneggia la mia foto con una sola scritta: ricercato - criminale di guerra. Questo manifesto è appeso in tutte le frontiere con la Croazia, così ora per uscire dal mio paese sono costretto a prendere l’aereo. Sono un criminale di guerra così pericoloso che per recarmi alle riunioni, a Stolac, fra le rappresentanze croate e quelle musulmane vado scortato dalla Comunità Internazionale!"

La parola Dizdar significa "Custode delle chiavi della città", come se la Storia avesse scelto questo uomo per il significato del cognome prima ancora che per le sue capacità politiche.

Se con il trattato di Dayton è stato stabilito che il rientro libero e incondizionato dei profughi alle proprie case è una prerogativa essenziale per il mantenimento della pace, e anche per l'invio degli aiuti economici per la ricostruzione del paese, in verità riguardo all’applicazione di questo punto si può notare una condotta comune fra le tre entità politiche che compongono la Bosnia Erzegovina: il boicottaggio. Si ha come l’impressione che ci sia un accordo segreto per mantenere questo status-quo. Tutto è bloccato. Nessuno riesce a rientrare nella propria abitazione, se non con enormi difficoltà. E' difficile persino recarsi in visita nei paesi di origine. Le stime parlano di 2 milioni e mezzo di profughi, circa la metà dell’intera popolazione. Attualmente sono rientrate nelle proprie case solo poche migliaia di persone.

I profughi sono considerati solo una merce di scambio per i giochi politici. Se a Stolac si accordano per il rientro di cento famiglie musulmane, allora a Vare1 viene chiesto che ne rientrino duecento croate. Se lo scambio non avviene allora si media sulle cifre. A volte interviene la Comunità Internazionale che minaccia di ridurre l’affluenza dei finanziamenti per la ricostruzione, così si trova un accordo, che al primo attrito fra le varie comunità viene di nuovo rimesso in discussione.

La sensazione di fondo è che nessuno abbia intenzione e voglia di rispettare questo punto essenziale del trattato di Dayton. La guerra in Bosnia Erzegovina si è basata principalmente sulla divisione etnica del territorio. Ridiscutere questo principio significa rimescolare le etnie, e ciò per i politici nazionalisti locali equivale a riconoscere che quattro anni di guerra, saccheggi, omicidi e stupri siano passati inutilmente, perché per loro non avere un territorio etnicamente omogeneo significa rimettere in discussione il loro mandato politico alle prime elezioni.

"Per Stolac ci siamo accordati sul rientro di circa 100 famiglie musulmane, ma allo stato attuale ne sono rientrate solo 47 e questo grazie anche alle enormi pressioni sul Governo di Zagabria da parte degli organismi internazionali. Anche se formalmente Tuðman non governa in Bosnia Erzegovina, realmente è lui che tira le fila dei croato bosniaci. Il vero ostacolo al rientro dei profughi musulmani è Tuðman. Bisogna far cambiare la politica di Zagabria, farle smettere di considerare l’Erzegovina una sua provincia."

A conferma di ciò è interessante vedere il telegiornale della HR-TV, il primo canale televisivo croato, visibile molto bene anche in Bosnia. Nelle notizie che riguardano la politica o la cronaca interna alla Croazia viene inclusa anche l’Erzegovina: non viene trattata come cronaca estera. Ed è la stessa cosa addirittura per le previsioni del tempo. Proprio la stessa mattina, mentre consumavamo la nostra colazione in quella stessa stanza, davanti a quel piccolo televisore acceso, abbiamo casualmente seguito la rubrica delle previsioni del tempo trasmessa dalla Tv di Zagabria: erano segnate in grigio, come un unico territorio, la Croazia e la parte di Bosnia controllata dalla federazione croato-musulmana, e in bianco, come una specie di cerotto attaccato sopra per coprire, la Serbia e la parte di Bosnia sotto il controllo di Pale o di Banja Luka. E ovviamente, i vari simboli del sole, delle nubi o della pioggia erano distribuiti solo sulle zone grigie ma erano rigorosamente assenti da quelle bianche, come se i venti non transitassero anche sopra quel corridoio di "Bosnia serba" ai confini della Croazia ma le girassero attorno.

