DIRE "MAGNIFICAT"
CON MARIA DI NAZARETH


Lc 1,46-55

Bruno Moriconi, ocd.

  


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Per scendere nel vero spirito del "Magnificat" e poterlo dire con Maria nostra Madre e Sorella, bisogna ricondurlo nel contesto del racconto dell'evangelista Luca che lo ha trasmesso all'umanità (Lc 1, 39-56): l'incontro tra Maria ed Elisabetta, ma soprattutto le parole che questa pronuncia nei confronti della giovane cugina di Nazareth. Sono queste, infatti, a provocare quei sentimenti che animano e spiegano il suo "Magnificat".
Appena udito il saluto di maria, il bambino aveva sussultato nel grembo di Elisabetta che, piena di Spirito Santo, aveva esclamato: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo". parole più grandi di chi le pronunzia, ma anche di Maria, per la quale Elisabetta ha in riserbo anche una beatitudine: "Beata te", aggiunge, infatti. "Te beata che hai creduto nell'adempimento delle parole del Signore".
Il "Magnificat" comincia da qui. Da questi riconoscimenti dinanzi ai quali ci si aspetterebbe che Maria si schermisse o che, almeno un po', tentasse di sminuirne la portata. E, invece, non è questo ciò che accade. Accade, tuttavia, che maria, invece di parlare di sé, parla di Dio. E' come se, dopo aver ascoltato le benedizioni e le lodi di Elisabetta, Maria volesse dirle: "Tu dichiari la mia grandezza ed io ti dico, invece, che devi riconoscere quella di Dio. L'anima mia dice, infatti, che grande è il Signore". Ecco il significato del "Magnificat"!
Perché? Poiché Lui che è l'Altissimo si è chinato a guardare la pochezza ("tapeinosin") della sua serva (questo è il vero significato di "umiltà"). L'Altissimo si è chinato a guardare fin dentro la piccola casa di Nazareth ed è l'Onnipotente che ha fatto le grandi cose che Elisabetta esalta e benedice in Maria (vv.47-49). L'umiltà non è un atteggiamento, ma una consapevolezza che, come direbbe Teresa d'Avila, coincide con quello della verità di chi sa la propria condizione "tapina" ("tapeinosin") e, allo stesso tempo, il grande amore di Dio per ciascuno dei suoi figli.
Maria è stata guardata in modo unico e, poiché è la madre del Signore, tutte le generazioni la diranno beata (v.48), ma la sua anima dice grande ("magnificat") il Signore anche a nome di tutti gli altri piccoli sui quali si stende la Sua misericordia (vv.50-52). Anche se tutti gli affamati non saranno di fatto saziati di pane, né tutti i ricchi rimandati a mani vuote (v.53), lo sguardo di Dio che invia il proprio Figlio per farsi scoprire Padre è fonte di salvezza e consolazione per tutti e per ognuno. In Cristo, che sta per nascere da Maria, povero tra i poveri, Dio soccorre davvero il suo popolo Israele, "ricordandosi della sua misericordia" (v.54). Si compie veramente ciò che era stato promesso ai padri, "ad Abramo e alla sua discendenza per sempre" (v.55). Ma... attenzione! Del contesto immediato del "Magnificat" fa parte anche l'annotazione finale del racconto di Luca: "Maria rimase con lei (Elisabetta) circa tre mesi, poi tornò a casa sua" (v.56).
Se, infatti, è vero che i "circa tre mesi" richiamano innanzitutto la permanenza dell'Arca in casa di Obed-Edom, prima di essere portata nella città di David (2Sm 6,11), dato che Maria, come portatrice (Madre) di Dio è la nuova Arca dell'Alleanza ("Foederis Arca), è anche vero che questo è il tempo esatto che manca alla nascita del bimbo di Elisabetta. Benché porti in grembo il Signore, dunque, Maria non ha altro da fare che restare, come farebbe qualsiasi altra donna premurosa, accanto alla cugina, ormai al sesto mese inoltrato. Resta lì sino al giorno del parto e continua a dire grande il Signore mentre cucina al posto di Elisabetta, accudisce Zaccaria e riordina la casa.
Si capisce bene che il suo "Magnificat" non è un semplice "cantico ai Vespri", ma un continuare a credere che - nonostante l'oscurità dei giorni - tutte le parole del Signore si compiranno e, insieme, un continuare a "dire grande" (a "magnificare") il suo Signore, magari a denti stretti o con il groppo alla gola come in Egitto, negli anni di Nazareth e, infine, sulle strade del suo Figlio che la conducono fin sotto la sua Croce. Dire "Magnificat" con Maria è, dunque, imitare questa consapevolezza e questo desiderio di cantare a Dio. Il Suo sguardo paterno e misericordioso, infatti, è su di noi, anche quando non lo sentiamo.
 


MAGNIFICAT (Lc 1, 46-55)

46 L'anima mia magnifica il Signore
47 ed il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
48 perché ha guardato l'umiltà della sua serva.
D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
49 Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente
e Santo è il suo nome:
50 di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.
51 Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
52 ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
53 ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
54 ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
55 come aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.

 

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