SINDROMI IPOGLICEMICHE
Introduzione
Il termine ipoglicemia indica una condizione metabolica
caratterizzata da livelli ematici di glucosio troppo
bassi per l'organismo; in sostanza, si riferisce ad una
condizione chimica e non clinica. L'ipoglicemia non
costituisce quindi di per sé una malattia, ma è
l'espressione di un'alterazione dei meccanismi che
regolano l'omeostasi del glucosio. Tenendo presenti
questi concetti, in via preliminare è necessario
stabilire con esattezza i valori di riferimento per le
concentrazioni ematiche di questo monosaccaride da
considerare normali per l'uomo, compito non privo di
difficoltà per ragioni di ordine anche metodologico.
Attualmente, il metodo più diffuso e affidabile per la
determinazione della glicemia si basa su reazioni
enzimatiche specifiche (glucosio-ossidasi, esochinasi) e
ad esso faremo riferimento nel prosieguo della
trattazione. Altri metodi di determinazione più
aspecifici, basati su reazioni non enzimatiche, sono
passati in disuso, o comunque possono essere considerati
ormai superati. Un altro fattore da valutare è il
substrato sul quale l'analisi viene condotta. La
differenza artero-venosa della glicemia è di solito
modesta dopo un digiuno di 10-12 ore, ma diventa
significativa per diverse ore dopo l'ingestione degli
alimenti. Inoltre, la glicemia eseguita su sangue intero
fornisce valori inferiori del 15% circa rispetto ai
corrispondenti livelli plasmatici e sono state anche
dimostrate differenze nei valori glicemici in relazione
alla profondità della vena usata per il prelievo. Ad
eccezione di casi particolari, nello svolgimento del
capitolo si farà riferimento sempre a valori ottenuti su
plasma di sangue venoso espressi in mmol/l (*) o in
mg/100 ml.
In condizioni fisiologiche, la glicemia oscilla tra 2,7
e 8,3 mmol/1, pari a 50-150 mg/100 ml; né sono
evidenziabili, dopo un digiuno protratto di 24-48 ore,
variazioni importanti. Nei soggetti adulti va
considerato sicuramente patologico un livello glicemico
inferiore a 2,5 mmol/1, fermo restando che i sintomi
della ipoglicemia possono manifestarsi anche con valori
più alti (ipoglicemia relativa) o, per converso, non
essere presenti per glicemie ancorainferiori quando
queste si siano instaurate lentamente (ipoglicemia
cronica).
Più difficile è stabilire limiti netti nel periodo
neonatale, ma si possono in genere considerare
patologici livelli glicemici inferiori a 1,6 mmol/1 nei
nati a termine di peso normale, ed inferiori a 1,1
mmol/1 nei prematuri.
Anche nell'anziano non è stato stabilito con sicurezza
quale sia il livello glicemico più basso da considerare
normale.
Fisiopatologia
L'omeostasi glicidica è la risultante di complesse
interazioni tra numerose e diverse influenze ormonali,
metaboliche e nervose che agiscono su differenti
substrati per mezzo di attività enzimatiche specifiche.
Le fonti dalle quali deriva il glucosio circolante sono
due: assorbimento dal tubo digerente e produzione a
livello epatico. Nel continuo equilibrio tra
utilizzazione periferica del glucosio e sua immissione
in circolo, il fegato rappresenta l'organo chiave,
capace di captare glucosio dal pool circolante e di
immagazzinarlo sotto forma di glicogeno, di liberare
glucosio in circolo dai depositi preformati, di
sintetizzare lo zucchero a partire da molecole più
piccole (gluconeogenesi)(fig.01x).
Per alcuni organi e cellule, quali il cervello, la
retina, la midollare del rene, i globuli rossi e i
globuli bianchi, il glucosio rappresenta l'unico
substrato utilizzabile. Il fabbisogno giornaliero
imprescindibile di destrosio è nell'uomo adulto pari a
circa 180g.
Il glucosio che entra nelle cellule viene trasformato in
glucosio-6-fosfato, punto di partenza per tutte le
successive vicende metaboliche intracellulari dello
zucchero:
a. glicogenosintesi: formazione di glicogeno che
rappresenta la forma di deposito dei carboidrati;
b. glicolisi con formazione di piruvato (due molecole di
piruvato, per ogni molecola di glucosio);
c. ossidazione diretta attraverso la via
dell'esosomonofosfato;
d. formazione di acido glucuronico;
e. formazione di esosamine e mucopolisaccaridi.
In ordine ad una schematizzazione del bilancio
glicidico, tenendo conto che l'unica fonte di glucosio
per l'organismo è rappresentata dagli alimenti, si
possono distinguere due fasi principali:
a. fase (post)alimentare, che inizia subito dopo
l'introduzione degli alimenti e termina quando la
concentrazione dei substrati energetici è tornata ai
valori precedenti l'ingestione di cibi;
b.fase del digiuno, che inizia quando termina la
precedente e arriva fino alla introduzione di nuovi
alimenti.
Nella prima fase, lo zucchero assorbito con gli
alimenti, viene captato dalle cellule epatiche e
immagazzinato sotto forma di glicogeno. Il principale
stimolo alla glicogenosintesi epatica è rappresentato
dall'aumento dei livelli di insulina circolanti, la cui
secrezione da parte del pancreas endocrino è stimolata
dai livelli ematici progressivamente crescenti di
glucosio e aminoacidi. In questa fase, le concentrazioni
epatiche di glicogeno variano da 20 a 80 g/kg di
tessuto. Quando la captazione di glucosio da parte del
fegato e la contemporanea utilizzazione periferica dello
zucchero superano la quantità di esoso assorbita a
livello intestinale, la glicemia tende a scendere ed ha
inizio la seconda fase.
Nella fase del digiuno, la diminuzione dell'insulinemia
e la contemporanea ipersecrezione di ormoni ad azione
iperglicemizzante, quali il glucagone, le catecolamine,
il cortisolo e il somatotropo, trasformano il fegato da
un organo di captazione e deposito del glucosio ad un
organo che lo produce e lo immette in circolo. La
glicemia diventa così la risultante tra l'utilizzazione
periferica di glucosio e la sua produzione epatica,
quest'ultima rappresentata in diversa percentuale dalla
glicogenolisi e dalla gluconeogenesi. La prima, ad es.,
rappresenta il 75% dell'output epatico di glucosio dopo
12 ore di digiuno, ma scende a meno del 10% dopo due
giorni, in relazione al progressivo esaurimento delle
scorte di glicogeno preformate.
Più lungo è l'intervallo di tempo intercorso dall'ultima
assunzione di cibo, maggiore è il ruolo della
gluconeogenesi nel mantenimento della omeostasi
glicidica. La gluconeogenesi dipende strettamente da un
adeguato apporto di substrati, e cioè aminoacidi (in
particolare alanina), glicerolo, piruvato e lattato, che
provengono dai processi di lipolisi e proteolisi. Anche
in questa fase, il fattore ormonale più importante di
regolazione è l'insulina, la diminuzione dei valori
circolanti della quale - indotta dalla riduzione della
glicemia- stimola la gluconeogenesi e favorisce la
proteolisi e la lipolisi. Un ruolo certamente importante
rivestono i glucocorticoidi, che favoriscono la
gluconeogenesi e la liberazione di aminoacidi a livello
muscolare, le catecolamine, il glucagone e l'ormone
della crescita, nel loro insieme denominati "ormoni
della controregolazione". Tra questi, il glucagone e
l'adrenalina rispondono più prontamente degli altri e
prima che la glicemia abbia raggiunto valori francamente
ipoglicemici, raggiungono concentrazioni plasmatiche
molto elevate e dipendenti dalla velocità di discesa
della glicemia. In sostanza, la controregolazione non è
un fenomeno con una soglia ben definita, ma una continua
modulazione di secrezioni ormonali le concentrazioni
ematiche delle quali sono inversamente correlate alla
glicemia ed il cui fine è il mantenimento costante dei
livelli glicemici, prevenendo prima che contrastando
l'eventuale ipoglicemia.
Se appare evidente che l'ipoglicemia è un sintomo che si
manifesta ogni qualvolta il continuo equilibrio tra
produzione di glucosio e sua utilizzazione si sposta a
favore di quest'ultima, è altrettanto chiaro che i
meccanismi in grado di condurre all'ipoglicemia sono
molteplici e differiscono in relazione alla fase
(postalimentare e del digiuno) nella quale la stessa si
manifesta.
Le ipoglicemie della fase postalimentare insorgono nel
periodo di transizione in cui il fegato si deve
trasformare da organo che capta e immagazzina glucosio a
organo che produce e immette in circolo l'esoso. La loro
causa va ricercata in una alterazione dell'equilibrio
tra i diversi fattori che regolano le attività
enzimatiche epatiche. Si tratta, in ogni caso, di
disordini funzionali.
Le ipoglicemie della fase del digiuno si instaurano
quando la produzione epatica di glucosio è minore della
sua utilizzazione periferica. Le cause sono dunque da
ricercare in un'inadeguata produzione dello zucchero e/o
in una sua eccessiva utilizzazione. La prima può essere
ricondotta ad una ridotta disponibilità di substrati, ad
una ridotta funzionalità epatica, ad una alterazione dei
fattori di regolazione; la seconda ad un'alterazione
della bilancia ormonale o alla presenza di voluminosi
tumori non endocrini che consumino elevate quantità
giornaliere di glucosio.
La complessità e la molteplicità dei fattori omeostatici
che presiedono al mantenimento di una glicemia costante
e la pluralità delle loro azioni a diversi livelli e su
diversi organi rendono ragione della frequenza con la
quale si possono spesso riconoscere, alla base di una
ipoglicemia manifesta, accanto alla causa principale,
concause diverse che rappresentano spesso anche l'evento
scatenante.
Sintomatologia
Il tessuto nervoso, ed in particolare il cervello, hanno
bisogno di un continuo apporto di glucosio. Infatti, le
scorte di glucosio e glicogeno a livello cerebrale sono
pari a circa 0,5 mg/g di tessuto e sono sufficienti solo
al fabbisogno energetico di qualche minuto. I sintomi a
carico della sfera nervosa si manifestano nell'uomo
quando la glicemia arteriosa è inferiore a 2,2 mmol/1 e
sono generalmente i primi a comparire nel corso
dell'ipoglicemia. In ogni caso, è necessario
sottolineare come i sintomi dell'ipoglicemia siano
estremamente multiformi, non specifici e non sempre
presenti anche quando la glicemia sia oltremodo bassa.
Il termine neuroglicopenia indica l'evento biologico che
si avvera quando l'apporto di carboidrati diventa
inadeguato al fabbisogno della cellula nervosa. La
neuroglicopenia può manifestarsi in varia maniera: può
essere acuta (il paziente cade in uno stato soporoso e
finanche in coma nel giro di pochi minuti senza
avvertire alcun segno premonitore), subacuta (il
paziente permane in uno stato di sonnolenza senza
perdere completamente conoscenza e rimane così anche per
lungo tempo), cronica (più rara, si manifesta con
cambiamenti di personalità e con manifestazioni
psichiche complesse). Va anche aggiunto che un quadro
neuroglicopenico può insorgere quando si sia verificata
una brusca caduta dei livelli glicemici precedentemente
molto elevati come si ha nel diabete non controllato
(ipoglicemia relativa).