"Non esiste una pianificazione a lungo termine dove si possa prevedere come e quando il rientro dei profughi avverrà totalmente. A Stolac sono previsti i rientri di 100 famiglie, ma non è specificato entro quando questo avverrà. Dobbiamo ogni giorno discutere, mediare per far rientrare una o due famiglie alla volta. Dopo aver stabilito il numero, i croati di Stolac decidono, a loro insindacabile giudizio, i nomi delle famiglie musulmane da far rientrare. Attualmente a Stolac è stato individuato un quartiere dove, chi vi abitava precedentemente, ha qualche possibilità di rientrare. Debbono rientrare, ovviamente, i proprietari delle case che risultano al catasto della città, che fortunatamente non è andato distrutto. L'altra condizione, è che la casa non sia stata occupata da croati, di Stolac o profughi da altre parti della Bosnia. Capite che in questa situazione non si riuscirà mai a sapere quando tutto questo finirà. Continuando con questo ritmo tutte le cento famiglie rientreranno nelle loro case solo "fra 214 anni". E questo non è altro che un esperimento pilota.

Superate queste difficoltà "burocratiche" poi ci sono altri problemi di ordine tecnico. Se la casa che dovrà ospitare la famiglia che deve rientrare è danneggiata, bisogna ristrutturarla. Tutto questo è a carico nostro, della comunità dei profughi di Stolac che raccoglie fondi, senza l'aiuto di nessun organismo governativo, e poi invia ogni giorno degli operai a Stolac a lavorare, naturalmente sotto la scorta della SFOR (Forza di Stabilizzazione Internazionale). La copertura militare è l'unico aiuto ma anche qui si tratta di una copertura parziale. Infatti capita anche che una volta completati i lavori di ristrutturazione della casa questa sia fatta esplodere di notte, per impedire il rientro dei proprietari.

Dobbiamo anche preoccuparci dell’invio degli alimenti alle famiglie che sono riuscite a rientrare a Stolac perché, non potendo lavorare, non hanno nulla con cui sopravvivere. Per quanto riguarda l’istruzione ancora non esistono scuole per i musulmani, così i bambini la mattina sono costretti a venire a Mostar."

La sensazione che si ha percorrendo queste zone è di un grande immobilismo, sia a livello istituzionale sia nei rapporti sociali fra le persone. Come se tutto sia ancora sospeso o debba ancora accadere. Come se il lavoro fino a qui fatto non sia ancora completo.

Un Parlamento Federale che non legifera, se non per consolidare il potere della classe dirigente attuale, ne è l'esempio evidente.

Un sistema burocratico che schiaccia il cittadino e lo tiene legato come un cordone ombelicale al politico del luogo che gli promette un lavoro o una casa decente.

La popolazione che si sente tradita nelle aspettative di vivere in un paese libero e democratico. I loro diritti essenziali sono calpestati da una classe dirigente che, orfana della guerra, non riesce ancora a trovare uno strumento sostitutivo valido per tener sotto controllo la popolazione. Quando è guerra tutto è permesso, la colpa è sempre del nemico. Ma ora questa barzelletta non è più possibile raccontarla, la popolazione potrebbe non crederci più.

"Prima della guerra ci affermavano che con l’indipendenza della Bosnia Erzegovina saremmo entrati in Europa. Infatti ci siamo, ma come profughi". Questa è una storiella tipica di queste parti che denota, oltre ad un grande e strano senso dell’umorismo, anche una verità di fondo. La speranza di vivere in un paese moderno per il momento appare morta.

"E i serbi? Se esistono degli "esperimenti pilota" per far rientrare croati e musulmani, dei serbi nessuno ne parla. A Mostar, Bugojno, Vare1 e Stolac sono avvenuti dei rientri, anche se con notevoli difficoltà. Ma nessun serbo è stato visto rientrare da queste parti, eppure anche loro abitavano in queste città. Una convivenza senza serbi, soltanto fra croati e musulmani, non sarà mai possibile. Evidentemente KaradæiÊ stesso non vuole che questo accada, che si possa tornare a convivere.

