Santarcangelo di R.: a dieci anni dai crolli di Via dei Nobili

IL GIP NON ARCHIVIA

Chi riteneva ormai certo l’accoglimento della richiesta di archiviazione avanzata in autunno dal Pubblico Ministero Cerioni, non può che essere rimasto deluso dall’ordinanza del Gip Lorena Mussoni: «Letti gli atti processuali, ascoltate le parti, le argomentazioni poste a fondamento dell’atto di opposizione presentato; ritenuta la necessità di effettuare ulteriori indagini per ricostruire la dinamica e le cause dei crolli, di cui è processo, con particolare riferimento ad un accertamento tecnico diretto ad esaminare tutta la documentazione, anche topografica in atti, nonché attraverso eventuali sopralluoghi e l’acquisizione di tutta la documentazione attestante lo stato metereologico al momento dei crolli, al fine di verificare le cause dell’accaduto; ritenuta altresì la necessità di esperire ulteriori accertamenti al fine di individuare nell’ambito dell’Amministrazione Comunale in carica all’epoca dei fatti i soggetti responsabili, sotto il profilo amministrativo e tecnico, della sicurezza e della esecuzione di eventuali interventi atti ad evitare l’evento lesivo;

Per Questi Motivi

Visto l’art. 409 4° comma CPP

DISPONE

la restituzione degli atti al Pubblico Ministero fissando un termine di 30 giorni per il compimento delle indagini».

 

Gli avvocati Michele Maresi (che insieme all’avv. Roberto Giannini rappresenta Mirella Venturini) e Nicola Massini (che rappresenta Maria Teresa Carlini), riprendendo i motivi posti alla base dell’opposizione all’archiviazione, presentata al Gip l’8 novembre 2001, nell’udienza del 27 giugno, hanno sottolineato la gravità e la tragicità dei crolli (soprattutto “per chi li ha vissuti sulla propria pelle”): «Già allo stato degli atti ci sono sufficienti elementi per sostenere l’accusa nei confronti del Comune di Santarcangelo... Dopo i fatti la stampa e l’opinione pubblica non hanno parlato di ‘disgrazia’ ma di ‘tragedia annunciata’... Al tempo la Procura non s’era degnata di aprire un fascicolo d’ufficio», come aveva sostenuto la stessa Venturini nella denuncia e nella successiva deposizione. «Ci sono voluti sette anni [4 giugno 1999] per arrivare alla denuncia presentata da Mirella Venturini nel momento in cui stava per assumere responsabilità nel Comune di Santarcangelo».

La Procura della Repubblica, dopo tre anni di indagini, in cui aveva sentito otto persone informate sui fatti, aveva rigettato più d’una istanza per perizia su incidente probatorio, per giungere a chiedere l’archiviazione fondata su una vasca biologica, di cui non si conosceva l’esistenza, colma per le sovrabbondanti piogge del periodo, che avrebbero minato le fondamenta dell’edificio.

Gli avvocati (soprattutto Massini) hanno sottolineato a più riprese l’esistenza della grotta sottostante Palazzo Docci di proprietà comunale, la strada pubblica e l’abitazione dei Carabini, alla quale aveva accesso solo il Comune, citando i tre studenti della Facoltà di Architettura, allora laureandi, ai quali consegnava le chiavi l’ing. Oscar Zammarchi per accedervi a scopo di studio; ingegnere che poi ha firmato la relazione tecnica del Comune che, tra l’altro, evidenzia anche «il mediocre stato delle reti [fognante e idrica]», che a suo dire potevano considerarsi concause. Già in precedenza si era aperta una voragine nella strada, tant’è che sono agli atti esposti che chiedevano al Comune di chiudere la strada al traffico già anni prima.

La Procura, da parte sua, nella richiesta di archiviazione sosteneva l’eccezionalità delle piogge, sensa per altro disturbarsi ad appurarlo.

Gli avvocati Massini e Maresi hanno chiamato in causa non solo gli amministratori pubblici ma, ancor prima, i tecnici comunali: «sarebbe stato giusto delegare un perito super partes per constatare se potevano esistere negligenze da parte del Comune o se si fosse trattato di un caso di forza maggiore».

Il Comune - hanno ricordato ancora gli avvocati - «si giustificò sostenendo che al tempo non c’erano i mezzi finanziari, trovati per gli opportuni interventi dopo i crolli».

I legali - che hanno anche ricordato la posizione di Edgardo Tontini, all’epoca dei crolli all’opposizione, che il 22 dicembre 1992, a cinque giorni dai fatti, chiedeva le dimissioni di tutta la Giunta clementina - hanno concluso ribadendo l’opposizione all’affrettata richiesta di archiviazione, richiedendo una consulenza tecnica perché si faccia piena luce.

Per l’avvocato Maresi esisterebbe già, allo stato degli atti, la possibilità di formulare una imputazione, proprio utilizzando la relazione/perizia comunale, «all’interno della quale già si evidenziano indizi di reato».

 

UNA CASA E’ QUALCOSA DI PIU’ DI QUATTRO MURI

Una casa è qualcosa di più di quattro muri: è un prezioso contenitore di ricordi e affetti, ancor più prezioso quando la ruota della vita toglie gli affetti più cari.

Più che comprensibile la resistenza opposta da Maria Teresa Carlini nei confronti dell’Amministrazione Comunale, che avrebbe voluto ‘archiviare’ tutto con una manciata di soldi, acquistando il residuo terreno.

Per meglio comprendere i sentimenti che animano la Carlini, cerchiamo di percorrere a ritroso l’iter seguito dall’offerto ‘risarcimento’, che tale non è, partendo dall’apertura della ‘ferita’ della Contrada dei Nobili, il 17 dicembre 1992.