Qui di seguito vengono riportati schematicamente i
sintomi e i segni riscontrati in pazienti affetti da
sindromi ipoglicemiche di varia origine e natura:
Disturbi generali aspecifici all'inizio della crisi
(attenenti prevalentemente alla sfera nervosa):
irritabilità, stato ansioso, incapacità alla
concentrazione, cefalea, astenia, adinamia;
Disturbi a carico dell'apparato gastroenterico: senso di
fame, secchezza delle fauci con polidipsia, dolori
addominali, nausea, vomito, talora diarrea;
Disturbi carliovascolari e respiratori: tachicardia,
aritmie varie, angina (rara), ipotensione, anisosfigmia,
bradipnea.
Disturbi del sistema nervoso autonomo: palpitazione,
pallore, scialorrea, sudorazione, lacrimazione;
Disturbi neurologici: parestesie, fascicolazioni, crisi
convulsive, paralisi, contratture (trisma), disturbi
oculari (oftalmoplegia, diplopia, nistagmo, ambliopia,
xantopsia, scotomi, anisocoria, midriasi), disordini
extrapiramidali (tremori, rigidità, attacchi
coreoatetosici);
Disturbi psichici: ansia, depressione, stato
confusionale, atteggiamenti schizoidi, riso immotivato,
melanconia, stato onirico, afasia, narcolessia.
Se il quadro ipoglicemico è completo è difficile
incorrere in errori diagnostici; ma quando i sintomi
sono subdoli possono entrare in discussione molte altre
condizioni morbose. I quadri clinici con manifestazioni
somiglianti ai disturbi delle sindromi ipoglicemiche
sono elencati nella Tab.01x.
Classificazione delle sindromi ipoglicemiche
Esistono a tutt'oggi differenti classificazioni. Le due
più utili riteniamo siano quella clinica e quella
etiopatogenetica. La lista degli stati morbosi che
possono accompagnarsi ad ipoglicemia si accresce ogni
anno e le classificazioni che riportiamo sono
incomplete: tuttavia, sono certamente bastevoli per
ricordare al medico le principali manifestazioni morbose
ed aiutarlo nella diagnosi differenziale.
Studio del paziente con ipoglicemia
Di fronte ad un paziente con sospetta sindrome
ipoglicemica è necessario per prima cosa stabilire se i
sintomi riferiti siano realmente causati
dall'ipoglicemia. Nella maggior parte dei casi,
purtroppo, il medico raramente riesce ad essere presente
durante una crisi ipoglicemica o sospetta tale. Quando
ciò avviene, è imperativo eseguire un prelievo per la
glicemia prima di somministrare zucchero o farmaci, al
fine di documentare con chiarezza la relazione tra
sintomi e glicemia. Nei casi in cui il prelievo non sia
possibile (paziente non ospedalizzato, crisi assai rare)
è utile istruire il paziente sull'uso delle strisce
reattive per la glicemia in maniera che egli possa
eseguire da solo l'analisi in corso di crisi.
Il secondo punto essenziale è l'anamnesi: essa è
fondamentale per stabilire il rapporto temporale tra i
pasti e l'insorgenza dei disturbi. Un'ipoglicemia che si
manifesta 2-4 ore dopo i pasti è verosimilmente
un'ipoglicemia funzionale; al contrario, un'ipoglicemia
a digiuno è più frequentemente di tipo organico
(confronta ). È da tenere presente che la severità, la
natura e la durata dei sintomi possono essere mal
riferiti dal paziente per problemi di amnesia legata
all'ipoglicemia e i particolari raccolti vanno perciò
sempre confrontati con quanto esposto dai familiari.
L'estrema aspecificità dei sintomi della ipoglicemia, in
particolare di quella cronica, contribuisce a
determinare una delle situazioni morbose in patologia
umana la cui diagnosi è per gran parte affidata ai
risultati delle indagini di laboratorio. L'obiettività
clinica, infatti, può essere praticamente assente. Il
primo passo deve essere quello di dosare ripetutamente
in condizioni di base la glicemia, l'insulinemia e il
poptide C circolanti. Quando la glicemia è inferiore a
2,5 mmol/1 l'insulinemia, valutata con metodo
radioimmunologico (IRI), deve essere indosabile e
comunque inferiore a 6 mU/ml e il peptide C in
condizioni normali (C-IR) assai basso (inferiore a 0,3
pmol/ml corrispondenti a 1 microgrammi/1). Il dosaggio
di quest'ultimo, affiancato a quello della insulina, è
particolarmente utile per due motivi:
a. La sua presenza in circolo in concentrazioni
parallele ai livelli di IRI conferma che l'eventuale
iperinsulinismo è di origine endogena; al contrario, IRI
alta e C-IR basso depongono inequivocabilmente per un
iperinsulinismo esogeno, di più frequente riscontro nel
personale sanitario addetto a pazienti diabetici;
b. L'emivita del poptide C è più lunga di quella
dell'insulina e le sue variazioni di concentrazione
plasmatica, attuandosi più lentamente, sono più
affidabili.
Tuttavia, nell'interpretazione dei dati bisogna tenere
presente che elevati livelli circolanti di insulina
radioimmunologica possono essere dovuti ad interferenza
nel dosaggio per la presenza di anticorpi circolanti
anti-insulina o essere presenti in alcuni rari disordini
genetici della sintesi dell'insulina (iperproinsulinemia
ed iperinsulinemia familiari).
Sulla base dei risultati cosi ottenuti e dei dati
anamnestici sarà possibile escludere le forme di
ipoglicemia dovute a somministrazione di insulina e
distinguere tra ipoglicemia a digiuno e ipoglicemia da
stimolo e, nell'ambito della prima, le forme con
insulina soppressa da quelle con insulina elevata.
Nei casi con insulinemia soppressa, utili informazioni
si potranno avere dalle indagini collaterali miranti ad
individuare l'esistenza di tumori extrapancreatici come
anche dal dosaggio dei valori plasmatici degli ormoni
della controregolazione (cortisolo principalmente) e dei
metaboliti intermedi che costituiscono i substrati
principali per la gluconeogenesi (alanina, piruvato,
lattato, glicerolo). In casi selezionati e di fronte a
precisi quesiti diagnostici sarà opportuno valutare il
numero e l'attività dei recettori all'insulina,
l'attività insulino-simile plasmatica nelle sue varie
frazioni (ILA, NSILA-s, NSILA-p). A questo punto si
renderà necessario sottoporre il paziente a quelle prove
dinamiche che di volta in volta, sulla base degli
elementi acquisiti, si riterranno più adeguate.
Prova del digiuno protratto
Al paziente, ospedalizzato e sotto accurato controllo
clinico, viene proibito qualsiasi alimento o farmaco,
eccezione fatta per l'acqua, il tè molto diluito, la
camomilla senza zucchero. A partire dalla 12^a ora
dall'ultimo pasto (che viene in genere fatto consumare
la sera) vengono effettuati prelievi per la glicemia e
l'insulinemia ogni 3-4 ore. La prova viene prolungata
per 72 ore; al termine di tale periodo, se non è
comparsa ipoglicemia, il paziente esegue un esercizio
fisico di media entità per circa 30 minuti allo scopo di
favorire, attraverso un aumento del consumo periferico
del glucosio indotto dal lavoro muscolare, l'eventuale
insorgenza di una crisi.
Durante la prova nei soggetti normali la glicemia non
deve scendere sotto 2,5 mmol/1 e, in ogni caso, anche se
si repertano valori inferiori, l'insulina circolante
deve essere praticamente indosabile e comunque inferiore
a 6-10 mU/ml ed i valori di peptide C minori di 0,3 pmol/ml
(corrispondenti a 1 microgammi/1).
Test di soppressione con l'insulina
La prova si esegue somministrando al paziente, digiuno
da 10 ore, 0,1 U/kg di peso corporeo di insulina
regolare fino ad un massimo di 10 unità per via
endovenosa in bolo o per infusione venosa lenta nel
corso di 60 minuti.I prelievi per la glicemia e i
livelli circolanti del poptide C, cortisolo, ormone
della crescita e catecolamine vengono eseguiti ai
tempi-15, 0, 15, 30, 45, 60, 90, 120 e 180 min. Il test
non può essere considerato valido se la glicemia non
scende sotto le 2,2 mmol/l.
La prova si prefigge due scopi principali:
a. Valutare la sensibilità dei tessuti periferici
all'insulina e, parallelamente, la capacità pancreatica
a sopprimere la produzione endogena dell'ormone;
b. Studiare la capacità di risposta dell'asse
ipotalamo-ipofisi e del sistema simpatico e, dunque, gli
ormoni della controregolazione nella condizione di
stress che l'ipoglicemia comporta.
In caso di sospetta elevata sensibilità periferica
all'insulina (ipopituitarismo, M. di Addison) la dose
dell'ormone va dimezzata; per converso, va aumentata di
fronte a stati patologici che si accompagnano a
resistenza alla insulina (obesità).
Test al diazossido
Il diazossido è un farmaco benzotiadierinico non
diuretico, capace di inibire la secrezione di insulina e
di ridurre la utilizzazione periferica del glucosio
inducendo così un aumento della glicemia. La prova viene
eseguita infondendo 600 mg di diazossido (Hyperstat)
nell'arco di un'ora e prelevando il sangue per la
glicemia e l'insulinemia ogni 15 minuti iniziando
mezz'ora prima dell'infusione e terminando due ore dopo.
Nei soggetti normali si osserva una soppressione dei
livelli insulinemici durante l'infusione; al termine di
questa i valori di IRI circolante ritornano prontamente
alla norma. La glicemia sale durante l'infusione e si
mantiene più elevata rispetto ai valori di partenza fino
alla conclusione. L'utilità clinica della prova risiede
anche nella possibilità di verificare l'eventuale
risposta al farmaco qualora la sua somministrazione si
rendesse necessaria come forma di terapia medica.
Test del glucagone
Il glucagone esercita un effetto stimolante sulla
secrezione insulinica ed è nel contempo il più potente
agente glicogenolitico conosciuto. Il test è di indubbia
utilità per valutare la riserva epatica di glicogeno e,
a differenza di altre prove di stimolo per la secrezione
insulinica (tolbutamide, calcio, leucina), è scevro da
rischi in quanto aumenta i livelli glicemici.
L'ormone viene somministrato alla dose di 30 microgrammi
per kg di peso corporeo fino ad un massimo di 1 mg per
via venosa in due o tre minuti ed i prelievi di sangue
per la glicemia, l'insulinemia, il peptide C e-in caso
di sospetta glicogenosi tipo I-per il lattato vengono
eseguiti in condizioni basali ed ogni 5 minuti fino a 30
minuti dopo la somministrazione. Nel soggetto normale a
digiuno, si osserva un aumento della insulinemia e della
glicemia (rispettivamente di 50 mU/ml e di 1,5-4 mmol/l)
che si risolve nelle ore successive. Più che per
studiare la secrezione di insulina, il test è
indispensabile per fornire indicazioni probanti circa la
funzione epatica nell'ambito del metabolismo glicidico.
