LETTERA DA CUBA - IL MARE CARAIBICO NEL CUORE DI HEMINGWAY
“Siete una generazione perduta”: così la signoria Gertrude Stein disse in The Sun Also Rises (Fiesta 1926). E, fu questo il cardine di tutta l’opera di Hemingway e di altri scrittori suoi contemporanei. Pound, Fitzgerald, Hemingway appartennero a questo buio senza stelle dell’epoca nuova che oltre al male e alla guerra sembra non regalasse e non regali più niente all’uomo. Eppure, Hemingway, sperduto nel buio, andò alla ricerca esaltante della vita in quei paesi dove il mare, il cielo e le stelle potessero ancora parlare al suo animo ormai sull’orlo dell’abisso.
Ed ecco perché alla sua grinta di inviato di guerra, a seguito della prima e della terza armata (1944-45) incorpora la voglia di conoscere luoghi incontaminati, lontani dalla civiltà del business, con nel sangue un flusso che rompeva le vene: la Cina, l’Africa, l’India, Cuba diventano i luoghi dove la sua irrequietudine trova sfogo e la sua vena poetica esplode nelle sue forme più alte, fino a portarlo, dopo l’incidente aereo in Africa (1954), al premio Nobel per la letteratura (1954) che non potrà ritirare personalmente proprio per i postumi dell’incidente.
Noi in un nostro soggiorno a Cuba abbiamo voluto seguire i luoghi e le tracce di Hemingway e molto è rimasto di lui: tra le onde coralline il mito ha preso il posto della ricerca e dello studio attento del suo pensiero. Nella “Rivista de Avance”, che accoglie la critica togata dell’isola, il pensiero di Hemingway segue i ritmi afro-cubani, come se lo scrittore avesse avuto come impostazione artistica solo i luoghi caraibici. E la casa di Finca Viga è divenuta un museo da mostrare con orgoglio ai visitatori. Va riconosciuto a Castro che nell’antiamericanismo fortemente propagandato ha salvato la figura di Hemingway e quella di straordinari pittori futuristi, impressionisti e surrealisti che risentono fortemente della cultura occidentale, come Wilfredo Lam, o Raul Martinez e Pedro Mariano Rodriguez.
Nella casa di Finca Viga l’autore dimorò per quasi venti anni, qui sotto il cielo dell’Havana bevve fiumi di cocktail, poi descritti nella loro composizione d’arcobaleno in molte sue opere e articoli: il ron carta blanca con mentuccia (hierbabuena), limone soda e ghiaccio, il cuba libra, il mojito, il daiquiri, l’emingway si possono gustare in tutte le taverne dell’Havana, di Camaguey e di Santiago de Cuba e sentire nel cuore il gusto raccontatoci del grande demone, e di come la malinconia allentava i suoi lacci e lo faceva convolare a nozze per la terza volta con la giornalista Martha Gelhourn.
Qui tutto è rimasto intatto. Anche Gregorio Fuentes, il protagonista de “Il vecchio e il mare”, grande amico dello scrittore, con il suo sigaro e le rughe profonde fiuta il vento che viene dal mare. Chiediamo, vogliamo sapere di quando usciva con lui sulla Pilar e lo portava oltre la barriera corallina a vedere gli squali e i “curiosi” barracuda. La Pilar è ancora ormeggiata sulla spiaggia e sembra aspetti il suo padrone per rimettersi in mare, e di fronte c’è l’oceano: immenso, inghiotte il cielo e la sabbia morbida come talco leggero fumo di pensieri e di attese. Ci incamminiamo verso il centro del villaggio, abitato da pochi pescatori e da tanti bambini tutti scalzi, ma allegri e disegnano gli aironi rosa – immobili corolle sul canalone, con la penna regalatagli dal visitatore e che loro trattano come un oggetto prezioso. Ci incamminiamo verso una piazzetta che al centro ha un busto severo di Hemingway con i baffi spazzolati. Di fronte si erge la nera fortezza di Cojamar. Da qui Hemingway scriveva i suoi pezzi, curava il divorzio con la sua seconda moglie, si sposava con Martha per divorziare subito dopo e sposare Mary Velsh. Nelle cinque camere del cottage senza vetri alle finestre (come tutte le case a Cuba) e l’ingresso senza porta si sente solo il rumore dei nostri passi sul legno del pavimento e il fruscio di microscopici pappagallini che spiano il silenzio dal soffitto. Alle pareti decine di manifesti di corride e tra i suoi libri, a centinaia, ne scopriamo uno di Palazzeschi nella edizione della Villardi e una vecchia cartina dell’Italia insieme a fotografie che ritraggono l’artista a Venezia e in Spagna. poi negli angoli della casa la lenza e le reti; appoggiato in un armadio di frassino, un vecchio fucile a due canne...!
Ci avviamo, infine, alla sommità della torre che affianca la casa con ancora impiantato il suo telescopio: da qui Hemingway esplorava l’incanto di Cuba e l’avvicinarsi dei tifoni nella stagione autunnale. Pensiamo a quanto furono esaltanti questi luoghi per l’animo, pensiamo ai riflessi del sole sul mare tropicale alle rughe di Fuentes “antiche come erosioni di un deserto senza pesci” alle piogge tropicali che puntuali alle cinque della sera lavano i pensieri, ai bambini cubani scalzi e affamati con negli occhi lo stesso colore del mare.
tratto da “Oggi e Domani” – rivista mensile di cultura e attualità, anno XXIII, n.12, dicembre 1995, pag.14