L'IMITAZIONE DI CRISTO


Libro III


INCOMINCIA IL LIBRO DELLA CONSOLAZIONE INTERIORE

Libro 3/1 Cap.I - XIX
Libro 3/2 Cap.XX - XXXIX
Libro 3/3 Cap.XL - XLIX
Libro 3/4 Cap.L - LIX


Capitolo L

CHI E' NELLA DESOLAZIONE DEVE METTERSI NELLE MANI DI DIO


1.Signore Dio, Padre santo, che tu sia, ora e sempre, benedetto, perché come tu vuoi così è stato fatto, e quello che fai è buono. Che in te si allieti il tuo servo, non in se stesso o in alcunché d'altro. Tu solo sei letizia vera; tu la mia speranza e il mio premio; tu, o Signore, la mia gioia e la mia gloria. Che cosa ha il tuo servo , se non quello che, pur senza suo merito, ha ricevuto da te? Quello che hai dato e hai fatto a me, tutto è tuo. "Povero io sono, e tribolato, fin dagli anni della mia giovinezza" (Sal 87,16); talvolta l'anima mia è triste fino alle lacrime, talvolta si turba in se stessa sotto l'incombere delle passioni. Desidero il gaudio della pace; domando la pace dei tuoi figli, da te nutriti nello splendore della consolazione. Se tu doni questa pace, se tu infondi questa santa letizia, l'anima del tuo servo sarà tutta un canto nel dar lode a te, devotamente. Se, invece, tu ti ritrai, come fai talvolta, il tuo servo non potrà percorrere lesto la "via dei tuoi comandamenti" (Sal 118,32). Di più, gli si piegheranno le ginocchia, fino a toccargli il petto; per lui non sarà più come prima, ieri o ier l'altro, quando il tuo lume gli splendeva sul capo e l'ombra delle tue ali lo proteggeva dall'irrompere delle tentazioni.

2.Padre giusto e degno di perpetua lode, giunga l'ora in cui il tuo servo deve essere provato. Padre degno di amore, è giusto che in questo momento il tuo servo patisca un poco per te. Padre degno di eterna venerazione, giunge l'ora, che da sempre sapevi sarebbe venuta, l'ora in cui il tuo servo - pur se interiormente sempre vivo in te - deve essere sopraffatto da cose esteriori, vilipeso anche ed umiliato, scomparendo dinanzi agli uomini , afflitto dalle passioni e dalla tiepidezza; e ciò per risorgere di nuovo con te, in una aurora di nuova luce, nello splendore dei cieli. Padre santo, così hai disposto, così hai voluto; e come hai voluto è stato fatto. Giacché questo è il dono che tu fai all'amico tuo, di patire e di essere tribolato in questo mondo, per amor tuo; e ciò quante volte e da chiunque permetterai che sia fatto. Nulla accade quaggiù senza che tu lo abbia provvidenzialmente disposto, e senza una ragione. "Cosa buona è per me, che tu mi abbia umiliato, per farmi conoscere la tua giustizia" (Sal 118,71) e per far sì che io abbandoni ogni orgoglio interiore e ogni temerarietà. Cosa per me vantaggiosa, che la vergogna abbia ricoperto il mio volto, così che, per essere consolato, io abbia a cercare te, piuttosto che gli uomini. In tal modo imparo a temere l'imperscrutabile tuo giudizio, con il quale tu colpisci il giusto insieme con l'empio, ma sempre con imparziale giustizia. Siano rese grazie a te, che non sei stato indulgente verso i miei peccati e mi hai invece scorticato con duri colpi, infliggendomi dolori e dandomi angustie, esterne ed interiori. Nessuno, tra tutti coloro che stanno sotto il cielo, quaggiù, mi può dare consolazione; tu solo lo puoi, o Signore mio Dio, celeste medico delle anime, che colpisci e risani, "cacci all'inferno e da esso ritogli" (Tb 13,2). La rigida tua regola stia sopra di me; essa mi ammaestrerà.

3.Padre diletto, ecco, io sono nelle tue mani; mi curvo sotto la verga, che mi corregge. Percuotimi il dorso e il collo, affinché io indirizzi la mia vita tortuosa secondo la tua volontà. Come tu suoli, e con giustizia, fa' di me un devoto e umile discepolo, pronto a camminare a ogni tuo cenno. A te affido me stesso, e tutto ciò che è mio, per la necessaria correzione. E' preferibile essere aspramente rimproverato quaggiù, che nella vita futura. Tu conosci tutte le cose, nel loro insieme e una per una; nulla rimane a te nascosto dell'animo umano. Tu conosci le cose che devono venire, prima che esse siano, e non hai bisogno che alcuno ti indichi o ti rammenti quello che accade su questa terra. Tu conosci ciò che mi aiuta a progredire, e sai quanto giova la tribolazione per togliere la ruggine dei vizi. Fa' di me quello che ti piace, e che io, appunto, desidero; e non voler giudicare severamente la mia vita di peccato, che nessuno conosce più perfettamente e chiaramente di te. Fa' che io comprenda ciò che è da comprendere; che io ami ciò che è da amare; fa' che io approvi ciò che sommamente piace a te; che io apprezzi ciò che a te pare prezioso; fa' che io disprezzi ciò che è abietto ai tuoi occhi. Non permettere che io giudichi "secondo la veduta degli occhi materiali; che io non mi pronunzi secondo quel che si sente dire" da gente profana (Is 11,3). Fa' che io, invece, discerna le cose esteriori e le cose spirituali in spirito di verità; fa' che, sopra ogni cosa, io vada sempre ricercando il tuo volere. Se il giudizio umano, basato sui sensi, sovente trae in inganno, si ingannano anche coloro che sono attaccati alle cose del mondo, amando soltanto le cose visibili. Forse che uno è migliore perché è considerato qualcosa di più, nel giudizio di un altro? Quando questi lo esalta, è un uomo fallace che inganna un uomo fallace, un essere vano che inganna un essere vano, un cieco che inganna un cieco, un miserabile che inganna un miserabile; quando lo elogia a vuoto, realmente lo fa vergognare ancor più. Invero, secondo il detto dell'umile san Francesco, quanto ciascuno è ai tuoi occhi, tanto egli è; e nulla di più.