Un aumento della glicemia inferiore a 0,5 mmol/l si
osserva nelle epatopatie croniche, negli errori
congeniti del metabolismo associati a difetto di
gluconeogenesi e di accumulo di glicogeno,
nell'ipoglicemia alcool-indotta. In tutte queste
condizioni, peraltro, l'aumento della secrezione
insulinica appare nei limiti della norma. Nei pazienti
con glicogenosi tipo I (malattia di Von Gierke) la
somministrazione di glucagone provoca un cospicuo
aumento dei livelli circolanti di lattato ed è quindi
potenzialmente pericolosa. I livelli di lattato vengono
ricondotti nei limiti della pronta somministrazione di
glucosio per via venosa.
Prova da carico di glucosio per via orale (OGTT)
Si esegue somministrando per os al paziente, digiuno da
8-10 ore, 200ml di una soluzione contenente 75 g di
glucosio (1,75 g/kg nei bambini) ed eseguendo i prelievi
di sangue per la determinazione della glicemia e
dell'insulinemia in condizioni basali ad ogni 30 minuti
primi per 5 ore. Durante la prova il paziente deve
giacere in posizione supina, senza fumare; se
necessario, è concesso bere dell'acqua. Se compaiono
disturbi, è opportuno eseguire il prelievo anche al
momento dell'esordio dei fastidi e valutare le
concentrazioni plasmatiche anche degli ormoni della
controregolazione. Di norma, durante il carico orale di
glucosio la glicemia presenta un iniziale incremento cui
fa seguito una discesa dei valori glicemici a livelli
inferiori a quelli di base (cosiddetta ipoglicemia di
rimbalzo). L'ipoglicemia di rimbalzo è un fenomeno
fisiologico, dovuto alla secrezione insulinica che segue
l'ingestione dello zucchero. Essa diventa patologica
quando la glicemia scende sotto le 2,5 mmol/1. Tuttavia,
valori inferiori a 1,7 mmol/1 possono essere osservati
anche in soggetti peraltro perfettamente normali senza
che si abbia alcun sintomo. Il nadir della curva
glicemica è generalmente compreso tra le 2 e le 5 ore
dopo l'ingestione dello zucchero. La prova, per quanto
utile, è influenzata da troppi fattori per avere un
chiaro significato diagnostico; fra questi fattori
ricordiamo la dose di glucosio (maggiore è la quantità
di zucchero somministrata, maggiore è la frequenza con
cui la glicemia scende a valori patologici), la velocità
di svuotamento gastrico, la reattività dell'asse
entero-insulare che condiziona la secrezione insulinica.
Va infine rilevato che il carico glicidico non riproduce
esattamente le condizioni usuali nelle quali
l'ipoglicemia postprandiale o sospetta tale si
manifesta. Pur tenendo conto di questi limiti, la prova
è molto importante per la diagnosi di ipoglicemia
postprandiale, fermo restando che ad essa non va
attribuita, per i problemi sopra esposti, un significato
definitivo; si potranno evitare così tante diagnosi
errate.
Tumori endocrini del pancreas
Si tratta di neoplasie benigne (80-90% dei casi) o
maligne ( 10-20% ), piuttosto rare ( 1 caso per anno per
milione di abitanti), in grado di produrre e immettere
in circolo insulina, che in genere si sviluppano dalle
cellule dei dotti pancreatici, anche se il termine
insulinoma col quale vengono comunemente indicate fu
coniato nel presupposto che tali tumori originassero
dalla trasformazione neoplastica delle cellule beta
insulinari. In genere il tumore non produce soltanto
insulina, ma anche uno o più ormoni gastrointestinali (polipoptide
pancreatico, polipeptide vasoettivo, glucagone,
somatostatina), pur essendo il quadro clinico
preminentemente determinato dall'iperincrezione di
insulina. Questa pluri-potenzialità secernente nasce
dalla comune origine embriologica delle cellule
endocrine del canale digerente, tutte appartenenti alla
serie APUD (acronimo dalla espressione anglosassone
Amine Precursor Uptake and Decarboxylation).
L'aspetto morfoistologico alla microscopia ottica è
piuttosto vario e talvolta sovrapponibile a quello di
un'insula normale. Tuttavia, al microscopio elettronico
è possibile distinguere 4 varietà di insulinomi a
seconda della presenza/assenza e della tipicità dei
granuli secretori nel citoplasma delle cellule
neoplastiche.
In meno dell'1% dei casi il tumore è ectopico, sito
lungo il decorso del tenue, nelle vie biliari o in
vicinanza del pancreas. Talvolta è multiplo e si possono
configurare quadri assai rari di microadenomatosi
diffusa.
All'indagine anamnestica è spesso possibile rilevare che
gli episodi di ipoglicemia più o meno gravi datano da
diverso tempo (in genere più di due anni) e si sono
accentuati nell'ultimo periodo. Negli intervalli il
paziente si sente bene. All'inizio le crisi si
presentano a distanza dai pasti, spesso in concomitanza
con una modesta attività fisica. Successivamente, le
crisi insorgono in qualunque momento. L'obesità, quando
presente, è imputabile all'eccesso alimentare al quale
si sottopone il paziente che è riuscito ad individuare
lo stretto rapporto dell'insorgenza dei sintomi con il
digiuno. Questi tumori, peraltro, si caratterizzano
oltre che per un globale aumento della secrezione
insulinica, anche per l'inappropriata produzione della
stessa, in quanto i livelli circolanti dell'ormone
permangono elevati nel digiuno anche quando la glicemia
si riduce al di sotto dei livelli normali. In effetti,
il contenuto di insulina per grammo di tessuto tumorale
è spesso inferiore a quello di pancreas normale, con una
percentuale di proinsulina nettamente maggiore; questo
elevato contenuto in proinsulina si riflette anche nei
livelli plasmatici dell'ormone. Il difetto principale
sta dunque nell'incapacità del tessuto tumorale a
sopprimere la produzione di insulina in corso di
ipoglicemia. Per questo sono fondamentali il rapporto
tra glicemia e insulinemia dopo una notte di digiuno e i
risultati della prova del digiuno e del test
all'insulina.
In ogni paziente con glicemia a digiuno pari o inferiore
a 2,5 mmol/l l'IRI deve essere assai bassa o indosabile
ed il peptide C inferiore a 0,5-0,3 pmol/ml. Per questo,
livelli dosabili di insulinemia in un paziente con
glicemia francamente patologica sono fortemente
indicativi per un iperinsulinismo organico (fig.02x).
Nei casi dubbi è utile eseguire un test del digiuno
prolungato a 72 ore con prova da sforzo finale. Più del
90% dei pazienti con insulinoma diventano ipoglicemici
dopo 12-36 ore di digiuno. Se sopravviene l'ipoglicemia
prima di interrompere la prova è imperativo raccogliere
un campione di sangue per la glicemia, l'insulinemia e
la proinsulina circolante. Nei soggetti abituati a basse
concentrazioni di glucosio, la neuroglicopenia può non
comparire pur in presenza di glicemia assai bassa (1,5
mmol/l). Per tal motivo è importante, durante la prova,
eseguire sempre i prelievi agli intervalli stabiliti
(ogni 4 ore o più spesso se il caso lo richiede), tenere
sotto stretta sorveglianza il paziente e, alla fine
delle 72 ore, far eseguire un esercizio fisico moderato
che-aumentando il fabbisogno periferico di
glucosio-contribuisce ad innescare una eventuale crisi
ipoglicemica.
La mancata soppressione dell'IRI in corso di ipoglicemia
può essere comprovata eseguendo un test all'insulina e
valutando le concentrazioni di peptide C come
espressione della secrezione endogena dell'ormone.
Valori superiori a 0,5 pmol/ml (corrispondenti a 1,5
microgrammi/l) sono fortemente indicativi per un
iperinsulinismo endogeno , ma si possono osservare falsi
negativi nei pazienti con elevata secrezione di
proinsulina o tumore parzialmente sopprimibile.
Nella nostra esperienza abbiamo trovato utili altre due
prove di soppressione: quella al diazossido e quella
alla somatostatina.
Nel corso della prima, nei pazienti con adenoma insulare
l'IRI rimane soppressa fino a 60 minuti dopo la fine
della infusione e la glicemia talvolta non aumenta,
quando invece nei soggetti normali si osserva un pronto
ritorno dei livelli insulinemici ai livelli di base.
Nella prova alla somatostatina (Stilamin) il farmaco
viene infuso a concentrazioni crescenti (25, 50, 100
microgrammi/ora) ed i prelievi eseguiti ogni 15 minuti
per tre ore . Nella nostra casistica abbiamo potuto
rilevare una certa corrispondenza tra sopprimibilità
dell'IRI circolante e grado di differenziazione del
tumore.
Più incostanti e per questo meno affidabili appaiono i
risultati delle prove di stimolo (tolbutamide, calcio)
che - in caso di positività- espongono anche al rischio
di gravi crisi ipoglicemiche.
Il test al glucagone ed il carico di glucosio per os
possono fornire indicazioni talvolta utili. Nel corso
del primo si può osservare un aumento marcato (superiore
alle 100 mU/ml) dei valori di IRI circolante che può
provocare un'ipoglicemia grave. L'OGTT prolungato a 5
ore dimostra una risposta insulinica inappropriata, e
cioè senza corrispondenza con i livelli glicemici, con
una curva glicemica spesso indicante una diminuita
tolleranza glicidica e tendenza all'ipoglicemia nella
seconda parte del test.
Una volta confermato che i sintomi riferiti dal paziente
sono imputabili all'ipoglicemia e che questa ultima è
causata da un'inappropriata secrezione di insulina è
necessario procedere alla diagnosi di sede del tumore.
L'arteriografia selettiva del tripode celiaco e
dell'arteria pancreatica permette la localizzazione del
tumore nell'80% dei casi, ma può anche fornire falsi
positivi. Più precisa, anche se meno agevole, è la
venografia portale transepatica per via percutanea che
permette prelievi di sangue per il dosaggio dell'IRI a
vari livelli dei tronchi venosi afferenti alla porta
(vena splenica, vena mesenterica). L'esame necessita di
una équipe di notevole esperienza. Tra le tecniche
incruente, la tomografia assiale computerizzata è
quella di maggior affidamento, anche se la dimensione
dei tumori in causa è spesso inferiore al potere di
risoluzione dell'apparecchio (falsi negativi). Per lo
stesso motivo, la mancata visualizzazione del tumore con
l'ecografia o la scintigrafia pancreatica con
seleniometionina non esclude la presenza dello stesso;
al più il tumore è riconoscibile solo con la palpazione
del pancreas in corso di laparotomia. Ad addome aperto,
un'utile indicazione per l'individuazione del tumore può
essere fornita anche dall'ecografia intraoperatoria.
Non si ha ancora esperienza, a quanto si sa, con la
risonanza magnetico-nucleare.
Una volta posta la diagnosi di insulinoma in base ai
risultati delle prove funzionali, è opportuno indagare
anche sulla funzione della ipofisi, del surrene e su
quella delle paratiroidi. Con la presenza di neoplasie a
carico anche di queste ghiandole endocrine si
configurerebbe, come noto, la sindrome da neoplasie
endocrine multiple (MEN) tipo I.
