REGIONE    CAMPANIA   -   ASL-SA/3  - POLLA

                                UNITA'  OPERATIVA   DI  MEDICINA   INTERNA

                                   DIRETTORE -  DOTT.  ANTONIO CIRO PESSOLANO

C E N T R O      A N T I D I A B E T I C O 

RESPONSABILE  DOTT.ssa  RESCINITO  MARIA

INF.COORD.  CARRANO  DOMENICO
INF.                    AULICINO EDDA

                     APERTO:      MARTEDI'    E     GIOVEDI'   

                                            DALLE   ORE  8.00  -  ALLE   ORE   12.00

 

  ATTIVITA'  IN  REGIME  AMBULATORIALE:

    I  PRELIEVI  PER  GLICEMIA SI EFFETTUANO  DALLE   ORE   8.00   ALLE   9.00

                        VISITA   DIABETOLOGICA

                        BIOTESIOMETRIA

                        TEST CARDIOLOGICI   PER NEUROPATIA  AUTONOMICA

    EDUCAZIONE  SANITARIA:

                        -  USO  DEL  REFLETTOMETRO  (strumento per esami  glicemici)

                        -  USO  DELLA  PENNA  PER  INSULINA

                        -  ORARI  PER  I    PROFILI   GLICEMICI  Es.:

                          .  MATTINO =  a  digiuno   e  due  ore  dopo  colazione

                           .  PRANZO    =  prima  del  pasto  e  due  ore  dopo  il  pasto

                          .  CENA         =  prima  della  cena  e  due  ore  dopo  la  cena

       E'   IMPORTANTE   "CONTROLLARE  TUTTI  I  FATTORI  DI  RISCHIO  PRESENTI"                                      

                          .   OBESITA' 

                          .   DISLIPIDEMIA     

                          .   IPERTENSIONE    ARTERIOSA         

                                        diabetes.it     

                                                                                             diabete.net                          

                  PER  LE    PRENOTAZIONI       RIVOLGERSI    AL   "CUP"  Tel: 800528300

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INOLTRE E' POSSIBILE:

               -  VALUTARE  IL COMPENSO METABOLICO  SPECIE   ATTRAVERSO  IL  PROPRIO  DIARIO  
                      (PROFILI GLICEMICI).

                  -  IMPOSTARE  E  REALIZZARE   UNA   TERAPIA   PERSONALIZZATA.

                  -  FONDAMENTALE  E'  L'EDUCAZIONE  ALLA  AUTOGESTIONE,  ORAMAI  FA  PARTE  
                           INTEGRANTE   DELLA  TERAPIA;

         PER CUI  OGNI PAZIENTE DIABETICO,  ATTRAVERSO UNA CORRETTA  EDUCAZIONE  SANITARIA   DEVE  ESSERE  IN GRADO  DI SAPER  GESTIRE   L'INTEGRAZIONE TRA:
                                              ALIMENTAZIONE,   FARMACI   E   ATTIVITA'  FISICA"  

                     E SAPERLI MODIFICARE IN  MODO DA POTER  OTTENERE  SEMPRE  UN  BUON  CONTROLLO        GLICEMICO, ANCHE  SE CIO'  PUO'  CO MPORTARE  MODIFICAZIONI  DELLO STILE  DI  VITA
                    DIVENTA  QUINDI  NECESSARIO  SAPER 
ADEGUARE  UN  PERFETTO  EQUILIBRIO  TRA  LA  MALATTIA  E  GLI  IMPEGNI  SOCIALI.

                            

COSA E' IL DIABETE
L' incapacità dell'organismo a mantenere il glucosio del sangue al di sotto di un certo valore è detto "diabete mellito".

Esistono altri "diabete" in medicina (la parola deriva dal greco e vuol dire "passare attraverso")

  • il diabete insipido, dove manca l'ormone antidiuretico e si ha un'urinazione eccessiva
  • il diabete renale, dove per un difetto del tubulo renale si perde zucchero con le urine anche con la glicemia bassa. Ma si tratta di malattie ben diverse e rare

Noi parliamo del diabete mellito, il più frequente, che può originare:

  • perché manca del tutto l'insulina, ormone chiave per controllare il glucosio nel sangue
  • o perché l'insulina non riesce ad agire come dovrebbe.

    Ma qual è il livello di glicemia a digiuno al di sopra del quale si parla di diabete? Sino al 1999 l'Organizzazione Mondiale della Sanità proponeva 140 mg/dl, poi il livello è stato abbassato a 126 mg/dl.

    Come si spiega un livello così strano? Si è visto che già a valori così modesti si possono sviluppare delle complicanze per cui è meglio che si abbia coscienza della malattia e si inizi a curare i pazienti.
    Per chi vuole più dettagli alleghiamo una tabellina, un po' complessa per chi non è del settore, con la moderna classificazione del diabete mellito in base ai valori di glicemia. In tale tabella compaiono
    la ridotta tolleranza glucidica e l'alterata glicemia a digiuno che, pur essendo già della alterazioni del metabolismo degli zuccheri, non sono considerate diabete.

    Il diabete dove da subito manca l'insulina è detto di tipo 1, quello dove almeno all'inizio l'insulina c'è, ma non agisce come dovrebbe, è detto di tipo 2. Quest'ultimo, spesso, si associa a sovrappeso e
     a colesterolo e pressione alti. Esiste infine un diabete transitorio che compare in gravidanza, dovuto a ormoni della placenta, detto diabete gestazionale.

 

Esistono anche altre forme di diabete mellito, molto meno frequenti:

  • Il MODY, diabete a forte dipendenza genetica caratteristico dell'età infantile ma non insulinodipendente
  • Il diabete secondario da danno pancreatico, dove a seguito della distruzione del pancreas (pancreatiti, interventi chirurgici, veleni e tossici) viene a mancare l'insulina
  • Il diabete secondario da eccesso di ormoni che hanno un' azione opposta all'insulina, come ad esempio nella Malattia di Cushing (eccesso di cortisolo), o il diabete di chi assume farmaci
    con cortisone  per altre malattie.
     

      I VALORI   SONO:    

DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DEL DIABETE MELLITO

Organizzazione Mondiale della Sanità
Dipartimento delle malattie non trasmissibili
Ginevra
WHO/NCD/NCS/99.2

Valori glicemici per la diagnosi di diabete e altre condizioni di iperglicemia

  Sangue venoso
Diabete Mellito  
A digiuno oppure >=126 mg/dl
2-h dopo carico di glucosio >=200 mg/dl
Ridotta tolleranza glicidica (IGT)  
A digiuno e <=126 mg/dl
2-h dopo carico di glucosio >=140 mg/dl
Alterata glicemia a digiuno (IFG)  
A digiuno e >=110 mg/dl
     <126mg/dl
(quando effettuato)    
2-h dopo carico di glucosio <140 mg/dl

      

 

COSA  E' IL DIABETE DI TIPO I

Il diabete mellito tipo 1 - autoimmune

Il diabete mellito tipo 1 è una malattia autoimmune dovuta, cioè, alla distruzione delle beta cellule del pancreas ad opere di cellule del sistema immunitario (linfociti T) attivate.
Le cellule beta del pancreas sono deputate alla produzione di insulina, un ormone che regola l'ingresso e l'utilizzazione del glucosio all'interno delle cellule dell'organismo.
La distruzione del patrimonio beta cellulare del pancreas, in corso di diabete mellito tipo 1, è irreversibile per cui il paziente deve poter praticare insulina per riuscire a metabolizzare gli zuccheri.
Per poter ammalare di diabete mellito tipo 1 è necessario avere una predisposizione che, pur se geneticamente determinata, non è ereditaria per cui è assolutamente raro trovare più casi di diabete
mellito tipo 1 nella stessa famiglia.
L'attivazione del processo autoimmune nei confronti delle beta cellule pancreatiche può essere studiata attraverso la determinazione nel sangue periferico di alcuni anticorpi specifici che, pur non
avendo essi stessi capacità distruttiva,
rappresentano un epifenomeno dell'autoimmunità. I più importanti di tali anticorpi sono gli anticorpi anti beta cellula pancreatica (Islet Cell Antibodies = ICA), gli anticorpi anti glucosaminidasi
(anti-GAD), gli anticorpi anti tirosinchinasi (IA2) e gli anticorpi anti-insulina (IAA). Dopo l'inizio della terapia insulinica tali anticorpi a poco a poco diminuiscono e quelli che hanno una più lunga
durata sono i GAD che si sono dimostrati positivi, in alcuni casi, perfino dopo 10 anni dalla comparsa del diabete mellito tipo 1.
Il sistema immunitario che si auto-attiva nei confronti delle beta cellule pancreatiche in pazienti con diabete tipo 1, può, in una piccola percentuale di casi attivarsi anche contro altri organi.
Questo è il motivo per il quale il 6% dei pazienti con diabete mellito tipo 1 può avere associata la celiachia o, in una percentuale quasi doppia, può comparire all'epoca della pubertà la tiroidite autoimmune.
 Per tale motivo è utile che il paziente con diabete tipo 1 possa praticare, almeno una volta all'anno dopo la comparsa del diabete, lo screening delle altre malattie autoimmunitarie.
Fino a pochi anni fa si riteneva che il diabete mellito tipo 1 fosse essenzialmente una patologia pediatrica e che colpisse essenzialmente i bambini. Da alcuni anni, invece, da quando, cioè, il dosaggio dei markers autoimmuni del diabete è diventato routinario, si sono dimostrati casi di diabete autoimmune anche negli adulti. Tale forma di diabete autoimmune dell'adulto ha preso il nome
di "Latent Autoimmune Diabetes in Adults" (L.A.D.A) e si è dimostrato che non sempre è insulino-dipendente fin dall'esordio. E' attualmente in corso uno studio: "Non Insulin Requiring Adult Diabetes" (NIRAD), iniziato l'anno scorso, per verificare se la presenza di markers autoimmuni del diabete negli adulti conduce ad insulinodipendenza prima rispetto all'assenza di tali markers.

COSA E' IL DIABETE TIPO II


Il nostro organismo per poter svolgere le sue normali funzioni, dalla sopravvivenza di tutte le sue cellule, all'attività fisica, necessita di energia, che viene fornita dalla
combustione di uno specifico carburante che è il glucosio. Il glucosio è uno zucchero semplice, che proviene prevalentemente da alimenti come il pane, la pasta, i legumi, le patate e la frutta.
Il glucosio per poter essere utilizzato ha bisogno dell'insulina che, come una chiave, apre la porta delle cellule, consentendo al glucosio di entrarvi. Se noi ingeriamo glucosio in eccesso ai bisogni,
allora questo viene depositato nel fegato come glicogeno e nelle cellule adipose sotto forma di trigliceridi: queste costituiscono le riserve di carburante cui attingere in caso di digiuno.
Quindi l'azione dell'insulina è quella di regolare il livello di glucosio nel sangue. Il pancreas delle persone non diabetiche infatti produce insulina giorno e notte (in maggiore quantità però subito dopo i pasti),
per mantenere i valori della glicemia a livelli quasi costanti.
Avere il diabete significa che non viene prodotta una quantità sufficiente di insulina a soddisfare le necessità dell'organismo, oppure che l'insulina prodotta non agisce in maniera soddisfacente.
Il risultato in ogni caso è il conseguente incremento dei livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia).
Per eliminare l'eccesso di glucosio si ha una aumentata perdita di acqua e quindi un'elevata escrezione di urina (poliuria) con glicosuria. Ne conseguono i tipici sintomi del diabete : sete,
stanchezza e dimagrimento.

                                                                                                                         CONTROLLI  -  VISITE SPECIALISTICHE

Quali sono le visite specialistiche alle quali bisogna sottoporsi e a quali scadenze?
In caso di cattivo controllo metabolico protratto è possibile che compaiano alterazioni a carico di alcuni organi (retinopatia, nefropatia, microangiopatia, neuropatia).
Le visite specialistiche devono verificare l'integrità dei suddetti organi in modo da evidenziare le prime alterazioni, in una fase di reversibilità.

  • Visita oculistica: da praticare almeno una volta all'anno. Utile, inoltre, praticare almeno una volta all'anno una fotografia del fondo oculare e, in caso di presenza di complicanze praticare fluorangiografia.

  • Dosaggio della microalbuminuria: per valutare l'integrità della funzione renale da praticare dopo 5 anni dall'insorgenza del diabete. Almeno 3 controlli all'anno sulle urine della notte.

  • Annualmente è utile controllare la pressione arteriosa.

  • Controllo dell'accrescimento staturo ponderale: da effettuarsi ad ogni visita ambulatoriale. Il cattivo controllo metabolico incide negativamente sull'accrescimento.

  • Il controllo periodico del peso è molto importante per valutare la corretta "insulinizzazione" del bambino e dell'adolescente con diabete. Un eccesso di peso, infatti e, soprattutto, un rapido incremento
    del peso può essere testimonianza di una eccessiva insulinizzazione mentre, al contrario, un rapido dimagrimento può essere espressione di una insufficiente dose insulinica.

  • Screening della neuropatia autonomica: tests per evidenziare la presenza di neuropatia autonomica e per verificare la sensibilità periferica. Vanno praticati annualmente dopo i primi 5 anni di malattia.

