Un uomo buono a dispetto dei suoi personaggi
di GLORIA SATTA
E MORTO un uomo buono, che nella finzione della sua arte ha incarnato cialtroni,
vigliacchi e canaglie ma ha vissuto i suoi 82 anni praticando scrupolosamente i principi
cristiani dellonestà, della solidarietà, del rispetto degli altri. Alberto Sordi
è stato un cittadino sempre ligio alle istituzioni, un cattolico non sfiorato dal dubbio,
un personaggio pubblico mai animato da livori o risentimenti, un protagonista dello
spettacolo mite e accomodante al quale era sconosciuta linvidia per il successo
altrui.
E morto un uomo generoso, che sul mito della propria avarizia costruì una carriera
ma nella realtà ha sempre destinato la sua ricchezza a chi aveva meno di lui e ha aiutato
i poveri, gli orfani, gli anziani, i giovani bisognosi. La fama di re dei taccagni,
maturata negli anni della Dolce vita in cui Sordi lavorava senza sosta e perciò non aveva
tempo per divertirsi, è stata contraddetta dalle numerose donazioni, dalle opere di
beneficenza, dagli oboli cospicui che hanno contrassegnato (il più delle volte in
segreto) la vita dellattore e da quelle che rappresenteranno ora la sua eredità
concreta.
E morto luomo di successo, il personaggio pubblico abituato alle celebrazioni,
ai bagni di folla e agli omaggi internazionali ma sempre attentissimo a difendere la
propria vita privata dalla curiosità, dai pettegolezzi, dalle intrusioni dei media.
Pochissimi erano ammessi a frequentare la bella villa del Celio, che Sordi considerava
immorale ostentare e nella quale trascorreva, soprattutto negli ultimi anni, la maggior
parte del tempo con la sorella Aurelia e con il piccolo gruppo degli intimi: il musicista
Piero Piccioni, le addette stampa Maria Ruhle e Paola Comin diventate negli anni persone
di famiglia, la montatrice Tatiana Morigi, la signorina Nunziata che con tanta dedizione
presiedeva lufficio dietro via Veneto, il luogo di rappresentanza dove convergevano
lettere, regali, suppliche dei fans, i medici Rodolfo Porzio e Luigi Baratta.
E morto luomo che al suo mestiere aveva consacrato se stesso al punto di
rinunciare a una moglie, a una famiglia, ai figli: Alberto Sordi, che liquidò con
memorabili battute la propria allergia al matrimonio («e se poi quella, mentre
dormi, ti trafigge lorecchio con uno spillone?») fu sposato tutta la vita con il
suo pubblico così come un monaco dedica lesistenza alla missione religiosa.
E morto lartista che alla frequentazione di scuole e accademie aveva preferito
losservazione diretta della realtà. Era fiero, lui che per via della pronuncia
romanesca si era visto respingere dallAccademia dei Filodrammatici di Milano (la
stessa che sessantanni dopo lavrebbe diplomato ad honorem, con tante scuse),
di aver inventato il "neorealismo comico" dopo il nerorealismo drammatico di De
Sica, Zavattini e Rossellini. E aveva attinto tutto da quella vita reale che anno dopo
anno, film dopo film, avrebbe poi incamerato le battute, i modi di dire, le espressioni
lanciate dallattore ("lavoratori...tié!", "ammazza che fusto",
"ce lhai una casa? E vattene a casa"...).
E morto un uomo integro, che non piegò a compromessi la propria notorietà
rifiutando fino allultimo il corteggiamento della politica e le lusinghe della
pubblicità. E morto un artista che, dopo essersi fatto ambasciatore della terza
età (Nestore lultima corsa resta uno dei suoi film più toccanti, quasi un
testamento), avrebbe voluto dividere con le generazioni più giovani il proprio patrimonio
professionale, culturale, di vita: Storia di un italiano, il collage dei film di
Sordi alternati a immagini di repertorio su un secolo di storia italiana, doveva essere
distribuito nelle scuole ma lattore se nè andato prima che il progetto si
realizzasse, probabilmente perché la sua imponenza ha spaventato i politici. Ed è questo
lunico cruccio, la spina nel cuore che ha funestato gli ultimi mesi di Alberto,
monumento della storia italiana che non finiva mai di ringraziare il Padreterno per la
fortuna che gli aveva regalato.
di WALTER VELTRONI
LA NOTIZIA è come un colpo di frusta. Ora, senza Alberto, saremo tutti più
soli. Ci mancherà una parte di noi stessi, nella nostra identità di romani e di
italiani; ci mancherà lo specchio nel quale la sua umanissima sensibilità ci ha
restituito, con passione, con ironia, con intelligenza, con pudore, limmagine di
cinquantanni della nostra storia. Storia pubblica, storia privata. Bene e male,
virtù e difetti, coraggio di vivere e debolezze.
Ho un ricordo di Alberto Sordi fatto di tante cose. Era stato amico di mio padre, che lo
avvicinò alla radio, era amico mio e della mia famiglia. Pensare che non lo vedrò più
mi dispiace, ma non mi dà tristezza. Un artista non scompare mai, si dice, perché lascia
un forte segno di sé nel nostro mondo di uomini vivi. Per Alberto questo è ancora più
vero: vorrei che, per rendergli almeno un po di quanto gli dobbiamo, ognuno di noi
pensasse, oggi, a quante ore di divertimento ci ha regalato, quante risate ci ha
strappato, quanta commozione ci ha lasciato nellanima. E quanta verità ci ha
insegnato: quante occasioni per guardarci come siamo, costringendoci a fare i conti con i
vizi pubblici della società italiana e le nostre debolezze private e avendo sullo sfondo,
come una certezza, una pietà profonda per le asprezze, le contraddizioni, le più amare
vicissitudini del mestiere di vivere".
In questa virtù della pietà sta, forse, la cifra dellottimismo delluomo.
Lultima volta che parlammo con lui, un paio di settimane fa, dopo la cerimonia per
il conferimento del Premio Campidoglio alla quale la sua salute gli aveva impedito di
partecipare, disse a me e ad Ettore Scola: «State tranquilli. Verrò, verrò a ritirare
il premio. Verrò appena farà meno freddo».
Non è venuto. Non ce lha fatta e con lui, sè detto, se n'è andato un pezzo
di Roma, un pezzo del cuore di Roma. È vero: pochissimi grandi artisti mi vengono
in mente Belli, Trilussa, Petrolini sono stati tanto romani" quanto lui.
Il bene che questa città gli ha voluto ha anche questo segno, quello di un legame
profondo, pur se allegro, ironico, disincantato, ammiccante, con quella che chiamiamo
lanima di Roma. Un legame che Francesco Rutelli volle sottolineare, nel giugno del
2000, chiedendogli di fare, per un giorno, lui, proprio lui, il Sindaco di Roma.
Ma Alberto Sordi è stato, resta, il protagonista e linterprete di una storia che è
una storia unica: quella della capitale e quella dellItalia insieme. Chi può
sostenere che Una vita difficile non sia il film di una storia
italiana"? Chi può dire che il romano della Grande Guerra non fosse,
quanto il milanese interpretato da Gassman, un personaggio italiano"?
La stessa storia: pagine del medesimo libro che nessuno riuscirà a stracciare e neppure a
leggere deformandola con le lenti dellodio, dellignoranza,
dellintolleranza e della divisione. Nello stesso modo in cui De Filippo e Totò sono
stati, restano, napoletani e italiani, Alberto ha calato dentro la sua straordinaria
romanità" lo spirito universale dellarte, quello che vola al di sopra
dei confini e delle province dello spirito e che ci fa capire le lingue, i dialetti, i
gerghi che tutti rimandano alla stessa umanità. Quello cui ha fatto riferimento, giorni
fa, Martin Scorsese parlando a Roma dei film di Alberto. O quello di cui faceva cenno Jack
Nicholson quando disse di aver imparato cosa sia la comicità dallitaliano
Sordi".
Ma ha calato anche, nel suo lavoro di artista, quel quid" che intere
generazioni di intellettuali, specie nel secondo dopoguerra, hanno inseguito dentro e
fuori di sé raccontando lItalia che andava trovando il proprio riscatto dalle
miserie della storia e la ricostruzione materiale e morale della propria ricchezza di
Nazione. Con il suo spirito lieve, la sua ironia, il suo modo gioioso di stare insieme con
gli altri che non sono stati soltanto lapparenza della sua arte ma la sostanza della
sua vita.
Loren: «Personaggio immortale»
ROMA - «Un personaggio immortale, che rimarrà nei nostri cuori per sempre». Sofia Loren ricorda così Alberto Sordi. «Ero molto amica di Alberto -dice - nonostante non abbiamo mai fatto un film insieme a parte uno all'inizio di carriera intitolato Due notti con Cleopatra del 1954 (di Mario Mattoli) che resta per me un carissimo ricordo. Alberto mi aiutò moltissimo, era un film comico e allegro, lui è stato veramente un grande maestro. Nonostante avessimo deciso di fare qualcosa non ci siamo mai riusciti. Lho sentito qualche mese fa ma non sapevo che stesse così male. È un uomo che rimarrà nei nostri cuori per sempre - conclude - un personaggio immortale, meraviglioso per noi italiani. Ci ricorda un cinema di altri tempi, un tempo glorioso e d'oro. Alberto ha saputo raccontare vizi e virtù degli italiani. Con Totò è stato il personaggio più bello che il cinema ci ha dato». Ma con Sordi la Loren dice di essersi anche divertita: «Il ricordo più divertente? Quando mi parlava di mangiare: il suo pasto della domenica era una specie di sogno, avrebbe desiderato che tutti i giorni fosse così. Oggi è una giornata davvero triste non solo per me ma per tutto il cinema italiano».
NEL mio secondo film, Nellanno del Signore, Alberto era il
frate che assisteva i due carbonari Targhini e Montanari, condannati a morte, per salvare
la loro anima dalla dannazione. Letto il copione, mi chiese con sorpresa: «Ma questi non
se pentono?». No, risposi. «E perché?», mi chiese. Perché nella storia non si sono
pentiti. E, comunque, se si pentissero cambierebbe anche il senso del film. «Ma così
vanno allInferno», obiettò seriamente Alberto. Io dissi: pazienza. Poi mi chiese:
«Tu quando mori non ce voi annà in Paradiso?». Risposi: e a me che me ne frega. Mi
guardò severamente. Poi aggiunse con un tono di voce che non ho mai dimenticato: «Peggio
per te».
Alberto era un cristiano devoto e fedele, per cui in questo momento non ci chiederebbe
applausi di addio e ricordi di circostanza ma, nellantica tradizione, solo un
silenzio consapevole. Con lui finisce il nostro tempo: lepoca in cui abbiamo vissuto
e sperato in un mondo diverso. Da oggi noi saremo più soli, ma anche Roma sarà più
buia.
di Franco Interlenghi
ROMA - Franco Interlenghi, lultimo vitellone" rimasto, ricorda il set dello stupendo film di Fellini che lo vide protagonista accanto a Sordi nel 1953. «Non glielo volevano far fare I vitelloni. Invece lui era il più grande attore del mondo. Alberto aveva appena fatto Mamma mia che impressione che era andato male. E, con Fellini, era stato fischiato per Lo sceicco bianco. Così Federico mi disse: Franco, Sordi mi piacerebbe nel ruolo di Alberto ma non lo vogliono". Poi cambiarono idea, per fortuna, e alla prima scena, quella in cui usciamo dal carnevale, capii subito che mi trovavo di fronte a un genio. Era in più grande di tutti, anche di Totò. Nei Vitelloni io ho il primo nome sulla locandina ma era lui che lo avrebbe meritato. Lui era davvero un poema. Del successo del film non ce ne rendevamo conto, con Alberto e Federico stavamo sempre a ridere. Ricordo che ci mettevamo in camera, in un alberghetto triste di Viterbo, con il fratello di Federico, Riccardo, di guardia che, al momento opportuno, urlava: Arriva la Masina!". Ultimamente ero andato a trovarlo all'Ambra Jovinelli, dove doveva intervenire per una serata del Roma Film festival: mandò un video da cui ho capito che stava male. La verità? È stato davvero un grande».
di ROBERTA BOTTARI
ROMA - Alberto Sordi ha passato tutta la vita a nasconderlo. Fino a ieri. Nel giorno della
sua morte, sono arrivate tutte le testimonianze della sua generosità. A cominciare da
quella di don Giovanni Di Ercole, il suo confessore. La leggenda che lo voleva avaro lo ha
accompagnato fin dai primi anni della sua carriera. Lui, però, non si mai dato da fare
per smentire quella diceria. «Perché», spiegava, «chi vuole essere altruista e prodigo
deve farlo in silenzio, nellanonimato». E così è stato: Alberto Sordi ha fatto
più beneficenza di quanto si possa immaginare. La Fondazione che porta il suo nome, una
delle sue poche opere umanitarie conosciute, era nota soltanto perché in questo modo
sperava di raccogliere più fondi. Creò e fece crescere il progetto dell'Università
Campus Bio-Medico di Roma dedicato a chi non è più giovane. Seguì passo passo la
costruzione del Centro per la Salute dell'Anziano", che fu inaugurato con lui
nell'anno del Giubileo. Dopo aver venduto allateneo romano, nel 1991, 20 ettari di
terreno a Trigoria, si entusiasmò e decise di far nascere la Fondazione Alberto Sordi,
donando come patrimonio un terreno di 8 ettari per ampliare il progetto universitario e
sanitario. Listituzione, grazie allattore, ha sviluppato una particolare
attenzione verso le persone anziane, soprattutto quelle in condizioni di disagio
psicologico, che chiedono affetto ancor prima che assistenza. Oggi a Trigoria, la
Fondazione raduna molti anziani, impegnati in arti manuali, in incontri culturali e in
altre iniziative per conoscersi e aiutarsi. Accanto, è cresciuto un Progetto giovani
(sempre voluto da Sordi), che assegna borse di studio e dà sostegno agli studenti in
difficoltà economiche.
