MATTEO MAZZEI SCONTERA’ L’ERGASTOLO

PER GLI OMICIDI SULL’A 14

Solo la mafia dovrà ’risarcire’ Rimini?



Boss mafioso arrestato a Rimini, Ergastolo per il fratello del boss, Tornati in cella 7 degli 8 ergastolani scarcerati per errore in maggio, Mafia, arrestati 7 ergastolani fuori per errore...

Matteo Mazzei, arrestato venerdì sera a Rimini, in cui aveva preso residenza oltre vent’anni fa, era stato scarcerato nello scorso maggio per un errore nella gestione dei termini di custodia cautelare. Condannato all’ergastolo nel ‘processo Omega’ , il primo maxi dibattimento alla mafia trapanese, era stato scarcerato dal Tribunale del riesame di Palermo. La Corte d’Assise d’Appello di Palermo ne ha ordinato l’arresto, insieme agli altri sette ergastolani, dopo avere confermato la massima pena inflitta in primo grado. Matteo Mazzei avrebbe avuto un ruolo di rilievo in due dei sessantasette omicidi emersi nell’ambito del maxi-processo siciliano, avvenuti il 25 ottobre 1991 nel riminese.

La corte d’appello palermitana ha fissato in 15.515 euro l’ammontare del danno all’immagine da risarcire al Comune di Rimini, a suo tempo costituitosi. Danno all’immagine al quale, sia pure indirettamente, hanno contribuito anche altri. Se La Voce ha ragione definendo “Rimini, il salotto buono dei mafiosi”, a chi lo si deve? Un po’ di “autocoscienza”, come dicevano le femministe degli anni ‘70, non guasterebbe.



Allorché Matteo Mazzei ottenne la residenza a Rimini, nonostante fosse un sorvegliato speciale in altra parte della penisola, «nessuno si era accorto del suo “passato”, una dimenticanza che all’epoca aveva fatto gridare allo scandalo anche alcuni parlamentari».

Probabilmente il riferimento del foglio locale è al polverone che, nell’estate dei veleni del 1991 sollevò l’allora deputato socialista Piro. Ma interventi ci furono ben prima che Piro decidesse di utilizzare il lavoro altrui e molto più seri. Sarebbe sufficiente ricordare l’impegno dell’on. Stefano Servadei, mentre le istituzioni riminesi rimanevano alla finestra, a partire dalla bomba all’Hotel Savioli di Riccione. Impegno mai venuto a mancare, nonostante le minacce e le intimidazioni, anche di carattere istituzionale.

Io stessa già nel 1984 sollevai la questione nel nostro convegno nazionale “Questione morale e criminalità organizzata”, da me introdotto e concluso da Giovanni Palombarini di Magistratura Democratica, con le autorevoli partecipazioni del compianto Franco Fedeli, di Elio Veltri, dell’on. Mannuzzu e altri, totalmente assenti gli amministratori locali.

In quegli anni ‘80 (non ‘90 come riporta erroneamente un foglio locale) si era anche costituito a Rimini un comitato contro la criminalità, che non resse il colpo inferto da una qualche sicula infiltrazione.

Naufragata miseramente la commissione comunale d’indagine del 1985, il problema delle residenze piuttosto facili venne ripreso nell’inverno del 1991, insistentemente proposto dai Verdi Alternativi che io rappresentavo nel consiglio comunale riminese. Nell’occasione si parlò persino, al mio indirizzo, di ‘trappole’ e ‘colpi bassi’, tant’è che il 16 marzo 1991 scrivevo all’allora Sindaco Marco Moretti: «Non posso esimermi dal rappresentarLe il senso di nauseante disgusto provato al Consiglio comunale del 14 marzo andante per la parte riguardante la ristrutturazione del Corpo dei Vigili Urbani relativamente al servizio informativo sulle residenze, ascoltando le fiabesche menzogne di “cristianissimi” consiglieri che non hanno esitato a calpestare uno dei principali Comandamenti - “non dire falsa testimonianza” -... Mi sono sempre battuta per il riconoscimento della dignità di uomini degli zingari, dei detenuti e di ogni altro emarginato. Non mi sentirei di farlo - dopo l’ultimo Consiglio - per “cristianissimi” consiglieri che, pur arrossendo, non esitano a ricorrere alle più vergognose menzogne nell’intento di salvare situazioni che non si può dire abbiano al centro l’interesse della Pubblica Amministrazione, tanto meno della collettività... Non ho scambiato il Consiglio comunale per il Parlamento - come mi s’attribuisce -, poiché so da tempo che entrambi non contano nulla. Contano solo determinate lobbies che operano dietro le quinte, con la compiacenza di determinati organi di stampa. Noi dovremmo solo ricoprire il ruolo di “vostre” comparse o, se preferiamo, dovremmo accettare di essere i vostri “peones”... Poiché non mi sento di scegliermi un burattinaio qualsiasi, tanto meno di ricoprire il ruolo di “pupo” siciliano, come avete costretto il presidente del IV Dipartimento, non ho ritenuto ieri, 15 marzo, di presiedere il terzo Dipartimento». Successivamente rassegnai le dimissioni.