Capitolo LI
DEDICARSI A COSE PIU' UMILI QUANDO SI VIENE MENO NELLE PIU' ALTE

Tu non riesci, o figlio, a persistere in un fervoroso desiderio di virtù e restare in un alto grado di contemplazione. Talora, a causa della colpa che è all'origine dell'umanità, devi scendere più in basso e portare il peso di questa vita corruttibile, pur contro voglia e con disgusto; disgusto e pesantezza di spirito, che sentirai fino a che vestirai questo corpo mortale. Nella carne, dunque, e sotto il peso della carne devi spesso patire, poiché non sei capace di stare interamente e continuamente in occupazioni spirituali e nella contemplazione di Dio. Allora devi rifugiarti in occupazioni umili e materiali e fortificarti con azioni degne; devi attendere, con ferma fiducia, che io venga dall'alto e mi manifesti a te; devi sopportare con pazienza il tuo esilio e la tua aridità di spirito, fino a che io non venga di nuovo a te, liberandoti da tutte le angosce. Invero ti farò dimenticare le tue fatiche, nel godimento della pace interiore; ti aprirò dinanzi il campo delle Scritture, nel quale potrai cominciare a correre con animo sollevato "la via dei mie comandamenti" (Sal 118,32). Allora dirai: "i patimenti di questo mondo non sono nulla in confronto alla futura gloria, che si rivelerà in noi" (Rm 8,18).

Capitolo LII
L'UOMO NON SI CREDA MERITEVOLE DI ESSERE CONSOLATO, MA PIUTTOSTO DI ESSERE COLPITO

1.E' giusto, o Signore, quello che fai con me quando mi lasci abbandonato e desolato; perché della tua consolazione o di alcuna tua visita spirituale io non son degno, e non lo sarei neppure se potessi versare tante lacrime quanto un mare. Altro io non merito che di essere colpito e punito, per averti offeso, spesso e in grave modo, e per avere, in molte occasioni peccato grandemente. Dunque, a conti fatti, in verità, io non sono meritevole del minimo tuo conforto. Ma tu, Dio clemente e pietoso, per manifestare l'abbondanza della tua bontà in copiosa misericordia, non vuoi che l'uomo, opera della tue mani, perisca; inoltre ti degni di consolare il tuo servo, anche al di là di ogni merito, in modo superiore all'umano: ché non somigliano ai discorsi degli uomini, le tue parole consolatrici. O Signore, che cosa ho fatto perché tu mi abbia a concedere qualche celeste conforto? Non rammento di aver fatto nulla di buono; rammento invece di essere sempre stato facile al vizio e tardo all'emendamento. Questa è la verità; non posso negarlo. Se dicessi il contrario, tu ti porresti contro di me, e nessuno verrebbe a difendermi. Che cosa ho meritato con i mie peccati, se non l'inferno e il fuoco eterno?


2.Sinceramente lo confesso, io sono meritevole di essere vituperato in tutti i modi, e disprezzato, non già di essere annoverato tra i tuoi fedeli. Anche se questo me lo dico con dolore, paleserò chiaramente, contro di me, per amore di verità, i miei peccati, così da rendermi degno di ottenere più facilmente la tua misericordia. Che dirò, colpevole quale sono, e pieno di vergogna? Non ho la sfrontatezza di pronunziare parola; se non questa soltanto: ho peccato, Signore, ho peccato, abbi pietà di me, dammi il tuo perdono. "Lasciami un poco; lascia che io pianga tutto il mio dolore, prima di andare nel luogo della tenebra, coperto dalla caligine della morte" (Gb 10,20s). Che cosa chiedi massimamente dal colpevole, dal misero peccatore, se non che egli si penta e si umilii per le sue colpe? Dalla sincera contrizione e dall'umiliazione interiore sboccia la speranza del perdono, e ritrova se stessa la coscienza sconvolta; l'uomo riacquista la grazia perduta e trova riparo dall'ira futura. Dio e l'anima penitente si incontrano in un vicendevole santo bacio. Sacrificio a te gradito, o Signore - sacrificio che odora, al tuo cospetto, molto più soave del profumo dell'incenso - è l'umile sincero pentimento dei peccatori. E' questo pure l'unguento gradito che hai voluto fosse versato sui tuoi sacri piedi, giacché tu non hai disprezzato "un cuore contrito ed umiliato" (Sal 50,19). In questo sincero pentimento si trova rifugio dalla faccia minacciosa del nemico. Con esso si ripara e si purifica tutto ciò che, da qualche parte, fu deturpato e inquinato. 