Si racconta che esigesse per contratto tutti i vestiti indossati sul set. Non solo i
cappotti, le giacche e i pantaloni, ma anche le camicie, le cravatte, i pullover, le
canottiere e gli slip. Era vero: in mezzo secolo di carriera si è fatto donare migliaia
di indumenti. Ma quello che non si sapeva è che tutti questi vestiti sono finiti in un
istituto romano che aiuta i poveri.
Non era nato ricco e amava ripetere che detestava lo spreco. Il suo stile di vita è
sempre stato assai parco. Mangiava poco, non frequentava salotti mondani, non gli
piacevano i viaggi. Il suo divertimento preferito era giocare a scopone con il fratello e
la sorella. La sera, prima di andare a letto, prendeva soltanto mezza aspirina: diceva che
gli teneva lontani tutti i malanni.
«Non è vero che era avaro. Faceva tanta beneficenza, solo che non amava che se ne
parlasse». Lo ricorda così Silvio Rotunno, amico di Alberto Sordi da 30 anni e suo
consulente economico. «Aveva a cuore in particolare gli anziani e i bambini, ma - afferma
Rotunno - lo definirei un generoso a 360 gradi, anche nei sentimenti». Tre operatori
dellAma, dopo aver deposto un mazzo di fiori davanti al cancello della sua villa,
ieri hanno raccontato: «Ritiravamo i rifiuti sul retro della sua villa. A Natale ci dava
una busta con dentro una strenna».
Un giorno, Sordi chiamò un tecnico del suono della Fono Roma: aveva fatto un eccellente
lavoro per il film Fumo di Londra (1966) e lattore gli mise in mano una
banconota da 50 mila lire. In quegli studi, ancora raccontano la faccia, sbigottita, del
tecnico. E nel dicembre del 2001, in una puntata di Porta a Porta, Alberto Sordi
fece due confessioni a Bruno Vespa: la prima era che rimpiangeva di non aver mai preso un
Oscar, questa era la seconda: «Lascio tutto quello che ho realizzato nella carriera alla
mia Fondazione».
ROMA - «Se ne è andato un grande osservatore dell'umanità che ha
incarnato e riprodotto attraverso i suoi personaggi in maniera satirica ma con grande
profondità». È il ricordo del regista Ettore Scola che usa queste parole uscendo dalla
casa di Sordi dove si è recato ieri per rendere l'ultimo saluto all'artista.
«È stato il primo, e l'unico che ha avuto il coraggio di prendere in giro i giovani per
esempio con Nando Moriconi. Con questo ruolo ha ironizzato su un personaggio stupido che
si innammora di miti che non gli appartengono».
di MAURIZIO COSTANZO
LA CONSEGNA dei Telegatti è in
genere una cerimonia accaldata e dopo un po noiosa. Qualche anno fa una affermazione
di Dustin Hoffman mi portò a ringraziare il caso che mi aveva fatto assistere alla
premiazione. Hoffman disse: «Quello che ho imparato per fare lattore comico lo devo
ad Alberto Sordi». Mi sembra la prima cosa da ricordare nel parlare del più grande
attore brillante (la parola è riduttiva essendo Alberto anche interprete drammatico) che
lItalia ha avuto negli ultimi cinquantanni e di più. Sordi, interprete
dellitaliano, Sordi in grado di farci fare un esame di coscienza (Lo
scapolo", Il vedovo", ecc.) ma anche di farci conoscere un personaggio
come il Marchese del Grillo e due grandi padri: Un borghese piccolo piccolo" e
In viaggio con papà". Non voglio citare altri titoli anche perché questo è
un esercizio che facevo con Sordi chiedendogli notizie su una sequenza, su una battuta o
su quando, mentre girava La grande guerra" era capace di scovare
allinterno di una casa, un mobile antico di grande valore. A dir la verità questo
me lo raccontò Gassman che aveva fatto con lui quel film. Gassman mi disse anche che un
giorno Alberto gli confidò di guardarsi intorno nella grande villa dove non faceva
accedere estranei e poi commentare: «Ho intestato quasi tutto alla Chiesa, non si sa
mai». Può non interessare ma io ho perso un amico che poco più di un anno fa, a cena a
casa mia, rispose finalmente ad una domanda che gli facevo spesso; «Alberto ma tu con la
Mangano...», in genere cambiava discorso, faceva una delle sue facce oppure rideva.
Quella sera, ed è lultima volta che ho avuto occasione di parlare con lui a lungo,
volle rispondermi di colpo: «Sì, le ho voluto bene». Furono gli altri commensali a
cambiare discorso.
Ho voluto bene a Sordi per le emozioni che mi ha regalato con i suoi film e per la sua
autentica generosità. E una leggenda metropolitana quella che vuole un Sordi avaro,
algido nei sentimenti, incapace di affetti. I ricordi mi si affollano e da questa mattina,
da quando ho saputo della sua scomparsa, convivo con le tante occasioni di colloquio e
confidenza. Quando Francesco Rutelli lo volle sindaco per un giorno, lo accompagnai in
parte di quella sua giornata straordinaria e conversammo per quasi unora davanti
alle telecamere ancora una volta con sincerità e, ripeto, con affetto. Sempre in quella
giornata la sorella Aurelia, lunica rimasta (immagino quanto sia profondo il suo
dolore e lo sgomento per una assenza incolmabile) rimase a chiacchierare parlandomi del
fratello al quale per altro somigliava e domandandomi se cera qualche lettera per
lui a Cè posta per te" dato che lo avrebbe voluto vedere nella
trasmissione di Maria. La lettera cera e Sordi arrivò. Fu accolto come ormai gli
capitava sempre da un grande applauso. Però ci sono anche episodi divertenti e inediti.
Più di venti anni fa ci ritrovammo a Montecarlo dove io conducevo un programma
radiofonico proprio per Radiomontecarlo e lui era ospite. La verità era che il programma
si registrava a Roma ma lui ottenne di andare a Montecarlo. Laccompagnava una
ragazza avvenente ma di poche parole. Andammo a cena con il regista del programma, il
direttore di Radiomontecarlo e la ragazza. Questultima si allontanò per andare al
bagno. Passò mezzora e non tornava. I commensali si preoccuparono ma Sordi imbastì
un dialogo con me per cui non ci muovemmo. La poveretta si era sentita male e fu portata
in ambulanza in albergo. Sordi mi disse: «Chi lavrebbe detto... una ragazzona così
forte» e io capii che avrebbe certamente avuto cura di lei ma che un po lo
indispettiva questo week-end monegasco compromesso. La sera andammo al casinò dove si
produsse in un esercizio spettacolare, evitando che troppe persone gli stessero intorno e
congedandosi sempre con un Ciao cara, ciao caro" che gli permettevano di
svicolare. Lindomani, ad un pranzo, intuì che una signora accanto a lui apparteneva
alla categoria delle donne che si stupiscono di tutto. Prese lavvio un
indimenticabile atto unico dove Alberto indicava una forchetta o un bicchiere e la signora
si lasciava andare a degli "Oh" di stupore come se fosse entrato un alieno o
come se Alberto gli avesse mostrato un Capodimonte di altissimo valore. Più tardi mi
disse: «Ogni tanto mi piace recitare per me, come quando stavo seduto ai tavolini del
Caffè Esperia a piazza Cavour e mi divertivo a guardare passare la gente, e cercavo di
intuire la professione e di scoprirgli i tic». Accidenti, mi sento sempre più povero.
Anche lui dopo Gassman, dopo Totò, dopo Tognazzi, dopo Fabrizi, dopo Mastroianni è
andato ad infoltire un cartellone che non avremmo mai più possibilità di applaudire. A
noi, suoi amici affezionati orfani del suo talento e della sua umanità ci consenta di
ricordarlo senza temere la retorica. Quando muore Alberto Sordi non muore soltanto un
grandissimo artista ma un parente stretto.
ROMA - «Cosa provai quando ballammo insieme il Tuca Tuca? Pensai, Sicuro, stavolta mi cacciano dalla Rai"». Raffaella Carrà ricorda così Alberto Sordi. L'attore fu protagonista con la showgirl di un memorabile sketch sul Tuca Tuca a Canzonissima '70. «Sordi era una persona di parola - dice la Carrà - mi disse che gli era piaciuto il Tuca Tuca e che di lì a qualche settimana sarebbe venuto ospite in trasmissione. Lo fece e al momento del ballo, Alberto mi poggiò le dita sui seni e sull'ombelico. Pensai che mi avrebbero cacciato. Invece, per fortuna, fu un trionfo».
di GIACOMO A. DENTE
ROMA - Sparisce con Albertone
un grande testimonial dell'italiano medio, dei suoi vizi e delle sue virtù, una icona del
romano disincantato, anche di fronte ai grandi riti della tavola, come emerge da tutti i
suoi film, dove la cucina ha sempre un ruolo centrale, e non solo di colore . Sarebbe
stato uno straordinario testimonial dell'anti-sushi, Alberto Sordi, un giocoso negatore
della seduzione di fusion e cruderie varie. Lo spot del suo manifesto?
L'"outing", come si direbbe ora, con la moglie obesa ne Le Coppie, dove -in
barba ad ogni altra religione alternativa - esclama « di' quello che te pare, ma le
fettucine sono sempre le fettuccine». In fondo nulla alla fine cambia. Ha un bel dire (
Un giorno in pretura) Nando Meniconi « Un drink come a Kansas City », ma poi il cuore
batte lungo i filoni consolidati del Frascati e dei bucatini. E' la grande morale, a
distanza di poco meno di cinquant'anni, dell'Americano a Roma di Steno e della celebre
scena del "macarone" e dell'ormai mitico "io te distruggo",
meravigliosa satira del provincialismo esterofilo che si redime nel rassicurante orizzonte
di un piatto di pasta.
Figlio della guerra e della fame - in La più bella serata della mia vita di Scola c'è il
racconto di una confortante scodella di grandine, giusto per riempire lo stomaco,
condivisa con l'amico Agustarello - Sordi è l'antitesi credibile e popolare a tutti i
fumi della nouvelle cuisine e dintorni. Altro che mini-porzioni:il cuore batte sempre tra
anima pastasciuttara e sapori forti della campagna. Nel Medico della mutua di Zampa,
intento ad un abbacchio al ristorante Il Giardinaccio, si fa negare al telefono al
paziente disperato. Poi, nella veste dell'anziano ingegner Andreoli, si consola con un bel
piatto di maccheroni per aver perduto in una botta moglie e amante. D'altronde è la
morale gioiosamente reazionaria del fruttarolo Remo che, ossessionato dal figlio
rompipalle che lo vuole mettere a dieta in Dove vai in vacanza?, di notte mangia di
nascosto pane e salsiccia, prima di finire, stufo di vacanze intelligenti, sotto lavanda
gastrica per indigestione di pappardelle alla lepre e maiale arrosto. I personaggi di
Albertone sono così. Nel cibo trovano sostanza e giustificazione alla loro emarginazione
sociale, ovvero alla loro corsa alla ricerca di uno status, dolorosi, patetici, talvolta
commoventi. Come nel geniale affresco di Una vita difficile di Risi, dove, insieme a Lea
Massari, nella parte dei cogniugi Magnozzi - nomen omen - si spara voracemente un
pasticcio di carne, mentre tutto intorno, tra i padroni di casa, è tristezza per gli
esiti del referendum sulla monarchia, metafora impareggiabile sull'indifferenza della
storia. Abbuffone, sorridente, beffardo, perfino genialmente crudele. Forse, richiesto di
un parere sulla cucina dei nostri giorni, Sordi l'avrebbe liquidata con la sua celebre
battuta, nelle vesti di un conte decaduto col servo, in Arrivano i dollari « tiè,
magnate il pappone».
di GIANCARLO GOVERNI
QUANTE cose sono state dette su
Alberto Sordi
tante, tantissime da persone autorevoli, da studiosi, da suoi colleghi
di lavoro e da tante persone semplici. E le parole dette dalle persone semplici sono
quelle che mi hanno colpito di più, perché ci hanno fatto capire che Alberto era uno di
loro, uno del popolo, un italiano, un italiano vero che ha raccontato la nostra storia con
arguzia, con maestria e anche con impietoso accanimento.
Io, prima di avere la fortuna di lavorare con Alberto e di diventare un
sordologo", sono stato uno del popolo che lo ha amato, che lo ha seguito, che
non si è mai perso un suo film. E quando Massimo Fichera il direttore della Seconda Rete
(quella vera, quella delle origini) mi chiese di lavorare con lui, venticinque anni fa,
confesso che mi sentii tremare le gambe e arrivai emozionato al nostro primo incontro. Ai
lettori del Messaggero voglio raccontare la storia di questo incontro e di questo
straordinario programma che fu Storia di un italiano.
E la prima volta che lo vedo dal vivo. Di lui so quasi tutto, o almeno
credo, e ho visto tutti i suoi film. Lo seguo dal tempo del Compagnuccio della
parrocchietta" e posso dire di essere cresciuto con i suoi personaggi, di essermi
nutrito delle sue battute, di averlo usato come specchio della realtà in cui ho vissuto.