Ipoglicemia postprandiale
Questa forma di ipoglicemia, tuttora incerta nella
patogenesi e nella nosografia, si manifesta a distanza
di 2-5 ore dall'ingestione di cibo, con una
sintomatologia di tipo adrenergico (cardiopalmo,
tremori, sudorazione, irritabilità, ansia) e-sebbene più
raramente-di tipo neuroglicopenico.
Nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni,
persistono tuttavia ancora numerosi problemi riguardo i
criteri diagnostici, la classificazione e
l'eziopatogenesi delle principali forme di ipoglicemia
postprandiale.
Un primo punto controverso riguarda la validità dell'OGTT
come test diagnostico nonché l'interpretazione dei
risultati che si ottengono con questa prova. L'OGTT
rappresenta, secondo alcuni Autori, un test di stimolo
non fisiologico proprio perché basato sulla
somministrazione di solo zucchero, mentre nella maggior
parte dei casi un pasto è costituito da carboidrati,
proteine e lipidi. Questi ultimi determinano, rispetto
al pasto esclusivamente glucidico, risposte ormonali più
complesse (le proteine, ad es., stimolano anche la
secrezione di glucagone) ed un rallentamento dello
svuotamento gastrico.Può così accadere che l'ipoglicemia
si presenti dopo ingestione di glucosio, ma non dopo
assunzione di un pasto misto e che-di conseguenza-i dati
deducibili dall'OGTT non possano essere integralmente
adottati per spiegare quadri clinici che si verificano
dopo l'ingestione di cibo. Inoltre, il verificarsi di
ipoglicemia durante il carico orale di glucosio è
influenzato dal contenuto di carboidrati nella dieta nei
giorni immediatamente precedenti la prova. In uno studio
condotto da Permutt e coll. la somministrazione a
soggetti normali volontari di una dieta pressoché priva
di carboidrati per tre giorni comportava la comparsa di
ipoglicemia durante l'OGTT eseguito al quarto giorno.
Nonostante queste limitazioni, il test di tolleranza al
glucosio per os protratto a 5 ore rappresenta a
tutt'oggi l'indagine più appropriata per lo studio dei
pazienti con sospetta ipoglicemia postprandiale, perché
indica sempre un'abnorme reattività del pancreas
endocrino e va eseguita dopo avere invitato il soggetto
ad attenersi per tre giorni ad una dieta contenente
250-300 g di carboidrati. Nel corso della prova assai di
rado si osserva - nei soggetti normali - una glicemia
inferiore a 2,7 mmol/l (pari a 50 mg/100 ml). In uno
studio condotto su un cospicuo numero di soggetti sani,
glicemie inferiori a 2,7 mmol/l e 2,2 mmol/l (pari a 50
e 40 mg/100 ml) sono state riscontrate rispettivamente
nell'8,4% e nell'1,6% della popolazione studiata.
Bisogna inoltre sottolineare che talvolta glicemie
inferiori a 2,7 mmol/l non si accompagnano a sintomi
evidenti e che la risposta glicemica e insulinemica allo
zucchero per os è assai differente nei diversi soggetti
e può variare in maniera significativa in uno stesso
soggetto nel corso del tempo.
Al momento attuale, riteniamo che il dimostrare dopo
carico orale di glucosio una glicemia inferiore a 2,5
mmol/l (pari a 45 mg/100 ml) in concomitanza con il
manifestarsi di sintomi adrenergici e/o neuroglicopenici
e con l'eventuale evidenza biochimica dell'attivazione
degli ormoni della controregolazione permetta di porre
diagnosi di ipoglicemia postprandiale con sufficiente
probabilità di certezza.
Le ipoglicemie postprandiali vengono classificate sulla
base dell'andamento delle curve glicemica ed
insulinemica ottenuta durante l'OGTT (fig.09x).
Ipoglicemia alimentare
Si caratterizza per iperglicemia ed iperinsulinemia
marcate nella prima parte della prova e successiva
ipoglicemia in genere tra la seconda e la quarta ora.
Nella maggioranza dei casi si tratta di soggetti che
hanno subito interventi di gastrectomia e/o
piloroplastica con o senza vagotomia nei quali
l'accelerato svuotamento gastrico e forse una eccessiva
liberazione di ormoni gastrointestinali aventi potere
insulino-secretorio (polipeptide inibitore gastrico,
enteroglucagone) provocano l'ipersecrezione insulinica
che determina l'ipoglicemia.
La reale incidenza di ipoglicemia alimentare nei
soggetti gastrectomizzati non è nota; tuttavia, il
disturbo appare piuttosto frequente e va comunque
differenziato dalla Dumping syndrome. Quest'ultima, come
è noto, si manifesta entro 60 minuti da un pasto con
diarrea, crampi addominali, nausea, astenia,
cardiopalmo, sudorazione.
Rispetto alle altre forme di ipoglicemia postprandiale,
quella alimentare comporta spesso glicemie inferiori e
si accompagna con maggiore frequenza a segni manifesti
di neuroglicopenia.
L'ipoglicemia alimentare è di possibile riscontro anche
in soggetti che non hanno subíto interventi chirurgici
sull'apparato digerente e non presentano alterazioni
evidenziabili dello svuotamento gastrico. In questi
casi, si suppone che l'iperinsulinemia possa essere
causata da un aumento dell'assorbimento intestinale di
glucosio.
Ipoglicemia postprandiale e ridotta tolleranza al
glucosio
L'associazione tra ridotta tolleranza al glucosio e
ipoglicemia è conosciuta da anni ed è stata attribuita
ad un ritardo nella secrezione insulinica indotta dal
glucosio. I sintomi sono in genere modesti e transitori
e-come in altre forme di ipoglicemia postprandiale-non
esiste sempre una netta corrispondenza tra valori
glicemici e sintomatologia. Inoltre, si possono spesso
osservare soggetti con ritardato moderato aumento della
secrezione insulinica che non hanno ipoglicemia; d'altro
lato, quest'andamento della curva insulinemica può
essere riscontrato in soggetti normali che siano stati
mantenuti per diversi giorni ad una dieta povera di
carboidrati. È possibile supporre che all'insorgere
dell'ipoglicemia concorrano-in questo gruppo di
soggetti- diversi fattori fra i quali anche il diverso
grado di sensibilità periferica all'insulina.
Ipoglicemia postprandiale idiopatica
Questo gruppo comprende la maggior parte dei pazienti
con ipoglicemia postprandiale. La diagnosi è di
esclusione e, per definizione, i soggetti con
ipoglicemia postprandiale idiopatica non debbono avere
precedenti di interventi chirurgici sullo stomaco e
duodeno né presentare iperglicemia nella prima fase
dell'OGTT.
La secrezione insulinica può essere aumentata o non
differire significativamente dalla norma. Nella
valutazione di questi pazienti occorre tenere ben
presenti le forme di ipoglicemia indotte da sostanze
esogene, primo fra tutti l'alcool (etanolo) che è in
grado di aumentare significativamente la secrezione
insulinica glucosioindotta.
È possibile che l'ipoglicemia sia attribuibile a
diversi fattori, per esempio un'aumentata sensibilità
periferica all'insulina e, in taluni casi, favorita da
alterazioni degli enzimi che regolano il metabolismo
glicidico. Sono stati descritti casi con difetto
parziale di glucosio-1-6-difosfatasi.
In alcuni soggetti particolarmente neurolabili si
manifestano talvolta i sintomi adrenergici
dell'ipoglicemia in concomitanza con livelli glicemici
normali. Si parla allora di " non ipoglicemia " o di "
sindrome postprandiale idiopatica " a sottolineare
l'estraneità della ipoglicemia al manifestarsi del
quadro clinico. Alcuni studi hanno messo anche in
evidenza, in questi pazienti, una certa correlazione con
tratti della personalità di tipo isterico.
In conclusione, i pazienti con ipoglicemia postprandiale
idiopatica rappresentano un gruppo estremamente
eterogeneo, nell'ambito del quale la diagnosi va posta
solo dopo avere escluso le altre molteplici cause di
ipoglicemia.
Ipoglicemia da farmaci
La causa più comune di ipoglicemia nella pratica medica
è indubbiamente rappresentata dal sovradosaggio di
preparati ipoglicemizzanti, in particolare insulina e
sulfaniluree. L'esame delle crisi ipoglicemiche come
complicanza della terapia del diabete mellito esorbita
dai limiti di questo capitolo. Ricordiamo soltanto come
l'ipoglicemia provocata dalle sulfaniluree sia più
frequente nei soggetti anziani (diminuita efficacia
degli emuntori), si verifichi più spesso in seguito alla
somministrazione di farmaci a lunga emivita, come la
clorpropamide, possa durare anche diversi giorni durante
i quali il paziente deve essere tenuto sotto costante
infusione di soluzioni glucosate. Talvolta essa è
imputabile, più che al sovradosaggio del farmaco,
all'interazione di quest'ultimo con medicamenti
(aspirina, probenecid, inibitori della
mono-aminossidasi, betabloccanti) in grado di provocare
ipoglicemia con meccanismo spesso sconosciuto.
I salicilati, farmaci di largo impiego ed esenti da
prescrizione medica obbligatoria, provocano ipoglicemie
anche molto gravi con meccanismo non ben noto. In certe
condizioni l'aspirina è in grado sia di stimolare la
secrezione insulinica che di aumentare l'utilizzazione
periferica del glucosio.
Il propranololo, capostipite della famiglia dei
betabloccanti non selettivi, aumenta l'utilizzazione
periferica del glucosio e inibisce indirettamente la
gluconeogenesi. Gravi crisi ipoglicemiche provocate
dalla somministrazione di propranololo sono state
descritte in pazienti con quadri morbosi diversi
(infarto del miocardio, insufficienza renale cronica) ed
insorgono prevalentemente a digiuno e/o dopo una certa
attività fisica. Il blocco indotto dal betabloccante sui
recettori betadue-adrenergici rende la crisi più
pericolosa, prolungata e grave perché attenua fino ad
abolire sia i segni della reazione adrenergica
(tachicardia, ansia, palpitazioni) sia la glicogenolisi
adrenalina-indotta. Tra gli altri farmaci la cui
assunzione può provocare ipoglicemia, ricordiamo il
triptolano, il propossifene, la pentamidina, l'acido
paraminosalicilico, alcuni farmaci chelanti (THAM, EDTA,
BAL).
Ipoglicemia da alcool
L'associazione tra alcool ed ipoglicemia è nota da
diverso tempo. La forma più nota è quella che può essere
riprodotta nel soggetto normale somministrando 50-100 g
di alcool dopo un digiuno di 36 ore. Per intuibili
motivi socio-culturali è di frequente riscontro nel
sesso maschile e tra le classi disagiate. Il quadro
clinico, che si manifesta a distanza di 6-24 ore
dall'ingestione di una certa quantità di alcool, si
accompagna a glicemie in genere inferiori a 1,7 mmol/l,
alcolemia superiore a 10 mmol/l, tachicardia, ipotermia,
acidosi metabolica con iperlattacidemia. I livelli di
insulina sono in genere bassi, talvolta normali in
risposta ad elevate concentrazioni di glucagone.