Capitolo LIII

LA GRAZIA DI DIO NON SI CONFONDE CON CIO' CHE HA SAPORE DI COSE TERRENE

1.Preziosa, o figlio, è la mia grazia; essa non tollera di essere mescolata a cose esteriori e a consolazioni terrene. Perciò devi buttar via tutto ciò che ostacola la grazia, se vuoi che questa sia infusa in te. Procurati un luogo appartato, compiaciti di stare solo con te stesso, non andare cercando di chiacchierare con nessuno; effondi, invece, la tua devota preghiera a Dio, per conservare compunzione d'animo e purezza di coscienza. Il mondo intero, consideralo un nulla; alle cose esteriori anteponi l'occuparti di Dio. Ché non potresti attendere a me, e nello stesso tempo trovare godimento nelle cose passeggere. Occorre allontanarsi dalle persone che si conoscono e alle quali si vuole bene; occorre tenere l'animo sgombro da ogni conforto temporale. Ecco ciò che il santo apostolo Pietro chiede, in nome di Dio: che i seguaci di Cristo si conservino in questo mondo "come forestieri e pellegrini" (1Pt 2,11). Quanta sicurezza in colui che muore, senza essere legato alla terra dall'attaccamento per alcuna cosa. Uno spirito debole, invece, non riesce a mantenere il cuore tanto distaccato: l'uomo materiale non conosce la libertà dell'uomo interiore. Che se uno vuole veramente essere uomo spirituale, egli deve rinunciare a tutti, ai lontani e ai vicini; e guardarsi da se stesso più ancora che dagli altri. Se avrai vinto pienamente te stesso, facilmente soggiogherai tutto il resto. Trionfare di se medesimi è vittoria perfetta; giacché colui che domina se stesso - facendo sì che i sensi obbediscano alla ragione, e la ragione obbedisca in tutto e per tutto a Dio - questi è, in verità il vincitore di sé e signore del mondo.


2.Se brami elevarti a questa somma altezza, è necessario che tu cominci con coraggio, mettendo la scure alla radice, per poter estirpare totalmente la tua segreta inclinazione, contraria al volere di Dio e volta a te stesso e a tutto ciò che è tuo utile materiale. Da questo vizio, dall'amore di sé, contrarissimo alla volontà divina, deriva, si può dire, tutto quanto deve essere stroncato radicalmente. Domato e superato questo vizio, si farà stabilmente una grande pace e una grande serenità. Ma sono pochi quelli che si adoprano per morire del tutto a se stessi, e per uscire pienamente da se stessi. I più restano avviluppati, né sanno innalzarsi spiritualmente sopra di sé. Coloro che desiderano camminare con me senza impacci debbono mortificare tutti i loro affetti perversi e contrari all'ordine voluto da Dio, senza restare attaccati di cupido amore personale ad alcuna creatura. 

Capitolo LIV
GLI OPPOSTI IMPULSI DELLA NATURA E DELLA GRAZIA

1.Figlio, considera attentamente gli impulsi della natura e quelli della grazia; come si muovono in modo nettamente contrario, ma così sottilmente che soltanto, e a fatica, li distingue uno che sia illuminato da interiore spiritualità. Tutti, invero, desiderano il bene e, con le loro parole e le loro azioni, tendono a qualcosa di buono; ma, appunto per una falsa apparenza del bene, molti sono ingannati. La natura è scaltra, trascina molta gente, seduce, inganna e mira sempre a se stessa. La grazia, invece, cammina schietta, evita il male, sotto qualunque aspetto esso appaia; non prepara intrighi; tutto fa soltanto per amore di Dio, nel quale, alla fine, trova la sua quiete. La natura non vuole morire, non vuole essere soffocata e vinta, non vuole essere schiacciata, sopraffatta o sottomessa, né mettersi da sé sotto il giogo. La grazia, invece, tende alla mortificazione di sé e resiste alla sensualità, desidera e cerca di essere sottomessa e vinta; non vuole avere una sua libertà, preferisce essere tenuta sotto disciplina; non vuole prevalere su alcuno, ma vuole sempre vivere restando sottoposta a Dio; è pronta a cedere umilmente a ogni creatura umana, per amore di Dio. La natura s'affanna per il suo vantaggio, e bada all'utile che le possa venire da altri. La grazia, invece, tiene conto di ciò che giova agli altri, non del profitto e dell'interesse propri. La natura gradisce onori e omaggi. La grazia, invece, ogni onore e ogni lode li attribuisce a Dio. La natura rifugge dalla vergogna e dal disprezzo. La grazia, invece, si rallegra "di patire oltraggi nel nome di Gesù" (At 5,41). La natura inclina all'ozio e alla tranquillità materiale. La grazia, invece, non può stare oziosa e accetta con piacere la fatica. La natura mira a possedere cose rare e belle, mentre detesta quelle spregevoli e grossolane. La grazia, invece, si compiace di ciò che è semplice e modesto; non disprezza le cose rozze, né rifugge dal vestire logori panni.