Ma quanti film ha fatto?", gli domando. Centocinquanta, centosessanta... in
realtà ha perso il conto anche lui, nonostante la sua meticolosità e la sua ottima
memoria. In certi anni, i primi del suo grande successo cinematografico, girò anche
undici film in un anno. Tutti lo volevano, il pubblico correva a vederlo e lui era preso
da una specie di febbre che gli imponeva di rappresentare tutti i personaggi che
incontrava nella vita reale e che pullulavano in una Italia in rapida e allegra
trasformazione. Passava da un set allaltro senza soluzione di continuità, ma sempre
preparandosi con cura e senza ripetersi mai. Se trenta anni fa mi fossi sposato,
oggi avrei figli grandi e magari sarei anche nonno. Non lho fatto dice
perché mi sono dedicato interamente a questo mestiere ed oggi mi ritrovo per figli e per
nipoti questi centocinquanta film".
Dopo alcune settimane di lavoro durante le quali abbiamo visionato tre film al giorno,
anche se non abbiamo il coraggio di confessarcelo, non pensiamo più al programma di
unora: la nostra mente è rivolta ad una lunga storia degli italiani dagli inizi del
secolo fino ad oggi, a questo italiano che è sempre presente in ogni momento cruciale
della nostra storia. Cè la prima guerra mondiale e lui è lì in trincea, suo
malgrado; finisce la guerra, arriva il fascismo e lui si leva il frac dellattore di
variété e si mette la camicia nera; passa da una guerra allaltra, fra un
armistizio ed una liberazione, giù giù fino al miracolo economico, allarte di
arrangiarsi, fino al volto da belva umana di Un borghese piccolo piccolo, tragica maschera
dei nostri giorni. Una storia, insomma, che Sordi ha raccontato nei suoi trenta anni di
cinema con scrupolo, con meticolosità, quasi con accanimento e di cui noi ritroviamo il
filo nella sua sterminata opera cinematografica.
Da quella mattina di primavera, per due anni, quasi ogni giorno, ho visto Sordi e ho
parlato di tutto: della Roma e della Lazio come del rapimento di Moro; del passato e del
presente; di Mussolini e di Andreotti; di De Sica e di Wanda Osiris; di Fellini e di
Totò. Ma soprattutto ha raccontato a me e a Tatiana Casini, la montatrice del programma
che lavora con Sordi da sempre, la sua carriera, i suoi film, la sua vita, se stesso. Ho
rivisto tutti i suoi film, quelli che mi avevano accompagnato dagli anni della mia
adolescenza fino alla maturità, che mi avevano suggerito le battute e gli slogan del
nostro linguaggio (Ce lhai una casa? Ma vattene a casa!", Ammazza
che fusto!" e mille altri), mi sono buttato sulla nastroteca della radio ed ho
ritrovato tutti i suoi sketch radiofonici dal Signor Dice al Compagnuccio della
parrocchietta, da Mario Pio al Conte Claro. Questa storia dItalia, che e poi la
nostra storia, della generazione di mio padre, della mia e di quella dei miei figli (il
fascismo, la guerra, la ricostruzione, il boom, la crisi) lho rivisitata insieme a
lui.
Il personaggio Sordi caro a tutti gli italiani della mia generazione è diventato per me
Alberto, un maestro che ha regalato la sua amicizia a me e alla mia famiglia che è durata
tutta la vita. In questi anni di frequentazione ho capito che Sordi ci ha sempre
rappresentati nei nostri aspetti negativi, nelle nostre debolezze ma anche in certe nostre
qualità. Sordi in cinquanta anni di lavoro ha fatto con grande coerenza litaliano
...a tempo pieno. Insomma, Alberto Sordi siamo noi!
di ENRICO VANZINA
ERA il più bravo. Era il più
grande. Era come Ribot. Era come Petrolini. Era come Pelé. Era come Sugar Ray Robinson.
Era come Louis Armstrong. Era un'altra categoria. Era il più buffo, ma soprattutto era il
più spiritoso. Ed era un gran signore. Un signore di origini popolari. Dunque il più bel
signore che un signore può essere. Non era mai volgare, mai cafone, mai superficiale, mai
gratuito. Era sempre perfettamente in linea con la sua onestà intellettuale di attore
semplice. E proprio per questo raffinatissimo. Era benpensante, tradizionale. Ma
modernissimo. Il suo compagnuccio della parrocchietta fu una fucilata di intelligenza dopo
anni di telefoni bianchi e di commedie smielate. Il suo Nando nei film di mio padre Un
giorno in pretura e Un americano a Roma era così avanti da essere moderno
ancora oggi. Era un po matto. Basta pensare alle sue canzoni. Era modesto. Mai
presuntuoso. Ha insegnato a tre generazioni che la carriera di un artista non dipende solo
dai grandi film ma dalla voglia di far bene il proprio mestiere anche nei piccoli film.
Amava dire che non si era mai sposato perché, con un patto non scritto, aveva sposato il
pubblico. E' così. Alberto è stato il marito in tanti film ed allo stesso tempo è stato
il marito di milioni di spettatrici. Ne è stato anche il vedovo. E' stato il nostro
papà, il nostro vigile, il nostro medico. E' stato fifone, coraggioso, vigliacco,
opportunista, idealista, cattivo, generoso. E' stato l'icona di celluloide che meglio ha
rappresentato il campione comportamentale degli abitanti di questa penisola. Quello,
però, che è assolutamente stupefacente è che Alberto ha imitato alla perfezione gli
italiani ma poi, per un misterioso meccanismo d'identificazione al contrario, sono stati
gli italiani a imitare lui. Lui era noi e noi siamo tutti un po lui.
La sua scomparsa mi addolora profondamente. Alberto era uno dei migliori amici di mio
padre. Lo conoscevo da quando ero nato. Gli volevo bene e lui voleva bene a me e a mio
fratello Carlo. Mi dava delle carezze. Anche quando mi incontrava in questo ultimo
periodo. Lui diventato la metà di se stesso e io con i capelli bianchi. Ci capivamo al
volo. Forse lui in me rivedeva quegli anni entusiasmanti della sua giovinezza quando
Vittorio De Sica lo aveva scelto come eroe comico di questa nazione e mio padre lo aveva
consacrato facendogli fare il bagno nudo nella maranella" insieme a dei
ragazzetti di periferia. Io, in lui, vedevo il senso profondo della nostra professione,
fatta di sacrificio, di passione e di amore smisurato per il pubblico. Adesso, lassù,
dove lui ha sicuramente una suite" (me lo aveva detto, alzando gli occhi al
cielo: «Ho parlato con Lui... E mi ha detto che ho una stanza riservata»), ritroverà
Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Sergio Amidei e il suo piccolo amichetto Steno. Lo
stavano aspettando. Perché in Paradiso forse ci si annoia un po e l'arrivo di Sordi
sarà una gioia per tutti.
Il giorno del funerale di mio padre l'ho visto piangere nascosto dietro una colonna. Forse
pensava che un comico non deve farsi vedere con le lacrime agli occhi. In questo momento
dietro la colonna ci sto io. E piango per lui. Ciao Albertone.
di FABIO FERZETTI
NON ERA un attore, era un paese
intero. Non è stato solo il miglior attore italiano del dopoguerra e uno dei più grandi
del mondo, ma lItalia stessa. O meglio linterprete che più di chiunque altro
ha rivelato agli italiani il loro paese. Con le sue glorie e le sue miserie, i suoi vizi e
le sue viltà, le paure ataviche e quelle dettate dal momento storico, la guerra, la fame,
la ricostruzione, il boom economico, lavidità materiale. E il consumismo,
lamericanizzazione, lemancipazione femminile, la contestazione, la
restaurazione.
Se lo stesso Sordi, grande archivista del proprio lavoro, ebbe buon gioco a intitolare Storia
di un italiano il suo fortunato programma-antologia, è perché dietro ognuno dei suoi
film correva il filo rosso della storia nazionale. Una storia senza maiuscole e tutta
raccontata dal basso", come sapeva fare il nostro cinema di una volta, dando
vita a una galleria senza eguali di personaggi sempre incredibilmente veri e
talvolta più veri del vero. Che morissero da eroi urlando «Non voglio morire, sono un
vigliacco!» (La grande guerra). O che si vendessero un occhio per mantenere il
tenore di vita (Il boom).
Come scriveva Brancati già nel 1936: «Quando una società diventa al più alto grado
materialista, gli artisti che vogliono rappresentarla devono necessariamente essere
comici». E infatti. Dite un tipo", un problema, un carattere, un conflitto
della nostra storia recente, e lo troverete incarnato da Alberto Sordi. Titoli come Il
seduttore, Il moralista, Lo scapolo, Il vigile, Il marito, I magliari, I complessi, e
poi Un giorno in pretura, Un americano a Roma, Un italiano in America, Il medico della
mutua, Detenuto in attesa di giudizio, Bello, onesto, emigrato Australia, sposerebbe
compaesana illibata, parlano da soli. E film come Lo sceicco bianco e I
vitelloni di Fellini, La grande guerra e Un borghese piccolo piccolo di
Monicelli, Tutti a casa di Comencini, Una vita difficile di Risi, Il
maestro di Vigevano di Elio Petri, basterebbero da soli a farne uno dei volti chiave
del nostro cinema.
Ma Sordi è stato molto più che una maschera prodigiosa e capace di creare una sociologia
per così dire in diretta". Romano fino al midollo, dunque geneticamente
scaltro, papalino, diffidente di ogni autorità, alloccorrenza servile, corazzato di
cinismo irridente, tutte caratteristiche che travasava a meraviglia nei suoi personaggi,
è stato anche uno degli attori italiani più amati nel mondo proprio perché al cinema la
verità procede sempre dal particolare alluniversale, e in questo non era secondo a
nessuno. Ma era pure uno dei non molti attori capaci di imporre la propria personalità
sempre e comunque, anche ai registi più grandi.
Non cè film con Sordi che non sia anche un film di" Sordi (che passò
tardi alla regia, con esiti alterni ma talvolta notevoli come nel crepuscolare Nestore,
lultima corsa). E questo perché non aveva paura di nulla, anzi. Come ricordava
il suo sceneggiatore di sempre, Rodolfo Sonego, si gettava su «personaggi di una
grettezza quasi ributtante, su racconti abbastanza folli e inaccettabili, e infatti
inaccettati da molti altri attori», con «il colpo docchio infallibile, il giudizio
immediato e fulminante (...) di un animale selvaggio, un animale del bosco che ci vede
anche di notte». E che «riesce, per misteriosa intuizione, a rendere con assoluta
verità vizi che non ha, sentimenti che non ha mai provato».
I suoi registi magari ne avevano anche un po paura, proprio per questa sua capacità
di darsi totalmente al ruolo, di viverlo quasi in trance, senza fermarsi di fronte a
nulla. Ma Sordi, che in una delle ultime interviste confessava di «non aver mai pensato
ad altro che a fare lattore da quando sono nato», li ripagava con la sintesi
folgorante e spietata che è il marchio dei grandi.
Nessuno meglio di lui ha saputo essere insieme «infantile e decrepito, ingenuo e
corrotto, saggio e scemo, tiranno e schiavo... un bambino malvagio e vizioso che mentre
pecca si odia e si ama, ha orgoglio e pietà di sé», per citare uno dei suoi primi
grandi estimatori, Giuseppe Marotta. Nessuno più di Sordi, con il suo gusto per le
avventure oltreconfine, ha inverato la celebre battuta di Flaiano secondo cui il nostro
popolo è comico in quanto tale e basta mettere un italiano al Polo Nord per smitizzare
perfino limmensa distesa di ghiacci.
E questo non per qualche misterioso carattere nazionale" ma perché, come ben
vide sempre Flaiano, in un paese ancora privo di una lingua ma allietato da innumerevoli
dialetti, i soli idiomi capaci di riflettere la realtà, «i ladri, i servi, gli spacconi
della Commedia dellArte» non solo sono ancora vivi e vegeti, ma «da personaggi
secondari sono diventati personaggi principali». E gli attori che meglio hanno saputo
incarnarli, i Sordi (e i Tognazzi, i Gassman, i Manfredi, etc.), sono i migliori proprio
in quanto «portavoce di una vaga sentimentale incoscienza nazionale, anzi di un rifiuto
della coscienza in favore della rappresentazione». Che ha fatto dei servi, concludeva
Flaiano, «la nostra vera, continua autobiografia».
Si capisce perché il campione di tuttaltro genere di autobiografismo, il Nanni
Moretti di Ecce Bombo, si scagliasse a suo tempo contro questo campione di
mediocrità nazionale («Ve lo meritate, Alberto Sordi!»). Ma la sua era la rabbia
dellautarchico, del solitario che tenta di riformare il cinema e il costume
nazionale senza rinunciare a un grammo di sé. Mentre la grandezza di Sordi, titano di
unepoca ormai conclusa, protagonista di 150 film, consisteva proprio nel fagocitare,
riprodurre, reinventare tutto, anche il peggio, senza distinzioni. Senza paura di essere
maggioranza.
Carlo Azeglio Ciampi :"Interpretò i sentimenti degli
italiani nei momenti più duri"
ROMA - Erano coetanei e soprattutto amici. Il cordoglio di Carlo Azeglio
Ciampi per la scomparsa di Alberto Sordi è davvero sincero e sentito. Quando lo
avviciniamo, dopo una cerimonia al salone delle feste del Quirinale, allarga le braccia:
«E stato un grande dolore. Veramente Sordi ha interpretato i sentimenti degli
italiani, soprattutto nei momenti più difficili e duri». Il Presidente ci ripensa ai
film sulla guerra (Un nome per tutti: "Tutti a casa"). «Ma non solo quello».
«Sordi - precisa ancora il capo dello Stato - ha rappresentato i sentimenti degli
italiani mentre il Paese si stava sfasciando. Però nelle sue interpretazioni non
cè mai la rappresentazione dello sfascio senza speranza. Ecco è qui la profonda
italianità di Alberto Sordi». Ma quando lo ha incontrato lultima volta,
Presidente? Ciampi risponde: «Lho visto ripetutamente al Quirinale. Una delle
ultime volte, venne a mostrarmi la riedizione di tutti i suoi film. Ora che spero che
siano visti anche nelle scuole. Sarebbe un modo per rappresentare visivamente tutti i
drammi degli anni Quaranta».