                                                                                                                         ESAMI DI LABORATORIO     

    Emoglobina glicosilata (HbA1c): L'emoglobina è una proteina presente nei globuli rossi che si rinnova mediamente ogni tre mesi. Tale proteina lentamente lega il glucosio in maniera proporzionale
    al valore glicemico medio. Un valore di emoglobina glicosilata normale indica che il valore medio di glicemia durante i tre mesi precedenti il prelievo è stato accettabile.

    Fruttosamina: La fruttosamina è una proteina sierica che aumenta in caso di iperglicemia. Il suo incremento indica che la glicemia media durante i 10-15 giorni precedenti il prelievo non è stata accettabile.

    Colesterolemia e trigliceridemia: Il cattivo controllo del diabete può essere responsabile dell'aumento dei livelli di grassi nel sangue.
    Essi peraltro sono influenzati anche dall'alimentazione. Il riscontro di ipercolesterolemia e/o ipertrigliceridemia, se escludiamo una patologia familiare, può rappresentare una spia di cattivo
    controllo metabolico e/o scarsa compliance al piano alimentare.   Importante dal punto di vista aterogeno (fattore favorente la aterosclerosi) è la quota di colesterolo legata alle LDL o
     LDL-Colesterolo("Colesterolo cattivo")  mentre, protettivo dal punto di vista aterogeno sarebbe l' HDL-Colesterolo ("Colesterolo buono")

 

                                                                                                                COMPLICANZE

Oggi sappiamo che la glicemia non controllata "perfettamente" può, giorno dopo giorno, provocare danni ai vasi sanguigni di vari organi ed apparati.
Possono essere lesi i piccoli vasi, le diramazioni più periferiche del circolo sanguigno soprattutto nella retina, nel rene o nei nervi periferici, e in questo caso
i medici parlano di complicanze "microangiopatiche", o le arterie di calibro maggiore, le coronarie del cuore, le arterie del cervello o delle gambe, e in questo
 caso si parla di complicanze "macroangiopatiche". Esistono poi delle complicanze meno note, osteoarticolari, cutanee o dentali che gli specialisti di altre discipline mediche
 sanno essere in relazione con il diabete.
Il grande impegno che bisogna mettere per curare il diabete ha proprio come fine ultimo quello di prevenire o impedire la progressione di queste complicanze.
Tenere sempre più basso che si può il glucosio nel sangue, in ogni momento della giornata, in modo da avere un'emoglobina glicata accettabile è la prima e la è più importante
cura per evitare le complicanze.  Ma non basta. Come scopriremo leggendo le informazioni degli esperti, ci sono altri fattori che si alleano con la glicemia nel provocare danni:
il colesterolo, i trigliceridi, la pressione del sangue il fumo di sigaretta, ciascuno con caratteristiche proprie, contribuisce alla quotidiana aggressione ai vasi sanguigni che può provocare il diabete.

Contribuisce alla quotidiana aggressione ai vasi sanguigni che può provocare il diabete.
 

                                                                                                                             CHE COSA  É L'IPOGLICEMIA
Gli zuccheri nelle loro varie forme, semplici o complessi, sono la principale fonte di energia per il corpo umano. La parola ipoglicemia significa bassi livelli di zuccheri nel sangue e si manifesta
quando la glicemia (parola che vuoi dire livello di zucchero nel sangue) scende al di sotto del limite che permette di produrre sufficiente energia per il corpo umano.
I carboidrati (zuccheri e amidi) introdotti con l'alimentazione sono la fonte principale di glucosio.
Durante la digestione il glucosio viene assorbito dall'intestino e finisce nel sangue dove viene trasportato a tutte le cellule del nostro organismo.
lì glucosio non utilizzato immediatamente viene immagazzinato nel fegato sotto forma di glicogeno.
L'ipoglicemia può essere una complicanza acuta del diabete. può essere una manifestazione di un altra malattia o un evento non desiderato che si associa a disturbi gastrointestinali.

COME IL NOSTRO ORGANISMO CONTROLLA E REGOLA LA GLICEMIA
La quantità di glucosio nel sangue (glicemia) è controllata principalmente da due ormoni.' l'insulina e il glucagone. Se uno di questi ormoni è in eccesso la glicemia può scendere troppo o viceversa
 salire e dare segni di iperglicemia. Anche altri ormoni possono influenzare la glicemia: il cortisolo, l'ormone della crescita e le catecolamine (epinefrina e norepinefrina); questi ultimi ormoni sono
prodotti dalla ghiandola surrenale o dall'ipofisi, tutti organi cosi detti endocrini, cioè capaci di produrre ormoni.
L'insulina e il glucagone sono fabbricati dal pancreas, una ghiandola situata nell'addome, più o meno dietro allo stomaco.Il pancreas, che produce tutti i liquidi contenenti enzimi necessari per la
digestione dei cibi, contiene delle zone endocrine, cioè che producono ormoni; queste "zone" si chiamano isole di Langerhans e contengono cellule chiamate alfa è beta. Le cellule alfa producono
 glucagone e le cellule beta producono insulina. Quando la glicemia aumenta dopo un pasto, le cellule beta rilasciano insulina nel sangue; l'insulina fa entrare lo zucchero che è nel sangue dentro le
cellule del corpo abbassando così di nuovo la glicemia. Quando la glicemia si abbassa troppo, le cellule alfa rilasciano glucagone nel sangue per riportare la glicemia a valori normali. Questo meccanismo
coinvolge anche il fegato, dove era stato immagazzinato zucchero chiamato glicogeno: il glicogeno si trasforma di nuovo in zucchero e così viene rilasciato nel sangue per ripristinare la normale glicemia.
Anche i muscoli contengono glicogeno che può essere trasformato in glucosio in caso di necessità.

IPOGLICEMIA E DIABETE
L'ipoglicemia è una frequente complicanza acuta del diabete. 
Le cause dell'ipoglicemia nel diabete sono:

  • Dose eccessiva di insulina

  • Ritardo nell'assunzione di un pasto o sua omissione

  • Scarsa assunzione di zuccheri rispetto alle quantità necessarie

  • Eccesso di attività fisica non programmata

  • Abuso di alcolici

  • La combinazione di tutte queste cause


L'ipoglicemia avviene molto più facilmente in coloro che usano insulina (insulino-dipendenti); però anche persone che normalmente assumono le compresse di ipoglicemizzanti orali possono avere
episodi di ipoglicemia. lì tipo di diabete che richiede esclusivamente insulina viene chiamato diabete tipo 1; il tipo di diabete che di solito viene controllato con la dieta e compresse di ipoglicemizzanti
 orali e solo in via eccezionale con l'insulina si chiama diabete di tipo 2. L'ipoglicemia non è quasi mai un evento imprevedibile, è però necessario conoscere bene le sue cause e prevenirla con comportamenti adeguati. 

 

 

SINDROMI IPOGLICEMICHE

 

Introduzione

 

Il termine ipoglicemia indica una condizione metabolica caratterizzata da livelli ematici di glucosio troppo bassi per l'organismo; in sostanza, si riferisce ad una condizione chimica e non clinica. L'ipoglicemia non costituisce quindi di per sé una malattia, ma è l'espressione di un'alterazione dei meccanismi che regolano l'omeostasi del glucosio. Tenendo presenti questi concetti, in via preliminare è necessario stabilire con esattezza i valori di riferimento per le concentrazioni ematiche di questo monosaccaride da considerare normali per l'uomo, compito non privo di difficoltà per ragioni di ordine anche metodologico. Attualmente, il metodo più diffuso e affidabile per la determinazione della glicemia si basa su reazioni enzimatiche specifiche (glucosio-ossidasi, esochinasi) e ad esso faremo riferimento nel prosieguo della trattazione. Altri metodi di determinazione più aspecifici, basati su reazioni non enzimatiche, sono passati in disuso, o comunque possono essere considerati ormai superati. Un altro fattore da valutare è il substrato sul quale l'analisi viene condotta. La differenza artero-venosa della glicemia è di solito modesta dopo un digiuno di 10-12 ore, ma diventa significativa per diverse ore dopo l'ingestione degli alimenti. Inoltre, la glicemia eseguita su sangue intero fornisce valori inferiori del 15% circa rispetto ai corrispondenti livelli plasmatici e sono state anche dimostrate differenze nei valori glicemici in relazione alla profondità della vena usata per il prelievo. Ad eccezione di casi particolari, nello svolgimento del capitolo si farà riferimento sempre a valori ottenuti su plasma di sangue venoso espressi in mmol/l (*) o in mg/100 ml.

In condizioni fisiologiche, la glicemia oscilla tra 2,7 e 8,3 mmol/1, pari a 50-150 mg/100 ml; né sono evidenziabili, dopo un digiuno protratto di 24-48 ore, variazioni importanti. Nei soggetti adulti va considerato sicuramente patologico un livello glicemico inferiore a 2,5 mmol/1, fermo restando che i sintomi della ipoglicemia possono manifestarsi anche con valori più alti (ipoglicemia relativa) o, per converso, non essere presenti per glicemie ancorainferiori quando queste si siano instaurate lentamente (ipoglicemia cronica).

Più difficile è stabilire limiti netti nel periodo neonatale, ma si possono in genere considerare patologici livelli glicemici inferiori a 1,6 mmol/1 nei nati a termine di peso normale, ed inferiori a 1,1 mmol/1 nei prematuri.

Anche nell'anziano non è stato stabilito con sicurezza quale sia il livello glicemico più basso da considerare normale.

 

 

 

 

 

Fisiopatologia

 

L'omeostasi glicidica è la risultante di complesse interazioni tra numerose e diverse influenze ormonali, metaboliche e nervose che agiscono su differenti substrati per mezzo di attività enzimatiche specifiche.

Le fonti dalle quali deriva il glucosio circolante sono due: assorbimento dal tubo digerente e produzione a livello epatico. Nel continuo equilibrio tra utilizzazione periferica del glucosio e sua immissione in circolo, il fegato rappresenta l'organo chiave, capace di captare glucosio dal pool circolante e di immagazzinarlo sotto forma di glicogeno, di liberare glucosio in circolo dai depositi preformati, di sintetizzare lo zucchero a partire da molecole più piccole (gluconeogenesi)(fig.01x).

Per alcuni organi e cellule, quali il cervello, la retina, la midollare del rene, i globuli rossi e i globuli bianchi, il glucosio rappresenta l'unico substrato utilizzabile. Il fabbisogno giornaliero imprescindibile di destrosio è nell'uomo adulto pari a circa 180g.

Il glucosio che entra nelle cellule viene trasformato in glucosio-6-fosfato, punto di partenza per tutte le successive vicende metaboliche intracellulari dello zucchero:

 

a. glicogenosintesi: formazione di glicogeno che rappresenta la forma di deposito dei carboidrati;

b. glicolisi con formazione di piruvato (due molecole di piruvato, per ogni molecola di glucosio);

c. ossidazione diretta attraverso la via dell'esosomonofosfato;

d. formazione di acido glucuronico;

e. formazione di esosamine e mucopolisaccaridi.

In ordine ad una schematizzazione del bilancio glicidico, tenendo conto che l'unica fonte di glucosio per l'organismo è rappresentata dagli alimenti, si possono distinguere due fasi principali:

 

a. fase (post)alimentare, che inizia subito dopo l'introduzione degli alimenti e termina quando la concentrazione dei substrati energetici è tornata ai valori precedenti l'ingestione di cibi;

b.fase del digiuno, che inizia quando termina la precedente e arriva fino alla introduzione di nuovi alimenti.

 

Nella prima fase, lo zucchero assorbito con gli alimenti, viene captato dalle cellule epatiche e immagazzinato sotto forma di glicogeno. Il principale stimolo alla glicogenosintesi epatica è rappresentato dall'aumento dei livelli di insulina circolanti, la cui secrezione da parte del pancreas endocrino è stimolata dai livelli ematici progressivamente crescenti di glucosio e aminoacidi. In questa fase, le concentrazioni epatiche di glicogeno variano da 20 a 80 g/kg di tessuto. Quando la captazione di glucosio da parte del fegato e la contemporanea utilizzazione periferica dello zucchero superano la quantità di esoso assorbita a livello intestinale, la glicemia tende a scendere ed ha inizio la seconda fase.

Nella fase del digiuno, la diminuzione dell'insulinemia e la contemporanea ipersecrezione di ormoni ad azione iperglicemizzante, quali il glucagone, le catecolamine, il cortisolo e il somatotropo, trasformano il fegato da un organo di captazione e deposito del glucosio ad un organo che lo produce e lo immette in circolo. La glicemia diventa così la risultante tra l'utilizzazione periferica di glucosio e la sua produzione epatica, quest'ultima rappresentata in diversa percentuale dalla glicogenolisi e dalla gluconeogenesi. La prima, ad es., rappresenta il 75% dell'output epatico di glucosio dopo 12 ore di digiuno, ma scende a meno del 10% dopo due giorni, in relazione al progressivo esaurimento delle scorte di glicogeno preformate.