2.La natura guarda alle cose di questo tempo; gioisce dei guadagni e si rattrista delle perdite di quaggiù; si adira per una piccola parola offensiva. La grazia, invece, non sta attaccata all'oggi, ma guarda all'eternità; non si agita per la perdita di cose materiali; non si inasprisce per una parola un po' brusca, perché il suo tesoro e la sua gioia li pone nel cielo dove nulla perisce. La natura è avida, preferisce prendere che donare, ha caro ciò che è proprio e personale. La grazia, invece, è caritatevole e aperta agli altri; rifugge dalle cose personali, si contenta del poco, ritiene "più bello dare che ricevere" (At 20,35). La natura tende alle creature e al proprio corpo, alla vanità e alle chiacchiere. La grazia, invece, si volge a Dio e alle virtù; rinuncia alle creature, fugge il mondo, ha in orrore i desideri della carne, frena il desiderio di andare di qua e di là, si vergogna di comparire in pubblico. La natura gode volentieri di qualche svago esteriore, nel quale trovino piacere i sensi. La grazia, invece, cerca consolazione soltanto in Dio, e, al di sopra di ogni cosa di questo mondo, mira a godere del sommo bene. La natura tutto fa per il proprio guadagno e il proprio vantaggio; non può fare nulla senza ricevere nulla; per ogni favore spera di conseguirne uno uguale o più grande, oppure di riceverne lodi e approvazioni; desidera ardentemente che i suoi gesti e i suoi doni siano molto apprezzati. La grazia, invece, non cerca nulla che sia passeggero e non chiede, come ricompensa, altro premio che Dio soltanto; delle cose necessarie in questa vita non vuole avere più di quanto le possa essere utile a conseguire le cose eterne.

3.La natura si compiace di annoverare molte amicizie e parentele; si vanta della provenienza da un luogo celebre o della discendenza da nobile stirpe; sorride ai potenti, corteggia i ricchi ed applaude coloro che sono come lei. La grazia, invece, ama anche i nemici; non si esalta per la quantità degli amici; non dà importanza al luogo di origine o alla famiglia da cui discende, a meno che in essa vi sia una virtù superiore; è ben disposta verso il povero, più che verso il ricco; simpatizza maggiormente con la povera gente che con i potenti; sta volentieri con le persone sincere, non già con gli ipocriti; esorta sempre le anime buone ad ambire a "doni spirituali sempre più grandi" (1Cor 12,31), così da assomigliare, per le loro virtù, al Figlio di Dio. La natura, di qualcosa che manchi o che dia noia, subito si lamenta. La grazia sopporta con fermezza ogni privazione. La natura riferisce tutto a sé; lotta per sé, discute per sé. La grazia, invece, riconduce tutte le cose a Dio, da cui provengono come dalla loro origine; nulla di buono attribuisce a se stessa, non presume di sé con superbia; non contende, non pone l'opinione propria avanti alle altre; anzi si sottomette, in ogni suo sentimento e in ogni suo pensiero, all'eterna sapienza e al giudizio di Dio. La natura è avida di conoscere cose segrete e vuol sapere ogni novità; ama uscir fuori, per fare molte esperienze; desidera distinguersi e darsi da fare in modo che ad essa possa venirne lode e ammirazione. La grazia, invece, non si preoccupa di apprendere novità e curiosità, perché tutto il nuovo nasce da una trasformazione del vecchio, non essendoci mai, su questa terra, nulla che sia nuovo e duraturo. La grazia insegna, dunque, a tenere a freno i sensi, a evitare la vana compiacenza e l'ostentazione, a tener umilmente nascosto ciò che sarebbe degno di lode e di ammirazione, infine a tendere, in tutte le nostre azioni e i nostri studi, al vero profitto, alla lode e alla gloria di Dio. Non vuol far parlare di sé e delle cose sue, desiderando, invece, che, in tutti i suoi doni, sia lodato Iddio, che tutto elargisce per puro amore.

4.E', codesta grazia, una luce sovrannaturale, propriamente un dono particolare di Dio, un segno distintivo degli eletti, una garanzia della salvezza eterna. La grazia innalza l'uomo dalle cose terrestri all'amore del cielo e lo trasforma da carnale in spirituale. Adunque, quanto più si tiene in freno e si vince la natura, tanto maggior grazia viene infusa in noi; così, per mezzo di continue e nuove manifestazioni divine, l'uomo interiore si trasforma secondo l'immagine di Dio.