In effetti, non molto tempo fa Sordi era stato invitato al Quirinale per assistere insieme
al Presidente e a donna Franca una ricostruzione degli spezzoni dei suoi film
dellIstituto Luce. Sordi aveva ribadito la sua intenzione di far diffondere nelle
scuole la "Storia di un italiano". E Ciampi aveva dato il suo assenso alla
meritoria iniziativa.
Anche donna Franca non sa trattenere la commozione quando ricorda Sordi. «E
veramente una grande angoscia. Era un amico e noi gli volevamo molto, molto bene. Andremo
a salutarlo. E stato un vero italiano. Quei film che raccontavano la nostra ultima
guerra, il disagio terribile della nostra popolazione. Ma tutto ciò era ricostruito da
lui con incredibile senso di verità. Sì, lo vedevamo con una certa frequenza».
Nel pensiero del Presidente e di donna Franca, Sordi è stato un testimone, «una delle
figure più rappresentative del Novecento italiano». Ciampi lo dice esplicitamente nel
messaggio di cordoglio inviato ai familiari dellattore. «Con Alberto Sordi - scrive
il capo dello Stato - scompare un grande artista, amato e ammirato in Italia e nel
mondo».
«Sin dal suo esordio, appena ventenne - soggiunge - ha rivelato le sue straordinarie
qualità espressive, riuscendo a cogliere con virtuosismo raro e con profonda ironia,
venata di affetto e talora di rimpianto e di amarezza, le virtù e i vizi della
"commedia umana"...Ci lascia una lezione di rigore professionale e di amore per
gli altri...Lo ricordo e lo ringrazio per quanto ci ha donato». Nel pomeriggio,
lestremo saluto all"amico Alberto". I coniugi Ciampi vengono accolti
in Campidoglio dal sindaco Veltroni e dalla sorella dellattore. Sostano a lungo, in
raccoglimento, davanti al feretro nella camera ardente allestita nella sala Giulio Cesare.
ROMA - «Senza di lui non ci sarei io, non ci sarebbe il cabaret, non ci
sarebbero tante cose». Così Enzo Jannacci, lunedì sera, durante il concerto che
RadioRai ha trasmesso in diretta da via Asiago.
Una dedica a Sordi toccante, salutata da un grande applausi da parte del pubblico. Nessuno
sapeva che Albertone era così prossimo alla fine e il tributo acquista quindi maggior
valore.
di MARIO AJELLO
ROMA E
morto il politico perfetto. Noi qui a inseguire improbabili modelli istituzionali (modello
Westmister? modello tedesco? modello birmano corretto allislandese?), e lunico
modello concreto che avevamo (il modello Albertone, geniale miscuglio di spirito
bipartisan, millenario scetticismo post-ideologico e infinito appeal mediatico) purtroppo
non cè più. Un modello che tutti i politici corteggiavano e avrebbero voluto
imitare. Ma, per dirne uno, Rutelli - che pure nella caricatura inventata da Corrado
Guzzanti gli somiglia - è un romano troppo poco antico, un cattolico troppo improvvisato
e un uomo con moglie troppo ingombrante per essere Albertone
(«Ecche-me-metto-n-estranea-n-casa?»). E Berlusconi di questi tempi rischia
di essere simile non tanto a Sordi quanto a Nando Moriconi, proverbiale eroe
dellamericanismo a Roma «senza se e senza ma» ma con qualche irrefrenabile
tentazione per il piatto di spaghetti: «Mhai provocato? E io me te magno!».
DAlema migliorerebbe nel rapporto col pubblico, se riuscisse a far scivolare nel
proprio eloquio qualcuna di quelle battute sapienti alla Sordi che sanno sdrammatizzare
meglio di mille «disciamo» e di centomila inciuci bicamerali. Comunque, prima di tutti,
Andreotti ha capito la profonda valenza politica dellattore romano, fino a fargli da
spalla nella celebre scena del «Tassinaro». E ora rievoca lo statista Dc: «Con Sordi,
ci conoscemmo negli anni 50. Allinizio lui temeva di starmi antipatico, per
via di quel suo film in cui prendeva in giro ragazzotti dellAzione cattolica. Lo
rassicurai subito».
Corteggiato da tutti e pronto a spendere una buona parola per tutti («Berlusconi? Un tipo
educato»), Sordi non si è mai fatto arruolare da nessuno. Indefinibile e evasivo anche
rispetto al grande potere dello Scudo Crociato. Gli è stato chiesto, per esempio, di fare
il sindaco di Roma o addirittura il Papa o almeno il premier. «Le cedo il posto che sarà
mio!», gli ha detto Berlusconi, per fare lo spiritoso, prima delle ultime elezioni. E lui
rispondeva con quella seriosità grave che è tipica dei comici ogni tanto: «Non ce la
faccio a prendre sulle mie spalle la responsabilità di un popolo». Se avesse accettato
qualche offerta, avrebbe sfasciato il «modello Albertone». Quel suo non stare nè di qua
nè di là perchè stava ovunque. Quella naturale predisposizione allecumenismo
dentro il quale riusciva a far passare però, morbidamente, proprio come faceva la
migliore Dc, anche temi tuttaltro che conformisti e moderatucci: il garantismo in
«Detenuto in attesa di giudizio»; lo sfottò nel 51 contro i ragazzini delle
parrocchie in «Mamma mia che impressione!» (film bandito dalla censura cattolica); le
denunce del magna-magna nel sottogoverno e la premonizione di Tangentopoli in «Tutti
dentro» (dell84, quasi dieci anni prima delle inchieste del pool di Milano) nel
quale Albertone è un Di Pietro ante-litteram e fra i suoi inquisiti ce nè uno che
si chiama «il Cavaliere». «Non sono io - dice il Cavaliere - che ho preso la tangente.
E colpa della legge che è fatta male...». Sarebbe servito un Cirami anche nel
film. Atlantico senza esagerare, addirittura con qualche allergia («Gli americani non
sanno ggnente!», ha detto alla festa per gli 80 anni in Campidoglio), il «modello
Albertone» può piacere perfino ai ragazzi no-global. Perchè Sordi, al contrario di
Benigni, ha sempre rifiutato le offerte delle produzioni americane («Io non faccio la
macchietta holliwoodiana») e «Finchè cè guerra cè speranza» (storia di
un trucido commerciante di armi nel Terzo Mondo) lo vedremo presto in qualche
manifestazione pacifista di «Emergency».
Insomma, un politico perfetto. O, come minimo, un realista per nulla fiducioso, come il 99
per cento dei suoi connazionali, di qualsiasi riforma che possa perfezionare il
bimillenario sistema Italia e affezionato - a dispetto dei nuovismi - del metodo della
concertazione fra le parti sociali. Nessuno più di Sordi è stato, e sarà, capace di
esibirsi nellabbraccio dei vigili, nella carezza ai fotoreporter, nella strizzatina
docchio a custodi, autisti, portinai, nel dialogo trasversale e interclassista che
odora di mousse e di gelatina ma nel bene o nel male ha tenuto insieme tutto. Verrebbe
infine da pensare, davanti a questo animale politico lungimirante e «anticipatore», come
lo ha definito ieri Rutelli, che nella «Grande guerra» (del 59) Albertone si
stesse fosse rivolgendo a Bush e a Saddam: «Boniiii...State boniiii....!».
IL REGISTA
E SCOMPARSO lattore
italiano più grande del secolo. Il più dotato, il più completo, il più generoso. Non
ho dubbi: Alberto è stato allaltezza di Buster Keaton, Charlie Chaplin, dei
fratelli Marx. Allestero, soprattutto per sua scelta perchè non volle mai andare a
girare film in America, non godeva della popolarità italiana, ma sono sicuro che verrà
presto conosciuto e riconosciuto come un grande.
Sordi è stato un comico ma soprattutto un autore. Ha costruito un personaggio unico di
italiano: fazioso, feroce, vile, sopraffattore, volgare, corrotto e corruttore. Ha
tracciato, attraverso i suoi duecento film, il ritratto più impietoso e più autentico
del Paese che era appena uscito dalla catastrofe della guerra e del fascismo.
Alberto ha rivelato agli italiani di che pasta erano fatti facendoli ridere di loro
stessi. E grazie a lui, rivedendosi nei suoi personaggi canaglieschi, vigliacchi,
tuttaltro che edificanti, gli italiani hanno fatto passi da gigante perché hanno
imparato a riconoscere i propri difetti, anche i più inconfessabili. E forse, proprio per
questo, hanno trovato lo spunto e la forza per cambiare.
Abbiamo girato insieme tanti film, Alberto e io, da La grande guerra a Un
borghese piccolo piccolo. E stato per me un compagno felice e indimenticabile.
Un uomo pieno di allegria, generosità, idee, voglia di osservare e di conoscere il mondo
intorno a lui. Non manifestò mai alcun tipo di presunzione, pur essendo un grande, né
provò gelosia per gli altri attori come spesso avviene nel cinema.
Era cattolico nel più profondo dellanima. Lo scoprii durante le riprese di Un
borghese piccolo piccolo. Eravamo al cimitero di Prima Porta, per girare la scena in
cui il protagonista si imbatte nelle bare accatastate nel deposito. Mentre noi lavoravamo,
arrivavano in continuazione convogli funebri veri, accompagnati da parenti in lacrime.
Alberto guardava stupito. Disse: «Non capisco il perché di tanta disperazione. In fondo,
la separazione dura poco, presto si ricongiugeranno ai loro cari in Paradiso». Aveva una
grande fede, che trasferiva nella vita di tutti i giorni.
A dispetto della sua fama di avaro, ha sempre devoluto in beneficenza buona parte dei suoi
guadagni ma facendo bene attenzione a non divulgarlo in giro.
Abbiamo passato insieme ore meravigliose, sul set e fuori. Quando un attore possiede la
qualità, non solo artisitica ma anche umana, è più facile lavorarci insieme. E io oggi
rimpiango un amico, un collega, un uomo che ha dato tanto al cinema, allItalia e
agli italiani.
ALBERTO è stato un attore immenso, la maschera per eccellenza del cinema
italiano. Ha raccontato cinquantanni della nostra vita come nessun altro. E
stato un grande uomo e un un grande personaggio. E come tutti i grandi, aveva due facce.
In pubblico era simpatico, brillante, a volte anche feroce, aveva la battuta sempre
pronta. In privato, però, sapeva mostrare aspetti anche malinconici. Era geloso dei suoi
spazi, a volte anche diffidente come si conviene a chi, come lui, ha un successo così
grande da diventare unistituzione.
Diventare amico di Alberto non era facile. Infatti, per tutta la vita e nonostante fosse
oggetto di un autentico assedio da parte di centinaia di persone, si è circondato di
pochissimi intimi: lantiquario Apolloni, il musicista Piccioni, Silvana Mangano, la
storica montatrice Silvana Moriggi... Alberto adorava concedersi al suo pubblico ma a
amava anche stare solo con se stesso.
Oggi che non cè più, io sono tristissimo. Avevamo un rapporto molto bello, da
padre a figlio. Con me, lui si apriva e mi confidava i segreti del mestiere. Io gli
parlavo a cuore aperto. Sul set del film che girammo insieme, Viaggio con papà,
avemmo incontri e anche scontri. Oggi ricordo quei momenti con immensa commozione e mi
rendo conto del privilegio che ho avuto. La mia partecipazione alla pellicola fu come
formalizzare artisticamente una qualche forma di parentela, mai io mi sono sempre ritenuto
un allievo. Da lui ho assorbito tanto, ho anche imparato una certa filosofia dello stare
sul set e della vita dellattore. Ho imparato ad esempio a prendere con filosofia le
critiche, anche quelle ingiuste.
Se non fosse stato per lui, se non avessi visto tutti i suoi film nei cineclub durante
negli anni delladolescenza e della giovinezza, da Un americano a Roma a I
vitelloni, da Lo sceicco bianco a Una vita difficile, non sarei
diventato attore.
Ma era scritto nel destino: da piccolo, abitavo in una casa del centro e le finestre della
mia camera davano su via delle Zoccolette, dove si affacciava anche la camera da letto di
Alberto. Se io facevo chiasso, si affacciava una delle sorelle dellattore e mi
intimava: «Zitto, che Sordi dorme!».
Il film che più di ogni altro ha concentrato i mille volti di Alberto è senza dubbio I
vitelloni, unopera corale che esprime pienamente il suo Dna. Fellini aveva
capito tutto di lui, della sua grandezza. E per questa sua grandezza non ci saranno altri
Sordi. Lui non può avere eredi, forse qualche discepolo. Con la sua scomparsa, così come
con quella di Gianni Agnelli, si è chiusa una pagina della storia dItalia e del
cinema. Entrambi hanno rappresentato il nostro Paese in maniera esemplare, ciascuno per il
mestiere che svolgeva, dal dopoguerra fino a dieci anni fa. LItalia, Roma, il mondo
delle cultura hanno perso un gigante che ha raccontato il Paese e rinnovato la comicità.