Più lungo è l'intervallo di tempo intercorso dall'ultima assunzione di cibo, maggiore è il ruolo della gluconeogenesi nel mantenimento della omeostasi glicidica. La gluconeogenesi dipende strettamente da un adeguato apporto di substrati, e cioè aminoacidi (in particolare alanina), glicerolo, piruvato e lattato, che provengono dai processi di lipolisi e proteolisi. Anche in questa fase, il fattore ormonale più importante di regolazione è l'insulina, la diminuzione dei valori circolanti della quale - indotta dalla riduzione della glicemia- stimola la gluconeogenesi e favorisce la proteolisi e la lipolisi. Un ruolo certamente importante rivestono i glucocorticoidi, che favoriscono la gluconeogenesi e la liberazione di aminoacidi a livello muscolare, le catecolamine, il glucagone e l'ormone della crescita, nel loro insieme denominati "ormoni della controregolazione". Tra questi, il glucagone e l'adrenalina rispondono più prontamente degli altri e prima che la glicemia abbia raggiunto valori francamente ipoglicemici, raggiungono concentrazioni plasmatiche molto elevate e dipendenti dalla velocità di discesa della glicemia. In sostanza, la controregolazione non è un fenomeno con una soglia ben definita, ma una continua modulazione di secrezioni ormonali le concentrazioni ematiche delle quali sono inversamente correlate alla glicemia ed il cui fine è il mantenimento costante dei livelli glicemici, prevenendo prima che contrastando l'eventuale ipoglicemia.

Se appare evidente che l'ipoglicemia è un sintomo che si manifesta ogni qualvolta il continuo equilibrio tra produzione di glucosio e sua utilizzazione si sposta a favore di quest'ultima, è altrettanto chiaro che i meccanismi in grado di condurre all'ipoglicemia sono molteplici e differiscono in relazione alla fase (postalimentare e del digiuno) nella quale la stessa si manifesta.

Le ipoglicemie della fase postalimentare insorgono nel periodo di transizione in cui il fegato si deve trasformare da organo che capta e immagazzina glucosio a organo che produce e immette in circolo l'esoso. La loro causa va ricercata in una alterazione dell'equilibrio tra i diversi fattori che regolano le attività enzimatiche epatiche. Si tratta, in ogni caso, di disordini funzionali.

Le ipoglicemie della fase del digiuno si instaurano quando la produzione epatica di glucosio è minore della sua utilizzazione periferica. Le cause sono dunque da ricercare in un'inadeguata produzione dello zucchero e/o in una sua eccessiva utilizzazione. La prima può essere ricondotta ad una ridotta disponibilità di substrati, ad una ridotta funzionalità epatica, ad una alterazione dei fattori di regolazione; la seconda ad un'alterazione della bilancia ormonale o alla presenza di voluminosi tumori non endocrini che consumino elevate quantità giornaliere di glucosio.

La complessità e la molteplicità dei fattori omeostatici che presiedono al mantenimento di una glicemia costante e la pluralità delle loro azioni a diversi livelli e su diversi organi rendono ragione della frequenza con la quale si possono spesso riconoscere, alla base di una ipoglicemia manifesta, accanto alla causa principale, concause diverse che rappresentano spesso anche l'evento scatenante.

 

 

Sintomatologia

 

Il tessuto nervoso, ed in particolare il cervello, hanno bisogno di un continuo apporto di glucosio. Infatti, le scorte di glucosio e glicogeno a livello cerebrale sono pari a circa 0,5 mg/g di tessuto e sono sufficienti solo al fabbisogno energetico di qualche minuto. I sintomi a carico della sfera nervosa si manifestano nell'uomo quando la glicemia arteriosa è inferiore a 2,2 mmol/1 e sono generalmente i primi a comparire nel corso dell'ipoglicemia. In ogni caso, è necessario sottolineare come i sintomi dell'ipoglicemia siano estremamente multiformi, non specifici e non sempre presenti anche quando la glicemia sia oltremodo bassa. Il termine neuroglicopenia indica l'evento biologico che si avvera quando l'apporto di carboidrati diventa inadeguato al fabbisogno della cellula nervosa. La neuroglicopenia può manifestarsi in varia maniera: può essere acuta (il paziente cade in uno stato soporoso e finanche in coma nel giro di pochi minuti senza avvertire alcun segno premonitore), subacuta (il paziente permane in uno stato di sonnolenza senza perdere completamente conoscenza e rimane così anche per lungo tempo), cronica (più rara, si manifesta con cambiamenti di personalità e con manifestazioni psichiche complesse). Va anche aggiunto che un quadro neuroglicopenico può insorgere quando si sia verificata una brusca caduta dei livelli glicemici precedentemente molto elevati come si ha nel diabete non controllato (ipoglicemia relativa).

Qui di seguito vengono riportati schematicamente i sintomi e i segni riscontrati in pazienti affetti da sindromi ipoglicemiche di varia origine e natura:

Disturbi generali aspecifici all'inizio della crisi (attenenti prevalentemente alla sfera nervosa): irritabilità, stato ansioso, incapacità alla concentrazione, cefalea, astenia, adinamia;

Disturbi a carico dell'apparato gastroenterico: senso di fame, secchezza delle fauci con polidipsia, dolori addominali, nausea, vomito, talora diarrea;

Disturbi carliovascolari e respiratori: tachicardia, aritmie varie, angina (rara), ipotensione, anisosfigmia, bradipnea.

Disturbi del sistema nervoso autonomo: palpitazione, pallore, scialorrea, sudorazione, lacrimazione;

Disturbi neurologici: parestesie, fascicolazioni, crisi convulsive, paralisi, contratture (trisma), disturbi oculari (oftalmoplegia, diplopia, nistagmo, ambliopia, xantopsia, scotomi, anisocoria, midriasi), disordini extrapiramidali (tremori, rigidità, attacchi coreoatetosici);

Disturbi psichici: ansia, depressione, stato confusionale, atteggiamenti schizoidi, riso immotivato, melanconia, stato onirico, afasia, narcolessia.

Se il quadro ipoglicemico è completo è difficile incorrere in errori diagnostici; ma quando i sintomi sono subdoli possono entrare in discussione molte altre condizioni morbose. I quadri clinici con manifestazioni somiglianti ai disturbi delle sindromi ipoglicemiche sono elencati nella Tab.01x.

 

 

Classificazione delle sindromi ipoglicemiche

 

Esistono a tutt'oggi differenti classificazioni. Le due più utili riteniamo siano quella clinica e quella etiopatogenetica. La lista degli stati morbosi che possono accompagnarsi ad ipoglicemia si accresce ogni anno e le classificazioni che riportiamo sono incomplete: tuttavia, sono certamente bastevoli per ricordare al medico le principali manifestazioni morbose ed aiutarlo nella diagnosi differenziale.

 

 

Studio del paziente con ipoglicemia

 

Di fronte ad un paziente con sospetta sindrome ipoglicemica è necessario per prima cosa stabilire se i sintomi riferiti siano realmente causati dall'ipoglicemia. Nella maggior parte dei casi, purtroppo, il medico raramente riesce ad essere presente durante una crisi ipoglicemica o sospetta tale. Quando ciò avviene, è imperativo eseguire un prelievo per la glicemia prima di somministrare zucchero o farmaci, al fine di documentare con chiarezza la relazione tra sintomi e glicemia. Nei casi in cui il prelievo non sia possibile (paziente non ospedalizzato, crisi assai rare) è utile istruire il paziente sull'uso delle strisce reattive per la glicemia in maniera che egli possa eseguire da solo l'analisi in corso di crisi.

Il secondo punto essenziale è l'anamnesi: essa è fondamentale per stabilire il rapporto temporale tra i pasti e l'insorgenza dei disturbi. Un'ipoglicemia che si manifesta 2-4 ore dopo i pasti è verosimilmente un'ipoglicemia funzionale; al contrario, un'ipoglicemia a digiuno è più frequentemente di tipo organico (confronta ).   È da tenere presente che la severità, la natura e la durata dei sintomi possono essere mal riferiti dal paziente per problemi di amnesia legata all'ipoglicemia e i particolari raccolti vanno perciò sempre confrontati con quanto esposto dai familiari.

L'estrema aspecificità dei sintomi della ipoglicemia, in particolare di quella cronica, contribuisce a determinare una delle situazioni morbose in patologia umana la cui diagnosi è per gran parte affidata ai risultati delle indagini di laboratorio. L'obiettività clinica, infatti, può essere praticamente assente. Il primo passo deve essere quello di dosare ripetutamente in condizioni di base la glicemia, l'insulinemia e il poptide C circolanti. Quando la glicemia è inferiore a 2,5 mmol/1 l'insulinemia, valutata con metodo radioimmunologico (IRI), deve essere indosabile e comunque inferiore a 6 mU/ml e il peptide C in condizioni normali (C-IR) assai basso (inferiore a 0,3 pmol/ml corrispondenti a 1 microgrammi/1). Il dosaggio di quest'ultimo, affiancato a quello della insulina, è particolarmente utile per due motivi:

 

a. La sua presenza in circolo in concentrazioni parallele ai livelli di IRI conferma che l'eventuale iperinsulinismo è di origine endogena; al contrario, IRI alta e C-IR basso depongono inequivocabilmente per un iperinsulinismo esogeno, di più frequente riscontro nel personale sanitario addetto a pazienti diabetici;

b. L'emivita del poptide C è più lunga di quella dell'insulina e le sue variazioni di concentrazione plasmatica, attuandosi più lentamente, sono più affidabili.

Tuttavia, nell'interpretazione dei dati bisogna tenere presente che elevati livelli circolanti di insulina radioimmunologica possono essere dovuti ad interferenza nel dosaggio per la presenza di anticorpi circolanti anti-insulina o essere presenti in alcuni rari disordini genetici della sintesi dell'insulina (iperproinsulinemia ed iperinsulinemia familiari).

Sulla base dei risultati cosi ottenuti e dei dati anamnestici sarà possibile escludere le forme di ipoglicemia dovute a somministrazione di insulina e distinguere tra ipoglicemia a digiuno e ipoglicemia da stimolo e, nell'ambito della prima, le forme con insulina soppressa da quelle con insulina elevata.

Nei casi con insulinemia soppressa, utili informazioni si potranno avere dalle indagini collaterali miranti ad individuare l'esistenza di tumori extrapancreatici come anche dal dosaggio dei valori plasmatici degli ormoni della controregolazione (cortisolo principalmente) e dei metaboliti intermedi che costituiscono i substrati principali per la gluconeogenesi (alanina, piruvato, lattato, glicerolo). In casi selezionati e di fronte a precisi quesiti diagnostici sarà opportuno valutare il numero e l'attività dei recettori all'insulina, l'attività insulino-simile plasmatica nelle sue varie frazioni (ILA, NSILA-s, NSILA-p). A questo punto si renderà necessario sottoporre il paziente a quelle prove dinamiche che di volta in volta, sulla base degli elementi acquisiti, si riterranno più adeguate.

 

 

Prova del digiuno protratto

 

Al paziente, ospedalizzato e sotto accurato controllo clinico, viene proibito qualsiasi alimento o farmaco, eccezione fatta per l'acqua, il tè molto diluito, la camomilla senza zucchero. A partire dalla 12^a ora dall'ultimo pasto (che viene in genere fatto consumare la sera) vengono effettuati prelievi per la glicemia e l'insulinemia ogni 3-4 ore. La prova viene prolungata per 72 ore; al termine di tale periodo, se non è comparsa ipoglicemia, il paziente esegue un esercizio fisico di media entità per circa 30 minuti allo scopo di favorire, attraverso un aumento del consumo periferico del glucosio indotto dal lavoro muscolare, l'eventuale insorgenza di una crisi.

Durante la prova nei soggetti normali la glicemia non deve scendere sotto 2,5 mmol/1 e, in ogni caso, anche se si repertano valori inferiori, l'insulina circolante deve essere praticamente indosabile e comunque inferiore a 6-10 mU/ml ed i valori di peptide C minori di 0,3 pmol/ml (corrispondenti a 1 microgammi/1).

 

 

Test di soppressione con l'insulina

 

La prova si esegue somministrando al paziente, digiuno da 10 ore, 0,1 U/kg di peso corporeo di insulina regolare fino ad un massimo di 10 unità per via endovenosa in bolo o per infusione venosa lenta nel corso di 60 minuti.I prelievi per la glicemia e i livelli circolanti del poptide C, cortisolo, ormone della crescita e catecolamine vengono eseguiti ai tempi-15, 0, 15, 30, 45, 60, 90, 120 e 180 min. Il test non può essere considerato valido se la glicemia non scende sotto le 2,2 mmol/l.

La prova si prefigge due scopi principali:

 

a. Valutare la sensibilità dei tessuti periferici all'insulina e, parallelamente, la capacità pancreatica a sopprimere la produzione endogena dell'ormone;

b. Studiare la capacità di risposta dell'asse ipotalamo-ipofisi e del sistema simpatico e, dunque, gli ormoni della controregolazione nella condizione di stress che l'ipoglicemia comporta.

 

In caso di sospetta elevata sensibilità periferica all'insulina (ipopituitarismo, M. di Addison) la dose dell'ormone va dimezzata; per converso, va aumentata di fronte a stati patologici che si accompagnano a resistenza alla insulina (obesità).

