“IO, DEPUTATO DELLA PRIMA REPUBBLICA”

 

 

Il libro (edito dalla Soc. Ed. “Il Ponte Vecchio” di Cesena) fotografa, con gli occhi della stampa nazionale, le più significative battaglie istituzionali delle quali è stato instancabile protagonista Stefano Servadei. Non tutte, ovviamente, poiché di tracce, nel suo lungo percorso umano e politico, ne ha lasciate tante, e tutte meritevoli di considerazione.

Per chi, come chi scrive, ha seguito la sua attività in questi ultimi quarant’anni, la lettura del libro ha rappresentato sì un piacevole ripasso, ma anche l’occasione per riportare a galla più di qualche rammarico. Rammarico per come furono allontanati, quasi alla fine della prima Repubblica, uomini, come Servadei, divenuti scomodi a chi, con i noti comportamenti venuti alla luce pubblicamente nel ‘92, aveva fatto di tutto per porre fine ad una sorta di ‘magistero’ di coerenza ideale e di pulizia morale nel momento in cui tutto testimoniava che questa era la ‘materia prima’ che scarseggiava, come tuttora scarseggia, nella classe politica nazionale e locale.

Sarebbe sufficiente ricordare, a questo proposito, come nel 1983 fu escluso dai candidati per la Camera dei Deputati in maniera indegna, per decisione assunta all’ultimo momento dal defunto sovrano del PSI, in una situazione oscura e mai decifrata del tutto, anche se, conoscendo le battaglie dell’allora deputato socialista forlivese Servadei contro le logge segrete e la P2 ed i suoi protagonisti annidati nel suo stesso partito, contro le grosse evasioni fiscali aiutate anche da alcuni tristemente noti esponenti della Guardia di Finanza del tempo, contro la dilagante corruzione all’interno della pubblica amministrazione, non si poteva restare stupiti più di tanto.

A tutto questo era sufficiente aggiungere la sua contestuale solitaria ed efficace battaglia contro la cittadella dell’intrigo, del sopruso e dell’abuso riminese e della riviera. Una battaglia che i suoi successori e gli altri si sono guardati bene dal portare avanti, privando i cittadini di quella verità a cui avevano diritto.

La perdita dell’immunità parlamentare lo espose alle vendette dei potenti e dei loro amici: le azioni giudiziarie e le condanne non tardarono ad affermarsi, senza che il suo partito, in tutt’altre faccende affacendato, se ne accorgesse.

Nel 1985 accettò la candidatura in Regione e guidò la campagna elettorale socialista  alzando la bandiera dell’autonomia romagnola nelle nostre zone pur continuando a sollevare, a livello nazionale e locale, il problema delle vergognose esenzioni fiscali a favore dei parlamentari e degli ex-parlamentari, degli eccessivi viaggi all’estero e dello smodato uso delle auto bleu da parte dei pubblici amministratori locali a spese del contribuente e altro.

All’inizio del ‘90, indirizzandogli una ‘lettera aperta’ concludevamo: “Startene a casa tua sarebbe la soluzione più semplice. Quella, però, che serve meno i valori di pulizia morale, di socialismo umanitario, di spirito di servizio che rappresenti... Scegli la via che credi, ma non ritirarti. Il momento è troppo grave per perdere, nella pubblica funzione, la tua presenza, per soccombere alle varie consorterie di partito, per lasciare che le leve pubbliche cadano ulteriormente in mano agli arraffoni, agli incapaci, ai disonesti”.

Si era alla vigilia di “mani pulite” che avrebbe decapitato partiti e istituzioni, PSI in testa.

Servadei non ha ceduto alla tentazione di ritirarsi, anche se non ha più potuto presentare le interrogazioni che imbarazzavano il suo stesso partito: “Ed io, per la mia parte, certamente interpretando i bisogni di’ pulizia’ di chi mi ha eletto, non tralascio nulla perché la macchina pubblica diventi sempre più trasparente ed efficiente”.

Purtroppo le cose sono rimaste allo stesso punto in cui le lasciò Servadei. La prima Repubblica di fronte ai risultati di questa seconda, non sfigura affatto che anzi, forse, quest’ultima, la esalta.

Al tempo in cui ci ha rappresentato in Parlamento, Stefano Servadei - come ricordano gli articoli riportati nel volume in discorso - “ha fatto allontanare sette funzionari scorretti dal Genio Civile di Ravenna, ha fatto trasferire vice prefetti maneggioni, licenziare dipendenti pubblici discussi, destituire Prefetti infedeli. Non senza tormento”. Infatti - confessava a Lietta Tornabuoni (La Stampa, 22.10.1970) - “non sono un fanatico e soffro anch’io di pietismo. Ma la disonestà, soprattutto nell’esercizio di funzioni pubbliche, mi offende e mi indigna. Sento soprattutto il dovere di difendere dalle soperchierie la gente semplice, la meno dotata e protetta, dalle cui file provengo”.

Come si sentirebbe oggi in un Parlamento che avalla persino leggi promulgate ad uso e consumo di alcuni potentati?