Io perdo un amico, un modello, una guida, luomo che mi ha insegnato tutto.
di MAURIZIO COSTANZO
il caso che mi aveva fatto
assistere alla premiazione. Hoffman disse: «Quello che ho imparato per fare lattore
comico lo devo ad Alberto Sordi». Mi sembra la prima cosa da ricordare nel parlare del
più grande attore brillante (la parola è riduttiva essendo Alberto anche interprete
drammatico) che lItalia ha avuto negli ultimi cinquantanni e di più. Sordi,
interprete dellitaliano, Sordi in grado di farci fare un esame di coscienza
(Lo scapolo", Il vedovo", ecc.) ma anche di farci conoscere un
personaggio come il Marchese del Grillo e due grandi padri: Un borghese piccolo
piccolo" e In viaggio con papà". Non voglio citare altri titoli anche
perché questo è un esercizio che facevo con Sordi chiedendogli notizie su una sequenza,
su una battuta o su quando, mentre girava La grande guerra" era capace di
scovare allinterno di una casa, un mobile antico di grande valore. A dir la verità
questo me lo raccontò Gassman che aveva fatto con lui quel film. Gassman mi disse anche
che un giorno Alberto gli confidò di guardarsi intorno nella grande villa dove non faceva
accedere estranei e poi commentare: «Ho intestato quasi tutto alla Chiesa, non si sa
mai». Può non interessare ma io ho perso un amico che poco più di un anno fa, a cena a
casa mia, rispose finalmente ad una domanda che gli facevo spesso; «Alberto ma tu con la
Mangano...», in genere cambiava discorso, faceva una delle sue facce oppure rideva.
Quella sera, ed è lultima volta che ho avuto occasione di parlare con lui a lungo,
volle rispondermi di colpo: «Sì, le ho voluto bene». Furono gli altri commensali a
cambiare discorso.
Ho voluto bene a Sordi per le emozioni che mi ha regalato con i suoi film e per la sua
autentica generosità. E una leggenda metropolitana quella che vuole un Sordi avaro,
algido nei sentimenti, incapace di affetti. I ricordi mi si affollano e da questa mattina,
da quando ho saputo della sua scomparsa, convivo con le tante occasioni di colloquio e
confidenza. Quando Francesco Rutelli lo volle sindaco per un giorno, lo accompagnai in
parte di quella sua giornata straordinaria e conversammo per quasi unora davanti
alle telecamere ancora una volta con sincerità e, ripeto, con affetto. Sempre in quella
giornata la sorella Aurelia, lunica rimasta (immagino quanto sia profondo il suo
dolore e lo sgomento per una assenza incolmabile) rimase a chiacchierare parlandomi del
fratello al quale per altro somigliava e domandandomi se cera qualche lettera per
lui a Cè posta per te" dato che lo avrebbe voluto vedere nella
trasmissione di Maria. La lettera cera e Sordi arrivò. Fu accolto come ormai gli
capitava sempre da un grande applauso. Però ci sono anche episodi divertenti e inediti.
Più di venti anni fa ci ritrovammo a Montecarlo dove io conducevo un programma
radiofonico proprio per Radiomontecarlo e lui era ospite. La verità era che il programma
si registrava a Roma ma lui ottenne di andare a Montecarlo. Laccompagnava una
ragazza avvenente ma di poche parole. Andammo a cena con il regista del programma, il
direttore di Radiomontecarlo e la ragazza. Questultima si allontanò per andare al
bagno. Passò mezzora e non tornava. I commensali si preoccuparono ma Sordi imbastì
un dialogo con me per cui non ci muovemmo. La poveretta si era sentita male e fu portata
in ambulanza in albergo. Sordi mi disse: «Chi lavrebbe detto... una ragazzona così
forte» e io capii che avrebbe certamente avuto cura di lei ma che un po lo
indispettiva questo week-end monegasco compromesso. La sera andammo al casinò dove si
produsse in un esercizio spettacolare, evitando che troppe persone gli stessero intorno e
congedandosi sempre con un Ciao cara, ciao caro" che gli permettevano di
svicolare. Lindomani, ad un pranzo, intuì che una signora accanto a lui apparteneva
alla categoria delle donne che si stupiscono di tutto. Prese lavvio un
indimenticabile atto unico dove Alberto indicava una forchetta o un bicchiere e la signora
si lasciava andare a degli "Oh" di stupore come se fosse entrato un alieno o
come se Alberto gli avesse mostrato un Capodimonte di altissimo valore. Più tardi mi
disse: «Ogni tanto mi piace recitare per me, come quando stavo seduto ai tavolini del
Caffè Esperia a piazza Cavour e mi divertivo a guardare passare la gente, e cercavo di
intuire la professione e di scoprirgli i tic». Accidenti, mi sento sempre più povero.
Anche lui dopo Gassman, dopo Totò, dopo Tognazzi, dopo Fabrizi, dopo Mastroianni è
andato ad infoltire un cartellone che non avremmo mai più possibilità di applaudire. A
noi, suoi amici affezionati orfani del suo talento e della sua umanità ci consenta di
ricordarlo senza temere la retorica. Quando muore Alberto Sordi non muore soltanto un
grandissimo artista ma un parente stretto.
ROMA - Commozione, testimonianze affettuose, sconcerto. Il mondo dello
spettacolo rende omaggio al grande Albertone.
Dario Fo: «Non preoccupiamoci di celebrarlo da morto. Un artista come Sordi
vivrà in eterno attraverso i suoi film». Per il Premio Nobel «Sordi non
era solo un interprete comico. Era un indiscusso attore drammatico. Tutto era reinventato
per la scena, per attaccare e denunciare».
Paolo Villaggio: «E stato il comico più grande perché è stato il primo a
smascherare, esorcizzare con la sua naturale intuizione lessenza provinciale e
cinica dellitaliano».
Pupi Avati: «Tutti qui a Cinecittà parlano di Alberto, si sente laffetto
per una persona che si era relazionato con tutti a tutti i livelli, non teneva conto delle
gerarchie. Tutti a Cinecittà, dagli autisti ai portieri, parlano di Alberto». Il regista
e presidente di Cinecittà Holding, annuncia un tributo allattore insiena
allIstituto Luce «basato sullo sterminato materiale che lo riguarda».
Lina Wertmuller: «Abbiamo perso un pezzo grosso, una metà di Roma se nè
andata, ed era la metà più ironica, più irriverente».
Max Tortora: «La mia imitazione televisiva muore con lui».
Citto Maselli: «Come se non bastassero le tragedie che vive il cinema italiano in
questo periodo, con il governo Berluscono che lo sta facendo morire, la scomparsa di Sordi
rischia di diventare un elemento in più di crisi. Ma credo - dice il regista - che
proprio la sua morte possa servire da richiamo a tutti noi, per un nuovo rilancio, per un
risveglio di creatività».
Claudia Cardinale: «Alberto era un grande che non è mai stato molto apprezzato:
era considerato un attore comico e per questo non è mai stato sufficientemente sostenuto
allestero». Lattrice, che ha recitato con Sordi nel 62 nel film Bello,
onesto, immigrato in Australia, sposerebbe compaesana illibata, ci offre una
testimonianza: «Di quel film ho un ricordo di grande divertimento. Si rideva in
continuazione. Era molto difficile rimanere seri con Alberto».
Suso Cecchi DAmico: «Con i suoi personaggi ha fatto lItalia, ne ha
solcato in lungo e in largo vizi e virtù, insomma è stato un autore ancor prima che un
attore». «Credo che il cinema italiano che gli deve molto abbia per prima cosa adesso il
dovere della gratitudine e della memoria», dice la sceneggiatrice.
Lea Massari: «Recitare con Alberto era come ballare un valzer. Non eravamo vicini
come carattere. Ma a lui era impossibile non voler bene. Lunica gioia che ma ha dato
Alberto negli ultimi anni è stato sapere che aveva imparato ad amare gli animali».
Il figlio della Sora Lella: «Era un vero signore»
ROMA - «Lo ricordo con tanto affetto. Gli volevamo tanto bene. Tutti gli volevano bene». Così Aldo Amleto Trabalza, figlio di Lella Fabrizi, ricorda Alberto Sordi. Trabalza dal suo ristorante Sora Lella", sull'isola Tiberina di Roma, ricorda che Sordi girò nella trattoria il film Scusi, lei è favorevole o contrario? insieme con la madre. «Era un vero signore».
di LEONARDO JATTARELLI
ROMA «Per favore, niente lacrime. Anche perché ancora non posso credere che
Alberto non ci sia più. E entrato non solo nella storia del cinema ma in quella
degli italiani. Io voglio parlarne sorridendo. Essergli stato amico? Un vero privilegio».
Dino Risi ha ancora davanti a sé le immagini di un Sordi felice, simpatico, gagliardo.
LAlbertone degli anni migliori, quelli siglati, guarda caso, proprio accanto a lui,
con lui. «Insieme abbiamo fatto film importanti come Una vita difficile. E ancora Il
vedovo e Il segno di Venere». E negli annali del cinema la sequenza di Una
vita difficile in cui Sordi-Magnozzi, lex partigiano divenuto il tirapiedi di un
importante uomo daffari, alla fine ha un soprassalto di dignità e butta in piscina
lindustriale. Così come indimenticabile, lamaro quanto grottesco ritratto che
Sordi offre ne Il vedovo.
E quel set veneziano...
«Me lero lasciato apposta per ultimo perché mentre giravamo il mio Venezia,
la Luna e tu insieme a Marisa Allasio e a Nino Manfredi, accadde qualcosa di molto
divertente e insieme malinconico...».
Perché non ce lo racconta?
«Dunque, lanno era il 1958 e il periodo, proprio quello in cui il Parlamento
approvava la celebre Legge Merlin. Insomma, i casini avrebbero avuto ancora poche ore di
vita. Vedo Sordi che arriva con una bottiglia di champagne in una mano e un vassoio di
paste sullaltra: Allora andiamo?" mi dice andiamo a salutare le
ragazze. Dobbiamo commemorare in qualche modo questa orribile data". Ci aspettava Il
Dollaro, uno dei casini più eleganti di Venezia. Accanto alla maîtresse, quella sera
cerano conti e marchesi tutti in lacrime. Alberto riconobbe tra le ragazze una
soubrettina che aveva lavorato con lui. Lo vidi sparire dietro di lei, su per le scale».
Chi era Alberto Sordi?
«Un fratello, un padre, un figlio. Un uomo che ci ha fatto divertire davvero. Un
grande attore, eccellente comico e poi innamorato, davvero innamorato della vita. Era un
"gasato" dellesistenza si direbbe oggi. Attento nellosservare, nel
cogliere i tic, le manie della gente comune. Un artista che è riuscito a raccontare bene
lItalia e gli italiani, dal bullo romano al professorone, dal togato
allemigrato e ancora il seduttore e il padre distrutto dal dolore. Un professionista
a tempo pieno».
Il suo tratto distintivo?
«Cosa posso dire? Erano i suoi film, il suo modo di girare, la sua intelligenza
registica. Un po come Picasso che quando andava al ristorante amava disegnare sulle
tovaglie di carta. Quello era il tratto di Picasso, anche una semplice linea.
Inconfondibile, come il cinema di Sordi».
Cosa amava maggiormente di lui?
«Il piacere di vivere e la generosità, a dispetto di tutte le dicerie sulla sua
tirchieria. Ho visto Alberto aiutare tante volte compagni di lavoro meno fortunati rimasti
senza una lira. Li chiamava e li faceva lavorare nei suoi film. E poi gli piacevano le
donne, una cosa che ci accomunava».
Ed è riuscito a difendere la sua vita privata...
«In modo esemplare direi. Di giorno era sul set, poi la sera si chiudeva nel suo
castello" romano blindatissimo. Si faceva coccolare dalle sorelle, riguardava i
suoi vecchi film e, ogni tanto, a Capodanno apriva le porte della sua residenza. Aveva
comprato una enorme roulette e lui teneva sempre il banco. Insomma, quello che spendeva
per gli invitati alla fine se lo riprendeva al gioco».
Un giudizio sul Sordi attore?
«Era quello che si chiama uno scavalcamontagne", uno che la gavetta
lha fatta tutta davvero, fin dai tempi dellavanspettacolo, quando il pubblico
buttava i gatti morti in scena, come ricorda Fellini in Roma. E poi negli anni del
grande varietà, quello con la Osiris. Per il cinema, trovo straordinaria la sua
interpretazione in Una vita difficile anche se il Sordi più grande rimane sempre
quello di Zampa, Un giorno in pretura e di Steno, lAmericano a Roma
che guarda assatanato il piattone di spaghetti e dice Maccarone, mhai
provocato e io te distruggo».
Cosa potrebbe rimpiangere della vita?
«Credo proprio nulla, ma queste sono cose troppo personali. Però ha evitato gli
scogli più pericolosi, il matrimonio e i figli. Lunico che non è riuscito ad
evitare è stato la morte. Si era fermato come attore e credo che per questo motivo
potesse mancargli anche il senso della vita. Così si è ammalato, come tante persone che
vanno in pensione».
di RITA SALA
ROMA Ci provò fin da piccolo. Tanto esibirsi in pubblico, a pochi anni, con un
teatrino di marionette che girava lItalia. Poi fu soprano nel coro della Cappella
Sistina e, sedicenne, incise un disco di fiabe per bambini.
Alberto, figlio di Pietro Sordi, basso-tuba allopera di Roma, e di Maria, maestra
elementare, aveva una vocazione precisa. Lo attiravano il palcoscenico, il mestiere
dellattore, il rutilante mondo dello spettacolo. Romano e trasteverino, accettò di
trasferirsi a Milano solo in nome di questo fuoco, abbandonando listituto
commerciale per la meneghina Accademia dei Filodrammatici. Ma il 17 gennaio del 1937, a
causa del suo pesante accento quirite, fu bocciato dallinsegnante di dizione, Emilia
Varini, che lo invitò ad abbandonare la scuola. Il diploma di attore lo ricevette
sessantanni dopo, proprio dai Filodrammatici. Salutò levento con una battuta:
«Oggi prendo il diploma di attore, ma questo vuol forse dire che per una vita sono stato
un abusivo?».