 

 

Test al diazossido

 

Il diazossido è un farmaco benzotiadierinico non diuretico, capace di inibire la secrezione di insulina e di ridurre la utilizzazione periferica del glucosio inducendo così un aumento della glicemia. La prova viene eseguita infondendo 600 mg di diazossido (Hyperstat) nell'arco di un'ora e prelevando il sangue per la glicemia e l'insulinemia ogni 15 minuti iniziando mezz'ora prima dell'infusione e terminando due ore dopo.

Nei soggetti normali si osserva una soppressione dei livelli insulinemici durante l'infusione; al termine di questa i valori di IRI circolante ritornano prontamente alla norma. La glicemia sale durante l'infusione e si mantiene più elevata rispetto ai valori di partenza fino alla conclusione. L'utilità clinica della prova risiede anche nella possibilità di verificare l'eventuale risposta al farmaco qualora la sua somministrazione si rendesse necessaria come forma di terapia medica.

 

 

Test del glucagone

 

Il glucagone esercita un effetto stimolante sulla secrezione insulinica ed è nel contempo il più potente agente glicogenolitico conosciuto. Il test è di indubbia utilità per valutare la riserva epatica di glicogeno e, a differenza di altre prove di stimolo per la secrezione insulinica (tolbutamide, calcio, leucina), è scevro da rischi in quanto aumenta i livelli glicemici.

L'ormone viene somministrato alla dose di 30 microgrammi per kg di peso corporeo fino ad un massimo di 1 mg per via venosa in due o tre minuti ed i prelievi di sangue per la glicemia, l'insulinemia, il peptide C e-in caso di sospetta glicogenosi tipo I-per il lattato vengono eseguiti in condizioni basali ed ogni 5 minuti fino a 30 minuti dopo la somministrazione. Nel soggetto normale a digiuno, si osserva un aumento della insulinemia e della glicemia (rispettivamente di 50 mU/ml e di 1,5-4 mmol/l) che si risolve nelle ore successive. Più che per studiare la secrezione di insulina, il test è indispensabile per fornire indicazioni probanti circa la funzione epatica nell'ambito del metabolismo glicidico. Un aumento della glicemia inferiore a 0,5 mmol/l si osserva nelle epatopatie croniche, negli errori congeniti del metabolismo associati a difetto di gluconeogenesi e di accumulo di glicogeno, nell'ipoglicemia alcool-indotta. In tutte queste condizioni, peraltro, l'aumento della secrezione insulinica appare nei limiti della norma. Nei pazienti con glicogenosi tipo I (malattia di Von Gierke) la somministrazione di glucagone provoca un cospicuo aumento dei livelli circolanti di lattato ed è quindi potenzialmente pericolosa. I livelli di lattato vengono ricondotti nei limiti della pronta somministrazione di glucosio per via venosa.

 

 

Prova da carico di glucosio per via orale (OGTT)

 

Si esegue somministrando per os al paziente, digiuno da 8-10 ore, 200ml di una soluzione contenente 75 g di glucosio (1,75 g/kg nei bambini) ed eseguendo i prelievi di sangue per la determinazione della glicemia e dell'insulinemia in condizioni basali ad ogni 30 minuti primi per 5 ore. Durante la prova il paziente deve giacere in posizione supina, senza fumare; se necessario, è concesso bere dell'acqua. Se compaiono disturbi, è opportuno eseguire il prelievo anche al momento dell'esordio dei fastidi e valutare le concentrazioni plasmatiche anche degli ormoni della controregolazione. Di norma, durante il carico orale di glucosio la glicemia presenta un iniziale incremento cui fa seguito una discesa dei valori glicemici a livelli inferiori a quelli di base (cosiddetta ipoglicemia di rimbalzo). L'ipoglicemia di rimbalzo è un fenomeno fisiologico, dovuto alla secrezione insulinica che segue l'ingestione dello zucchero. Essa diventa patologica quando la glicemia scende sotto le 2,5 mmol/1. Tuttavia, valori inferiori a 1,7 mmol/1 possono essere osservati anche in soggetti peraltro perfettamente normali senza che si abbia alcun sintomo. Il nadir della curva glicemica è generalmente compreso tra le 2 e le 5 ore dopo l'ingestione dello zucchero. La prova, per quanto utile, è influenzata da troppi fattori per avere un chiaro significato diagnostico; fra questi fattori ricordiamo la dose di glucosio (maggiore è la quantità di zucchero somministrata, maggiore è la frequenza con cui la glicemia scende a valori patologici), la velocità di svuotamento gastrico, la reattività dell'asse entero-insulare che condiziona la secrezione insulinica.

 

Va infine rilevato che il carico glicidico non riproduce esattamente le condizioni usuali nelle quali l'ipoglicemia postprandiale o sospetta tale si manifesta. Pur tenendo conto di questi limiti, la prova è molto importante per la diagnosi di ipoglicemia postprandiale, fermo restando che ad essa non va attribuita, per i problemi sopra esposti, un significato definitivo; si potranno evitare così tante diagnosi errate.

 

 

Tumori endocrini del pancreas

 

Si tratta di neoplasie benigne (80-90% dei casi) o maligne ( 10-20% ), piuttosto rare ( 1 caso per anno per milione di abitanti), in grado di produrre e immettere in circolo insulina, che in genere si sviluppano dalle cellule dei dotti pancreatici, anche se il termine insulinoma col quale vengono comunemente indicate fu coniato nel presupposto che tali tumori originassero dalla trasformazione neoplastica delle cellule beta insulinari. In genere il tumore non produce soltanto insulina, ma anche uno o più ormoni gastrointestinali (polipoptide pancreatico, polipeptide vasoettivo, glucagone, somatostatina), pur essendo il quadro clinico preminentemente determinato dall'iperincrezione di insulina. Questa pluri-potenzialità secernente nasce dalla comune origine embriologica delle cellule endocrine del canale digerente, tutte appartenenti alla serie APUD (acronimo dalla espressione anglosassone Amine Precursor Uptake and Decarboxylation).

L'aspetto morfoistologico alla microscopia ottica è piuttosto vario e talvolta sovrapponibile a quello di un'insula normale. Tuttavia, al microscopio elettronico è possibile distinguere 4 varietà di insulinomi a seconda della presenza/assenza e della tipicità dei granuli secretori nel citoplasma delle cellule neoplastiche.

In meno dell'1% dei casi il tumore è ectopico, sito lungo il decorso del tenue, nelle vie biliari o in vicinanza del pancreas. Talvolta è multiplo e si possono configurare quadri assai rari di microadenomatosi diffusa.

 

All'indagine anamnestica è spesso possibile rilevare che gli episodi di ipoglicemia più o meno gravi datano da diverso tempo (in genere più di due anni) e si sono accentuati nell'ultimo periodo. Negli intervalli il paziente si sente bene. All'inizio le crisi si presentano a distanza dai pasti, spesso in concomitanza con una modesta attività fisica. Successivamente, le crisi insorgono in qualunque momento. L'obesità, quando presente, è imputabile all'eccesso alimentare al quale si sottopone il paziente che è riuscito ad individuare lo stretto rapporto dell'insorgenza dei sintomi con il digiuno. Questi tumori, peraltro, si caratterizzano oltre che per un globale aumento della secrezione insulinica, anche per l'inappropriata produzione della stessa, in quanto i livelli circolanti dell'ormone permangono elevati nel digiuno anche quando la glicemia si riduce al di sotto dei livelli normali. In effetti, il contenuto di insulina per grammo di tessuto tumorale è spesso inferiore a quello di pancreas normale, con una percentuale di proinsulina nettamente maggiore; questo elevato contenuto in proinsulina si riflette anche nei livelli plasmatici dell'ormone. Il difetto principale sta dunque nell'incapacità del tessuto tumorale a sopprimere la produzione di insulina in corso di ipoglicemia. Per questo sono fondamentali il rapporto tra glicemia e insulinemia dopo una notte di digiuno e i risultati della prova del digiuno e del test all'insulina.

In ogni paziente con glicemia a digiuno pari o inferiore a 2,5 mmol/l l'IRI deve essere assai bassa o indosabile ed il peptide C inferiore a 0,5-0,3 pmol/ml. Per questo, livelli dosabili di insulinemia in un paziente con glicemia francamente patologica sono fortemente indicativi per un iperinsulinismo organico (fig.02x).

Nei casi dubbi è utile eseguire un test del digiuno prolungato a 72 ore con prova da sforzo finale. Più del 90% dei pazienti con insulinoma diventano ipoglicemici dopo 12-36 ore di digiuno. Se sopravviene l'ipoglicemia prima di interrompere la prova è imperativo raccogliere un campione di sangue per la glicemia, l'insulinemia e la proinsulina circolante. Nei soggetti abituati a basse concentrazioni di glucosio, la neuroglicopenia può non comparire pur in presenza di glicemia assai bassa (1,5 mmol/l). Per tal motivo è importante, durante la prova, eseguire sempre i prelievi agli intervalli stabiliti (ogni 4 ore o più spesso se il caso lo richiede), tenere sotto stretta sorveglianza il paziente e, alla fine delle 72 ore, far eseguire un esercizio fisico moderato che-aumentando il fabbisogno periferico di glucosio-contribuisce ad innescare una eventuale crisi ipoglicemica.

La mancata soppressione dell'IRI in corso di ipoglicemia può essere comprovata eseguendo un test all'insulina e valutando le concentrazioni di peptide C come espressione della secrezione endogena dell'ormone. Valori superiori a 0,5 pmol/ml (corrispondenti a 1,5 microgrammi/l) sono fortemente indicativi per un iperinsulinismo endogeno , ma si possono osservare falsi negativi nei pazienti con elevata secrezione di proinsulina o tumore parzialmente sopprimibile.

Nella nostra esperienza abbiamo trovato utili altre due prove di soppressione: quella al diazossido e quella alla somatostatina.

Nel corso della prima, nei pazienti con adenoma insulare l'IRI rimane soppressa fino a 60 minuti dopo la fine della infusione e la glicemia talvolta non aumenta, quando invece nei soggetti normali si osserva un pronto ritorno dei livelli insulinemici ai livelli di base.

Nella prova alla somatostatina (Stilamin) il farmaco viene infuso a concentrazioni crescenti (25, 50, 100 microgrammi/ora) ed i prelievi eseguiti ogni 15 minuti per tre ore . Nella nostra casistica abbiamo potuto rilevare una certa corrispondenza tra sopprimibilità dell'IRI circolante e grado di differenziazione del tumore.

Più incostanti e per questo meno affidabili appaiono i risultati delle prove di stimolo (tolbutamide, calcio) che - in caso di positività- espongono anche al rischio di gravi crisi ipoglicemiche.

Il test al glucagone ed il carico di glucosio per os possono fornire indicazioni talvolta utili. Nel corso del primo si può osservare un aumento marcato (superiore alle 100 mU/ml) dei valori di IRI circolante che può provocare un'ipoglicemia grave. L'OGTT prolungato a 5 ore dimostra una risposta insulinica inappropriata, e cioè senza corrispondenza con i livelli glicemici, con una curva glicemica spesso indicante una diminuita tolleranza glicidica e tendenza all'ipoglicemia nella seconda parte del test.

Una volta confermato che i sintomi riferiti dal paziente sono imputabili all'ipoglicemia e che questa ultima è causata da un'inappropriata secrezione di insulina è necessario procedere alla diagnosi di sede del tumore. L'arteriografia selettiva del tripode celiaco e dell'arteria pancreatica  permette la localizzazione del tumore nell'80% dei casi, ma può anche fornire falsi positivi. Più precisa, anche se meno agevole, è la venografia portale transepatica per via percutanea  che permette prelievi di sangue per il dosaggio dell'IRI a vari livelli dei tronchi venosi afferenti alla porta (vena splenica, vena mesenterica). L'esame necessita di una équipe di notevole esperienza. Tra le tecniche incruente, la tomografia assiale computerizzata  è quella di maggior affidamento, anche se la dimensione dei tumori in causa è spesso inferiore al potere di risoluzione dell'apparecchio (falsi negativi). Per lo stesso motivo, la mancata visualizzazione del tumore con l'ecografia o la scintigrafia pancreatica con seleniometionina non esclude la presenza dello stesso; al più il tumore è riconoscibile solo con la palpazione del pancreas in corso di laparotomia. Ad addome aperto, un'utile indicazione per l'individuazione del tumore può essere fornita anche dall'ecografia intraoperatoria.

 

Non si ha ancora esperienza, a quanto si sa, con la risonanza magnetico-nucleare.

Una volta posta la diagnosi di insulinoma in base ai risultati delle prove funzionali, è opportuno indagare anche sulla funzione della ipofisi, del surrene e su quella delle paratiroidi. Con la presenza di neoplasie a carico anche di queste ghiandole endocrine si configurerebbe, come noto, la sindrome da neoplasie endocrine multiple (MEN) tipo I.

 

 

Ipoglicemia postprandiale

 

Questa forma di ipoglicemia, tuttora incerta nella patogenesi e nella nosografia, si manifesta a distanza di 2-5 ore dall'ingestione di cibo, con una sintomatologia di tipo adrenergico (cardiopalmo, tremori, sudorazione, irritabilità, ansia) e-sebbene più raramente-di tipo neuroglicopenico.

Nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni, persistono tuttavia ancora numerosi problemi riguardo i criteri diagnostici, la classificazione e l'eziopatogenesi delle principali forme di ipoglicemia postprandiale.

