PREFAZIONE DI RENATO FILIPPELLI ALL'OPERA "FRIEDRICH HÖLDERLIN" DI CARMEN MOSCARIELLO
Poeta di estrema complessità per il dissidio, mai composto, fra le tumultuose premure degli affetti romantici e la tensione dello spirito verso i sereni approdi del mito greco, Hӧlderlin è un tema difficile per la letteratura saggistica, e sembra ancor attendere la consacrazione che assegni alla sua arte il posto che le compete nella storia dell’anima europea. E’ un fatto che sinora, almeno in Italia, l’approccio a Hӧlderlin si è risolto in una ricognizione settoriale, ora intesa a illuminare i connotati puramente tecnici della sua lirica, ora impegnata a tracciare, con diligenza neopositivistica, il diagramma del progressivo oscurarsi della ragione del poeta. Nell’un caso e nell’altro, l’esito è stato un flash su alcuni segmenti della figura hӧlderliniana, e il lettore ha dovuto cercare per proprio conto i tasselli mancanti all’unità globale del mosaico e tentare, sul piano dell’illazione personale, la ricostruzione di un universo frammentato, se non violentato, dall’impressionismo riduttivo del critico.
L’autrice di questo saggio, ben documentata sulla bibliografia inerente al tema da lei scelto, ha subito avvertito la necessità di un discorso circolare che serrasse nell’organicità di una robusta e lucida visione d’insieme tutti gli aspetti di quell’universo e restituisse di Hӧlderlin l’immagine del poeta mero, ma anche quella dell’ideologo, del filosofo, del moralista, dell’esteta, e indicasse lo spazio in cui questi aspetti, apparentemente irrelati, trovassero una sorta di convivenza simbiotica, integrandosi e illuminandosi a vicenda. E’ in questa intuizione la prima benemerenza del lavoro della Moscariello, ed è certo che, d’ora in avanti, chi vorrà lavorare seriamente sulla personalità di Hӧlderlin non potrà ignorare l’itinerario metodologico seguito in questo libro. La larghezza dell’esercizio pressoché continuo di un intuito felice lascia trasparire una sorta di adesione simpatetica: la com-passione, nel senso etimologico del termine, con cui le anime nativamente aperte alla poesia (e la Moscariello ha battuto, in questi ultimi tempi, anche sulla tastiera della creatività lirica) si volgono ai poeti che hanno musicato i grandi temi della solitudine e dell’infelicità.
Questo afflato partecipativo talvolta promuove nella prosa del saggio qualche ridondanza aggettivante, ma più spesso conferisce alle scelte lessicali e alla sintassi espositiva una tonalità fervida e viva, che risulterà gradevole, come conquista di originalità, a chi è ormai sazio dell’esasperato e gelido tecnicismo di tanta “saggistica specializzata”.