Nel 37, tornato a Roma, lallievo respinto si infila fra le comparse del
kolossal cinematografico Scipione lAfricano. Spasima, però, per il
palcoscenico. Ci arriva solo lanno successivo, come imitatore di Ollio, il grassone
della coppia Stan Laurel-Oliver Hardy, e sceglie un nome darte buffo, fintamente
esotico, Albert Odisor, forse presago, nellinconscio, dei fasti dello Sceicco
bianco. Era un bel ragazzo, Albertone, faccia sorniona, ottima voce, fisico attraente
e proporzionato, esperta galanteria. Affascinava le donne. Con travestimenti assurdi
oppure in frac, bastone e cilindro, parodiava, sproloquiava, cantava, ma sapeva anche
ballare in fila, fra i boys della soubrette. Alla dura scuola dellavanspettacolo, e
quindi della rivista, maturò le qualità che gli sarebbero servite per diventare una
star.
Nel 1947, mentre lItalia ancora si dibatteva nella confusione post bellica, fu
partner di Enrico Viarisio in Soffia, so, di Garinei e Giovannini, una
rivista di satira politica (protagonista, a Roma, Anna Magnani, poi sostituita da Pina
Renzi) che fu la prima produzione romana ad espatriare" a Milano. Accanto a
Viarisio, Albertone interpretava uno sketch sulle note di un celebre motivo fascista: Fischia
il sasso, cià risemo / ringraziando Santa Pupa / io so Romolo, io so
Remo / siamo i figli della Lupa. «Quello spettacolo racconta Pietro
Garinei aveva guai con la censura praticamente tutte le sere, colpiva chiunque
senza pietà». Al Teatro Olimpia, a un certo punto, ci fu linvasione
di palcoscenico, tanto che il sindaco della capitale lombarda, Greppi, fu costretto ad
arrivare in fretta e furia per parlare alla gente e calmare le acque. La Military Police
tagliò la testa al toro arrestando Greppi: laveva scambiato per il capo dei
sediziosi. Albertone, vista la malaparata, si infilò il cappotto e fuggì dalla porta di
dietro del palcoscenico. Lasciò direttamente Milano. Lavventura di Soffia,
so si concluse così, in tumulto. Venne, più tardi, Gran Baraonda. Era
il 1952. Sordi si permise di maltrattare" in scena, davanti ai milanesi che la
adoravano, nientemeno che Wanda Osiris: «Permetti, Wanda Osiri la apostrofava,
strattonandola per un braccio io so giovane, canto, ballo e recito puro. Mi
manda il cavalier Trenini della compagnia Faville Italian. Wanda, me devi prenne». Fra
gli spettatori affezionati dello spettacolo cera Federico Fellini, che avrebbe
offerto a Sordi, di lì a poco, una parte ne I vitelloni.
Altre zone di spettacolo in cui si è mosso il talento attorico di Sordi sono la radio e
la televisione. In radio, Albertone è stato grandissimo. Vi debuttò nel 1948, presentato
dalla scrittrice Alda de Cèspedes. Vi parla Alberto Sordi era il titolo, semplice
e perentorio, del programma, in cui lattore romano piazzò una creazione geniale,
fra teatro dellAssurdo e Surrealtà: i compagnucci della parrocchietta, capaci di
far ridere lItalia intera. Nulla di meno nei primi Cinquanta, con Il Teatrino di
Alberto Sordi, che vide nascere Mario Pio e il Conte Claro, caratterizzazioni
esilaranti, ma anche intelligenti, caustiche, modernissime, riprese molti anni dopo,
sempre in radio e con inalterato successo, in Gran Varietà.
Alla televisione Sordi deve invece la celebrazione ante litteram, da lui personalmente
curata, Storie di un italiano, che ripropose in più puntate i suoi film più
famosi. Celebri, poi, le apparizioni nei varietà patinati, da Studio Uno a Canzonissima,
dove Alberto, in smoking o in giacca bianca, corteggiava Mina e deliziava gli italiani con
la famosa canzoncina Te cianno mai mannato a quer paese... Se negli anni della sua
maturità, già onusto di gloria e intoccabile, avesse ceduto alla tentazione di tornare a
teatro (Garinei gli aveva offerto di interpretare Mastro Titta nel remake di Rugantino)
o si fosse buttato in una nuova avventura radiofonica, il suo tempo lavorativo non avrebbe
risentito della decadenza che la crisi del cinema italiano gli ha comunque lasciato
subire, al di là dellimmenso talento dellitaliano medio più famoso
del mondo.
di ENRICO MENDUNI
LITALIANO pavido e
opportunista ma capace di improvvisi eroismi, moralista e talvolta servile ma pronto a
scatti di indipendenza e di creatività, capace di farsi trascinare da grandi passioni e
nobili eroismi mantenendo un occhio per i propri interessi e coltivando una socialità
estroversa, un inesausto desiderio di ascesa sociale. Tra radio, teatro di rivista, e
soprattutto cinema. Sordi naviga sicuro nel gran corpo dellItalia democristiana, tra
zelanti, ortodossi e trasgressivi, dando corpo a un tipo di italiano dotato di personali
arti di arrangiarsi e di versatile capacità di ossequiare i potenti, ma pronto a trovare
sue personali soluzioni.
Un italiano finalmente a suo agio nel boom economico degli anni Sessanta; le ansie
clericali si sono ormai attenuate e quasi dissolte, limperativo
dellarricchimento individuale domina le professioni, il commercio, ledilizia,
si diffonde un certo edonismo di massa, qualche trasgressione sessuale è finalmente
possibile, a Londra in Svezia o in Costa Azzurra, ma anche sulle spiagge di casa nostra.
Il doppiatore di Oliver Hardy, il vigile tartassato, lamericano a Roma e il fante
della Grande guerra diventano adesso il medico affermato, lindustriale, il
presidente della squadra di calcio ma anche linflessibile tecnico
dellindustria automobilistica, che conta i tempi agli operai ma non può rinnegare
le sue origine mafiose.
Così italiano, così integrato, così partecipe del suo tempo da intercettare ben presto
le storture, le ingiustizie, le assurdità di uno sviluppo troppo rapido e ingordo. La
falsa uguaglianza che conduce il popolano con auto e moglie al seguito, a farsi torturare
dalle vacanze intelligenti", le immoralità di una giustizia impietosa con i
detenuti in attesa di giudizio. Una società che non permette il divorzio ma consente
forme varie di adulterio legalizzato in cui un Sordi poligamo, al volante di una lussuosa
granturismo, guida un corteo di mogli.
Un personaggio ormai maturo, sempre meno adatto ai tradizionali ruoli di scapoli e
seduttori che conosce le ingiustizie delletà adulta, legate alla paternità: quel
borghese piccolo piccolo che tenta disperatamente, tra raccomandazioni e frequentazioni
massoniche, di trovare un lavoro al figlio e poi lo vedrà ucciso quasi per caso da un
giovane criminale, a cui farà pagare sadicamente quella vita spezzata. Un uomo ricco di
esperienza che vede invecchiare attorno a sé la società, non più rampante ma percorsa
da incomprensibili violenze, assurdità metropolitane, sevizie postmoderne. Il tassista
Sordi riesce a trovare ancora la serenità, ma essa sarà un frutto sempre più raro per
luomo che Mastella propose, nel 2001, come senatore a vita. La globalizzazione,
libridazione fra le culture, i nuovi conflitti appartengono ad una società agli
antipodi dalla provincialità romana e al buon senso arguto del Sordi migliore. In questo
senso, ha rappresentato veramente unicona della prima repubblica, il più affettuoso
come eravamo" degli italiani.
ROMA Applausi e un minuto di silenzio nell'aula di Montecitorio dai
deputati in piedi per Alberto Sordi, ricordato dal presidente della Camera Pier Ferdinando
Casini come «un autentico e grande italiano». «Ci ha fatto sorridere e ci ha commosso.
Ha mostrato con ironia e disincanto ha detto fra l'altro Casini il volto
più semplice ed immediato dell'Italia e degli italiani, con le loro virtù e i loro
difetti. Di tutto questo gli siamo riconoscenti». E il tributo che gli ha reso
laula della Camera suona come la risposta allunica voce dissonante della
giornata, il giudizio sprezzante del leghista Francesco Speroni, capo di gabinetto del
ministro per le Riforme Bossi, secondo il quale «Sordi non può essere definito un attore
simbolo di tutti gli italiani. Ha lo stesso passaporto mio, ma rappresenta una realtà
locale, territoriale, la cultura romana, romanesca». Parole alle quali risponde per primo
il senatore Battisti della Margherita proprio con una battuta di Sordi: «Statte zitto,
cicalò».
Il mondo politico, dallestrema sinistra a destra, lo ricorda invece come un grande,
sottolineandone le doti di attore e di interprete dei vizi e delle virtù
dellitaliano medio, come dichiara il premier Berlusconi che, nel messaggio inviato
alla famiglia, scrive: «Ho perso, abbiamo perso l'amico di sempre e ci sentiamo davvero
più soli. Ma ci restano per fortuna i suoi film che continueremo a vedere per sorridere
delle nostre manchevolezze e delle nostre doti durante cinquant'anni di storia». E per il
vicepremier Gianfranco Fini «la scomparsa di Alberto Sordi priva l'Italia di un
protagonista assoluto. Un artista indimenticabile che ha saputo raccontare, col tratto
inimitabile del fuoriclasse, i paradossi e gli slanci genuini di un intero popolo».
Francesco Rutelli, che gli diede la gioia di essere sindaco di Roma per un giorno, lo
ringrazia «per la sua amicizia che lo ha fatto diventare uno di famiglia». Il leader dei
Ds, Piero Fassino, afferma che «se ne è andato non solo un grandissimo interprete del
cinema italiano, ma del costume e della società italiani, che con il suoi film e le sue
caratterizzazioni, ha segnato per decenni la vita culturale di questo Paese». Il
segretario di Rifondazione, Fausto Bertinotti, ricorda che Sordi «ha segnato
profondamente la cinematografia del nostro Paese e ha contribuito alla diffusione di
un'immagine dell'Italia e degli italiani che, anche quando non era pienamente convincente,
era tuttavia espressione di un modo di pensare e di vivere di parte consistente del nostro
paese». Il senatore a vita Giulio Andreotti, sottolinea che «è sempre stato un
moderato, nel senso migliore della parola, tanto che mi confessò di aver votato per me».
E Antonio Di Pietro si rammarica «perché non è stato fatto senatore a vita». Ma ad
Albertone, che nel pomeriggio non rinunciava mai alla sua pennichella"
quellincarico forse non sarebbe piaciuto.
di MIMMO FERRETTI
ROMA - «Alberto era un amico
di famiglia, ormai. E alcune volte era venuto anche a mangiare a casa nostra. Cucinavo io,
ovviamente. E non sè mai lamentato... Allo stadio, invece, non sè mai fatto
vedere, nonostante i nostri continui inviti. Lui era così: gli piaceva stare per conto
suo, non amava la confusione; ma era lo stesso un bel tifoso della Roma...». Maria Sensi
ha gli occhi lucidi e un sorriso dolce e amaro, comunque carico di affetto nel ricordare
lamico che non cè più. Maria e suo marito Franco, il presidente della Roma,
sono stati tra i primi ieri sera a rendere omaggio a Alberto nella camera ardente in
Campidoglio. «Era un grande tifoso della Roma e lo compiango prima di tutto come romano e
poi come nostro sostenitore. Era un bravissimo artista, che ha interpretato al meglio la
voce di Roma, e ne ha onorato il nome in tutto il mondo», il ricordo di Franco Sensi. E
ancora. «La Roma perde un punto di riferimento essenziale della sua vita, perché Alberto
Sordi è stato anche questo. Ecco perché domenica giocheremo con il lutto al braccio, non
potrebbe essere altrimenti e lo faremo con il dispiacere di aver perduto una persona a noi
molto cara». AllOlimpico, domenica, verrà osservato anche un minuto di silenzio. E
a giudicare dal tam tam confezionato ieri mattina dalle radio locali, i tifosi
della Roma ricorderanno alla grandissima il loro Albertone.
Da Valencia, dove oggi sarà impegnato in Champions League, il pensiero via internet di
Francesco Totti, il capitano della Roma. «La scomparsa di Alberto Sordi è una perdita
per l'Italia, ma per Roma e per i romani assume una valenza particolare. Nessuno meglio di
lui ha saputo esprimere ed esportare la romanità nel mondo con il suo modo di essere
spontaneo, ironico e sincero sia nella vita privata che sul lavoro. Di sicuro lascerà un
vuoto incolmabile in tutti noi. Mi dispiace molto di non essere riuscito ad incontrarlo in
occasione della consegna del Premio Campidoglio, a causa di una sua indisposizione: oggi
quel mancato incontro assume per me un significato particolare». Già, il premio
Campidoglio assegnato da Veltroni a un altro romano doc, Carlo Mazzone, allenatore del
Brescia. «Ho perso un fratello, anche se non lo conoscevo...», laccorato pensiero
del sor Magara. «Avrei voluto abbracciarlo qualche settimana fa in Campidoglio, ma
alla fine non è potuto venire e non averlo incontrato è un dispiacere che mi porterò
dietro per tutta la vita». Poi, Fabio Capello, tecnico giallorosso. «Il nostro
desiderio, ora, è dedicargli qualcosa dimportante».