Un primo punto controverso riguarda la validità dell'OGTT come test diagnostico nonché l'interpretazione dei risultati che si ottengono con questa prova. L'OGTT rappresenta, secondo alcuni Autori, un test di stimolo non fisiologico proprio perché basato sulla somministrazione di solo zucchero, mentre nella maggior parte dei casi un pasto è costituito da carboidrati, proteine e lipidi. Questi ultimi determinano, rispetto al pasto esclusivamente glucidico, risposte ormonali più complesse (le proteine, ad es., stimolano anche la secrezione di glucagone) ed un rallentamento dello svuotamento gastrico.Può così accadere che l'ipoglicemia si presenti dopo ingestione di glucosio, ma non dopo assunzione di un pasto misto e che-di conseguenza-i dati deducibili dall'OGTT non possano essere integralmente adottati per spiegare quadri clinici che si verificano dopo l'ingestione di cibo. Inoltre, il verificarsi di ipoglicemia durante il carico orale di glucosio è influenzato dal contenuto di carboidrati nella dieta nei giorni immediatamente precedenti la prova. In uno studio condotto da Permutt e coll. la somministrazione a soggetti normali volontari di una dieta pressoché priva di carboidrati per tre giorni comportava la comparsa di ipoglicemia durante l'OGTT eseguito al quarto giorno. Nonostante queste limitazioni, il test di tolleranza al glucosio per os protratto a 5 ore rappresenta a tutt'oggi l'indagine più appropriata per lo studio dei pazienti con sospetta ipoglicemia postprandiale, perché indica sempre un'abnorme reattività del pancreas endocrino e va eseguita dopo avere invitato il soggetto ad attenersi per tre giorni ad una dieta contenente 250-300 g di carboidrati. Nel corso della prova assai di rado si osserva - nei soggetti normali - una glicemia inferiore a 2,7 mmol/l (pari a 50 mg/100 ml). In uno studio condotto su un cospicuo numero di soggetti sani, glicemie inferiori a 2,7 mmol/l e 2,2 mmol/l (pari a 50 e 40 mg/100 ml) sono state riscontrate rispettivamente nell'8,4% e nell'1,6% della popolazione studiata.

Bisogna inoltre sottolineare che talvolta glicemie inferiori a 2,7 mmol/l non si accompagnano a sintomi evidenti e che la risposta glicemica e insulinemica allo zucchero per os è assai differente nei diversi soggetti e può variare in maniera significativa in uno stesso soggetto nel corso del tempo.

Al momento attuale, riteniamo che il dimostrare dopo carico orale di glucosio una glicemia inferiore a 2,5 mmol/l (pari a 45 mg/100 ml) in concomitanza con il manifestarsi di sintomi adrenergici e/o neuroglicopenici e con l'eventuale evidenza biochimica dell'attivazione degli ormoni della controregolazione permetta di porre diagnosi di ipoglicemia postprandiale con sufficiente probabilità di certezza.

Le ipoglicemie postprandiali vengono classificate sulla base dell'andamento delle curve glicemica ed insulinemica ottenuta durante l'OGTT (fig.09x).

 

 

Ipoglicemia alimentare

 

Si caratterizza per iperglicemia ed iperinsulinemia marcate nella prima parte della prova e successiva ipoglicemia in genere tra la seconda e la quarta ora. Nella maggioranza dei casi si tratta di soggetti che hanno subito interventi di gastrectomia e/o piloroplastica con o senza vagotomia nei quali l'accelerato svuotamento gastrico e forse una eccessiva liberazione di ormoni gastrointestinali aventi potere insulino-secretorio (polipeptide inibitore gastrico, enteroglucagone) provocano l'ipersecrezione insulinica che determina l'ipoglicemia.

La reale incidenza di ipoglicemia alimentare nei soggetti gastrectomizzati non è nota; tuttavia, il disturbo appare piuttosto frequente e va comunque differenziato dalla Dumping syndrome. Quest'ultima, come è noto, si manifesta entro 60 minuti da un pasto con diarrea, crampi addominali, nausea, astenia, cardiopalmo, sudorazione.

Rispetto alle altre forme di ipoglicemia postprandiale, quella alimentare comporta spesso glicemie inferiori e si accompagna con maggiore frequenza a segni manifesti di neuroglicopenia.

L'ipoglicemia alimentare è di possibile riscontro anche in soggetti che non hanno subíto interventi chirurgici sull'apparato digerente e non presentano alterazioni evidenziabili dello svuotamento gastrico. In questi casi, si suppone che l'iperinsulinemia possa essere causata da un aumento dell'assorbimento intestinale di glucosio.

 

 

Ipoglicemia postprandiale e ridotta tolleranza al glucosio

 

L'associazione tra ridotta tolleranza al glucosio e ipoglicemia è conosciuta da anni ed è stata attribuita ad un ritardo nella secrezione insulinica indotta dal glucosio. I sintomi sono in genere modesti e transitori e-come in altre forme di ipoglicemia postprandiale-non esiste sempre una netta corrispondenza tra valori glicemici e sintomatologia. Inoltre, si possono spesso osservare soggetti con ritardato moderato aumento della secrezione insulinica che non hanno ipoglicemia; d'altro lato, quest'andamento della curva insulinemica può essere riscontrato in soggetti normali che siano stati mantenuti per diversi giorni ad una dieta povera di carboidrati.   È possibile supporre che all'insorgere dell'ipoglicemia concorrano-in questo gruppo di soggetti- diversi fattori fra i quali anche il diverso grado di sensibilità periferica all'insulina.

 

 

Ipoglicemia postprandiale idiopatica

 

Questo gruppo comprende la maggior parte dei pazienti con ipoglicemia postprandiale. La diagnosi è di esclusione e, per definizione, i soggetti con ipoglicemia postprandiale idiopatica non debbono avere precedenti di interventi chirurgici sullo stomaco e duodeno né presentare iperglicemia nella prima fase dell'OGTT.

La secrezione insulinica può essere aumentata o non differire significativamente dalla norma. Nella valutazione di questi pazienti occorre tenere ben presenti le forme di ipoglicemia indotte da sostanze esogene, primo fra tutti l'alcool (etanolo) che è in grado di aumentare significativamente la secrezione insulinica glucosioindotta.

  È possibile che l'ipoglicemia sia attribuibile a diversi fattori, per esempio un'aumentata sensibilità periferica all'insulina e, in taluni casi, favorita da alterazioni degli enzimi che regolano il metabolismo glicidico. Sono stati descritti casi con difetto parziale di glucosio-1-6-difosfatasi.

 

In alcuni soggetti particolarmente neurolabili si manifestano talvolta i sintomi adrenergici dell'ipoglicemia in concomitanza con livelli glicemici normali. Si parla allora di " non ipoglicemia " o di " sindrome postprandiale idiopatica " a sottolineare l'estraneità della ipoglicemia al manifestarsi del quadro clinico. Alcuni studi hanno messo anche in evidenza, in questi pazienti, una certa correlazione con tratti della personalità di tipo isterico.

In conclusione, i pazienti con ipoglicemia postprandiale idiopatica rappresentano un gruppo estremamente eterogeneo, nell'ambito del quale la diagnosi va posta solo dopo avere escluso le altre molteplici cause di ipoglicemia.

 

 

Ipoglicemia da farmaci

 

La causa più comune di ipoglicemia nella pratica medica è indubbiamente rappresentata dal sovradosaggio di preparati ipoglicemizzanti, in particolare insulina e sulfaniluree. L'esame delle crisi ipoglicemiche come complicanza della terapia del diabete mellito esorbita dai limiti di questo capitolo. Ricordiamo soltanto come l'ipoglicemia provocata dalle sulfaniluree sia più frequente nei soggetti anziani (diminuita efficacia degli emuntori), si verifichi più spesso in seguito alla somministrazione di farmaci a lunga emivita, come la clorpropamide, possa durare anche diversi giorni durante i quali il paziente deve essere tenuto sotto costante infusione di soluzioni glucosate. Talvolta essa è imputabile, più che al sovradosaggio del farmaco, all'interazione di quest'ultimo con medicamenti (aspirina, probenecid, inibitori della mono-aminossidasi, betabloccanti) in grado di provocare ipoglicemia con meccanismo spesso sconosciuto.

I salicilati, farmaci di largo impiego ed esenti da prescrizione medica obbligatoria, provocano ipoglicemie anche molto gravi con meccanismo non ben noto. In certe condizioni l'aspirina è in grado sia di stimolare la secrezione insulinica che di aumentare l'utilizzazione periferica del glucosio.

Il propranololo, capostipite della famiglia dei betabloccanti non selettivi, aumenta l'utilizzazione periferica del glucosio e inibisce indirettamente la gluconeogenesi. Gravi crisi ipoglicemiche provocate dalla somministrazione di propranololo sono state descritte in pazienti con quadri morbosi diversi (infarto del miocardio, insufficienza renale cronica) ed insorgono prevalentemente a digiuno e/o dopo una certa attività fisica. Il blocco indotto dal betabloccante sui recettori betadue-adrenergici rende la crisi più pericolosa, prolungata e grave perché attenua fino ad abolire sia i segni della reazione adrenergica (tachicardia, ansia, palpitazioni) sia la glicogenolisi adrenalina-indotta. Tra gli altri farmaci la cui assunzione può provocare ipoglicemia, ricordiamo il triptolano, il propossifene, la pentamidina, l'acido paraminosalicilico, alcuni farmaci chelanti (THAM, EDTA, BAL).

 

 

Ipoglicemia da alcool

 

L'associazione tra alcool ed ipoglicemia è nota da diverso tempo. La forma più nota è quella che può essere riprodotta nel soggetto normale somministrando 50-100 g di alcool dopo un digiuno di 36 ore. Per intuibili motivi socio-culturali è di frequente riscontro nel sesso maschile e tra le classi disagiate. Il quadro clinico, che si manifesta a distanza di 6-24 ore dall'ingestione di una certa quantità di alcool, si accompagna a glicemie in genere inferiori a 1,7 mmol/l, alcolemia superiore a 10 mmol/l, tachicardia, ipotermia, acidosi metabolica con iperlattacidemia. I livelli di insulina sono in genere bassi, talvolta normali in risposta ad elevate concentrazioni di glucagone.

Il meccanismo patogenetico principale è indubbiamente rappresentato dall'inibizione della gluconeogenesi; tuttavia, in questi pazienti è spesso possibile riscontrare un'inibizione della secrezione di alcuni ormoni della controregolazione (cortisolo, ACTH, somatotropo).Inoltre, concentrazioni ematiche di alcool comprese tra 10 e 20 mmol/l sono in grado di aumentare la secrezione di insulina glucosio-indotta e, per questa via, di scatenare un'ipoglicemia postprandiale. Crisi ipoglicemiche indotte dall'alcool sono ovviamente di più facile riscontro in soggetti predisposti e/o sofferenti di ipoglicemia postprandiale.

Infine, ricordiamo l'effetto additivo tra alcol e farmaci ipoglicemizzanti che può portare all'insorgere di crisi ipoglicemiche gravissime e prolungate.

 

 

Tumori extrapancreatici associati ad ipoglicemia

 

Si tratta di una patologia piuttosto rara (sono stati al momento attuale descritti nella letteratura mondiale circa 260 casi, ma è probabile che la reale incidenza sia più alta) ed a patogenesi molteplice e per molti aspetti ancora oscura. I tumori extrapancreatici che più frequentemente si associano ad ipoglicemia sono, in ordine di frequenza, i tumori di origine mesenchimale (45% dei casi), prevalentemente sarcomi, mesoteliomi, emangiopericitomi, indi gli epatomi (23% dei casi), e infine gli adenocarcinomi del surrene ( 10% dei casi). Per i sarcomi la localizzazione prevalente è quella intratoracica o peritoneale: l'aspetto istologico non si differenzia nettamente da quello dei tumori omologhi che non si accompagnano ad ipoglicemia. Il disturbo a carico del metabolismo glicidico può manifestarsi in ogni momento del decorso della malattia fondamentale, ma è più frequente quando il tumore ha raggiunto dimensioni considerevoli.

Per quanto riguarda gli epatomi, alcuni studi condotti su popolazioni orientali (dove l'incidenza di questo tipo di tumori è particolarmente elevata), hanno evidenziato come l'ipoglicemia si accompagni preferibilmente ai carcinomi epatocellulari primitivi ben differenziati a lento accrescimento, mentre è rara nelle forme altamente indifferenziate ed a rapido accrescimento. Le cause dell'ipoglicemia vengono ricondotte a tre meccanismi fondamentali:

a. secrezione eccessiva di insulina o sostanze ad azione insulino-simile; b. eccessivo consumo di glucosio da parte della massa tumorale; c. diminuita produzione epatica di glucosio.