Capitolo LV

LA CORRUZIONE DELLA NATURA E LA POTENZA DELLA GRAZIA DIVINA

1.O Signore mio Dio, che mi hai creato a tua immagine e somiglianza, concedimi questa grazia grande, indispensabile per la salvezza, come tu ci hai rivelato; così che io possa superare la mia natura, tanto malvagia, che mi trae al peccato e alla perdizione. Ché, nella mia carne, io sento, contraria alla "legge della mia ragione, la legge del peccato" (Rm 7,23), la quale mi fa schiavo e di frequente mi spinge ad obbedire ai sensi. E io non posso far fronte alle passioni peccaminose, provenienti da questa legge del peccato, se non mi assiste la tua grazia santissima, infusa nel mio cuore, che ne avvampa. Appunto una tua grazia occorre, una grazia grande, per vincere la natura, sempre proclive al male, fin dal principio. Infatti, per colpa del primo uomo Adamo, la natura decadde, corrotta dal peccato; e la triste conseguenza di questa macchia passò in tutti gli uomini, talché quella "natura", da te creata buona e retta, ormai è intesa come "vizio e debolezza della natura corrotta". Così, per la libertà che le è lasciata, la natura trascina verso il male e verso il basso. E quel poco di forza che rimane nella natura è come una scintilla coperta dalla cenere. E' questa la ragione naturale, che, pur se circondata da oscurità, è ancora capace di giudicare il bene ed il male, e di separare il vero dal falso; anche se non riesce a compiere tutto quello che riconosce come buono, anche se non possiede la pienezza del lume della verità e la perfetta purezza dei suoi affetti. E' per questo, o mio Dio, che "nello spirito, mi compiaccio della tua legge" (Rm 7,22), sapendo che il tuo comando è buono, giusto e santo, tale che ci invita a fuggire ogni male e ogni peccato. Invece, nella carne, io mi sottometto alla legge del peccato, obbedendo più ai sensi che alla ragione. E' per questo che "volere il bene mi è facile, ma a compiere il bene non riesco" (Rm 7,18). E' per questo che vado spesso proponendomi molte buone cose; ma mi manca la grazia che mi aiuti nella mia debolezza, e mi ritiro e vengo meno anche per una piccola difficoltà. E' per questo che mi avviene di conoscere la via della perfezione e di vedere con chiarezza quale debba essere la mia condotta; ma poi, schiacciato dal peso della corruzione dell'umanità, non riesco a salire a cose più elevate.

2.La tua grazia, o Signore, mi è davvero massimamente necessaria per cominciare, portare avanti e condurre a compimento il bene: "senza di essa non posso far nulla" (Gv 15,5), "mentre tutto posso in te" che mi dai forza, con la tua grazia (Fil 4,13). Grazia veramente di cielo, questa; mancando la quale i nostri meriti sono un nulla, e un nulla si devono considerare anche i doni naturali. Abilità e ricchezza, bellezza e forza, intelligenza ed eloquenza, nulla valgono presso di te, o Signore, se manca la grazia. Ché i doni di natura li hanno sia i buoni che i cattivi; mentre dono proprio degli eletti è la grazia, cioè l'amore di Dio. Rivestiti di tale grazia, gli eletti sono ritenuti degni della vita eterna. Tutto sovrasta, questa grazia; tanto che né il dono della profezia, né il potere di operare miracoli, né la più alta contemplazione non valgono nulla, senza di essa. Neppure la fede, neppure la speranza, né le altre virtù sono a te accette, senza la carità e la grazia. 1.O grazia beata, che fai ricco di virtù chi è povero nello spirito e fai ricco di molti beni chi è umile di cuore, vieni, discendi in me, colmami, fin dal mattino della tua consolazione, cosicché l'anima mia non venga meno per stanchezza e aridità interiore! Ti scongiuro, o Signore: che io trovi grazia ai tuoi occhi. La tua gloria mi basta (2Cor 12,9), pur se non otterrò tutto quello cui tende la natura umana. Anche se sarò tentato e angustiato da molte tribolazioni, non temerò alcun male, finché la tua grazia sarà con me. Essa mi dà forza, guida ed aiuto; vince tutti i nemici, è più sapiente di tutti i sapienti. Essa è maestra di verità e di vita, luce del cuore, conforto nell'afflizione. Essa mette in fuga la tristezza, toglie il timore, alimenta la pietà, genera le lacrime. Che cosa sono io mai, senza la grazia, se non un legno secco, un ramo inutile, da buttare via? "La tua grazia, dunque, o Signore, mi preceda sempre e mi segua, e mi conceda di essere sempre pronto a operare, per Gesù Cristo, Figlio tuo. Amen. (Messale Romano, oremus della XVI domenica dopo Pentecoste).

Capitolo LVI

RINNEGARE SE STESSI E IMITARE CRISTO NELLA CROCE

1.O figlio, tu potrai trasmutarti in me, a misura che riuscirai ad uscire da te stesso. Ché l'intimo oblio di se stessi congiunge a Dio, come la mancanza di desideri esterni porta la pace interiore. Io voglio che tu apprenda a rinnegare pienamente te stesso, in adesione alla mia volontà, senza obiezioni, senza lamentele. "Seguimi" (Mt 9,9). "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv 14,6). Senza la via non si cammina; senza la verità non si conosce; senza la vita non si vive. Io sono la via che devi seguire; la verità cui devi credere; la vita che devi sperare. Io sono la via che non si deve lasciare, la verità che non sbaglia, la vita che non ha termine. Io sono la via diritta, la verità ultima, la vita eterna, beata, increata. "Se rimarrai nella mia via, conoscerai la verità e la verità ti farà libero" (Gv 8,32); così raggiungerai la vita eterna. "Vuoi entrare nella vita? Osserva i comandamenti" (Mt 19,17). Vuoi conoscere la verità? Chiedi a me. "Vuoi essere perfetto? Vendi ogni tua cosa" (Mt 19,21). Vuoi essere mio discepolo? Rinnega te stesso (cfr Lc 9,23; 14,27; Mt 16,24). Vuoi avere la vita eterna? Disprezza la vita presente. Vuoi essere esaltato in cielo? Umiliati in questo mondo. Vuoi regnare con me? Con me porta la croce. Soltanto quelli che si fanno servi della croce trovano la via della beatitudine e della vera luce.