Anche la Lazio chiederà di giocare, domenica a Perugia, con il lutto al braccio per
ricordare la scomparsa di Sordi. Lo ha annunciato il presidente Ugo Longo. «Alberto Sordi
era romanista ma la città di Roma deve ricordarlo al di là delle bandiere. L'Italia ha
perso uno dei suoi simboli maggiori. Io lo avevo conosciuto personalmente e ora che non
c'è più sono molto colpito. Con lui scompare uno dei simboli dell'italianità e per
questo cercheremo, se l'Uefa ce lo consentirà, di giocare con il lutto al braccio anche
in coppa Uefa a Cracovia». Piangono Sordi anche il rugby e il basket di Roma. La
Lottomatica ha annullato la festa in programma al Campidoglio, la Virtus chiederà di
poter osservare un minuto di silenzio sabato al Palazzetto.
di RAFFAELE SIMONE
NON c'è paese che abbia
imparato a parlare la sua lingua dal cinema e dalla televisione, come l'Italia. Per questo
Alberto Sordi è stato, oltre che un formidabile attore, anche uno dei "maestri
d'italiano" più importanti dell'ultimo mezzo secolo. Da lui abbiamo imparato a
conoscere non solo il tipo umano dell'italiano medio, ma anche molto di quel che sappiamo
sulla lingua italiana, i suoi usi, le sue forme regionali. Il suo contributo in questo
campo è quasi al livello di quello di Totò.
La sensibilità linguistica di Sordi doveva derivargli da una sua speciale capacità di
osservazione. Che già si nota nelle sue trasmissioni radiofoniche, dove dette voce a
personaggi come il Conte Claro o più ancora Mario Pio, un boy scout perbenista e maligno.
Fu poi un inconfondibile doppiatore: sua, tra le altre, la voce di Oliver Hardy, il famoso
Ollio, e sua anche l'invenzione di certi modi di parlare fatti di accenti sbagliati e
risate tremebonde, che sono rimasti attaccati per sempre al personaggio.
Ma è nei film che la presenza verbale di Sordi è fondamentale. Lo aiutava, certo, la sua
potente voce da baritono, capace di passare senza sforzo dal pianto alla staffilata
ipocrita e di punteggiare il discorso più patetico con una irrefrenabile risata. A lui
dobbiamo stereotipi linguistici indimenticabili e di grande penetrazione. Primo tra tutti
il Nando Moriconi di Un americano a Roma di Steno. Nel film Sordi disegna con
preveggente lucidità la figura del giovane romano di borgata che si sottomette alla moda
di "fare l'americano", ma che, dopo aver fatto di tutto per adottare abitudini e
vezzi (anche alimentari) degli Stati Uniti, decide che è meglio restare romano. Alcune
battute sono rimaste leggendarie. Il tormentone di quel film, il celebre
"uanagana" (forse una trascrizione di "I wanna go", voglio andare), ha
fatto il giro d'Italia ed è rimasto nel nostro vocabolario, anche se pochi sanno che
proviene proprio da lì. Altra straordinaria preveggenza: la sua fidanzata Elvira diventa
"Elvy". «Hello Elvy! Give me a kiss my darling». E' proprio uno dei tipi
dell'italiano di oggi: parla inglese ma non lo conosce!
Albertone ha anche contribuito a fissare alcune ambizioni dell'italiano medio:
l'aspirazione al parlare pulito e retorico, magari con una mistura d'inglese, ma in fondo
plebeo e perfino volgare. In questo modo, certo, lo stereotipo dell'italiano comune, un
po' falso e neghittoso, si è legato forse per sempre alla parlata di questa città. I
romani lo sanno, e devono difendersene. Ma alle indimenticabili caratterizzazioni di
Albertone devono molto, sicuramente più degli altri italiani.
di NINO MANFREDI
LUI era nato nel 20, io
so del 21. Vorrà dire che cho poco da campà purio...E
allora Alberto, visto che de sicuro tu stai già in Paradiso, fammi un piacere, prendi un
posto anche per me, così continuiamo a scherzare, altrimenti, sai che noia...Che devo
dire? Mi dispiace, immensamente. E un dolore che se ne sia andato. Anche se sono
convinto che persone come lui, e Mastroianni, Gassman, Tognazzi, non moriranno mai. Non
solo vivranno sul grande schermo ma nella memoria di tutti. Alberto è qui, con me, anche
adesso.
Lo conoscevo da 45 anni. Era il 1958 quando per la prima volta ci incontrammo insieme su
un set, quello di Venezia, la luna e tu. Alloggiavamo al Bauer e come sempre
con me cera mia moglie Erminia. Ricordo come se fosse adesso, la sera, Alberto che
faceva una piroetta, sbatteva i tacchi, metteva una mano sulla fronte imitando il saluto
militare e ad alta voce mi lanciava un: «Pronti! E dovè tua mamma?» (mia mamma
stava per Erminia). E poi aggiungeva: «Hai capito perchè non mi sposo? Perchè Erminia
te la sei già presa tu. Oddio, potreste sempre divorziare...».
Dieci anni dopo ci ritrovammo insieme in Riusciranno i nostri eroi a ritrovare
lamico misteriosamente scomparso in Africa? Un posto dinferno. Ai
confini del mondo, altro che dellAngola! Niente alberghi, nessuno spaccio. Dormivamo
in un edificio militare, lacqua era razionata, ligiene poca e un aereo che ci
lanciava spaghetti, riso, scatole di pomodoro, caffè, sale e zucchero. Per fortuna
Erminia mi seguì anche quella volta ma anche quella volta Alberto era solo. Dopo il
tramonto, finite le riprese, lui non faceva il bagno se prima non lo facevo io, mi mandava
avanti, non si fidava. ero il suo assaggiatore di vasca. ci entravo, mia moglie mi smacchiava
(interpretavo uno stregone e ero dipinto dalla testa ai piedi) mentre Alberto aspettava
con lorecchio incollato alla parete, poi entrava, stendeva un asciugamano sul fondo
della vasca e finalmente, schifiltosamente, si lavava. Poi si mangiava, si scherzava, si
beveva whisky: per disinfettare i microbi, diceva lui. La mattina era la disperazione
delle comparse femminili. Tutte africane, tutte a seno nudo. Aveva inventato il gioco del
popi-popi, la troupe lo seguiva, e era tutto un toccar di tette. Morale: alle quelle
ragazze venne il complesso del pudore: non appena lo vedevano si coprivano...Durante Lanno
del Signore (69), invece, non tormentò nessuno. Forse perchè interpretava un
prete e probabilmente sera immedesimato troppo...
di LEONARDO JATTARELLI
ROMA - «Bisogna fare, sempre. Per rispetto di se stessi, del mondo, della vita. Questi
anni sono orrendi? Ma perchè? Il mondo labbiamo attraversato mentre sparavano, a
Piazza Montecitorio...i nazifascisti sparavano e noi a gridare siamo attori!",
come se questa parola fosse un passaporto. E vogliamo lamentarci adesso? Se ciascuno fosse
fedele al proprio io, e bene intenzionato a fare, si troverebbe sempre giustificato dalla
vita». Questo era Alberto Sordi. Ed era il 75, come fosse oggi, e a raccontarlo era
un grande scrittore, Giovanni Arpino. Questo era Alberto Sordi. Il figlio di un
orchestrale, Pietro, che suonava il basso-tuba e di Maria Righetti, insegnante. Nasce in
via San Cosimato il 15 giugno del 1920, ed è un ragazzino a cui non piace tanto studiare
(«Ho sempre amato molto la scuola ma non ci andavo quasi mai, e mia madre che si
disperava») così che abbandona gli studi di avviamento commerciale per poi recuperare,
da privatista, un diploma da ragioniere. Da bambino canta coi chierichetti della Cappella
Sistina e a sedici anni studia recitazione allAccademia dei Filodrammatici, a
Milano, da dove viene espulso «perchè non avevo una pronuncia corretta. Dicevo guera,
fero, borzetta. Ma la gente per strada non parlava così?». Una cosa amava Alberto Sordi,
recitare: «Perchè io vedevo il popolo sottocasa, per la città, tutte
maschere" che ti entrano negli occhi e non te le scolli più, non vuoi
allontanartene, perchè in loro, in tutte loro, cè la vita». E inizia dal teatro,
nel 37, nella compagnia del grande Ermete Zacconi prima ancora di incontrare la
stagione doro dellavanspettacolo, quando, giocando con le lettere, si fa
chiamare Alberto Odisor. Arrivano in Italia i film di unAmerica lontana, quelli
delle pazze comiche di Stanlio e Ollio e Sordi viene chiamato a doppiare Oliver Hardy
mentre continua, durante la guerra, a lavorare nel varietà. Se nel 42 diventa
protagonista del suo primo film, I tre aquilotti di Mario Mattoli è con la radio
che Albertone fissa per la prima volta i caratteri di quei personaggi che poi,
modellandoli volta a volta e adattandoli al presente, si porterà dietro per tutto il suo
cinema. In tre anni Mario Pio, il Compagnuccio della parrocchietta e il Conte Claro
diventano vere maschere di una commedia dellArte soltanto sua, romanesca ma
universale.
Tutto questo prima del suo grande cinema, quello che in quasi duecento film ha fissato le
mode, i costumi, i tic, le manie, le perfidie e gli sgambetti, le malinconie e i valori
veri di unItalia senza età: quella della guerra, della ricostruzione, il paese del
Boom e quello degli anni di piombo, della strada e dei potenti. Sordi, lattore della
commedia allitaliana e quello di Fellini (Lo sceicco Bianco e I vitelloni);
lAlbertone nazionale indimenticabile di Un giorno in pretura e di Un
americano a Roma e la faccia drammatica delluomo qualunque della Grande
Guerra, di Tutti a casa, di Una vita difficile, di Detenuto in attesa
di giudizio, di Un borghese piccolo piccolo. Una vita artistica ricca di
sorrisi e sofferenze («Il mio apprendistato? Umiliante, deludente, portato avanti con
sacrifici immensi. Ma io ho resistito per vocazione. Chiunque avrebbe mollato».) segnata
dalla grande scuola del neorealismo: «La gente comune non ha perfezionismi. Grazie al
neorealismo ho capito che ciò che amavo tanto era proprio la gente». Il pubblico, la
vera famiglia di un uomo che una famiglia tutta per sè non lha voluta (« Il
matrimonio? E che so matto! Me metto nestranea dentro casa»), geloso della
sua intimità («Ho protetto la mia vita privata senza ostentare benessere»): «E
al mio pubblico che esprimo tutta la mia riconoscenza». Discreto, costantemente lontano
dai flash dei paparazzi, Alberto Sordi. Dal gossip che non è mai riuscito a pizzicarlo in
compagnia di una donna, tanto che non sono mai stati ufficializzati" i diversi
flirt attribuitigli: da quello con la modella tedesca, Ilke, a quello con Andreina
Pagnani, alla grande amicizia con Silvana Mangano. Fu anche autore di colonne sonore, come
per il film Fumo di Londra, alle cui musiche lavorò con il suo amico Piccioni.
Sordi e la sua vita da gigante buono e troppo intelligente per farsi accecare dai
riflettori di Hollywood: «Dino De Laurentiis - ci raccontò una volta - mi disse "ma
che fai Alberto, snobbi lAmerica? e io gli risposi "Io che ce vado a fà in
America. Io faccio quello che so fare, conosco gli italiani, i loro pregi e difetti. Se
vado in America che combino? Dice..."Vai da Billy Wilder" e io "Ma che je
racconto a Wilder?"». Sordi, il ragazzetto che marinava la scuola e che riceve, già
anziano, due lauree honoris causa, un bel nome e cognome in neretto nella enciclopedia
Treccani e la candidatura a senatore a vita. Er core de Roma, tre anni fa, sindaco per un
giorno della sua città. Albertone, luomo impegnato nel sociale e pronto ad
impallinare il potere: «Cè molta mediocrità e tutta una classe politica che si è
esibita e continua ad esibirsi. Alla fine ti chiedi perchè sempre con le stesse parole».
Nel Duemila lincontro privato con Papa Wojtyla. Lattore-regista era raggiante:
«Una figura esemplare, straordinaria, abbiamo parlato come fossimo due amici». Un
rammarico nella vita? «Quello di essere invecchiati - confessò per i suoi 80 anni -. Ma
ho assistito a tutte le più grandi scoperte. Quandero ragazzino guardavo sto
aeroplanino che stava per aria e domandavo alla gente come fosse possibile. Nessuno sapeva
spiegarmi. Dopo qualche decennio siamo arrivati sulla Luna. Che meraviglia». Questo era
Alberto Sordi.
di MARIA LOMBARDI
ROMA - «Lultima risata lho fatta dentro di me», la signora Concetta Mauti,
67 anni, fila via dallaula Giulio Cesare del Campidoglio, il sorriso generoso di
Alberto Sordi stampato su una gigantografia laccompagna fino alluscita.
Nemmeno di fronte alle mani bianche dellattore è riuscita a pensare alla morte,
«ma che ci posso fare? Penso a lui e mi viene lallegria». E val la pena di stare
in fila tre ore, tra la folla impaziente che spinge, urla e sgomita, per salutare
Albertone, per dirgli grazie davermi fatto ridere, perché quelle risate adesso mi
mancheranno, e Dio sa che gran regalo sono state. La signora Concetta è tra le prime a
entrare nellaula del consiglio comunale dove è stata allestita la camera ardente,
un privilegio concesso prima di lui soltanto a Luigi Petroselli e Carlo Giulio Argan.
E appena andato via il presidente Ciampi, una luce rosa illumina la piazza che più
piena non si può.