Non c’era affare di cui fosse in discussione la trasparenza che non lo trovasse pronto ad insorgere. Così nel ‘76 (Resto del Carlino) il calcio mercato suscitò la sua indignazione: “Perché esiste una specie di mafia del calcio, perché le società calcistiche si sono ritagliate una sorta di piccolo stato nello Stato, e rispettano soltanto  le regole che fanno loro comodo”. I giocatori figuravano nei bilanci delle società come parte del patrimonio, tuttavia il loro acquisto non era soggetto ad Iva. Servadei temeva che il fisco subisse il fascino del divismo, sia sportivo che canoro: “... ci si ricordi, almeno, che l’art. 43 della Costituzione impone a tutti di pagare le tasse in proporzione alle proprie ricchezze ed ai propri guadagni” (Resto del Carlino, 30.8.1978).

Non erano ancora scoppiati gli scandali delle tangenti degli anni ‘90, ma già c’era persino chi pagava tangenti milionarie in cambio di un cavalierato al quale quasi certamente aveva diritto (Il Mondo, 31.8.1979), in mezzo alla “giungla dei privilegi corporativi” (Avanti!, 2 agosto 1980).

Il 13 luglio 1978 presentò alla Camera una dura interrogazione indirizzata al Presidente del Consiglio e al Ministro per le Finanze con la quale, denunciando gravissime disfunzioni ed irregolarità riguardanti la Guardia di Finanza, parlava di forme di corruzione diffusa anche nei suoi alti gradi, facendo riferimento ad arricchimenti ingenti, contestualmente ad una inadeguata azione contro la grande evasione fiscale... Il primo ufficiale superiore del Corpo venne incriminato, per il cosiddetto “scandalo dei petroli” nella prima decade del gennaio 1979, ma Servadei (Avanti!, 4.11.1980 e altri quotidiani), anziché ottenere la risposta dal Governo, guadagnò quella, tutt’altro che disinteressata, del gen. Giudice.

 Egidio Sterpa (Il Giornale, 12.12.1981) ricordando come Servadei venisse definito da qualche collega “un piantagrane difficilmente addomesticabile”, a proposito della battaglia per l’autonomia regionale della Romagna, scriveva: “Non so come andrà a finirte questa storia, ma posso dare per certo, per quel che lo conosco, che se Servadei si ostinerà in questa causa, prima o poi gli attuali amministratori emiliani avranno a che fare con una bella gatta da pelare”. E oggi così è, checché ne pensi l’on. Sergio Gambini (Ds).

Gli articoli selezionati e raccolti in volume sono poco più di trenta. Tra questi non è sfuggito il riferimento a certe situazioni riminesi (da noi stessi ricordate in un numero precedente a proposito dell’arresto dell’ergastolano Mazzei), allorché, prendendo spunto dalla bomba contro il Savioli di Riccione, iniziò la serie delle denunce connesse a presunti legami fra la malavita e determinati uffici statali: “Del resto - scriveva Il resto del Carlino del 17.5.1981 -, che da tempo si parli di una specie di ‘mafia cittadina’ a Rimini, diventata ‘punto di riferimento’ per troppi e troppo grossi interessi, non è una novità per alcuno. Anche se fino a questo momento nessuna denuncia era stata più esplicita e clamorosa, anche in riferimento alla ‘fedeltà’ di diversi pubblici funzionari rispetto al loro ruolo”.

Come sottolinea Servadei in una nota in calce all’articolo pubblicato sull’Avanti! del 7.7.1982, l’iniziativa “ha portato ad un consistente ricambio negli alti gradi della burocrazia statale riminese e ad un maggior controllo del territorio, secondo le direttive di carattere nazionale. Nella lunga e dura vicenda mi è stato particolarmente vicino il Prefetto dell’allora Provincia di Forlì, dott. Pietro Boccuccia, del quale conservo il grato ricordo di un vero ‘servitore dello Stato’. Al contrario, le varie istituzioni riminesi sono rimaste ininterrottamente alla finestra. E qualcuna non si è neppure presa adeguata cura dei propri funzionari ‘chiacchierati’”.

Il libro si conclude con un articolo di Gianfranco Salomone (Avanti!, 29.10.1985), Come un accusatore può diventare accusato, che racconta, alla vigilia del processo subìto da Servadei (22.11.1985), come si sia atteso la fine dell’immunità parlamentare per farla pagare ad un uomo scomodo anche per la realtà istituzionale riminese: “Il processo si è concluso con la mia condanna a quattro mesi di reclusione. E ciò malgrado la testimonianza del Prefetto dell’epoca, e la richiesta di assoluzione piena da parte del Pubblico Ministero. Tale condanna è stata eliminata da una successiva amnistia di carattere generale. Ne sono stato dispiaciuto essendo mio preciso intendimento, sulla vicenda, giungere, se necessario, fino alla Cassazione”.

Un dispiacere che ci accomuna come, in qualche maniera, ci ha accomunato il brutto processo forlivese al quale abbiamo preso parte, riportando la sgradevole sensazione che la nostra doverosa testimonianza veniva in parte considerata intralcio a quella che sembrava essere una condanna preannunciata, che dovrebbe fare arrossire qualche socialista al quale in quella soleggiata giornata di novembre si era smagnetizzato il nastro-memoria,  che ancor oggi, di tanto in tanto si riaffaccia sulla sceneggiata politica.

Mirella Canini Venturini

 

________

 

Stefano Servadei, Io, deputato della prima Repubblica, Soc. Ed. “Il Ponte Vecchio”, pp. 98, E. 10,00. Il volume è reperibile a Santarcangelo presso “Libri in Piazza”.