Il primo meccanismo, certamente molto suggestivo, è suffragato dal riscontro nel 40% dei pazienti di elevati livelli circolanti da alcuni principi aventi attività insulinosimile. Si tratta, in particolare, delle NSILA-s che constano di due suLcomponenti, denominate IGF I e IGF II, a struttura assai simile alla proinsulina. La prima delle due si identifica con la somatomedina C, uno dei fattori di accrescimento prodotti a livello epatico che fungono da mediatori delle azioni periferiche dell'ormone della crescita. Quando la massa tumorale raggiunge dimensioni cospicue, come è più facile osservare nel caso dei sarcomi, il consumo di glucosio da parte della neoplasia può diventare notevole rendendo la produzione epatica dello stesso insufficiente a mantenere una glicemia normale. Oltre a ciò, il quadro è talvolta complicato da una compromissione epatica così che l'ipoglicemia è provocata da meccanismi multipli.

La diagnosi di ipoglicemia associata a tumori extrapancreatici è una diagnosi di esclusione. Ogni altra causa di ipoglicemia va attentamente considerata e scartata ed in particolare bisogna sempre valutare la possibilità che il tumore abbia metastatizzato alle ghiandole surrenali e/o all'ipofisi e che quindi l'ipoglicemia rientri nel quadro di una forma endocrina, da difetto dei principi di controregolazione.

 

 

 

Altre condizioni morbose che si accompagnano ad ipoglicemia

 

Ipoglicemia autoimmune

 

La presenza di anticorpi anti-insulina nel siero di soggetti che non erano mai stati trattati con insulina esogena è stata inequivocabilmente dimostrata fin dal 1972. Successivamente, è stato osservato che alcuni di questi pazienti soffrono di crisi ipoglicemiche. Gli anticorpi in questione possiedono siti leganti l'insulina sia a bassa sia ad alta affinità e l'ipoglicemia si instaura quando, per motivi non noti, l'insulina legata -e quindi non attiva- si libera dal legame con l'anticorpo ed acquisisce così la capacità di esercitare il proprio effetto biologico. Se la quantità di insulina legata agli anticorpi circolanti è notevole, la dissociazione può portare alla liberazione di una quota ragguardevole dell'ormone. Al di fuori delle crisi ipoglicemiche, questi pazienti presentano alterata tolleranza glicidica e spesso i sintomi di altre malattie autoimmuni (M. di Basedow, ad es.). I livelli circolanti di insulina radioimmunologica sono alti a causa dell'interferenza nel dosaggio degli anticorpi, mentre i livelli di insulina libera -al di fuori delle crisi- sono normali o bassi.

Un'altra categoria di pazienti con ipoglicemia autoimmune è rappresentata da soggetti portatori di anticorpi diretti contro i recettori all'insulina. Il quadro clinico è piuttosto composito e può comprendere anche l'Acanthosis nigricans. La causa dell'ipoglicemia è l'attivazione dei recettori all'insulina da parte degli anticorpi circolanti. Si tratta, dunque, di una immunoreazione patogena analoga a quella in causa nel determinismo della malattia di Basedow, dove l'ipertiroidismo si instaura quando gli anticorpi si legano al recettore per il TSH sulla cellula tiroidea stimolandone la funzione.

A differenza che nell’altro gruppo di pazienti con ipoglicemia autoimmune, i valori circolanti di insulina dosati con metodo radioimmunologico sono normali. Talvolta, la comparsa di ipoglicemia è preceduta da un lungo decorso clinico caratterizzato da diabete mellito grave per controllare il quale sono necessarie elevate dosi di insulina. La patologia è comunque molto rara ed il decorso clinico vario, potendosi osservare crisi ipoglicemiche ingravescenti e non controllabili o remissione del quadro umorale e clinico a seguito di terapia medica. L'esiguità numerica dei casi descritti fino ad ora in letteratura non permette di trarre chiare conclusioni.

 

 

Ipoglicemia nefrogena

 

Crisi ipoglicemiche si osservano spesso in pazienti con insufficienza renale cronica di grado elevato sottoposti a dialisi e nei quali i sintomi della crisi ipoglicemica vengono talvolta erroneamente attribuiti alle gravi condizioni del paziente. L'ipoglicemia, che si accompagna facilmente ad acidosi ed iperlattacidemia, riconosce meccanismi fisiopatologici diversi: inibizione della gluconeogenesi, deficit di substrati, più raramente iperinsulinemia.

 

 

Ipoglicemta factitia

 

L'ipoglicemia secondaria all'autosomministrazione di insulina o di ipoglicemizzanti orali è più frequente di quanto non si ritenga abitualmente e si riscontra di solito nel personale sanitario o nei parenti di diabetici: evidentemente si tratta di pazienti con problemi psichiatrici talora molto importanti.   È chiaro che durante il ricovero ospedaliero il paziente deve essere attentamente sorvegliato per evitare che assuma farmaci. Nell'ipoglicemia causata dalla somministrazione di insulina i livelli plasmatici di insulina sono elevati mentre sono di solito molto bassi quelli del peptide C.; al contrario entrambi sono elevati nel caso di assunzione di sulfaniluree, che possono essere rilevate sia nel sangue che nelle urine. Ovviamente, per assumere valore diagnostico, le indagini di laboratorio vanno attuate su prelievi di sangue eseguiti durante le crisi.

 

 

Ipoglicemia in corso di malaria

 

Crisi ipoglicemiche gravi possono manifestarsi nell'8-10% dei pazienti affetti da malaria causata da Plasmodium falciparum (terzana maligna). Le indagini di laboratorio mettono in evidenza elevati livelli di insulina circolante, di lattato e di alanina, basse concentrazioni di betaidrossibutirrato. L'ipoglicemia è probabilmente il risultato di diversi meccanismi: l'aumento della secrezione insulinica provocato dalla somministrazione di alte dosi di chinino, inibizione della gluconeogenesi, elevato consumo di glucosio da parte delle emazie parassitate. Le crisi sono spesso ricorrenti e l'incidenza dalla ipoglicemia è maggiore nelle donne gravide.

 

 

Terapia

 

Nel trattamento delle sindromi ipoglicemiche accanto al trattamento causale, medico o chirurgico, trova un posto particolare, specie nell'emergenza, il trattamento sintomatico.

La terapia sintomatica, consiste esclusivamente nel ripristino dei normali livelli glicemici. Quando il paziente è in stato di semicoscienza possono bastare 30-40 g di glucosio per os sciolti in acqua. In caso di coma ipoglicemico si somministrano 30-40 ml di soluzione glucosata ipertonica al 40% per via venosa seguita da una infusione lenta di 250 ml di soluzione glucosata al 5%.

Nell'eventualità che l'ipoglicemia sia stata indotta da alcol, tossici, sulfaniluree o insulina ritardo è consigliabile mantenere il paziente sotto infusione costante di soluzione glucosata al 10% sorvegliandolo attentamente. In questi casi l'ipoglicemia si può protrarre per lungo tempo o aggravarsi tardivamente o serpeggiare subdolamente.

In taluni casi, la presenza di crisi convulsive, contratture o movimenti clonici muscolari non rende possibile praticare iniezioni e.v. Si può allora somministrare preliminarmente 1 mg di glucagone per via intramuscolare, ripetibile dopo pochi minuti. L'efficacia del farmaco, come è ovvio, dipende da presenza di riserve integre di glicogeno epatico. Allo stesso modo agisce l'adrenalina (0,5-1 mg s.c. ripetibile al bisogno anche dopo 1-2 ore) la cui somministrazione richiede però più cautela ed è nettamente controindicata nei pazienti cardiopatici o ipertesi.

Nei pazienti con ridotto glicogeno epatico o con gliconeogenesi difettosa è opportuno somministrare, insieme alle soluzioni glucosate, 100-200 mg, o anche più, di cortisolo emisuccinato endovena o intramuscolo.

Nell'ambito di un trattamento sintomatico a lungo termine un posto preminente spetta alla dieta. Questa dovrà essere composta da pasti piccoli e frazionati nel corso delle 24 ore per evitare lunghi periodi di digiuno. Nelle forme di ipoglicemia post-prandiale bisogna ridurre i carboidrati a non più di 100-200 g al dì, dando una netta preferenza alle proteine ed ai lipidi. La dieta deve essere isocalorica, suddivisa in tre pasti principali e due spuntini, pressoché priva di zuccheri a pronto assorbimento e contenente invece farinacei i cui polisaccaridi vengono assimilati lentamente.

 

Quando la sola dieta non è sufficiente ad eliminare i disturbi da ipoglicemia postprandiale, si può fare ricorso alle fibre indigeribili (farina di Guar, crusca, Psyllium idrocolloides, ecc.) che ritardano l'assorbimento del glucosio. In casi selezionati si può associare la fenformina, tenendo presente che questo farmaco, in alcune condizioni (ipossia, infezioni) può indurre acidosi lattica. Altra possibilità è la somministrazione di un bloccante colinergico, ad es. Ia propantelina alla dose di 7,5 mg ai pasti o anche di un betabloccante non cardioselettivo, entrambi capaci di ridurre significativamente la secrezione. Tassativa la sospensione del fumo, del caffè, dell'alcol; nei pazienti neurolabili sono utili l'uso di ansiolitici o sedativi ed eventualmente la psicoterapia.

 

Le forme di ipoglicemia post-prandiale che caratterizzano l'alterata tolleranza glicidica dei soggetti obesi si giovano della riduzione ponderale e della eventuale somministrazione di biguanidi.

Nei pazienti portatori di insulinoma, la terapia di elezione è quella chirurgica con l'exeresi del tessuto neoplastico. Quando non è possibile individuare il tumore all'intervento, è meglio rinviare l'intervento a quando sarà possibile localizzare con chiarezza dove è situata la neoplasia. In ogni caso, la pancreasectomia totale alla cieca va evitata. I problemi del monitoraggio preoperatorio della glicemia possono esser brillantemente risolti usando un pancreas artificiale (Biostator). In tale maniera, si ha un controllo continuo dei valori glicemici e si può documentare la netta ascesa della glicemia conseguente all'asportazione del tumore, senza intralciare minimamente il lavoro dell'équipe chirurgica.

In caso di nesidioblastosi, l'asportazione dell'80% del pancreas comporta di solito un netto miglioramento del quadro clinico.

Nei casi di tumori secernenti insulina in cui non possa essere attuato o debba essere procrastinato l'intervento chirurgico, il medicamento di prima scelta è il diazossido per os ad una dose di 200-800 mg/die. Si consiglia di iniziare la terapia con 25 mg in 4 somministrazioni nelle 24 ore, in genere prima dei pasti, e di aumentare gradualmente la dose fino a trovare la minima dose efficace. Effetti collaterali indesiderati sono la ritenzione idrica e l'irsutismo, più raramente disturbi gastroenterici e leucopenia. Utile può essere la contemporanea somministrazione di un diuretico tiazidico (25-75 mg/die) che agendo in sinergismo col diazossido sui livelli glicemici, può consentire di ridurre la dose del farmaco. Solo nel caso in cui non sia possibile somministrare diazossido si può tentare una terapia con difenilidantoina (400-600 mg/die) o clorpromazina (fino a 500 mg/die) o propranololo (la dose sarà in relazione alla diminuzione della frequenza cardiaca che non deve scendere sotto i 60 al minuto primo).

Altri tentativi terapeutici di inibire la secrezione insulinica usando i calcio-antagonisti (Verapamil) o la somministrazione per via sottocutanea di analoghi della somatostatina a lunga emivita non hanno sortito risultati tali da consigliare il loro uso. Nella nostra esperienza, la possibilità di inibire la secrezione insulinica tumorale con diazossido o somatostatina è apparsa correlata al tipo istologico di insulinoma.

Diverso è il trattamento che va applicato in caso di carcinoma insulare con metastasi diffuse. In questi pazienti il farmaco di prima scelta è rappresentato dalla streptozotocina, antibiotico estratto dallo Streptomyces achromogenes, dotato di selettiva azione necrotizzante sulle cellule beta insulari. La dose varia da 0,6 a 2 g/m^2 di superficie corporea a settimana per infusione lenta, monitorando la funzione epatica e renale. Altra possibilità consiste nell'infusione lenta intra-arteriosa del farmaco mediante cateterismo selettivo del tripode celiaco. Tra i farmaci antiblastici più noti, dopo la streptozotocina il più efficace negli insulinomi maligni è il 5fluorouracile (dose media 0,5 g/m^2 di superficie corporea): ma come è noto il farmaco ha notevoli effetti tossici. Non si hanno ancora notizie sugli effetti della epirubicina o del mitoxantrone.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono una ragazza di 21 anni. Ho nonni paterni entrambi deceduti per diabete. Mia mamma probabile sindrome metabolica. Il mio ultimo ciclo mestraule risale a febbraio 2008 e da allora amenorrea. Per comprenderne le cause sono stata sottoposta a Prova da carico orale di Glucosio (75gs) e Insulinemia in OGTT. I risultati sono i seguenti:
Glucosio tempo 0’ = 87
Glucosio tempo 30’ = 104
Glucosio tempo 60’ = 80
Glucosio tempo 90’ = 33
Glucosio tempo 120’ = 53
Glucosio tempo 180’ = 40

Insulina base = <2
Insulina tempo 30’ = 139
Insulina tempo 60’ = 167
Insulina tempo 90’ = 22
Insulina tempo 120’ = 29
Insulina tempo 180’ = 8

Sono andata da un endocrinologo che dopo aver valutato i sintomi che gli riportavo ha diagnosticato ipoglicemia reattiva severa. Però non mi ha dato nessun altra indicazione. Vorrei sapere una vostra opinione al riguardo e sapere che tipo di trattamento sarebbe opportuno che seguissi. Sono normo peso e faccio lieve attività fisica. Dalle analisi ormonali ho i livelli di estrogeni e gonadotropine molto bassi. Inoltre soffro di stipsi cronica che non riesco a risolvere neanche con una adeguata alimentazione.

