DELEGA ALL’AUSL DI RIMINI:

NON ESISTONO ALTERNATIVE

Devo ammettere, come ho fatto in Commissione, che in questi ultimi tre anni le cose, a livello informativo, sono migliorate. Ora, per lo meno, conosciamo il numero degli interventi effettuati dall’Ausl per conto del nostro Comune. La prima delibera di proroga di delega alla quale ho votato contro nel settembre ‘99 non conteneva neppure gli essenziali elementi numerici. Elementi numerici che, tuttavia, non sono sufficienti a valutare la qualità dei servizi.

Mi si è detto in Commissione che è stato attribuito alla Comunità Montana il compito di individuare un indicatore di qualità. Sorvolo sul giudizio che vorrei esprimere su tale scelta.

Quest’anno - e di questo ringrazio - ci è stata consegnata con discreto anticipo la relazione sintetica dell’attività sociale svolta nel 2002 per conto del nostro Comune. I dati  dovrebbero anche rappresentare uno stimolo ad analizzare meglio il disagio sociale che serpeggia anche nel nostro territorio. Ad esempio avrei voluto conoscere qualcosa di più in ordine ai 9 casi di trascuratezza, 2 di maltrattamento, 1 di abuso, 3 di devianza concernenti l’area dell’infanzia e dell’adolescenza, sempre nel rigoroso rispetto della privacy.

Molte volte nelle vostre relazioni voi tecnici socio-sanitari trattate i problemi dimenticando che i consiglieri comunali non sono dei tuttologi. Ad esempio per quanto attiene l’assistenza domiciliare non sarebbe male specificare in che cosa realmente consiste, quante prestazioni alla settimana per quanti minuti ciascuna, quali sono i requisiti richiesti perché l’anziano possa usufruire di tale servizio, quanto tempo occorre per ottenere una risposta.

Ma oggi probabilmente l’attenzione non può che essere attirata dalle decisioni romane. E questo è anche male perché ci fa perdere di vista la nostra situazione locale che non sempre dipende da quella romana. Ma tanto vale parlarne.

Com’è noto è iniziata la discussione parlamentare sugli anziani non autosufficienti e non si esclude sia in pericolo l’attuale loro diritto alle cure sanitarie. Se è vero com’è vero che il presentatore della legge, l’on. Battaglia, ha persino gonfiato il numero delle persone considerate anziane, allo scopo evidente di far apparire come estremamente difficoltose, soprattutto sotto il profilo economico, le risposte che le istituzioni dovrebbero fornire e spesso non forniscono, c’è da aspettarsi di tutto.

La posizione dell’on. Battaglia sugli anziani non autosufficienti, ai quali nega la condizione di malati e i relativi obblighi del Servizio sanitario nazionale ma ai quali propone l’assicurazione obbligatoria, purtroppo è stata fatta propria da altri parlamentari DS, Katia Zanotti, Marida Bolognesi, Luigi Giacco e Grazia Labate, intervenuti nella Commissione Affari Sociali della Camera, che probabilmente non si sono mai soffermati sulle leggi già esistenti che non sempre sono state rispettate, finendo per prestare il fianco a chi vuole azzerare tutto, equivocando tra assistenza e sanità.

Se passasse la proposta di legge Battaglia, si cancellerebbe l’attuale diritto esigibile alle cure sanitarie gratuite e senza limiti di durata, il cui rispetto viene rivendicato da un sempre maggior numero di anziani, di loro congiunti e di organizzazioni che operano per la tutela delle loro esigenze.

Poiché lo “stato sociale” viene smantellato di giorno in giorno, non mi pare ozioso parlare di queste cose, perché alla prossima delega potremmo trovarci a dover affrontare problemi ben più gravi degli attuali, tanto più in presenza di dichiarazioni quali quella del sottosegretario al Welfare, Grazia Sestini, secondo la quale, dopo aver lanciato sospetti sul corretto utilizzo del fondo sociale da parte di regioni ed enti locali, rispetto al problema degli anziani afferma che al governo si sono accorti “che il sistema socio assistenziale non regge un peso simile”.

Tornando alla relazione prendiamo atto che i portatori di handicap assistiti sono stati 26. Non ho chiaro di quale tipo di assistenza hanno usufruito: se si intervenga, ad esempio, anche in favore di quei soggetti che, pur presentandone necessità, si sono visti togliere cicli indispensabili di fisioterapia e devono continuare a praticarla a pagamento.