La domanda che ci facciamo più spesso è questa: quando inizierà a peggiorare ? Il termine di valutazione di durata non si misura certo in anni e neanche in mesi. Ma in giorni. Domani, per esempio, dobbiamo incontrare i rappresentanti croati di Stolac per decidere quanti e quali musulmani rientreranno nei prossimi giorni. Se in questo lasso di tempo qualcosa dovesse accadere, di certo gli accordi che prenderemo domani, nell’ipotesi che tutto vada bene, dovranno essere ridiscussi di nuovo. Per esempio una telefonata da Zagabria, un incidente diplomatico o una ritorsione. Questo non è da escludere perché, non dimenticate, che la scorsa settimana si è votato per le elezioni comunali in tutta la Bosnia Erzegovina e i musulmani, a Stolac, hanno conquistato un gran numero di seggi nonostante la pulizia etnica ed i brogli elettorali fatti dai croati. Hanno inserito nelle liste elettorali anche i croati residenti a Neum, per sbilanciare il numero degli elettori a loro favore."

Fa uno strano effetto incontrare una persona considerata, anche se solo da una parte politica, "Criminale di Guerra". Il colloquio finisce intorno alle ore 23.00. Di notte non è molto consigliabile aggirarsi per la città.

Noi ci ritiriamo nella nostra stanza, messaci a disposizione da "Muho" Dizdar. Siamo suoi ospiti. Discutiamo, iniziamo a rielaborare l'intervista, critichiamo tra noi i passaggi che non ci convincono mentre su altri concordiamo. "La domanda che ci facciamo più spesso è questa: quando inizierà a peggiorare?": è questa la battuta che ci ha colpito di più. L’unità di misura delle prospettive politiche è "il" giorno. Nel senso proprio del giorno per giorno. Solo i progetti a lunga scadenza si azzardano su una dimensione che si misura in settimane e nulla di più. Siamo lontani anni luce dal metro di misura di casa nostra.

I Balcani del dopo Dayton sono anche questo.

E’ un settembre ancora caldo e si dorme con la finestra socchiusa. Un rimbombo cupo si propaga nella notte. Una folata non proprio di vento ma di aria che arriva compatta, solleva le tendine della nostra stanza. Ci guardiamo negli occhi. L’assenza del "sibilo" ci fa escludere l'ipotesi della granata. Del resto il boato sarebbe stato certamente minore, più accidentale o minuscolo per certi aspetti, diverso da quel tonfo pesante che invece ci ha colpito. Ne percepiamo chiaramente anche la provenienza: il lato ovest della città. L’idea più plausibile è l’attentato dinamitardo. Il giorno dopo sapremo che è proprio di questo che si tratta: un’auto imbottita con 70 chilogrammi di tritolo, parcheggiata nei pressi della stazione di polizia del settore ovest. La potenza ed il controllo del territorio della mafia croato-erzegovese è un dato di fatto oramai nella Mostar croata. Si esclude l’impronta dei mujahideen, anche se qualcuno tenta di giocare questa carta.
La bomba ha sventrato quindici appartamenti. Distrutto settanta macchine. Ferito decine di persone di cui una in maniera grave: è un bambino di due anni.

Chissà se è riuscita pure a fermare le trattative, fra croati e musulmani di Stolac, che "Meho" Dizdar ci aveva descritto qualche ora prima?

A circa un anno di distanza, mentre ricorreggiamo queste note, sappiamo che il processo di rientro è proseguito, seppure lentamente, e ora sono qualche centinaio le famiglie di Stolac tornate a casa. Eppure tutto vive ancora con la solita incertezza e discontinuità. Ad esempio, in occasione degli ultimi campionati mondiali di calcio, per festeggiare la buona prestazione della nazionale croata, gli ultras erzegovesi di questa cittadina bosniaca non hanno trovato di meglio per festeggiare che incendiare e assalire un po' di case musulmane.



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