ANCORA PRIGIONIERI DELLA LOBBY DEL BUCO?



Sembrerà strano che, dopo aver sollecitato per tre anni l’adozione del PAE, questa sera io non esprima neppure un moderatissimo gradimento.

Non è da oggi che m’interesso di attività estrattive, a partire dagli studi del Circondario di Rimini all’inizio degli anni ‘80 che portarono all’adozione del PIAE al quale il nostro Piano fa riferimento. Non mi era estranea neppure la politica estrattiva del Comune di Santarcangelo all’epoca dell’adozione del PIAE provinciale. Se non ricordo male fu proprio il nostro Comune a chiedere l’inserimento nel PIAE dell’area individuata nel PAE comunale in località Ciola Corniale per l’estrazione di 138.000 mc di arenaria. Area che fu recepita dal Piano provinciale e inserita nella Tav. 21 “Nuove aree idonee all’attività estrattiva e cave di completamento/ampliamento”, sia pure per una durata limitata a 6 mesi, per poi destinarla a discarica. Nella stessa data, 21 giugno 1993, il Comune interveniva anche in favore di CBS. Non è quindi corretto dire che al Comune era sfuggita la possibilità di fare osservazioni al Piano Provinciale, perché in effetti in favore di qualcuno, sia pure indirettamente, le aveva fatte. Se così non fosse stato oggi non ci troveremmo qui a discutere dell’adozione del PAE. Il 6 aprile 1995 il Comitato Circondariale, trasmettendo alla Regione le controdeduzioni sulle osservazioni al PIAE, a pagina 21 , controdeducendo all’osservazione non accolta, presentata dalla CSB, che contestava la possibilità di escavare i 240.000 mc concessi per la presenza di impianti, confermava che la quantificazione era avvenuta ad opera del Comune di Santarcangelo, che il PIAE aveva recepito e inserito nel bilancio dei fabbisogni-disponibilità.

Quell’osservazione respinta allora dal PIAE provinciale viene oggi accolta dal nostro PAE. E, questa, assessore, non è letteratura e non mi arrampico neppure troppo sugli specchi per motivare il mio voto contrario.

La Giunta regionale, pur approvando il PIAE tuttora in vigore, aveva lamentato che questi non proponesse alcuna ipotesi di razionalizzazione, tanto più in presenza di una situazione “emblematica in corrispondenza della conoide del fiume Marecchia in cui l’intento di procedere ad un graduale esaurimento delle attività estrattive esistenti” urtava “con la presenza di numerosi impianti di lavorazione/trasformazione e con la mancanza di una visione unitaria delle diverse azioni di recupero ambientale delle cave esistenti, che più opportunamente avrebbero potuto trovare sede in un progetto complessivo di riqualificazione dell’intero tratto fluviale”. Visione unitaria dieci anni dopo ancora di là da venire.

In ordine al nostro Comune la Giunta regionale riteneva di confermare le zonizzazioni proposte dal PIAE provinciale, “al solo scopo di pervenire ad un loro definitivo recupero naturalistico”, indicando G4 ISTAG, G5 CBS, A2 VE.VA. Invitava anche la Provincia a valutare, “in sede di controdeduzioni ed in collaborazione con i Comuni interessati”, quindi anche col nostro, “la necessità di modifiche zonali, al fine di farle corrispondere con le previste ricomposizioni ambientali”.

Allora si diceva che il PIAE, per approvare il quale erano occorsi quindici anni, nasceva già vecchio, ed era vero. Figuriamoci la novità del nostro che discende, dopo altri dieci anni, dal quel piano nato già vecchio.

Il PIAE , che ha una validità di dieci anni, secondo alcuni ‘potrebbe’ scadere nel 2003 (data peraltro incerta con i dubbi legati al contenuto dell’approvazione parziale fatta in prima battuta dalla Regione) e noi, inadempienti per anni, ci affrettiamo ora a darvi attuazione. Ricordo che nello stato di attuazione dei programi, datato 31 luglio 2001, votato dal nostro Consiglio il 28 settembre 2001, si leggeva: “I professionisti incaricati della stesura del nuovo PAE hanno prodotto il progetto preliminare sul quale l’Amministrazione ha compiuto le proprie valutazioni. Sono in corso incontri sia tecnici che politici con la Provincia di Rimini, in quanto una variante al PAE di mero adeguamento al PIAE provinciale non pare risolvere in modo soddisfacente le importanti questioni ambientali ad essa legate”. La Giunta, quindi, possedeva già il PAE licenziato dai professionisti un anno fa. A noi lo ha comunicato venti giorni fa, ma per me non si tratta di dimensione del tempo a nostra disposizione o di scarsità di informazioni, che non ci sono state lesinate.

Oggi, invece, bruciamo le tappe per adeguarci, sia pure con qualche diminuzione, “cercando di fare leva sull’interesse privato” per realizzare “il pubblico bene”, come ci ha ripetuto ieri l’assessore Tontini e anche questa sera, perché questi acconsenta ad un risanamento non oneroso per l’Amministrazione. Gli anni scorrono veloci e non si sa cosa potrà accadere, politicamente e amministrativamente, tra meno di due anni, anche se l’Ulivo sembra essersi arricchito di un nuovo ramoscello.