Il meccanismo patogenetico principale è indubbiamente
rappresentato dall'inibizione della gluconeogenesi;
tuttavia, in questi pazienti è spesso possibile
riscontrare un'inibizione della secrezione di alcuni
ormoni della controregolazione (cortisolo, ACTH,
somatotropo).Inoltre, concentrazioni ematiche di alcool
comprese tra 10 e 20 mmol/l sono in grado di aumentare
la secrezione di insulina glucosio-indotta e, per questa
via, di scatenare un'ipoglicemia postprandiale. Crisi
ipoglicemiche indotte dall'alcool sono ovviamente di più
facile riscontro in soggetti predisposti e/o sofferenti
di ipoglicemia postprandiale.
Infine, ricordiamo l'effetto additivo tra alcol e
farmaci ipoglicemizzanti che può portare all'insorgere
di crisi ipoglicemiche gravissime e prolungate.
Tumori extrapancreatici associati ad ipoglicemia
Si tratta di una patologia piuttosto rara (sono stati al
momento attuale descritti nella letteratura mondiale
circa 260 casi, ma è probabile che la reale incidenza
sia più alta) ed a patogenesi molteplice e per molti
aspetti ancora oscura. I tumori extrapancreatici che più
frequentemente si associano ad ipoglicemia sono, in
ordine di frequenza, i tumori di origine mesenchimale
(45% dei casi), prevalentemente sarcomi, mesoteliomi,
emangiopericitomi, indi gli epatomi (23% dei casi), e
infine gli adenocarcinomi del surrene ( 10% dei casi).
Per i sarcomi la localizzazione prevalente è quella
intratoracica o peritoneale: l'aspetto istologico non si
differenzia nettamente da quello dei tumori omologhi che
non si accompagnano ad ipoglicemia. Il disturbo a carico
del metabolismo glicidico può manifestarsi in ogni
momento del decorso della malattia fondamentale, ma è
più frequente quando il tumore ha raggiunto dimensioni
considerevoli.
Per quanto riguarda gli epatomi, alcuni studi condotti
su popolazioni orientali (dove l'incidenza di questo
tipo di tumori è particolarmente elevata), hanno
evidenziato come l'ipoglicemia si accompagni
preferibilmente ai carcinomi epatocellulari primitivi
ben differenziati a lento accrescimento, mentre è rara
nelle forme altamente indifferenziate ed a rapido
accrescimento. Le cause dell'ipoglicemia vengono
ricondotte a tre meccanismi fondamentali:
a. secrezione eccessiva di insulina o sostanze ad azione
insulino-simile; b. eccessivo consumo di glucosio da
parte della massa tumorale; c. diminuita produzione
epatica di glucosio.
Il primo meccanismo, certamente molto suggestivo, è
suffragato dal riscontro nel 40% dei pazienti di elevati
livelli circolanti da alcuni principi aventi attività
insulinosimile. Si tratta, in particolare, delle NSILA-s
che constano di due suLcomponenti, denominate IGF I e
IGF II, a struttura assai simile alla proinsulina. La
prima delle due si identifica con la somatomedina C, uno
dei fattori di accrescimento prodotti a livello epatico
che fungono da mediatori delle azioni periferiche
dell'ormone della crescita. Quando la massa tumorale
raggiunge dimensioni cospicue, come è più facile
osservare nel caso dei sarcomi, il consumo di glucosio
da parte della neoplasia può diventare notevole rendendo
la produzione epatica dello stesso insufficiente a
mantenere una glicemia normale. Oltre a ciò, il quadro è
talvolta complicato da una compromissione epatica così
che l'ipoglicemia è provocata da meccanismi multipli.
La diagnosi di ipoglicemia associata a tumori
extrapancreatici è una diagnosi di esclusione. Ogni
altra causa di ipoglicemia va attentamente considerata e
scartata ed in particolare bisogna sempre valutare la
possibilità che il tumore abbia metastatizzato alle
ghiandole surrenali e/o all'ipofisi e che quindi
l'ipoglicemia rientri nel quadro di una forma endocrina,
da difetto dei principi di controregolazione.
Altre condizioni morbose che si accompagnano ad
ipoglicemia
Ipoglicemia autoimmune
La presenza di anticorpi anti-insulina nel siero di
soggetti che non erano mai stati trattati con insulina
esogena è stata inequivocabilmente dimostrata fin dal
1972. Successivamente, è stato osservato che alcuni di
questi pazienti soffrono di crisi ipoglicemiche. Gli
anticorpi in questione possiedono siti leganti
l'insulina sia a bassa sia ad alta affinità e
l'ipoglicemia si instaura quando, per motivi non noti,
l'insulina legata -e quindi non attiva- si libera dal
legame con l'anticorpo ed acquisisce così la capacità di
esercitare il proprio effetto biologico. Se la quantità
di insulina legata agli anticorpi circolanti è notevole,
la dissociazione può portare alla liberazione di una
quota ragguardevole dell'ormone. Al di fuori delle crisi
ipoglicemiche, questi pazienti presentano alterata
tolleranza glicidica e spesso i sintomi di altre
malattie autoimmuni (M. di Basedow, ad es.). I livelli
circolanti di insulina radioimmunologica sono alti a
causa dell'interferenza nel dosaggio degli anticorpi,
mentre i livelli di insulina libera -al di fuori delle
crisi- sono normali o bassi.
Un'altra categoria di pazienti con ipoglicemia
autoimmune è rappresentata da soggetti portatori di
anticorpi diretti contro i recettori all'insulina. Il
quadro clinico è piuttosto composito e può comprendere
anche l'Acanthosis nigricans. La causa dell'ipoglicemia
è l'attivazione dei recettori all'insulina da parte
degli anticorpi circolanti. Si tratta, dunque, di una
immunoreazione patogena analoga a quella in causa nel
determinismo della malattia di Basedow, dove
l'ipertiroidismo si instaura quando gli anticorpi si
legano al recettore per il TSH sulla cellula tiroidea
stimolandone la funzione.
A differenza che nell’altro gruppo di pazienti con
ipoglicemia autoimmune, i valori circolanti di insulina
dosati con metodo radioimmunologico sono normali.
Talvolta, la comparsa di ipoglicemia è preceduta da un
lungo decorso clinico caratterizzato da diabete mellito
grave per controllare il quale sono necessarie elevate
dosi di insulina. La patologia è comunque molto rara ed
il decorso clinico vario, potendosi osservare crisi
ipoglicemiche ingravescenti e non controllabili o
remissione del quadro umorale e clinico a seguito di
terapia medica. L'esiguità numerica dei casi descritti
fino ad ora in letteratura non permette di trarre chiare
conclusioni.
Ipoglicemia nefrogena
Crisi ipoglicemiche si osservano spesso in pazienti con
insufficienza renale cronica di grado elevato sottoposti
a dialisi e nei quali i sintomi della crisi ipoglicemica
vengono talvolta erroneamente attribuiti alle gravi
condizioni del paziente. L'ipoglicemia, che si
accompagna facilmente ad acidosi ed iperlattacidemia,
riconosce meccanismi fisiopatologici diversi: inibizione
della gluconeogenesi, deficit di substrati, più
raramente iperinsulinemia.
Ipoglicemta factitia
L'ipoglicemia secondaria all'autosomministrazione di
insulina o di ipoglicemizzanti orali è più frequente di
quanto non si ritenga abitualmente e si riscontra di
solito nel personale sanitario o nei parenti di
diabetici: evidentemente si tratta di pazienti con
problemi psichiatrici talora molto importanti. È
chiaro che durante il ricovero ospedaliero il paziente
deve essere attentamente sorvegliato per evitare che
assuma farmaci. Nell'ipoglicemia causata dalla
somministrazione di insulina i livelli plasmatici di
insulina sono elevati mentre sono di solito molto bassi
quelli del peptide C.; al contrario entrambi sono
elevati nel caso di assunzione di sulfaniluree, che
possono essere rilevate sia nel sangue che nelle urine.
Ovviamente, per assumere valore diagnostico, le indagini
di laboratorio vanno attuate su prelievi di sangue
eseguiti durante le crisi.
Ipoglicemia in corso di malaria
Crisi ipoglicemiche gravi possono manifestarsi
nell'8-10% dei pazienti affetti da malaria causata da
Plasmodium falciparum (terzana maligna). Le indagini di
laboratorio mettono in evidenza elevati livelli di
insulina circolante, di lattato e di alanina, basse
concentrazioni di betaidrossibutirrato. L'ipoglicemia è
probabilmente il risultato di diversi meccanismi:
l'aumento della secrezione insulinica provocato dalla
somministrazione di alte dosi di chinino, inibizione
della gluconeogenesi, elevato consumo di glucosio da
parte delle emazie parassitate. Le crisi sono spesso
ricorrenti e l'incidenza dalla ipoglicemia è maggiore
nelle donne gravide.
Terapia
Nel trattamento delle sindromi ipoglicemiche accanto al
trattamento causale, medico o chirurgico, trova un posto
particolare, specie nell'emergenza, il trattamento
sintomatico.
La terapia sintomatica, consiste esclusivamente nel
ripristino dei normali livelli glicemici. Quando il
paziente è in stato di semicoscienza possono bastare
30-40 g di glucosio per os sciolti in acqua. In caso di
coma ipoglicemico si somministrano 30-40 ml di soluzione
glucosata ipertonica al 40% per via venosa seguita da
una infusione lenta di 250 ml di soluzione glucosata al
5%.
Nell'eventualità che l'ipoglicemia sia stata indotta da
alcol, tossici, sulfaniluree o insulina ritardo è
consigliabile mantenere il paziente sotto infusione
costante di soluzione glucosata al 10% sorvegliandolo
attentamente. In questi casi l'ipoglicemia si può
protrarre per lungo tempo o aggravarsi tardivamente o
serpeggiare subdolamente.
In taluni casi, la presenza di crisi convulsive,
contratture o movimenti clonici muscolari non rende
possibile praticare iniezioni e.v. Si può allora
somministrare preliminarmente 1 mg di glucagone per via
intramuscolare, ripetibile dopo pochi minuti.
L'efficacia del farmaco, come è ovvio, dipende da
presenza di riserve integre di glicogeno epatico. Allo
stesso modo agisce l'adrenalina (0,5-1 mg s.c.
ripetibile al bisogno anche dopo 1-2 ore) la cui
somministrazione richiede però più cautela ed è
nettamente controindicata nei pazienti cardiopatici o
ipertesi.
Nei pazienti con ridotto glicogeno epatico o con
gliconeogenesi difettosa è opportuno somministrare,
insieme alle soluzioni glucosate, 100-200 mg, o anche
più, di cortisolo emisuccinato endovena o intramuscolo.
Nell'ambito di un trattamento sintomatico a lungo
termine un posto preminente spetta alla dieta. Questa
dovrà essere composta da pasti piccoli e frazionati nel
corso delle 24 ore per evitare lunghi periodi di
digiuno. Nelle forme di ipoglicemia post-prandiale
bisogna ridurre i carboidrati a non più di 100-200 g al
dì, dando una netta preferenza alle proteine ed ai
lipidi. La dieta deve essere isocalorica, suddivisa in
tre pasti principali e due spuntini, pressoché priva di
zuccheri a pronto assorbimento e contenente invece
farinacei i cui polisaccaridi vengono assimilati
lentamente.