Risponde il diabetologo:
Indubbiamente i risultati della curva che lei riporta indicano una ipoglicemia reattiva. Devo comunque fare alcune osservazioni:

1.      non ci descrive i sintomi che ha riferito al suo endocrinologo per cui è difficile darle risposte certe. Se i sintomi sono compatibili con il valore glicemico trovato la diagnosi è certa, altrimenti la diagnosi andrebbe confermata con una seconda curva, o come si fa attualmente con l’ Holter glicemico

2.      se la diagnosi è certa (“ipoglicemia reattiva”) dovrebbe continuare con la attività fisica e mantenere il peso per la prevenzione del diabete, visto che in alcuni casi la ipoglicemia reattiva può precedere il diabete. Come terapia usare una alimentazione con carboidrati ad assorbimento lento che non stimolino la secrezione di insulina. In linea di massima può usare come riferimento l’Indice Glicemico  orientandosi verso i cibi che hanno un indice minore. Per ultimo Le consiglio di usare un glucometro (strumento per controllo domiciliare della glicemia) per valutare direttamente il risultato di questa strategia. Meglio sarebbe redigere un diario con i cibi usati e il valore glicemico indotto dopo 1 e 2 ore

 

 

 

 

INDICE   GLICEMICO

Introduzione

Quando mangiamo un alimento ricco di zuccheri, i livelli di glucosio nel sangue aumentano progressivamente man mano che si vanno digerendo e assimilando gli amidi e gli zuccheri in esso contenuti. La velocità con cui il cibo viene digerito e assimilato cambia a seconda dell'alimento e del tipo di nutrienti che lo compongono, dalla quantità di fibra presente e dalla composizione degli altri alimenti già presenti nello stomaco e nell'intestino durante la digestione.

Questo fenomeno viene misurato tramite l'Indice Glicemico (IG). Esso classifica quindi i cibi in base alla loro influenza sui livelli di zucchero nel sangue (glicemia) e riguarda i cibi ad alto contenuto di carboidrati. I cibi ad alto contenuto di grasso o di proteine non hanno un effetto immediato sulla glicemia (come invece accade per i carboidrati semplici o complessi), ma ne determinano un tardivo incremento prolungato (3-4 ore, ad opera della gluconeogenesi epatica da AA gluconeogenetici). Per questa ragione spesso si consiglia di incrementare le proteine nel pasto serale dei bambini come effetto tampone ritardato sul calo fisiologico della glicemia tra le 24 e le 3 del mattino successivo.

L'American Diabetes Association (ADA) ha messo in dubbio l'utilità clinica dell'IG, raccomandando di rivolgere l'attenzione più sulla quantità che sulla fonte dei carboidrati. Wolever nel suo articolo "The Glycemic Index: Flogging a Dead Horse?" pubblicato su Diabetes Care, conferma invece, pur riconoscendone alcuni limiti, l'utilità dell'IG nella dieta del diabetico.

Servirsi dell'IG per preparare pasti sani, aiuta a tenere la glicemia sotto controllo. Ciò è particolarmente importante per i diabetici, sebbene anche gli atleti e le persone che sono sovrappeso potranno trarre beneficio dalla conoscenza di questo concetto relativamente nuovo di corretta alimentazione.

Studi recenti condotti su un gran numero di diabetici (DCCT e UKPDS) dimostrano che coloro che mantengono le proprie glicemie sotto stretto controllo incorreranno meno facilmente nelle complicanze tipiche di questa malattia. Gli esperti sono concordi nell'affermare che ciò che fa meglio alle persone affette da diabete - e probabilmente anche alle persone sane - è praticare regolarmente esercizio fisico, assumere pochi grassi saturi, e tenere una dieta ricca di fibre.

Il vero problema sono i carboidrati. L'idea ufficiale è che una dieta ricca di carboidrati è la migliore per i soggetti diabetici. Comunque ci sono anche alcuni esperti, guidati dall'endocrinologo Richard K. Bernstein, che raccomandano una dieta povera di carboidrati, perché i carboidrati si dissociano rapidamente nel corso della digestione e possono portare la glicemia verso livelli pericolosi.

Molti cibi ricchi di carboidrati hanno alti IG, e certamente non hanno buoni effetti per una gran parte di diabetici. Altri carboidrati si dissociano più lentamente, rilasciando glucosio gradualmente e si dice che hanno IG più bassi.

Prima dello sviluppo del concetto di IG (iniziato nel 1981) gli scienziati ritenevano che il nostro corpo assorbisse e digerisse gli zuccheri rapidamente, producendo dei rapidi incrementi della glicemia. Questo era il motivo essenziale per cui si consigliava di evitare l'assunzione di zucchero, una prescrizione questa che recentemente è stata attenuata dalla American Diabetes Association e da altri.

Ora sappiamo che gli zuccheri semplici non fanno salire la nostra glicemia più rapidamente di quanto non facciano alcuni carboidrati complessi. Naturalmente, gli zuccheri semplici sono semplicemente calorie e quindi devono essere minimizzati per questa ragione.

I carboidrati ad alto IG possono dar luogo a conseguenze importanti nel controllo del diabete e dell'obesità.
In primo luogo l'aumento rapido dei livelli di glicemia provoca la secrezione di insulina in grande quantità (o richiede un aumento di quella somministrata dall'esterno), però siccome le cellule non possono assorbire adeguatamente tutto il glucosio, si attiva il metabolismo dei grassi cominciando a trasformarli in tessuto adiposo.
Il nostro codice genetico è stato programmato in questo modo per permettere di sopravvivere meglio ai periodi di scarsità di cibo. In una società come la nostra, non tutte le riserve di grasso vengono utilizzate e noi diventiamo obesi.

Inoltre, tutta l'insulina secreta provoca un rapido utilizzo di tutti gli zuccheri presenti nel torrente circolatorio ed assorbiti dal tubo gastroenterico, e due o tre ore dopo lo zucchero nel sangue si esaurisce e rischiamo di passare ad uno stato di ipoglicemia. Quando questo succede, il funzionamento del nostro corpo e del nostro cervello non è più ottimale, e sentiamo la necessità di mangiare nuovi alimenti. Se mangiamo molti carboidrati per fronteggiare la fame causata dall'ipoglicemia, generiamo una nuova secrezione di insulina, entrando in un circolo vizioso.

Molti risultati sugli IG sono risultati sorprendenti. Ad esempio le patate al cartoccio hanno un IG considerevolmente più alto di quello delle zollette di zucchero.

Sono stati finora misurati gli IG di circa 300 cibi ricchi in carboidrati. Il segreto è mangiare pochi di quei cibi con alto IG e una quantità maggiore di cibi con indice basso.

Gli IG sono percentuali calcolate in base ad un cibo di riferimento. Qui sono calcolate con riferimento al pane bianco. In altre parole, sulla scala di riferimento, il pane bianco è uguale a 100 (scala generalmente utilizzata negli USA). Se si moltiplica l'IG di questa scala per 0,7 si converte l'IG a quello di una scala in cui il glucosio è uguale a 100.

"L'indice glicemico: fatica sprecata?"
di THOMAS M.S. WOLEVER, MD, PHD

Diabetes Care, Volume 20, Number 3, March 1997, pp. 452-456

Sommario:

L'Indice Glicemico (IG) è un metodo che permette la classificazione dei cibi basata sul potere degli stessi di elevare il livello della glicemia.
L'American Diabetes Association (ADA) ha messo in dubbio l'utilità clinica dell'IG e raccomanda che l'attenzione sia rivolta prioritariamente alla quantità, piuttosto che alla fonte, dei carboidrati. Alcuni hanno interpretato ciò nel senso che tutti i carboidrati hanno quasi lo stesso effetto sulla glicemia, perciò alcuni pensano ora che l'IG sia ormai un'idea superata. Ciò nonostante, le ragioni per mettere in dubbio l'utilità clinica dell'IG, sono infondate per i seguenti motivi:

  1. Sono basate su studi che hanno misurato la risposta glicemica ad un unico pasto o al massimo a due. Ciò fornisce un'evidenza non sufficiente su cui basare delle raccomandazioni dietetiche;
  2. Sono basate su una errata interpretazione di tutti gli studi citati come evidenza;
  3. Non tengono conto di studi più elaborati che mostrano che l'IG è applicabile ai pasti misti;
  4. Non tengono conto degli studi che dimostrano che una dieta che tenga
  5. sotto controllo l'IG garantisce generalmente un miglior controllo della glicemia nei soggetti diabetici.

L'IG è un concetto valido e potenzialmente utile, ma è anche piuttosto complesso.
Ci sono ancora molte questioni non risolte e ancora non si è stabilito con precisione che posto possa occupare l'IG nell'educazione del paziente.
Comunque non si possono fare progressi senza equilibrio e oggettività.

Alcuni brani estratti dall'articolo:

Esiste invece dell'evidenza che mostra come la fonte dalla quale provengono i carboidrati ingeriti è uno dei fattori che influenzano maggiormente la risposta glicemica ai pasti misti in soggetti diabetici ed anche che le diete a basso IG migliorano in generale il controllo glicemico.

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Hollenbeck et al. hanno condotto un esperimento alimentando dei pazienti diabetici con tre tipi di dieta e hanno trovato che la dieta con minore IG ha procurato dei risultati statisticamente significativi di un più basso livello di glucosio e di insulina, rispetto alle diete a più alto IG.

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Insomma, non posso accettare la conclusione che l'IG non abbia utilità clinica. Infatti l'evidenza disponibile è a favore dell'utilità dell'IG sia per quanto riguarda la sua applicazione ai pasti misti che i suoi effetti a lungo termine sul controllo della glicemia.
Il principio che sta dietro l'IG è lo stesso di quello noto per gli inibitori della glucosidasi, cioè il fatto di permettere che l'aumento della glicemia postprandiale sia tenuto sotto controllo grazie alla riduzione del tasso di assorbimento dei carboidrati.
Bisogna comunque usare delle cautele, infatti l'IG non è il solo, né il più importante criterio di valutazione di un alimento. Alcuni cibi a basso IG devono comunque essere usati con moderazione a causa del loro alto contenuto di grassi (cioccolata, noccioline...), e alcuni cibi ad alto IG possono rivelarsi delle buone scelte dietetiche perché hanno poche calorie e alto valore nutritivo (carote) o, in alcune situazioni, possono essere una scelta appropriata perché alcuni alimenti ad alto IG hanno pochi grassi (es. pane, i cereali in fiocchi....).
Insomma l'IG è importante come informazione aggiuntiva alle classiche tabelle che descrivono le caratteristiche dei cibi, ma non vuole essere un dato in grado di riassumere, né sostituire, le altre informazioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come si determina l'Indice Glicemico

L'IG si determina in laboratorio in condizioni controllate. Il processo consiste nel far mangiare i cibi da testare a diverse persone, alcune con il diabete, altre senza, in porzioni che contengono 50 gr. di carboidrati disponibili (Wolever Thomas MS. "The Glycemic Index: Flogging a Dead Horse?", Diabetes Care).

http://www.progettodiabete.org/expert/images/glu.gifL'IG è il rapporto tra l'area della curva di assorbimento dopo l'ingestione di 50 gr. di glucosio (o di un'altro alimento di riferimento, come il pane bianco) in un certo tempo, e quella ottenuta dall'ingestione dell'alimento di cui si effettua la misura. L'area al di sotto della curva, viene espressa come percentuale del valore medio calcolato per il cibo di riferimento nello stesso soggetto.
Infine, si fa una media delle percentuali ottenute da ogni soggetto per ottenere l'IG per il cibo in questione (Wolever, Thomas M.S. et al. "The Glycemic Index: Methodology and Clinical Implications", Am-J-Clin-Nutr.1991 Nov; 54(5): 846-54).

Per esempio, per testare gli spaghetti, gli studiosi, ne somministrano ai volontari 200 gr. (che secondo le tavole standard della composizione dei cibi contengono 50 grammi di carboidrati disponibili). Vengono poi rapportate la risposta a questa somministrazione con quella ottenuta dal cibo di riferimento. L'intero processo viene ripetuto in giorni diversi per evitare l'influenza delle variazioni delle diverse condizioni che si possono verificare da un giorno all'altro.

 

 

 

 

 

Alcune importanti considerazioni

L'IG non deve essere l'unico criterio nel selezionare cosa mangiare.
L'importo totale dei carboidrati, la quantità e il tipo di grassi, le fibre e il sale contenuti nei cibi, sono considerazioni dietetiche ugualmente molto importanti. L'IG è utile soprattutto quando si deve decidere quale cibo ad alto tenore di carboidrati mangiare. Ma non lasciate che l'IG vi faccia sentire sicuri nel ingerire più carboidrati di quelli che il vostro fisico può gestire, particolarmente se siete diabetici.