2.O Signore Gesù, dura fu la tua vita, e disprezzata dagli uomini; fa' che io ti possa imitare, disprezzato dal mondo, giacché "il servo non è da più del suo padrone, né il discepolo è da più del maestro" (Mt 10,24). Che il tuo servo si addestri alla scuola della vita, perché in essa sta la mia salvezza e la vera santità; qualunque cosa io legga o ascolti, fuori di essa, non mi ristora e non mi allieta pienamente. Figlio, tutte queste cose le conosci e le hai lette; sarai beato se le metterai in pratica. "Chi ha dinanzi agli occhi i miei comandamenti, e li osserva, questi mi ama; e io l'amerò, mi manifesterò a lui" (Gv 24,21) e lo farò sedere con me nel regno del Padre mio (Ap 3,21). O Signore Gesù, come hai detto e hai promesso, così sia fatto veramente, e a me sia dato di meritarlo. Ho ricevuto la croce, l'ho ricevuta dalla tua mano; la porterò, la porterò fino alla morte, come tu me l'hai posta sulle spalle. In verità la vita di un santo monaco è la croce; ma la croce è guida al paradiso. Abbiamo cominciato; non ci è lecito tornare indietro, né lasciare ciò che abbiamo intrapreso. Via, o fratelli, procediamo insieme: Gesù sarà con noi. Abbiamo preso questa croce per amore di Gesù; per amore di Gesù perseveriamo nella croce. Colui che ci guida e ci precede sarà il nostro aiuto. Ecco, il nostro re camminare avanti a noi; "egli combatterà per noi" (2Esd 4,20). Seguiamolo con animo virile; che nessuno abbia paura, né si lasci atterrire; che noi siamo pronti a morire coraggiosamente nella lotta; che non abbiamo a gravare il nostro buon nome con una delittuosa fuga (1Mac 9,10) dinanzi alla croce.

Capitolo LVII

NON CI SI DEVE ABBATTERE ECCESSIVAMENTE QUANDO SI CADE IN QUALCHE MANCANZA

1.O figlio, più mi è cara l'umile sopportazione nelle avversità, che la pienezza di devota consolazione del tempo favorevole. Perché ti rattrista una piccolezza che venga detta contro di te? Anche se si trattasse di qualcosa di più, non dovresti turbarti. Lascia andare, invece. Non è cosa strana; non è la prima volta, né sarà l'ultima, se vivrai a lungo. Tu sei molto forte fino a che nulla ti contraria; sai persino dare buoni consigli e fare forza ad altri con le tue parole. Ma non appena si presenta alla tua porta un'improvvisa tribolazione, consiglio e forza ti vengono meno. Guarda alla tua grande fragilità, che hai constatata molto spesso, di fronte a piccole contraddizioni. Pure, è per il tuo bene che accadono simili cose; deponile, dunque, dal tuo cuore, come meglio puoi. E se una cosa ti colpisce, non per questo ti abbatta o ti tenga legato a lungo. Sopporta almeno con pazienza, se non ti riesce con gioia. Anche se una cosa te la senti dire malvolentieri e ne provi indignazione, devi dominarti; non devi permettere che dalla tua bocca esca alcunché di ingiusto, che dia scandalo ai semplici. Ben presto l'eccitazione emotiva si placherà, e l'eterna sofferenza si farà più lieve, con il ritorno della grazia.

2.Ecco, "io vivo - dice il Signore -" (Is 49,18), pronto ad aiutarti più ancora del solito, se a me ti affiderai, devotamente invocandomi. "Tu sii più rassegnato" (Bar 4,30); sii pronto a una maggiore sopportazione. Non è del tutto inutile che tu ti senta tribolato e fortemente tentato: sei un uomo, e non Dio; carne, non spirito angelico. Come potresti mantenerti sempre nel medesimo stato di virtù, quando questo venne meno a un angelo, in cielo, e al primo uomo, nel paradiso? Io sono "colui che solleva e libera quelli che piangono" (Gb 5,11); colui che innalza alla mia condizione divina quelli che riconoscono la loro debolezza. O Signore, benedetta sia la tua parola, dolce al mio orecchio "più del miele di favo" (Sal 18,11). Che farei io mai, in così grandi tribolazioni e nelle mie angustie, se tu non mi confortassi con le tue sante parole? Purché, alla fine, io giunga al porto della salvezza, che importa quali e quanto grandi cose dovrò aver patito? Concedimi un felice concepimento, un felice trapasso da questo mondo. "Ricordati di me , o mio Dio" (2Esd 13,22) e conducimi nel tuo regno, per retto cammino. Amen.