Da ultimo, il Coordinamento Sanità e Assistenza fra i movimenti di base, Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, che ha sede a Torino, rappresentato da Francesco Santanera, si è rivolto al direttore generale dell’Ausl, rappresentandogli la situazione connessa ai contributi richiesti ai parenti di ultrasessantacinquenni non autosufficienti e di portatori di handicap grave. Il riferimento di Santanera era all’applicazione del decreto legislativo 130/2000, in base al quale, per le prestazioni sociali erogate a domicilio, presso centri diurni e strutture residenziali ai soggetti con handicap grave e agli ultrasessantacinquenni non autosufficienti, gli enti pubblici (Comuni, loro Consorzi, Comunità Montane, Province, Ausl, ecc.) devono prendere in considerazione esclusivamente la situazione economica dell’assistito e non quella dei parenti, compresi i congiunti tenuti agli alimenti.

Secondo il Direttore generale Carradori poiché il comma 4-2 ter dell’art. 3 del decreto legislativo 130/2000 limitatamente alle prestazioni assistenziali di natura socio-sanitaria rivolte a persone con handicap grave rimanda all’emanazione di apposito DPCM finalizzato a favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione”, per la nostra Ausl, “sulla base delle indicazioni della Conferenza Sanitaria Territoriale ed in attesa che gli Enti Locali diano eventuali diverse indicazioni, l’importo da richiedersi agli utenti è quello previsto precedentemente dalla Regione Emilia-Romagna...”, ecc.

Mi sono chiesta più volte quale funzione abbiano i componenti la Conferenza Sanitaria Territoriale, dal momento che mi pare non esprimano alcuna autonomia di giudizio. D’altronde del problema ho parlato in altra occasione in quest’aula senza che nessuna authority raccogliesse la provocazione.

Il decreto 130, intervenuto proprio perché in passato erano emerse cattive interpretazioni , ha evidenziato che le norme in materia di prestazioni sociali agevolate “non possono essere interpretate nel senso dell’attribuzione agli enti erogatori della facoltà di cui all’art. 438 del codice civile, primo comma, nei confronti dei componenti il nucleo familiare dei richiedenti le prestazioni agevolate”.

Eminenti giuristi e difensori civici regionali non hanno alcun dubbio: “gli enti non hanno facoltà d richiedere ai parenti il pagamento delle prestazioni assistenziali ed in particolare delle rette di ricovero”, mentre gli erogatori “persistono in una cattiva prassi e argomentano pretestuosamente che, poiché le disposizioni del decreto 130/2000 si applicano nei limiti stabiliti da un venturo decredo del Presidente del Consiglio dei Ministri, l’esclusione della possibilità di richiedere ai parenti dei ricoverati il pagamento delle rette avverrebbe solo con tale emanando decreto”, come ha risposto il dottor Carradori.

La risposta del dottor Carradori è comunque infondata perché, “già prima dell’interpretazione chiarificatrice, doveva essere esclusa la possibilità di richiedere i pagamenti ai parenti, stante la vincolatività e la specialità della disciplina sugli alimenti, sia perché la norma del dlgs 130/2000 ha solo voluto escludere senza dubbio la facoltà di cui si erano arrogati gli enti senza alcun bisogno quindi di ulteriore normativa”.

Un problema in ordine al quale ho dovuto scontrarmi più volte anche qui, a Poggio Berni, Rimini ecc., per cui ero particolarmente interessata alla risposta. Evidentemente non sono soddisfatta della risposta del Direttore generale ma neppure della latitanza dell’assessore al ramo che partecipa alla Conferenza Sanitaria Territoriale che non poteva non essere al corrente del problema poiché, non solo ne avevo parlato in Consiglio allorché votammo l’ordine del giorno dei sindacati, ma perché la vertenza con gli enti pubblici è ormai datata, essendo iniziata nel 1985. Da allora sono anche intervenute sentenze di Cassazione che hanno fatto testo, da me stessa citate. A chi in passato si era rivolto all’assessorato per chiedere delucidazioni in merito, è stato risposto che non risultava nulla.

Sulla delega in commissione mi ero astenuta riservandomi di riflettere. Ora, dopo aver attentamente riflettuto, pur essendo consapevole che il servizio non può che essere delegato all’Ausl, il mio voto non può che essere di astensione.

Mirella Canini Venturini

- Verdi Alternativi -

[Cons. Com. 07.02.2003]

 

A proposito dell’applicazione del dlgs n. 130/2000 - ho specificato nella replica - avrei potuto citare - senza fare nomi per rispetto del diritto alla privacy - il caso di una paziente anziana affetta da Alzheimer, un caso decisamente di carattere sanitario, oltre che sociale: alla Casa Protetta va per intero la pensione della signora insieme all’assegno d’accompagno. Al marito, che percepisce 1.200.000di  vecchie lire di pensione, anziano lui stesso e bisognoso di aiuto in casa, non è stato lasciato neppure quel 25% ammesso dalla delibera regionale e gli si accollano tutte le spese extra: dalle scarpe ortopediche ai medicinali, ecc. e si è tentato per anni di fargli versare anche buona parte della propria pensione.

Aver ascoltato la dirigente dell’Ausl non mi ha aiutato a cambiare opinione: confermo l’astensione.