Mi vien da ridere pensando che ai tempi dell’approvazione della legge regionale, poi del PIAE provinciale, la vecchia balena bianca dell’epoca - che è poi, anche nelle persone, la stessa balenina di oggi - sosteneva la necessità di realizzare “cave compatibili” con l’ambiente, come oggi si sostiene che per poter procedere al recupero ambientale occorre far scavare ancora, quindi distruggere ulteriormente per poi risanare.

Ci si chiede di approvare il PAE, al quale faranno seguito convenzione e condizioni di recupero, senza mai fare riferimento all’unità di paesaggio della pianura della Valmarecchia delineata dal PTCP provinciale, tanto meno a quella “visione unitaria delle diverse azioni di recupero ambientale delle cave esistenti”, richiamata dalla Giunta regionale nella delibera di approvazione parziale del PIAE provinciale. La stessa Regione ha sempre invitato alla progettazione complessiva di riqualificazione dell’intero tratto fluviale. Almeno ci si fosse rapportati con i comuni che compongono la Comunità Montana Valmarecchia, che si esalta solo quando fa comodo, enfatizzandone un ruolo nei fatti inesistente.

M’è parso di capire ieri in Commissione che le disquisizioni di carattere ambientale urtano la sensibilità dell’assessore e io le evito poiché a questo punto servirebbero poco. Non v’è chi non conosca i problemi di salvaguardia delle risorse e del territoro posti dalle escavazioni, continuare a parlarne finirebbe per tediare noi stessi.

A noi si chiede di votare l’adozione di un Piano che mira a far leva sull’interesse del privato senza neppure sapere se questi accetterà le nostre riduzioni di quantitativi escavabili o se imboccherà la strada del contenzioso, come qualcuno sta già facendo, reclamando, si dice, notevoli danni.

Senza doversi arrampicare sugli specchi o fare della letteratura - come stigmatizzava ieri l’assessore - già quest’ultima incertezza è sufficiente ad indurmi a votare contro, evitando volutamente di accennare ad alcune ipotesi di recupero speculativo che già rimbalzano in un paese non troppo grande come il nostro, dove molti parlano, specie al ristorante. C’è già chi si entusiasma alla vista di certi plastici turistici, pur non parlandone ufficialmente. E a Santarcangelo si parla sempre degli stessi speculatori, una sorta di lobby del buco.

Oggi ci viene detto che le quantità ipotizzate nel PAE in adozione sono reali essendo stati fatti tutti i controlli e i sondaggi, e sta bene, ma nessuno ci dà la certezza delle quantità effettivamente escavate in precedenza. Chi le ha controllate? Ad esempio com’è possibile accertare se la Ve.Va ha realmente estratto 60.000 mc annui di materiale in passato?

E sempre a proposito della cava di argilla di Sant’Ermete, ripeto le considerazioni fatte a proposito del cementificio. Sapendo che le ecavazioni avrebbero proseguito per anni, con i disagi di traffico, polverosità, rumorosità e altro evidenziati dalla stessa relazione illustrativa, perché si sono concesse tante licenze edilizie per abitazioni, pensionato per anziani, scuola, lottizzazione Belli e altro?

Per il recupero si cerca di tranquillizzarci con l’introduzione della fidejussione in convenzione ma, come ho detto ieri, non mi risulta che il Comune l’abbia utilizzata in passato in altre precarie situazioni.

D’altronde la diffidenza - anche da parte dell’opinione pubblica - nei confronti dell’attività estrattiva, è in gran parte attribuibile a pregressi comportamenti di esercenti le cave che, insensibili a certe problematiche, hanno per decenni posto in essere e poi abbandonato situazioni degradate al punto da non essere più recuperabili. Come dice Andreotti, “a sospettare si fa peccato, ma spesso ci s’indovina”.

Qualcosa, infine, andrebbe detto anche alla Provincia, non solo per aver benevolmente tollerato la latitanza del nostro Comune, ma per non aver colto sino in fondo il ‘verbo’ regionale (delibera n. 4648/1995): “il PIAE di Rimini ha validità decennale e nel corso della sua attuazione è prevista una verifica, per quanto attiene l’evoluzione dei fabbisogni, entro cinque anni dalla sua entrata in vigore”. I bisogni quindi, potevano essere riquantificati e ridisegnati.

Proprio a questa possibilità data dalla Regione ritengo avrebbe potuto appellarsi il nostro Comune per non procedere all’adozione del PAE nei termini propostici. Ma di cosa parlavate negli incontri tecnici e politici con la Provincia di Rimini?

Infine l’accordo-quadro Aree PAN- approvato anche dal nostro Consiglio comunale - indicava interventi di recupero in rapporto alle attività di cava anche in relazione alle condizioni floro-faunistiche. Chi ne ha più sentito parlare?

Concludendo, per stare dalla parte del sicuro, esprimo voto contrario.

Mirella Canini Venturini

(Cons. Com. 30.07.2002)