Quando la sola dieta non è sufficiente ad eliminare i
disturbi da ipoglicemia postprandiale, si può fare
ricorso alle fibre indigeribili (farina di Guar, crusca,
Psyllium idrocolloides, ecc.) che ritardano
l'assorbimento del glucosio. In casi selezionati si può
associare la fenformina, tenendo presente che questo
farmaco, in alcune condizioni (ipossia, infezioni) può
indurre acidosi lattica. Altra possibilità è la
somministrazione di un bloccante colinergico, ad es. Ia
propantelina alla dose di 7,5 mg ai pasti o anche di un
betabloccante non cardioselettivo, entrambi capaci di
ridurre significativamente la secrezione. Tassativa la
sospensione del fumo, del caffè, dell'alcol; nei
pazienti neurolabili sono utili l'uso di ansiolitici o
sedativi ed eventualmente la psicoterapia.
Le forme di ipoglicemia post-prandiale che
caratterizzano l'alterata tolleranza glicidica dei
soggetti obesi si giovano della riduzione ponderale e
della eventuale somministrazione di biguanidi.
Nei pazienti portatori di insulinoma, la terapia di
elezione è quella chirurgica con l'exeresi del tessuto
neoplastico. Quando non è possibile individuare il
tumore all'intervento, è meglio rinviare l'intervento a
quando sarà possibile localizzare con chiarezza dove è
situata la neoplasia. In ogni caso, la pancreasectomia
totale alla cieca va evitata. I problemi del
monitoraggio preoperatorio della glicemia possono esser
brillantemente risolti usando un pancreas artificiale
(Biostator). In tale maniera, si ha un controllo
continuo dei valori glicemici e si può documentare la
netta ascesa della glicemia conseguente all'asportazione
del tumore, senza intralciare minimamente il lavoro
dell'équipe chirurgica.
In caso di nesidioblastosi, l'asportazione dell'80% del
pancreas comporta di solito un netto miglioramento del
quadro clinico.
Nei casi di tumori secernenti insulina in cui non possa
essere attuato o debba essere procrastinato l'intervento
chirurgico, il medicamento di prima scelta è il
diazossido per os ad una dose di 200-800 mg/die. Si
consiglia di iniziare la terapia con 25 mg in 4
somministrazioni nelle 24 ore, in genere prima dei
pasti, e di aumentare gradualmente la dose fino a
trovare la minima dose efficace. Effetti collaterali
indesiderati sono la ritenzione idrica e l'irsutismo,
più raramente disturbi gastroenterici e leucopenia.
Utile può essere la contemporanea somministrazione di un
diuretico tiazidico (25-75 mg/die) che agendo in
sinergismo col diazossido sui livelli glicemici, può
consentire di ridurre la dose del farmaco. Solo nel caso
in cui non sia possibile somministrare diazossido si può
tentare una terapia con difenilidantoina (400-600
mg/die) o clorpromazina (fino a 500 mg/die) o
propranololo (la dose sarà in relazione alla diminuzione
della frequenza cardiaca che non deve scendere sotto i
60 al minuto primo).
Altri tentativi terapeutici di inibire la secrezione
insulinica usando i calcio-antagonisti (Verapamil) o la
somministrazione per via sottocutanea di analoghi della
somatostatina a lunga emivita non hanno sortito
risultati tali da consigliare il loro uso. Nella nostra
esperienza, la possibilità di inibire la secrezione
insulinica tumorale con diazossido o somatostatina è
apparsa correlata al tipo istologico di insulinoma.
Diverso è il trattamento che va applicato in caso di
carcinoma insulare con metastasi diffuse. In questi
pazienti il farmaco di prima scelta è rappresentato
dalla streptozotocina, antibiotico estratto dallo
Streptomyces achromogenes, dotato di selettiva azione
necrotizzante sulle cellule beta insulari. La dose varia
da 0,6 a 2 g/m^2 di superficie corporea a settimana per
infusione lenta, monitorando la funzione epatica e
renale. Altra possibilità consiste nell'infusione lenta
intra-arteriosa del farmaco mediante cateterismo
selettivo del tripode celiaco. Tra i farmaci
antiblastici più noti, dopo la streptozotocina il più
efficace negli insulinomi maligni è il 5fluorouracile
(dose media 0,5 g/m^2 di superficie corporea): ma come è
noto il farmaco ha notevoli effetti tossici. Non si
hanno ancora notizie sugli effetti della epirubicina o
del mitoxantrone.
Sono una ragazza di 21 anni. Ho nonni paterni entrambi
deceduti per diabete. Mia mamma probabile sindrome
metabolica. Il mio ultimo ciclo mestraule risale a
febbraio 2008 e da allora amenorrea. Per comprenderne le
cause sono stata sottoposta a Prova da carico orale di
Glucosio (75gs) e Insulinemia in OGTT. I risultati sono
i seguenti:
Glucosio tempo 0’ = 87
Glucosio tempo 30’ = 104
Glucosio tempo 60’ = 80
Glucosio tempo 90’ = 33
Glucosio tempo 120’ = 53
Glucosio tempo 180’ = 40
Insulina base = <2
Insulina tempo 30’ = 139
Insulina tempo 60’ = 167
Insulina tempo 90’ = 22
Insulina tempo 120’ = 29
Insulina tempo 180’ = 8
Sono andata da un endocrinologo che dopo aver valutato i
sintomi che gli riportavo ha diagnosticato ipoglicemia
reattiva severa. Però non mi ha dato nessun altra
indicazione. Vorrei sapere una vostra opinione al
riguardo e sapere che tipo di trattamento sarebbe
opportuno che seguissi. Sono normo peso e faccio lieve
attività fisica. Dalle analisi ormonali ho i livelli di
estrogeni e gonadotropine molto bassi. Inoltre soffro di
stipsi cronica che non riesco a risolvere neanche con
una adeguata alimentazione.
Risponde il diabetologo:
Indubbiamente i risultati della curva che lei riporta
indicano una ipoglicemia reattiva. Devo comunque fare
alcune osservazioni:
1.
non ci descrive i sintomi che ha riferito al suo
endocrinologo per cui è difficile darle risposte certe.
Se i sintomi sono compatibili con il valore glicemico
trovato la diagnosi è certa, altrimenti la diagnosi
andrebbe confermata con una seconda curva, o come si fa
attualmente con l’ Holter glicemico
2.
se la diagnosi è certa (“ipoglicemia reattiva”)
dovrebbe continuare con la attività fisica e mantenere
il peso per la prevenzione del diabete, visto che in
alcuni casi la ipoglicemia reattiva può precedere il
diabete. Come terapia usare una alimentazione con
carboidrati ad assorbimento lento che non stimolino la
secrezione di insulina. In linea di massima può usare
come riferimento l’Indice
Glicemico orientandosi verso i cibi che hanno un
indice minore. Per ultimo Le consiglio di usare un
glucometro (strumento per controllo domiciliare della
glicemia) per valutare direttamente il risultato di
questa strategia. Meglio sarebbe redigere un diario con
i cibi usati e il valore glicemico indotto dopo 1 e 2
ore
INDICE GLICEMICO
Introduzione
Quando mangiamo un alimento ricco di zuccheri, i livelli
di glucosio nel sangue aumentano progressivamente man
mano che si vanno digerendo e assimilando gli amidi e
gli zuccheri in esso contenuti. La velocità con cui il
cibo viene digerito e assimilato cambia a seconda
dell'alimento e del tipo di nutrienti che lo compongono,
dalla quantità di fibra presente e dalla composizione
degli altri alimenti già presenti nello stomaco e
nell'intestino durante la digestione.
Questo fenomeno viene misurato tramite l'Indice
Glicemico (IG). Esso classifica quindi i cibi in base
alla loro influenza sui livelli di zucchero nel sangue
(glicemia) e riguarda i cibi ad alto contenuto di
carboidrati. I cibi ad alto contenuto di grasso o di
proteine non hanno un effetto immediato sulla glicemia
(come invece accade per i carboidrati semplici o
complessi), ma ne determinano un tardivo incremento
prolungato (3-4 ore, ad opera della gluconeogenesi
epatica da AA gluconeogenetici). Per questa ragione
spesso si consiglia di incrementare le proteine nel
pasto serale dei bambini come effetto tampone ritardato
sul calo fisiologico della glicemia tra le 24 e le 3 del
mattino successivo.
L'American Diabetes Association (ADA) ha messo in dubbio
l'utilità clinica dell'IG, raccomandando di rivolgere
l'attenzione più sulla quantità che sulla fonte dei
carboidrati.
Wolever nel suo articolo "The
Glycemic Index: Flogging a Dead Horse?"
pubblicato su Diabetes Care, conferma invece, pur
riconoscendone alcuni limiti, l'utilità dell'IG nella
dieta del diabetico.
Servirsi dell'IG per preparare pasti sani, aiuta a
tenere la glicemia sotto controllo. Ciò è
particolarmente importante per i diabetici, sebbene
anche gli atleti e le persone che sono sovrappeso
potranno trarre beneficio dalla conoscenza di questo
concetto relativamente nuovo di corretta alimentazione.
Studi recenti condotti su un gran numero di diabetici (DCCT
e
UKPDS) dimostrano che coloro che mantengono le
proprie glicemie sotto stretto controllo incorreranno
meno facilmente nelle complicanze tipiche di questa
malattia. Gli esperti sono concordi nell'affermare che
ciò che fa meglio alle persone affette da diabete - e
probabilmente anche alle persone sane - è praticare
regolarmente esercizio fisico, assumere pochi grassi
saturi, e tenere una dieta ricca di fibre.
Il vero problema sono i carboidrati. L'idea ufficiale è
che una dieta ricca di carboidrati è la migliore per i
soggetti diabetici. Comunque ci sono anche alcuni
esperti, guidati dall'endocrinologo Richard K.
Bernstein, che raccomandano una dieta povera di
carboidrati, perché i carboidrati si dissociano
rapidamente nel corso della digestione e possono portare
la glicemia verso livelli pericolosi.
Molti cibi ricchi di carboidrati hanno alti IG, e
certamente non hanno buoni effetti per una gran parte di
diabetici. Altri carboidrati si dissociano più
lentamente, rilasciando glucosio gradualmente e si dice
che hanno IG più bassi.
Prima dello sviluppo del concetto di IG (iniziato nel
1981) gli scienziati ritenevano che il nostro corpo
assorbisse e digerisse gli zuccheri rapidamente,
producendo dei rapidi incrementi della glicemia. Questo
era il motivo essenziale per cui si consigliava di
evitare l'assunzione di zucchero, una prescrizione
questa che recentemente è stata attenuata dalla American
Diabetes Association e da altri.
Ora sappiamo che gli zuccheri semplici non fanno salire
la nostra glicemia più rapidamente di quanto non
facciano alcuni carboidrati complessi. Naturalmente, gli
zuccheri semplici sono semplicemente calorie e quindi
devono essere minimizzati per questa ragione.
I carboidrati ad alto IG possono dar luogo a conseguenze
importanti nel controllo del diabete e dell'obesità.
In primo luogo l'aumento rapido dei livelli di glicemia
provoca la secrezione di insulina in grande quantità (o
richiede un aumento di quella somministrata
dall'esterno), però siccome le cellule non possono
assorbire adeguatamente tutto il glucosio, si attiva il
metabolismo dei grassi cominciando a trasformarli in
tessuto adiposo.