Capitolo LVIII

NON DOBBIAMO CERCAR DI CONOSCERE LE SUPERIORI COSE DEL CIELO E GLI OCCULTI GIUDIZIO DI DIO

1.O figlio, guardati dal voler disputare delle cose del cielo e degli occulti giudizi di Dio: perché quello è così derelitto e quell'altro è portato a un così grande stato di grazia; ancora, perché quello viene tanto colpito e quell'altro viene tanto innalzato. Tutto ciò va al di là di ogni umana capacità; non v'è alcun ragionamento, non v'è alcuna disquisizione che valga a comprendere il giudizio di Dio. Quando, dunque, una spiegazione ti viene suggerita dal nemico, oppure certuni indiscreti la vanno cercando, rispondi con quel detto del profeta: "tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio" (Sal 118,137); o con quest'altro: "veri sono i giudizi di Dio, santi in se stessi" (Sal 18,10). Tu devi venerare i miei giudizi, non discuterli, perché essi sono incomprensibili per l'intelletto umano. Neppure devi indagare e discutere dei meriti dei beati: chi sia più santo o chi sia più grande nel regno dei cieli. Sono cose che danno luogo spesso a dispute e a contese inutili e fomentano la superbia e la vanagloria; onde nascono invidie e divisioni, giacché uno si sforza, presuntuosamente, di portare innanzi un santo, un altro, un altro santo. Ma sono cose che, a volerle conoscere ed indagare, non portano alcun frutto; cose che, invece sono sgradite ai beati, poiché "io non sono un Dio di discordia ma di pace" (1Cor 14,33). Una pace che consiste nella vera umiltà, più che nella esaltazione di sé.

2.Ci sono alcuni che, quasi per un geloso affetto, sono tratti verso questi o questi altri santi, con maggior sentimento: sentimento umano, però, piuttosto che divino. Sono io che ho fatto i santi tutti; sono io che ho elargito la grazia; sono io che ho accordato la gloria; sono io che, conoscendo i meriti di ciascuno, sono andato loro incontro benedicendoli nella mia bontà (Sal 20,4): io che li sapevo eletti, prima di tutti i secoli. "Sono stato io a sceglierli dal mondo, non loro a scegliere me" (Gv 15,16.19); sono stato io a chiamarli con la mia grazia, ad attirarli con la mia misericordia; sono stato io a condurli attraverso varie tentazioni, e ad infondere loro stupende consolazioni; sono stato io a dar loro la perseveranza e a premiare le loro sofferenze. Io conosco chi è primo tra di essi, e chi è ultimo; ma tutti li abbraccio in un amore che non ha misura. In tutti i miei santi, a me va data la lode; sopra ogni cosa, a me va data la benedizione; a me va dato l'onore per ciascuno di quelli che io ho fatto grandi, con tanta gloria, ed ho predestinati, senza che ne avessero dapprima alcun merito. Per questo chi disprezza il più piccolo dei miei santi, non onora neppure quello che sia grande, perché "fui io a fare e il piccolo e il grande" (Sap 6,8). E chi diminuisce uno qualunque dei santi, diminuisce anche me e tutti gli altri che sono nel regno dei cieli. Una cosa sola costituiscono tutti i beati, a causa del vincolo dell'amore; uno è il loro sentimento, uno il loro volere, e tutti unitamente si amano. Di più - cosa molto più eccelsa - amano me più che se stessi e più che i propri meriti. Giacché, innalzati sopra di sé e strappati dall'amore di sé, essi, nell'amore, si volgono totalmente verso di me; di me godono, in me trovano pace. Non c'è nulla che li possa distogliere o tirare al basso: colmi dell'eterna verità, ardono del fuoco di un inestinguibile amore. Smettano, dunque, gli uomini carnali e materiali, essi che sanno apprezzare soltanto il proprio personale piacere, di disquisire della condizione dei santi. Essi tolgono e accrescono secondo il loro capriccio, non secondo quanto è disposto dall'eterna verità. Molti non capiscono; soprattutto quelli che, per scarso lume interiore, a stento sanno amare qualcuno di perfetto amore spirituale. Molti, per naturale affetto e per umano sentimento , sono attratti verso questi o quei santi, e concepiscono il loro atteggiamento verso i santi del cielo come quello verso gli uomini di quaggiù; mentre c'è un divario incolmabile tra il modo di pensare della gente lontana dalla perfezione e le intuizioni raggiunte, per superiore rivelazione, da coloro che sono particolarmente illuminati.