Bisogna quindi conoscere il contenuto di carboidrati dei cibi (spesso sono indicati nelle informazioni nutrizionali riportate sulla confezione) e stabilire in che proporzione devono essere presenti, nella vostra dieta carboidrati, grassi e proteine. Quasi tutti gli esperti concordano sul fatto che dovremmo minimizzare l'assunzione di grassi saturi e mangiare molte più fibre di quanto non facciamo.
Alcuni altri grassi, particolarmente quelli dei pesci che vivono in acque fredde ed essenzialmente acidi grassi come quelli che si trovano in grande quantità nell'olio di oliva, sembrano essere benefici. Al di là di questo, la disputa è tra chi sostiene che dovremmo mangiare più proteine e quelli che affermano che i carboidrati dovrebbero fornirci la maggior parte delle calorie che ci necessitano.

Non tutti i carboidrati sono inoltre uguali. Alcuni si dissociano velocemente durante la digestione provocando un repentino innalzamento della glicemia verso livelli pericolosamente alti. Questi sono i cibi con IG più alto. Altri carboidrati si dissociano più lentamente e rilasciano glucosio più gradualmente e si dice abbiano IG più basso. Prima dello sviluppo dell'IG, gli studiosi ritenevano che il nostro corpo assorbisse e digerisse gli zuccheri semplici rapidamente, e ciò producesse rapidi incrementi dei livelli di glicemia. E questo era il ragionamento alla base dell'ammonimento di evitare lo zucchero, una prescrizione questa recentemente attenuata dall'American Diabetes Association e da altri.

Di contro, gli specialisti pensavano che assorbissimo amidi come il riso e le patate lentamente, e che ciò causasse quindi innalzamenti della glicemia modesti. Test clinici dell'IG hanno dimostrato che questa assunzione è falsa. Fattori come la varietà, il modo di cucinare un cibo, i trattamenti che l'alimento subisce, possono influenzare l'IG di un cibo.

La grandezza dei grani è un altro fattore importante; secondo uno studio del 1988 di Heaton et al. i ricercatori hanno scoperto che l'IG del frumento, del mais e dell'avena aumentava con la maggiore raffinazione dei grani: più il chicco è integro minore è l'IG. Inoltre, la risposta della glicemia ad un cibo particolare può essere in qualche modo soggettiva. Può essere quindi utile controllare la propria glicemia dopo aver ingerito dei cibi sull'effetto dei quali non si è certi in modo da determinare se hanno un IG soggettivo basso o alto.

È bene inoltre notare che i numeri variano da uno studio all'altro. Ciò può essere dovuto a fattori soggettivi (gli individui che si sono sottoposti ai test differenti), oppure ad altri cibi ingeriti contemporaneamente, o ai modi diversi di preparare uno stesso cibo, poiché il corpo può assorbire meglio certi cibi se sono cucinati meglio. La maggior parte (ma non tutti) dei cibi testati sono ricchi di carboidrati. Ci si potrebbe interrogare sui cibi mancanti - perché altri cibi ricchi di carboidrati e poco calorici come il sedano o i pomodori, o cibi simili, non sono mai stati testati? Si tratta per gli scienziati di un problema tecnico: sarebbe difficile far mangiare a un volontario 50 grammi di carboidrati provenienti dal sedano (è più sedani di quanto tu possa immaginare!) Diciamo che dal punto di vista dell'IG i cibi come il sedano possono essere considerati "free foods", ossia cibi che non influiscono sensibilmente sul livello della glicemia.

 

 

 

 

 

Pasti misti

Alcuni si domandano se l'IG sia in grado di predire l'effetto di un pasto misto, ossia un pasto che è composto da cibi con IG molto differenti. Diversi studi dimostrano che l'IG è molto adatto e utile ad assolvere questo compito.

Più di 15 studi si sono occupati del modo di stabilire l'IG di pasti misti. 12 di questi studi hanno mostrato che esiste un'eccellente correlazione tra ciò che ci si aspettava e ciò che è stato effettivamente verificato. Si può prevedere piuttosto correttamente l'IG di un pasto misto, semplicemente moltiplicando la percentuale totale di carboidrati contenuti in ciascun cibo per il suo indice glicemico e addizionare i risultati ottenuti per ottenere l'IG dell'intero pasto. La professoressa Brand Miller riporta un esempio a pag. 29 del suo libro "The G.I. Factor". Il report di una Joint FAO/WHO Expert Consultation "Carbohydrates in Human Nutrition" riporta un'esauriente spiegazione e un esempio.

I tre studi che non hanno mostrato la correlazione attesa sono stati condotti da un gruppo di ricercatori che non hanno usato una metodologia standardizzata per ricavare l'IG dall'area al di sotto della curva. Inoltre i loro pasti erano ricchi di grassi che notoriamente tendono a ridurre l'impatto di ogni cibo a base di carboidrati.

 

 

 

 

 

 

Alcuni alimenti particolari

Pizza

Molte persone hanno notato che la pizza sembra mantenere la loro glicemia alta più a lungo che un altro cibo. Mentre la ragione per la quale succede questo rimane un mistero, questa credenza popolare ha ora una conferma scientifica.
Ahern et al. hanno confrontato su pazienti insulino dipendenti l'effetto di un pasto a base di pizza con quello prodotto da un pasto che contiene cibi ad alto indice glicemico. Hanno scoperto che sebbene inizialmente l'incremento della glicemia era simile per i due pasti, l'IG ha continuato a salire ed è aumentato significativamente dalle 4 alle 9 ore successive dopo la pizza, diversamente che per il pasto di controllo. Un effetto simile lo dà anche la focaccia salata.

Riso

Riso e patate sono alcuni dei cibi più testati per gli indici glicemici.
Sono importanti sia perché se ne mangia una discreta quantità, sia perché possono avere un IG alto. La Prof. Brand Miller riporta il risultato di 49 studi sul riso. Gli indici trovati variano da 54 a 132.

Quale può essere la causa di una tale variabilità? Secondo la prof. Brand Miller, per il riso una delle considerazioni più importanti riguarda il rapporto che esiste tra "amilosio e amilopectina". Lei dice che l'unico alimento integrale a grani che ha un IG alto è il riso a basso contenuto di "amilosio". Esistono comunque alcune varietà di riso (come il Basmati, un riso a grani lunghi, o il Doongara, una nuova varietà australiana) che hanno valori intermedi di IG poiché hanno un contenuto di "amilosio" maggiore che il riso normale.
Si può dire che esistono quattro tipi di riso: a grani lunghi, a grani medi, a grani piccoli e quello che si chiama riso "dolce". Quest'ultimo è quello usato normalmente nella cucina asiatica e non contiene "amilosio", e quindi è quello dal più alto indice glicemico. Tra gli altri tre tipi, il riso a grani lunghi è quello il cui contenuto di amilosio è più alto, mentre quello a grani corti ha il contenuto di amilosio più basso. Inoltre il riso, meno è raffinato, minore è il suo IG.

Patate

La Prof. Brand Miller riporta il risultato di 24 studi sulle patate. Gli indici trovati per le patate variano da 67 a 158.
Secondo Brand Miller la varietà Pontiac è un caso a parte: queste patate hanno una buccia rosa ed hanno un IG pari a 80, minore di quello di altre varietà. A dire il vero, altri test dell'IG di patate novelle e patate bianche danno risultati addirittura più bassi. La spiegazione sta quasi certamente nel fatto che le Pontiac contengono poco amido. Sembra cioè che ci sia una correlazione positiva tra contenuto di amido e IG delle patate.

Latte

Il latte di mucca ha un IG da 39 (intero) a 46 scremato. Può essere interessante paragonarlo al latte di soia che ha IG 43 e un contenuto di carboidrati pari a 4,5 g/100 ml. Ciò non sorprende, dal momento che i fagioli di soia hanno IG pari a 25. Ma bisogna fare molta attenzione al fatto che non tutti i latti di soia sono prodotti allo stesso modo, quindi anche il loro IG varia.
Si può notare inoltre che i carboidrati presenti nelle bevande di soia hanno IG più basso del lattosio.

Fruttosio, Sciroppo di mais ad alto tenore di fruttosio e Maltodestrine

Lo sciroppo di mais ad alto tenore di fruttosio non è la stessa cosa che il fruttosio. Mentre quest'ultimo è fruttosio puro, il primo è un misto tra fruttosio e glucosio e il suo IG è inferiore (85-92, laddove quello del pane bianco è 100).
Le maltodestrine hanno invece stesso IG del glucosio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Indici glicemici di alcuni alimenti

Tutti i valori riportati (eccetto quelli annotati) sono basati su circa 80 studi presi dalla letteratura scientifica internazionale. Molti cibi sono stati eliminati dalla lista originale, perché riportavano molti alimenti non reperibili in Italia. Per comodità, sono stati messi in ordine crescente di valore. In questa lista il pane bianco è l'alimento di riferimento ed ha quindi un valore pari a 100. Questo perché è un cibo tipico ed è più vicino alla realtà quotidiana rispetto al classico glucosio, che viene usato solo in studi scientifici. Per calcolare l'IG rispetto al glucosio basta moltiplicarlo per 0,73. La tabella è aggiornata al luglio del 1997.

Yogurt a basso tenore di grassi dolcificato con aspartame

20

Farina d'avena galletta

79

Fagioli di soia in scatola

20

Biscotti da té

79

Noccioline

21

Succo di frutta mista

79

Fagioli di soia

25

Popcorn

79

Crusca di riso

27

Muesli

80

Fagioli rossi

27

Mango

80

Ciliege

32

Uva sultanina

80

Fruttosio

32

Patate comuni bianche bollite

80

Piselli secchi

32

Riso integrale

81

Cioccolato al latte dolcificato con aspartame

34

Patate novelle

81

Fagioli marroni

34

Riso bianco

83

Pompelmo

36

Riso bianco, alti amidi

83

Lenticchie rosse

36

Pasticcio di carne

84

Spaghetti arricchiti di proteine

38

Pizza al formaggio

86

Latte + 30g di crusca

38

Zuppa di piselli

86

Latte intero

39

Hamburger bun

87

Fagioli secchi comuni

40

Farinata di fiocchi di avena

87

Salsicce

40

Gelato

87

Lenticchie comuni

41

Barrette di muesli

87

Fagioli

42

Patate confezionate

87

Lenticchie verdi

42

McDonald's Muffins

88

Fagioli Neri

43

Sciroppo di mais ad alto tenore di fruttosio

89

Latte di Soya

43

Biscotto di pasta frolla

91

Albicocca

44

Uva passa

91

Piselli bolliti

45

Pane di segale

92

Latte scremato

46

Maccheroni al formaggio

92

Fettuccine

46

Saccarosio/zucchero di canna

92

Nutella (Ferrero)

46

 

92

Yogurt a basso contenuto di grassi, dolcificato con zucchero della frutta

47

Timballo

93

Segale

48

Cous-cous

93

Orzo

49

Pane di segale, alte fibre

93

Cioccolato al latte senza zucchero

49

Cocomero

93

Vermicelli

50

Patate al vapore

93

Yogurt standard

51

Cordiale all'arancia

94

Pere fresche

52

Ananas

94

Succo di mela

53

Semolino

94

Spaghetti

53

Gnocchi

95

Mela

54

Cornetti (croissant)

96

Pastina Star

54

Nocciole

96

Polpa di pomodoro

54

Fanta

97

Pane d'orzo

55

Mars barrette

97

Ravioli

56

Pane di frumento, alte fibre

97

Spaghetti cotti per 5 min.

58

Frittella

98

All-Brain

60

Crema di frumento

100

Pesca fresca

60

Biscotti di frumento

100

Aranicia

63

Purea di patate

100

Pere in scatola

63

Carote

101

Zuppa di lenticchie in scatola

63

Pane bianco di frumento

101

Cappellini

64

Crackers

102

Maccheroni

64

Melone

103

Linguine

65

Panino

104

Riso rapido bollito per 1 min.

65

Miele

104

Lattosio

65

Patate bollite schiacciate

104

Pan di Spagna

66

Corn chips

105

Uva

66

Panino ripieno

106

Succo d'ananas

66

Patate fritte

107

Pesche in scatola

67

Zucca

107

Riso parboiled

68

Cialde

109

Piselli verdi

68

Wafers alla vaniglia

110

Riso parboiled, alti amidi

69

Dolcetti di riso

110

Succo di pompelmo

69

Galletta tipo colazione

113

Cioccolato

70

Ciambella salata

116

Pane di segale

71

Patate al microonde

117

Gelato a basso contenuto di grassi

71

Cornflakes

119

Tortellini al formaggio

71

Patate al forno

121

Crusca con uva sultanina

74

Patatine fritte croccanti

124

Succo d'arancia

74

Riso, parboiled, basso amido

124

Lenticchie verdi in scatola

74

Riso bianco, basso amido

126

Kiwi

75

Riso soffiato

128

Torta comune

77

Riso istantaneo bollito per 6 min

128

Patate dolci

77

Pane di frumento senza glutine

129

Special K Kellog's

77

Glucosio

137

Banana

77

Maltodestrine

137

Grano saraceno

78

Tavolette di glucosio

146

Cereali dolci

78

Maltosio

150

Spaghetti

78

Tofu frozen dessert

164

Riso integrale (brown)

79

   

 

 

 

 

 

 

 

 

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