Erano i tempi in cui il sindaco riminese dell’epoca scambiava le prostitute austriache che infestavano il lungomare per autostoppiste...

Il successivo 28 marzo 1991 in un’aula consiliare in cui, insieme a personaggi plurigallonati aleggiavano l’ambiguità e i fantasmi di sempre che, nonostante il cambio degli ‘orchestrali’, continuavano a far paura, intervenni pesantemente sulla discutibile concessione di residenza ad alcuni personaggi indesiderabili. Fra questi quel Matteo Mazzei condannato all’ergastolo al termine del “processo Omega”, trapiantato a Rimini - come già detto - all’inizio degli anni ‘80.

A Rimini in quegli anni si erano anche svolti processi concernenti domande e concessioni di residenze a seguito di presunte false attestazioni di presenza. In quelle sentenze si leggeva «che non era insolito che personale non appartenente ai distaccamenti, effettuasse informazioni in materia di residenze».

In un processo si era persino sostenuto che presso l’abitazione di un dipendente comunale si sarebbero succedute in pochi anni ben 25 nuove residenze, tant’è che il Tribunale emise un’ordinanza in cui si disponevano dettagliate indagini «ad opera dei Carabinieri, sull’attività dei Vigili Urbani nell’adempimento del servizio di assunzione di informazioni sulle persone che avevano richiesto di assumere la residenza in Rimini”.

Il Tribunale, pur non potendo generalizzare un colpevole, concludeva che «effettivamente, in alcuni casi, e per quanto riguardava individui indesiderabili, si erano verificate delle anomalìe nel servizio di informazione, così da suscitare talvolta le perplessità di alcuni appartenenti al Corpo e, in un’occasione, anche un richiamo del Capo Divisione Anagrafe che lamentò la laconicità delle informazioni medesime».

E io insistevo, in quel Consiglio comunale, sulla concessione della residenza a Mazzei, catanese, di una già allora potente ‘famiglia’ mafiosa che l’aveva ottenuta a Rimini il 23 giugno 1980 mentre risultava sorvegliato speciale a Pescara dall’11 aprile 1980 al 13 gennaio 1981, dopo aver trascorso un precedente periodo di sorveglianza speciale a Ceprano di Frosinone dal 16 novembre 1979 all’11 aprile 1980. Periodi nei quali non poteva dimostrare la sua presenza a Rimini.

Sottolineando quei fatti in quel Consiglio comunale, “qualcuno” mi alitò sulle spalle: «che ne vuol sapere la pottana di Mazzei?».

Ricordare quegli scomodi fatti serviva anche - forse servirebbe tuttora - a ricostruire la strada percorsa dalla criminalità sulla nostra Riviera.

Ricordo che fu proprio l’allora ministro agli Interni, Scotti, a rivolgere un appello alle autonomie locali riminesi, nell’incontro con i capigruppo del 25 agosto ‘91, in ordine ad un «permanente ed accurato controllo di licenze e residenze».

L’arresto di Mazzei, a Rimini, mi ha ricordato una dichiarazione del SIULP (Resto del Carlino, 11 maggio 1991): «Ogni volta che qui viene arrestato un mafioso è sempre presentato come un fatto occasionale; nessuno vuole ammettere che in questa città esiste un traffico pericoloso e che “quella gente” ha già cominciato a mettere le mani sulla riviera...».

Negli anni in cui sono stata nel Consiglio comunale riminese non c’è stata occasione nella quale non abbia rilanciato l’interrogativo sulle residenze sospette, in testa, ripeto, quella concessa a Matteo Mazzei. I miei interrogativi erano definiti, dai più buoni, «decisamente polemici». Più d’una volta un consigliere, che tuttora siede sui banchi della minoranza del Consiglio riminese, m’ha dato della cretina, perché la mia insistenza nel sollevare un tema nel quale nessuno voleva entrare, lo tediava.

Alla luce, anche, della condanna inflitta al Mazzei dalla Corte trapanese e palermitana, era oziosamente polemico chiedersi se il personaggio fosse capitato a Rimini proprio per caso?

A chi, oggi, dopo la notizia riguardante Mazzei cade, o finge di cadere, dalle nuvole, consiglio di leggere Storie di boss, ministri, tribunali, giornali, intellettuali, cittadini, in cui Nando Dalla Chiesa, tra l’altro, ha saputo analizzare il rapporto tra «il potere e la parola la quale, quando è autenticamente fedele, è fatalmente destinata ad essere dileggiata oppure schiacciata con cinismo, se appena dimostra di sapere uscire dall’impotenza e di conquistare il consenso della gente».

Mirella Venturini