Il nostro codice genetico è stato programmato in questo
modo per permettere di sopravvivere meglio ai periodi di
scarsità di cibo. In una società come la nostra, non
tutte le riserve di grasso vengono utilizzate e noi
diventiamo obesi.
Inoltre, tutta l'insulina secreta provoca un rapido
utilizzo di tutti gli zuccheri presenti nel torrente
circolatorio ed assorbiti dal tubo gastroenterico, e due
o tre ore dopo lo zucchero nel sangue si esaurisce e
rischiamo di passare ad uno stato di ipoglicemia. Quando
questo succede, il funzionamento del nostro corpo e del
nostro cervello non è più ottimale, e sentiamo la
necessità di mangiare nuovi alimenti. Se mangiamo molti
carboidrati per fronteggiare la fame causata
dall'ipoglicemia, generiamo una nuova secrezione di
insulina, entrando in un circolo vizioso.
Molti risultati sugli IG sono risultati sorprendenti. Ad
esempio le patate al cartoccio hanno un IG
considerevolmente più alto di quello delle zollette di
zucchero.
Sono stati finora misurati gli IG di circa 300 cibi
ricchi in carboidrati. Il segreto è mangiare pochi di
quei cibi con alto IG e una quantità maggiore di cibi
con indice basso.
Gli IG sono percentuali calcolate in base ad un cibo di
riferimento. Qui sono calcolate con riferimento al pane
bianco. In altre parole, sulla scala di riferimento, il
pane bianco è uguale a 100 (scala generalmente
utilizzata negli USA). Se si moltiplica l'IG di questa
scala per 0,7 si converte l'IG a quello di una scala in
cui il glucosio è uguale a 100.
"L'indice glicemico: fatica sprecata?"
di THOMAS M.S. WOLEVER, MD, PHD
Diabetes Care, Volume 20, Number 3, March
1997, pp. 452-456
Sommario:
L'Indice Glicemico (IG) è un metodo che
permette la classificazione dei cibi basata
sul potere degli stessi di elevare il
livello della glicemia.
L'American Diabetes Association (ADA) ha
messo in dubbio l'utilità clinica dell'IG e
raccomanda che l'attenzione sia rivolta
prioritariamente alla quantità, piuttosto
che alla fonte, dei carboidrati. Alcuni
hanno interpretato ciò nel senso che tutti i
carboidrati hanno quasi lo stesso effetto
sulla glicemia, perciò alcuni pensano ora
che l'IG sia ormai un'idea superata. Ciò
nonostante, le ragioni per mettere in dubbio
l'utilità clinica dell'IG, sono infondate
per i seguenti motivi:
-
Sono basate su studi che hanno misurato
la risposta glicemica ad un unico pasto
o al massimo a due. Ciò fornisce
un'evidenza non sufficiente su cui
basare delle raccomandazioni dietetiche;
-
Sono basate su una errata
interpretazione di tutti gli studi
citati come evidenza;
-
Non tengono conto di studi più elaborati
che mostrano che l'IG è applicabile ai
pasti misti;
-
Non tengono conto degli studi che
dimostrano che una dieta che tenga
-
sotto controllo l'IG garantisce
generalmente un miglior controllo della
glicemia nei soggetti diabetici.
L'IG è un concetto valido e potenzialmente
utile, ma è anche piuttosto complesso.
Ci sono ancora molte questioni non risolte e
ancora non si è stabilito con precisione che
posto possa occupare l'IG nell'educazione
del paziente.
Comunque non si possono fare progressi senza
equilibrio e oggettività.
Alcuni brani estratti dall'articolo:
Esiste invece dell'evidenza che mostra come
la fonte dalla quale provengono i
carboidrati ingeriti è uno dei fattori che
influenzano maggiormente la risposta
glicemica ai pasti misti in soggetti
diabetici ed anche che le diete a basso IG
migliorano in generale il controllo
glicemico.
. . .
Hollenbeck et al. hanno condotto un
esperimento alimentando dei pazienti
diabetici con tre tipi di dieta e hanno
trovato che la dieta con minore IG ha
procurato dei risultati statisticamente
significativi di un più basso livello di
glucosio e di insulina, rispetto alle diete
a più alto IG.
. . .
Insomma, non posso accettare la conclusione
che l'IG non abbia utilità clinica. Infatti
l'evidenza disponibile è a favore
dell'utilità dell'IG sia per quanto riguarda
la sua applicazione ai pasti misti che i
suoi effetti a lungo termine sul controllo
della glicemia.
Il principio che sta dietro l'IG è lo stesso
di quello noto per gli inibitori della
glucosidasi, cioè il fatto di permettere che
l'aumento della glicemia postprandiale sia
tenuto sotto controllo grazie alla riduzione
del tasso di assorbimento dei carboidrati.
Bisogna comunque usare delle cautele,
infatti l'IG non è il solo, né il più
importante criterio di valutazione di un
alimento. Alcuni cibi a basso IG devono
comunque essere usati con moderazione a
causa del loro alto contenuto di grassi
(cioccolata, noccioline...), e alcuni cibi
ad alto IG possono rivelarsi delle buone
scelte dietetiche perché hanno poche calorie
e alto valore nutritivo (carote) o, in
alcune situazioni, possono essere una scelta
appropriata perché alcuni alimenti ad alto
IG hanno pochi grassi (es. pane, i cereali
in fiocchi....).
Insomma l'IG è importante come informazione
aggiuntiva alle classiche tabelle che
descrivono le caratteristiche dei cibi, ma
non vuole essere un dato in grado di
riassumere, né sostituire, le altre
informazioni. |
Come si determina l'Indice Glicemico
L'IG si determina in laboratorio in condizioni
controllate. Il processo consiste nel far mangiare i
cibi da testare a diverse persone, alcune con il
diabete, altre senza, in porzioni che contengono 50 gr.
di carboidrati disponibili (Wolever Thomas MS. "The
Glycemic Index: Flogging a Dead Horse?", Diabetes
Care).
L'IG
è il rapporto tra l'area della curva di assorbimento
dopo l'ingestione di 50 gr. di glucosio (o di un'altro
alimento di riferimento, come il pane bianco) in un
certo tempo, e quella ottenuta dall'ingestione
dell'alimento di cui si effettua la misura. L'area al di
sotto della curva, viene espressa come percentuale del
valore medio calcolato per il cibo di riferimento nello
stesso soggetto.
Infine, si fa una media delle percentuali ottenute da
ogni soggetto per ottenere l'IG per il cibo in questione
(Wolever, Thomas M.S. et al. "The
Glycemic Index: Methodology and Clinical Implications",
Am-J-Clin-Nutr.1991 Nov; 54(5): 846-54).
Per esempio, per testare gli spaghetti, gli studiosi,
ne somministrano ai volontari 200 gr. (che secondo le
tavole standard della composizione dei cibi contengono
50 grammi di carboidrati disponibili). Vengono poi
rapportate la risposta a questa somministrazione con
quella ottenuta dal cibo di riferimento. L'intero
processo viene ripetuto in giorni diversi per evitare
l'influenza delle variazioni delle diverse condizioni
che si possono verificare da un giorno all'altro.
Alcune importanti considerazioni
L'IG non deve essere l'unico criterio nel selezionare
cosa mangiare.
L'importo totale dei carboidrati, la quantità e il tipo
di grassi, le fibre e il sale contenuti nei cibi, sono
considerazioni dietetiche ugualmente molto importanti.
L'IG è utile soprattutto quando si deve decidere quale
cibo ad alto tenore di carboidrati mangiare. Ma non
lasciate che l'IG vi faccia sentire sicuri nel ingerire
più carboidrati di quelli che il vostro fisico può
gestire, particolarmente se siete diabetici.
Bisogna quindi conoscere il contenuto di carboidrati
dei cibi (spesso sono indicati nelle informazioni
nutrizionali riportate sulla confezione) e stabilire in
che proporzione devono essere presenti, nella vostra
dieta carboidrati, grassi e proteine. Quasi tutti gli
esperti concordano sul fatto che dovremmo minimizzare
l'assunzione di grassi saturi e mangiare molte più fibre
di quanto non facciamo.
Alcuni altri grassi, particolarmente quelli dei pesci
che vivono in acque fredde ed essenzialmente acidi
grassi come quelli che si trovano in grande quantità
nell'olio di oliva, sembrano essere benefici. Al di là
di questo, la disputa è tra chi sostiene che dovremmo
mangiare più proteine e quelli che affermano che i
carboidrati dovrebbero fornirci la maggior parte delle
calorie che ci necessitano.
Non tutti i carboidrati sono inoltre uguali. Alcuni
si dissociano velocemente durante la digestione
provocando un repentino innalzamento della glicemia
verso livelli pericolosamente alti. Questi sono i cibi
con IG più alto. Altri carboidrati si dissociano più
lentamente e rilasciano glucosio più gradualmente e si
dice abbiano IG più basso. Prima dello sviluppo dell'IG,
gli studiosi ritenevano che il nostro corpo assorbisse e
digerisse gli zuccheri semplici rapidamente, e ciò
producesse rapidi incrementi dei livelli di glicemia. E
questo era il ragionamento alla base dell'ammonimento di
evitare lo zucchero, una prescrizione questa
recentemente attenuata dall'American Diabetes
Association e da altri.
Di contro, gli specialisti pensavano che assorbissimo
amidi come il riso e le patate lentamente, e che ciò
causasse quindi innalzamenti della glicemia modesti.
Test clinici dell'IG hanno dimostrato che questa
assunzione è falsa. Fattori come la varietà, il modo di
cucinare un cibo, i trattamenti che l'alimento subisce,
possono influenzare l'IG di un cibo.
La grandezza dei grani è un altro fattore importante;
secondo uno studio del 1988 di Heaton et al. i
ricercatori hanno scoperto che l'IG del frumento, del
mais e dell'avena aumentava con la maggiore raffinazione
dei grani: più il chicco è integro minore è l'IG.
Inoltre, la risposta della glicemia ad un cibo
particolare può essere in qualche modo soggettiva. Può
essere quindi utile controllare la propria glicemia dopo
aver ingerito dei cibi sull'effetto dei quali non si è
certi in modo da determinare se hanno un IG soggettivo
basso o alto.
È bene inoltre notare che i numeri variano da uno
studio all'altro. Ciò può essere dovuto a fattori
soggettivi (gli individui che si sono sottoposti ai test
differenti), oppure ad altri cibi ingeriti
contemporaneamente, o ai modi diversi di preparare uno
stesso cibo, poiché il corpo può assorbire meglio certi
cibi se sono cucinati meglio. La maggior parte (ma non
tutti) dei cibi testati sono ricchi di carboidrati. Ci
si potrebbe interrogare sui cibi mancanti - perché altri
cibi ricchi di carboidrati e poco calorici come il
sedano o i pomodori, o cibi simili, non sono mai stati
testati? Si tratta per gli scienziati di un problema
tecnico: sarebbe difficile far mangiare a un volontario
50 grammi di carboidrati provenienti dal sedano (è più
sedani di quanto tu possa immaginare!) Diciamo che dal
punto di vista dell'IG i cibi come il sedano possono
essere considerati "free foods", ossia cibi che non
influiscono sensibilmente sul livello della glicemia.
