Omaggio alla Filosofia dell’Advaita Vedanta  (grazie!!! Sankara)

 

La casa era il mio corpo, il rifugio, la garitta

ma quando ha preso fuoco, fra tante asperità,

il cuore  fuggì  via,  in  una nebbia  fitta,

lungo le strade  asfaltate dalla ottusa  vanità.

 

Gli  occhi  erano  stanchi,  i desideri spenti,

gli orecchi  erano sordi ad ogni vibrazione

il  passo vacillava, allo  sferzar  dei  venti,

nel cuore si spengeva anche l’ultima emozione.

 

Non l’essere c’era, no il non essere c’era, allora,

non l’atma, né il dharma, né l’insondabile assoluto

ognuno  è  una  scheggia di  contrarietà e ignora

se stesso rispetto al creato noto e a quello sconosciuto.

 

Tenebre c’erano, da tenebre avvolte, nelle menti;

vuoto  nella materia   stretta  nell’ampio  vuoto;

tenebre in quei soggetti così tanto  intraprendenti

vuoto nel cuore di chi si chiude nel perseguir lo scopo.

 

Di Quello il desiderio inondò il mio intelletto

e in me il pensiero si volse ad incontrare il seme

dell’essere unico indiviso e fui discepolo al cospetto

dei vati, che con saggezza, riaccendono la speme.

 

La casa è il mio corpo, il rifugio, la dimora,

la mente libera si nutre dell’armonia d’ intorno,

 il cuore di luce nuova, al  risveglio si colora,

e mi stupisco ancora, al divenir del giorno.