3.Guardati dunque, o figlio, dall'occuparti avidamente di queste cose, che vanno al di là della possibile tua conoscenza; preoccupati e sforzati piuttosto di poterti trovare tu nel regno dei cieli, magari anche ultimo. Ché, pure se uno sapesse chi sia più santo di un altro o sia considerato più grande nel regno dei cieli, a che cosa ciò gli gioverebbe, se non ne traesse motivo di abbassarsi dinanzi a me, levandosi poi a lodare ancor più il mio nome? Compie cosa molto più gradita a Dio colui che pensa alla enormità dei suoi peccati, alla pochezza delle sue virtù e a quanto egli sia lontano dalla perfezione dei santi; molto più gradita di quella che fa colui che disputa intorno alla maggiore o minore grandezza dei santi. E' cosa migliore implorare i santi, con devote preghiere e supplicarli umilmente affinché, dalla loro gloria, ci diano aiuto; migliore che andare indagando, con inutile ricerca, il segreto della loro condizione. Essi sono paghi, e pienamente. Magari gli uomini riuscissero a limitarsi, frenando i loro vaniloqui. I santi non si vantano dei loro meriti; non ascrivono a sé nulla di ciò che è buono, tutto attribuendo a me; poiché sono stato io, nel mio amore infinito a donare ad essi ogni cosa. Di un così grande amore di Dio e di una gioia così strabocchevole i santi sono ricolmi; ché ad essi nulla manca di gloria, nulla può mancare di felicità. I santi, quanto più sono posti in alto nella gloria, tanto più sono umili in se stessi, e a me più cari. Per questo trovi scritto che "deponevano le loro corone dinanzi a Dio, cadendo faccia a terra dinanzi all'Agnello e adorando il Vivente nei secoli dei secoli" (Ap 4,10; 5,14). 1.Molti cercano di sapere chi sia il maggiore nel regno di Dio, e non sanno neppure se saranno degni di essere colà annoverati tra i più piccoli. Ed è gran cosa essere pure il più piccolo, in cielo, dove tutti sono grandi, perché "saranno detti - e lo saranno - figli di Dio" (Mt 5,9); "il più piccolo diventerà come mille" (Is 60,22); "il più misero morirà di cento anni" (Is 65,20). Quando infatti i discepoli andavano chiedendo chi sarebbe stato il maggiore nel regno dei cieli, si sentirono rispondere così: "se non vi sarete convertiti e non vi sarete fatti come fanciulli non entrerete nel regno dei cieli; chi dunque si sarà fatto piccolo come questo fanciullo, questi è il più grande nel regno dei cieli" (Mt 18,3s). Guai a coloro che non vogliono accettare di buon grado di farsi piccoli come fanciulli: la piccola porta del regno dei cieli non permetterà loro di entrare. Guai anche ai ricchi, che hanno quaggiù le loro consolazioni; mentre i poveri entreranno nel regno di Dio, essi resteranno fuori, in lamenti. Godete, voi piccoli; esultate, voi "poveri, perché il regno di Dio è vostro" (Lc 6,20); a condizione però che voi camminiate nella verità.

Capitolo LIX

PORRE OGNI NOSTRA SPERANZA E OGNI FIDUCIA SOLTANTO IN DIO

1.O Signore, che cosa è mai la fiducia che ho in questa vita. Quale è il mio più grande conforto, tra tutte le cose che si vedono sotto il cielo? Non sei forse tu, o Signore, mio Dio di infinita misericordia? Dove mai ho avuto bene, senza di te; quando mai ho avuto male con te? Voglio essere povero per te, piuttosto che ricco senza di te; voglio restare pellegrino su questa terra, con te, piuttosto che possedere il cielo, senza di te. Giacché dove sei tu, là è cielo; e dove tu non sei, là è morte ed inferno. Sei tu il mio desiderio ultimo; perciò io ti debbo seguire, con gemiti e lacrime ed alte, commosse preghiere. In una parola, non posso avere piena fiducia in alcuno che mi venga in aiuto nelle varie necessità, fuori che in te soltanto, mio Dio. "La mia speranza" e la mia fiducia sei tu (Sal 141,6); tu, il mio consolatore, il più fedele in ogni momento. "Ognuno va cercando ciò che a lui giova" (Fil 2,21); e tu, o Dio, ti prefiggi soltanto la mia salvezza e tutto volgi in bene per me. Pur quando mi esponi a varie tentazioni e avversità, tutto questo tu lo vuoi per il mio bene, giacché quelli che tu ami usi metterli in vario modo alla prova; e in questa prova io debbo amare e ringraziare, non meno che quando tu mi colmi di celesti consolazioni.

2.In te, dunque, o Signore Dio, ripongo tutta la mia speranza; in te cerco il mio rifugio; in te rimetto tutte le mie tribolazioni e le mie difficoltà, ché tutto trovo debole e insicuro ciò che io vedo fuori di te. Non mi gioveranno, infatti, i molti amici; non mi saranno di aiuto coloro che vengono a soccorrermi, per quanto forti; non mi potranno dare un parere utile i prudenti, per quanto saggi; non mi potranno dare conforto i libri dei sapienti; non ci sarà una preziosa ricchezza che mi possa dare libertà; non ci sarà un luogo ameno e raccolto che mi possa dare sicurezza, se non sarai presente tu ad aiutarmi, a confortarmi, a consolarmi; se non sarai presente tu ad ammaestrarmi e a proteggermi. In verità, tutte le cose che sembrano fatte per dare pace e felicità non sono nulla e non danno realmente felicità alcuna, se non ci sei tu. Tu sei, dunque, l'ultimo termine di ogni bene, il supremo senso della vita, la massima profondità di ogni parola. Sperare in te sopra ogni cosa è il maggior conforto di chi si è posto al tuo servizio. "A te sono rivolti i miei occhi (Sal 140,80); in te confido, o mio Dio (Sal 24,1s), padre di misericordia" (2Cor 1,3). Benedici e santifica, con la tua celeste benedizione, l'anima mia, affinché essa sia fatta tua santa dimora e sede della eterna gloria; e nulla si trovi in questo tempio della tua grandezza, che offenda l'occhio della tua maestà. Guarda a me, nella tua immensa bontà e nell'abbondanza della tua misericordia; ascolta la preghiera del tuo servo, che va peregrinando in questa terra oscura di morte. Proteggi e custodisci l'anima di questo tuo piccolo servo, nei tanti pericoli della vita di quaggiù; dirigila con la tua grazia per la via della pace, alla patria della eterna luce. Amen.

FINISCE IL LIBRO DELLA CONSOLAZIONE INTERIORE.



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