Il presidente della Repubblica arriva nellaula che sono le 17,10 e sorregge, insieme
alla moglie Franca, la sorella dellattore scomparso, Aurelia, un cappotto col
cappello di pelliccia che non riscalda abbastanza. Dietro, il sindaco Veltroni e la
segretaria di Sordi, la signorina Nunziata. Ciampi e la signora Franca si fermano qualche
minuto davanti alla bara coperta da un velo bianco, Sordi ha un abito grigio e una
cravatta blu, le mani stringono un rosario. Sulle sedie rosse, accanto alla bara, prendono
posto le persone più care, la sorella, la segretaria, Giovanni DErcole, il prete di
famiglia, la nipote, la montatrice Tatiana Casini Morigi che tanto ha lavorato con
lattore. Il tempo di ricevere le condoglianze del presidente della Camera Pier
Ferdinando Casini, poi i pochi parenti e amici stretti lasciano la sala e quelle sedie
rosse restano vuote per tutto il tempo e chi arriva, artisti e politici, non sa a chi
stringere le mani.
Ma cè unaltra famiglia, oltre quella vera, ed è più grande di una piazza.
Sale le scale, al freddo, e saccontenta di un saluto veloce, qualche secondo appena,
perché fuori cè la ressa e tutti vogliono vederlo. In poche ore entrano 50 mila
persone, calcolano in Campidoglio. Anna Zaccagnini ha 82 anni, anche lei ha fatto la fila,
e dopo avergli mandato un bacio, piange, «per Alberto ho fatto questo sacrificio, ho
visto tutti i suoi film». Sfilano gli occhi umidi di tanti uomini anziani, quelli che
hanno prestato allattore smorfie e battute, e si commuovono per la morte
dellartista e per la loro vita che adesso sentono più breve, sfilano giovani,
bambini e i volti della gente qualunque che lui ha raccontato, volano tanti e tanti baci
verso la bara. Qualcuno porta un fiore, qualcun altro una sciarpa giallorossa e un
biglietto, «grazie, Alberto». Sfila Roma, e più gente passa davanti al cordone rosso e
più ne arriva in piazza. «Non ci sono le transenne, la gente spinge da tutte le parti,
è un delirio. Sono stato ad aspettare tre ore e mezzo», Girolamo Benedetti, 78 anni
della Garbatella, entra nellaula Giulio Cesare e saccascia su una panchina
sfinito. «Un saluto da tutta la curva Sud», sussurra Gino Faitella.
Il presidente della Roma Franco Sensi e la moglie occupano due delle sedie rosse vuote,
lattore Vincenzo Crocitti singhiozza, il regista Gigi Magni se ne sta in disparte,
Lando Fiorini si ferma a lungo a fissare gli occhi chiusi di Alberto, Lina Wertmüller
entra con la folla, e non dallentrata dei vip, e deve scavalcare il cordone rosso,
«se ne è andata metà Roma si commuove la regista quella più ironica e
divertente». Una signora con la sciarpa arancione scatta le foto alla salma e forse
inquadra anche lattrice Stefania Sandrelli. Uno dopo laltro anche gli attori
Massimo Ghini, Massimo Lopez, la ballerina Carla Fracci, il critico Tatti Sanguinetti e
lideatore di blob Marco Giusti. Il ministro alle Comunicazioni Maurizio Gasparri
arriva poco prima del presidente della Regione Lazio Francesco Storace e di Franco
Carraro, più tardi è la volta del presidente del Senato Marcello Pera e del ministro per
i beni culturali Giuliano Urbani. E chissà quanta gente ci sarà domani, alle 10, in
piazza San Giovanni per i funerali dellattore che si terranno nella basilica. Tutti
a ringraziare, come hanno già fatto ieri e come hanno scritto sui libri alluscita:
«grazie, Albertone, per quelle risate», «quanto mi hai fatto divertire», «thank you,
Alberto», e lui lì a sorridere, sulla foto gigante alle spalle della bara, con il Leone
doro in mano.
di STEFANO TRINCIA
NEW YORK - Americano a Roma. Ma ostinatamente italiano in America. Il paese che per
Alberto Sordi ha rappresentato un mito da celebrare, imitare e beffeggiare nel cortile di
casa, lo ricorda con remota simpatia. Lo conoscevano, e bene, i grandi protagonisti del
cinema americano più aperto allEuropa ed alla grande lezione del neorealismo.
Martin Scorsese, che da capolavori come Lo sceicco bianco e I Vitelloni ha
sostenuto di aver rimparato larte del cinema e che ha sempre considerato «il suo
volto uninimitabile icona espressiva del genio italiano». O Jack Nicholson, che ha
raccontato di non aver mai riso tanto «come di fronte al gestaccio di Sordi ai lavoratori
ne I vitelloni». Lo piangono le associazioni italo-americane, i Sons of Italy - o
Figli dItalia - secondo i quali «come Totò Alberto Sordi aveva e sempre avrà
unindentità italiana in tutto il mondo».
Unidentità ed un radicamento talmente forti da impedirgli lo sbarco da questa parte
delloceano. Alberto Sordi è venuto negli Stati Uniti decine di volte, per ricevere
lomaggio di istituzioni prestigiose, come la sezione cinema del Museo di Arte
Moderna o il Lincoln Center. E stato corteggiato, nella sua epoca doro, da
registi mitici come Billy Wilder che lo avrebbe voluto in A qualcuno piace caldo e
che ribadì più volte il desiderio di poterlo dirigere. E stato amato da cineasti
trasgressivi come Paul Morrissey, da maestri stranieri come Costa Gavras.
Ma alle lusinghe di Hollywood ha sempre, testardamente resistito. Conscio della
impossibilità di tradurre in termini culturali americani le sue maschere, le sue battute,
la sua comicità non ha mai accettato la prova della capitale mondiale del cinema. Ed i
suoi film, con leccezione dei capolavori del neorealismo, non hanno mai avuto la
diffusione ed il successo che meritavano nel grande mercato Usa.
Fuori dai confini italiani, è in Francia che il suo genio comico è stato totalmente
apprezzato. Non più di tre anni fa la Cinématique Francaise gli ha dedicato un grande
omaggio con una ricca retrospettiva dei suoi film al Palais de Chaillot. In quella
occasione Alberto Sordi era intervenuto alla cerimonia di apertura ed aveva incantato il
pubblico parigino con la sua versione maccheronica del francese. Una esilarante
"performance" con la quale aveva stregato qualche anno prima i newyorkesi,
lanciandosi nel suo dialetto di Kansas City alla presentazione di un minifestival dei suoi
film più celebri.
di PAOLA SALUZZI
LA vita è un film. Quando
penso a come ho incontrato Alberto Sordi, ne sono convinta. Una sera, calda e stellata, a
Positano. Emi De Sica aveva chiamato Sordi, voleva assegnargli quel premio dedicato a suo
padre Vittorio, ed era sicura - in barba agli scettici - che avrebbe accettato. E Sordi,
senza pensarci su, arrivò a Positano. Una spiaggia stracolma, quasi fino al mare, di un
pubblico vero, in attesa come di una sposa. E io lì, a presentare la serata più bella
della mia vita (uno dei titoli di un grande film, caro ad Alberto). Perché chi è
cresciuto a pane e cinema, non può sognare di più. Salì sul palco e lapplauso non
si fermava; i suoi occhi azzurri divoravano quella immagine, quel mondo"
piccolo piccolo di un angolo di costiera arrivato apposta per lui e per il suo maestro.
Perché quella fu la notte dellamore di Sordi per De Sica, la notte del ricordo, di
quanto ci tenesse quel giovane attore ad incontrare il grandissimo Vittorio: «Pareva un
film, eravamo su una barca con altra gente, io volevo famme nota, e che succede? A
De Sica je cadono gli occhiali da sole in mare. E io, giù me so buttato a
prenderli...». Parlava come se fosse nostro amico, lo era; parlava con amore Alberto, e
cera solo il canto del mare ad accompagnare la sua voce. E ci raccontò dei tanti
momenti vissuti sul set. Non fece mai riferimento alla scomparsa di De Sica. Fece di più,
ci regalò il gran finale. Prese la mano di Emi, mi prese sottobraccio, e ci raccontò la
sua idea della morte. Anche la risacca si rese più silenziosa. E Alberto cominciò: «...
Io nun ce credo che uno come lui sia morto. Perché uno che ha dato tanto amore a tutti
nun po morire. Io so convinto che ora sia lassù e si stia godendo la serata,
il vostro applauso. Anzi, visto che lui era un maestro, so convinto che sarebbe
contento di farcelo capire, magari con un segno, che ne so...». La vita è un film,
perché Sordi schioccò le dita e il pubblico fece un urlo. Alle nostre spalle, in una
notte serena e blu come quel mare, venne giù, da sola, una grande, grandissima stella
cadente. Ce lo urlarono, tutti, accavallando le voci, indicando con il dito
quellangolo di cielo. E Alberto sorrise, sornione, quasi per niente stupito. Emi De
Sica, io, con le lacrime che proprio non si fermavano; lui, Albertone, dopo una pausa
piena di parole, disse: «Che ve dicevo?».
di GOFFREDO FOFI
SÌ, SORDI ha rappresentato con
immensa efficacia la figura dellitaliano medio coi suoi enormi vizi e i suoi
soprassalti di generosità, quasi sempre determinati da tempi di sconvolgimento storico e
sociale. Litaliano, il romano. E quanto di romano" cè in ogni
italiano: un modo utilitaristico di intendere la cosa pubblica, e perfino feroce di
intendere quella privata. Il romano di Belli. E nessuno più di Sordi ci è sembrato
venire così fortemente dal mondo e dalla morale, anzi dai lombi, del grande poeta
papalino, più di Petrolini.
Se Andreotti è il volto pubblico di una storia ancora papalina e romana, Sordi ne è
stato il volto privato. Ma con gli anni Cinquanta, e dopo I vitelloni e
lincontro con Fellini (e poi Flaiano, Sonego, Age e Scarpelli, Risi, Comencini, il
citato Monicelli...), Sordi ha potuto anche essere laltra faccia dellItalia,
quella del riscatto, della speranza in una età adulta che dal familismo ci portasse al
sentimento della collettività. La figura di Sordi passò dalla macchietta al personaggio,
dallavanspettacolo al romanzo, e in La grande guerra, in Tutti a casa,
in Una vita difficile (prima guerra, seconda e Resistenza, dopoguerra e boom) finì
per assumere su di sé i pregi del cittadino infine responsabile. Però i
mostri" erano sempre in agguato, e a questa evoluzione non seguirà un
consolidamento, esattamente come è stato della nostra società: dalla preistoria alla
decadenza, breve il tempo della maturità.
Grandissimo attore, degno erede del grande Petrolini e del grande Fabrizi, degno fratello
minore della Magnani, Sordi è stato con Mastroianni e con Gassman - solo con loro senza
altri rivali se non tra i vecchi Totò, Peppino, Eduardo, e senza figli, neanche con
Verdone, che deve scontare i limiti dellincertezza amorfa di unepoca omologata
- lemblema vero dellitaliano.
Tre italiani, tre aspetti dellitaliano. Al negativo, quello sgusciante e astuto alla
Sordi, quello aggressivo e fanfarone alla Gassman, quello moderato e bonario alla
Mastroianni. Ma, dei tre, il più maschera" è stato indubbiamente Sordi, il
più radicale nella sua negatività fino a risultare il più sincero, e perciò anche il
più imprevedibile e commovente nei suoi momenti di sincerità, di richiesta ed
espressione di dignità.
Dovessi dire chi sono le maschere italiane più rappresentative del secolo passato farei i
nomi di Totò, Eduardo e Viviani per i primi cinquantanni, figure
dellinsicurezza del vivere, dellarte di arrangiarsi, di una faticata scalata
sociale così spesso frustrata, e per laltra metà del secolo, di cui viviamo gli
esiti, quelli di Sordi e di... Gianni Agnelli. Con loro muore il ventesimo secolo: il
potere e i suoi effetti, il volto del comando (e le sue rughe non prodotte dalla pratica
del bene) e quello del servizio (e le sue abilità mimetiche, i suoi salti dumore
nel passaggio dal basso allalto, le sue peculiari viltà). Ma è solo nel volto di
Sordi che tutti o quasi possiamo trovare qualcosa che ci appartiene, i nostri limiti e
difetti e, talora, in certi, pochi, momenti, la nostra possibilità di riscatto.
«Rute, non gliela faccio più: me so già pentito»
Nel 2000, per gli ottanta anni, sindaco per un giorno: promise bus rapidi e musei gratis
Una folla imponente ma molto composta, commossa e fermamente disposta ad
affrontare una lunga fila «per rendere omaggio ad Alberto Sordi, il vero simbolo di
Roma». La gente ha fatto ordinatamente la fila, in piazza del Campidoglio in attesa di
entrare nell'aula Giulio Cesare, dove è stata allestita la camera ardente. Romani di ogni
età, giovani ma anche tante persone anziane, che salgono e scendono senza soluzione di
continuità la scalinata che porta da piazza Ara Coeli al Campidoglio, creando loro
malgrado forti rallentamenti al traffico a piazza Venezia e nelle zone circostanti.
Sono stati circa 20 mila in tre ore, i romani e gli ammiratori che hanno sfilato davanti
alla bara. E a notte fonda sono diventati più di 50 mila. Per permettere a tutti di
salutare Sordi la camera ardente è rimasta aperta per tutta la notte e lo sarà anche per
l'intera giornata di oggi.
Un lungo applauso aveva accompagnato l'uscita del carro funebre con dentro la salma di
Alberto Sordi dalla sua casa a piazzale Numa Pompilio. Sul tetto del carro, scortato da
quattro vigili urbani motociclisti, erano stati sistemati una sciarpa giallorossa e dei
fiori dello stesso colore. Lomaggio dei romani era iniziato fin dalla mattina,
davanti alla abitazione dellattore. Alla spicciolata, appena sparsa la notizia,
semplici cittadini sono giunti nella villa di piazzale Numa Pompilio. Quasi tutti portando
mazzi di fiori, rigorosamente gialli e rossi, come le rose che una ragazza per prima ha
posato davanti al cancello.
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