Pasti misti
Alcuni si domandano se l'IG sia in grado di predire
l'effetto di un pasto misto, ossia un pasto che è
composto da cibi con IG molto differenti. Diversi studi
dimostrano che l'IG è molto adatto e utile ad assolvere
questo compito.
Più di 15 studi si sono occupati del modo di
stabilire l'IG di pasti misti. 12 di questi studi hanno
mostrato che esiste un'eccellente correlazione tra ciò
che ci si aspettava e ciò che è stato effettivamente
verificato. Si può prevedere piuttosto correttamente
l'IG di un pasto misto, semplicemente moltiplicando la
percentuale totale di carboidrati contenuti in ciascun
cibo per il suo indice glicemico e addizionare i
risultati ottenuti per ottenere l'IG dell'intero pasto.
La professoressa Brand Miller riporta un esempio a pag.
29 del suo libro "The G.I. Factor". Il report di una
Joint FAO/WHO Expert Consultation "Carbohydrates in
Human Nutrition" riporta un'esauriente spiegazione e un
esempio.
I tre studi che non hanno mostrato la correlazione
attesa sono stati condotti da un gruppo di ricercatori
che non hanno usato una metodologia standardizzata per
ricavare l'IG dall'area al di sotto della curva. Inoltre
i loro pasti erano ricchi di grassi che notoriamente
tendono a ridurre l'impatto di ogni cibo a base di
carboidrati.
Alcuni alimenti particolari
Pizza
Molte persone hanno notato che la pizza sembra mantenere
la loro glicemia alta più a lungo che un altro cibo.
Mentre la ragione per la quale succede questo rimane un
mistero, questa credenza popolare ha ora una conferma
scientifica.
Ahern et al. hanno confrontato su pazienti insulino
dipendenti l'effetto di un pasto a base di pizza con
quello prodotto da un pasto che contiene cibi ad alto
indice glicemico. Hanno scoperto che sebbene
inizialmente l'incremento della glicemia era simile per
i due pasti, l'IG ha continuato a salire ed è aumentato
significativamente dalle 4 alle 9 ore successive dopo la
pizza, diversamente che per il pasto di controllo. Un
effetto simile lo dà anche la focaccia salata.
Riso
Riso e patate sono alcuni dei cibi più testati per gli
indici glicemici.
Sono importanti sia perché se ne mangia una discreta
quantità, sia perché possono avere un IG alto. La Prof.
Brand Miller riporta il risultato di 49 studi sul riso.
Gli indici trovati variano da 54 a 132.
Quale può essere la causa di una tale variabilità?
Secondo la prof. Brand Miller, per il riso una delle
considerazioni più importanti riguarda il rapporto che
esiste tra "amilosio e amilopectina". Lei dice che
l'unico alimento integrale a grani che ha un IG alto è
il riso a basso contenuto di "amilosio". Esistono
comunque alcune varietà di riso (come il Basmati, un
riso a grani lunghi, o il Doongara, una nuova varietà
australiana) che hanno valori intermedi di IG poiché
hanno un contenuto di "amilosio" maggiore che il riso
normale.
Si può dire che esistono quattro tipi di riso: a grani
lunghi, a grani medi, a grani piccoli e quello che si
chiama riso "dolce". Quest'ultimo è quello usato
normalmente nella cucina asiatica e non contiene
"amilosio", e quindi è quello dal più alto indice
glicemico. Tra gli altri tre tipi, il riso a grani
lunghi è quello il cui contenuto di amilosio è più alto,
mentre quello a grani corti ha il contenuto di amilosio
più basso. Inoltre il riso, meno è raffinato, minore è
il suo IG.
Patate
La Prof. Brand Miller riporta il risultato di 24 studi
sulle patate. Gli indici trovati per le patate variano
da 67 a 158.
Secondo Brand Miller la varietà Pontiac è un caso a
parte: queste patate hanno una buccia rosa ed hanno un
IG pari a 80, minore di quello di altre varietà. A dire
il vero, altri test dell'IG di patate novelle e patate
bianche danno risultati addirittura più bassi. La
spiegazione sta quasi certamente nel fatto che le
Pontiac contengono poco amido. Sembra cioè che ci sia
una correlazione positiva tra contenuto di amido e IG
delle patate.
Latte
Il latte di mucca ha un IG da 39 (intero) a 46 scremato.
Può essere interessante paragonarlo al latte di soia che
ha IG 43 e un contenuto di carboidrati pari a 4,5 g/100
ml. Ciò non sorprende, dal momento che i fagioli di soia
hanno IG pari a 25. Ma bisogna fare molta attenzione al
fatto che non tutti i latti di soia sono prodotti allo
stesso modo, quindi anche il loro IG varia.
Si può notare inoltre che i carboidrati presenti nelle
bevande di soia hanno IG più basso del lattosio.
Fruttosio, Sciroppo di mais ad alto tenore di fruttosio
e Maltodestrine
Lo sciroppo di mais ad alto tenore di fruttosio non è la
stessa cosa che il fruttosio. Mentre quest'ultimo è
fruttosio puro, il primo è un misto tra fruttosio e
glucosio e il suo IG è inferiore (85-92, laddove quello
del pane bianco è 100).
Le maltodestrine hanno invece stesso IG del glucosio.
Indici glicemici di alcuni alimenti
Tutti i valori riportati (eccetto quelli annotati) sono
basati su circa 80 studi presi dalla letteratura
scientifica internazionale. Molti cibi sono stati
eliminati dalla lista originale, perché riportavano
molti alimenti non reperibili in Italia. Per comodità,
sono stati messi in ordine crescente di valore. In
questa lista il pane bianco è l'alimento di riferimento
ed ha quindi un valore pari a 100. Questo perché è un
cibo tipico ed è più vicino alla realtà quotidiana
rispetto al classico glucosio, che viene usato solo in
studi scientifici. Per calcolare l'IG rispetto al
glucosio basta moltiplicarlo per 0,73. La tabella è
aggiornata al luglio del 1997.
Yogurt a basso tenore di grassi dolcificato con
aspartame |
20 |
Farina d'avena galletta |
79 |
Fagioli di soia in scatola |
20 |
Biscotti da té |
79 |
Noccioline |
21 |
Succo di frutta mista |
79 |
Fagioli di soia |
25 |
Popcorn |
79 |
Crusca di riso |
27 |
Muesli |
80 |
Fagioli rossi |
27 |
Mango |
80 |
Ciliege |
32 |
Uva sultanina |
80 |
Fruttosio |
32 |
Patate comuni bianche bollite |
80 |
Piselli secchi |
32 |
Riso integrale |
81 |
Cioccolato al latte dolcificato con aspartame |
34 |
Patate novelle |
81 |
Fagioli marroni |
34 |
Riso bianco |
83 |
Pompelmo |
36 |
Riso bianco, alti amidi |
83 |
Lenticchie rosse |
36 |
Pasticcio di carne |
84 |
Spaghetti arricchiti di proteine |
38 |
Pizza al formaggio |
86 |
Latte + 30g di crusca |
38 |
Zuppa di piselli |
86 |
Latte intero |
39 |
Hamburger bun |
87 |
Fagioli secchi comuni |
40 |
Farinata di fiocchi di avena |
87 |
Salsicce |
40 |
Gelato |
87 |
Lenticchie comuni |
41 |
Barrette di muesli |
87 |
Fagioli |
42 |
Patate confezionate |
87 |
Lenticchie verdi |
42 |
McDonald's Muffins |
88 |
Fagioli Neri |
43 |
Sciroppo di mais ad alto tenore di fruttosio |
89 |
Latte di Soya |
43 |
Biscotto di pasta frolla |
91 |
Albicocca |
44 |
Uva passa |
91 |
Piselli bolliti |
45 |
Pane di segale |
92 |
Latte scremato |
46 |
Maccheroni al formaggio |
92 |
Fettuccine |
46 |
Saccarosio/zucchero di canna |
92 |
Nutella (Ferrero) |
46 |
|
92 |
Yogurt a basso contenuto di grassi, dolcificato
con zucchero della frutta |
47 |
Timballo |
93 |
Segale |
48 |
Cous-cous |
93 |
Orzo |
49 |
Pane di segale, alte fibre |
93 |
Cioccolato al latte senza zucchero |
49 |
Cocomero |
93 |
Vermicelli |
50 |
Patate al vapore |
93 |
Yogurt standard |
51 |
Cordiale all'arancia |
94 |
Pere fresche |
52 |
Ananas |
94 |
Succo di mela |
53 |
Semolino |
94 |
Spaghetti |
53 |
Gnocchi |
95 |
Mela |
54 |
Cornetti (croissant) |
96 |
Pastina Star |
54 |
Nocciole |
96 |
Polpa di pomodoro |
54 |
Fanta |
97 |
Pane d'orzo |
55 |
Mars barrette |
97 |
Ravioli |
56 |
Pane di frumento, alte fibre |
97 |
Spaghetti cotti per 5 min. |
58 |
Frittella |
98 |
All-Brain |
60 |
Crema di frumento |
100 |
Pesca fresca |
60 |
Biscotti di frumento |
100 |
Aranicia |
63 |
Purea di patate |
100 |
Pere in scatola |
63 |
Carote |
101 |
Zuppa di lenticchie in scatola |
63 |
Pane bianco di frumento |
101 |
Cappellini |
64 |
Crackers |
102 |
Maccheroni |
64 |
Melone |
103 |
Linguine |
65 |
Panino |
104 |
Riso rapido bollito per 1 min. |
65 |
Miele |
104 |
Lattosio |
65 |
Patate bollite schiacciate |
104 |
Pan di Spagna |
66 |
Corn chips |
105 |
Uva |
66 |
Panino ripieno |
106 |
Succo d'ananas |
66 |
Patate fritte |
107 |
Pesche in scatola |
67 |
Zucca |
107 |
Riso parboiled |
68 |
Cialde |
109 |
Piselli verdi |
68 |
Wafers alla vaniglia |
110 |
Riso parboiled, alti amidi |
69 |
Dolcetti di riso |
110 |
Succo di pompelmo |
69 |
Galletta tipo colazione |
113 |
Cioccolato |
70 |
Ciambella salata |
116 |
Pane di segale |
71 |
Patate al microonde |
117 |
Gelato a basso contenuto di grassi |
71 |
Cornflakes |
119 |
Tortellini al formaggio |
71 |
Patate al forno |
121 |
Crusca con uva sultanina |
74 |
Patatine fritte croccanti |
124 |
Succo d'arancia |
74 |
Riso, parboiled, basso amido |
124 |
Lenticchie verdi in scatola |
74 |
Riso bianco, basso amido |
126 |
Kiwi |
75 |
Riso soffiato |
128 |
Torta comune |
77 |
Riso istantaneo bollito per 6 min |
128 |
Patate dolci |
77 |
Pane di frumento senza glutine |
129 |
Special K Kellog's |
77 |
Glucosio |
137 |
Banana |
77 |
Maltodestrine |
137 |
Grano saraceno |
78 |
Tavolette di glucosio |
146 |
Cereali dolci |
78 |
Maltosio |
150 |
Spaghetti |
78 |
Tofu frozen dessert |
164 |
Riso integrale (brown) |
79 |
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