Il femminino in D’Annunzio , l’opera teatrale “Eleonora dalle belle mani” di  Carmen Moscariello diviene mezzo originala e interessante anche per una rilettura dannunziana, finalmente libera da certi steccati antifascisti che non poco hanno condizionato l’autentica conoscenza della scrittura  del Poeta.

La teoria del superuomo è tema dominante delle letterature e dei critici  quando  parlano  di D’Annunzio. La poetessa e drammaturga Carmen Moscariello nella sua opera teatrale “Eleonora dalle belle mani” ha offerto al pubblico una strada nuova di lettura non solo della grande attrice Eleonora Duse, ma anche del pensiero e della vita del Vate.  Il superomismo  è un  desueto percorso, è solo un’ombra , rispetto alla grande importanza che i personaggi femminili ebbero nella determinazione di quasi tutte le opere del Poeta.

Proprio partendo da questo nucleo fascinoso e devastante, possiamo dire che la poetica dannunziane si congiunge ai grandi del suo tempo a partire da Oscar Wilde (Salomé) a Gustav Klimt (Giuditta I,II).

D’Annunzio e gli altri coniano l’immagine della donna fatale che muore e fa morire per le passioni morbose e violente che l’attraversano , investendo l’uomo che se ne lascia travolgere.

La Moscariello fa dire a D’ Annunzio e alla Duse “La Morte mi attira “ (Duse), oppure “il mio tempo tra gli uomini è finito,/ se fossi saggio attenderei la morte ….o me la darei, il suicidio mi affascina, domani cercherò il narcotico che mi conviene” (D’Annunzio), in queste espressioni, più che dolore, l’autrice ha voluto esprimere la voluttà della morte, quasi essa fosse un velluto viola nel quale i due protagonisti si avvolgono.

Anche il così detto vitalismo dannunziano è un assurdo, poiché si avverte piuttosto il supremo disgusto della vita. Essa  è l’ostacolo al raggiungimento dell’estasi, provocata dall’arte.

La drammaturga ha voluto così dar vita a due personaggi molto simili, il femminino della Foscarina (Il nome si rifece alla grande attrice Eleonora Duse, Il Fuoco)  si proietta , come su carta copiativa , nell’isteria dannunziana, ampiamente esaltata dalla follia, dalla sifilide, nonché dalla tubercolosi dall’istero-epilessia del carattere della Divina.

Tutti elementi conturbanti che vanno a costruire  la frenesia di moltitudini lontane.

Anche le altre donne del dramma  come  Maria Gravina, amante tradita e abbandonata dal Poeta, per sostituirla con Eleonora Duse   e più tardi  la Divina è abbandonata a sua volta per altre donne  , come Luisa Casati Stampa (Corè), anch’essa amante che diletterà la vita del Vate dopo la scomparsa della Duse.   Queste, dicevamo riflettono le stesse caratteristiche  di Eleonora , esse sono insieme Salomè che danza per chiedere la testa di Giovanni e La Pallade  di Atene di Klimt, ossia  donne-virago, ricche di fascino, fatalità e perdizione.

L’opera della Moscariello mette quindi sullo stesso piano , la vita  del Poeta con quello  delle donne da Lui amate e abbandonate, anche la dannazione finale delle  loro vite, anch’essa fa parte del fascino erotico, della passione della carne. Lo stesso D’Annunzio, nel terzo atto viene immaginato solo e disperato che rinnega quello che nella vita aveva sempre inseguito, arrivando a definire :” …le donne, piccole, miserabili e vane…..” .

A tal punto l’intreccio  sessuale influisce sulla personalità degli artisti che lo stesso D’Annunzio è interpretato da una donna, sconvolgendo così tutti i canoni e dando vita a qualcosa di arcano e fascinoso, demoniaco , fatale ,   tutto da scoprire .

Gli anekdota  fusi alla tecnica del metateatro, rendono il pubblico e il meraviglioso scenario del teatro romano di Cassino  quasi un salotto decadente dove le storie dei due grandi artisti finalmente si svelano nella loro grandiosità, così come essi le avevano immaginate in vita.

 

 

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