Le autorità comunali del tempo - in parte sono le stesse di oggi, nonostante la costituzione di nuove maggioranze politiche - non lesinarono sorpresa, interesse e solidarietà per l’accaduto.

Due giorni dopo il crollo, il 19 dicembre 1992, il Consiglio comunale unanime votava un ordine del giorno con il quale assumeva l’impegno «a promuovere tutte le iniziative e gli studi atti a ricostruire in tempi brevi le case cadute».

L’area era stata inserita ancor prima dei crolli «tra le situazioni a grande rischio idrogeologico e da consolidare ai sensi della legge n. 445/1908», tant’è che il Consiglio Comunale chiedeva «alla Regione e allo Stato l’immediata attivazione di interventi per affrontare l’emergenza e di prevenzione rispetto a fenomeni che stanno degenerando come i fatti dimostrano».

I 22 consiglieri presenti chiedevano addirittura che il Centro Storico di Santarcangelo, «per le sue valenze storiche, architettoniche ed archeologiche», venisse riconosciuto «come problema nazionale, quindi affrontato con un provvedimento legislativo speciale».

L’allora sindaco, la compianta Cristina Garattoni, in quel Consiglio comunale riunito in fretta e furia a due giorni dal crollo, fece una dichiarazione molto grave: la situazione era nota da tempo, ma «ci voleva un crollo perché quelle richieste che già da tempo venivano avanzate, quelle segnalazioni che avevano trovato riscontro e conferma attraverso l’inserimento in questa legge e il nostro centro storico era stato dichiarato da consolidare ai sensi della legge 445 del 1908. Quindi segnalazioni dei rischi idrogeologici di tutto quanto questo complesso. Avevamo avuto tutti questi riconoscimenti però a quali non hanno mai fatto seguito quelle risorse economiche necessarie per recuperarlo».

Si conosceva la situazione che i residenti, tra l’altro, denunciavano da almeno una decina d’anni allo stesso Sindaco, all’Assessore ai Lavori Pubblici e all’allora Ufficio di Igiene. Fra questi il signor Benvenuti (4.4.1987, 16.6.1988): «Dalle mura di sostegno di via Cella ad ovest della celletta da mesi (anni) vi è una forte infiltrazione di acque puzzolenti e putride: infiltrazione cominciata e fuoruscita contenuta nei primi tempi e molto ampliata negli ultimi mesi... Ho avvisato personalmente l’Ufficio Tecnico del Comune: non è stato fatto nulla in merito».

Alla stessa Regione Emilia e Romagna, competente in ordine al consolidamento delle grotte, il sindaco Garattoni attribuì ritardi: «non nel capire la complessità del problema, ma proprio nell’indicare come intervenire per risolvere il problema», tanto più che la Commissione Centrale Grandi Rischi, era venuta a Santarcangelo nel 1988 su richiesta dell’Amministrazione comunale che aveva messo a punto un opportuno studio geologico».

Se così stavano le cose, riesce difficile comprendere perché nessuno - al tempo - abbia dichiarato lo ‘stato di allerta’ o si sia rivolto alla Magistratura.

Tornando ai crolli, concordarono tutti che quelle case andavano ricostruite: Garattoni, Zoffoli... «Il modo migliore per esprimere questa solidarietà della città attraverso il Consiglio comunale, che ne è il rappresentante, io credo non possa essere altro che quello espresso dal Sindaco con l’affermazione ufficiale, solenne, che quelle case vanno ricostruite. Subito. Non fra un anno... L’impegno affinché la ferita aperta nel nostro centro storico venga immediatamente rimarginata... Era proprio necessario attendere che crollasse un’abitazione per avere l’interessamento degli Enti preposti? La Protezione Civile... Io [G. Zoffoli] aggiungo: cos’altro dobbiamo attendere affinché questi interventi che abbiamo documentato, progettato, per rendere sicuro il nostro centro storico, debbano arrivare?».

Ancor più chiaro l’allora consigliere democristiano Edgardo Tontini (oggi vice sindaco , assessore e co-reggente della Margherita, il nuovo che avanza) «... è proprio vero che il destino tristo e baro non sia stato favorito dall’inerzia, dalla noncuranza, dalla leggerezza di qualcuno? ... è mia piena convinzione che la gente abbia il diritto di sapere, e che l’Amministrazione comunale abbia il dovere di appurare e poi di dire, senza coperture di comodo, quanto di verità sia contenuto nelle accuse lanciate da molte persone». Alcuni - il riferimento è ancora dell’allora consigliere democristiano Tontini - «affermano di aver fatto presente, in Comune, ripetutamente, che le acque superficiali provenienti da vicolo Amaduzzi, giungendo in via dei Nobili non proseguivano la loro corsa, , ma sparivano, cioè s’infiltravano. Alcuni dicono di aver segnalato molte volte in Comune un tubo dell’acqua rotto, un tubo dell’acquedotto rotto, che versava grandi quantità di acqua nelle viscere tufacee della terra; tanto è vero che le grotte di Palazzo Docci - proprietà comunale - sarebbero state lungamente allagate. Molti asseriscono di aver protestato a suo tempo con l’Amministrazione comunale, quando mezzi pesanti percorrevano via dei Nobili in occasione dei lavori eseguiti ad un edificio sempre di proprietà pubblica. Si afferma anzi che un esposto scritto fu inviato in quella circostanza... C’è inoltre un dubbio fortemente diffuso: il rifacimento della rete fognaria nella parte alta del paese, può avere in qualche misura danneggiato la parte sottostante?».

All’allora consigliere democristiano Tontini restava il dubbio. Successivamente, assessore nella maggioranza costituita dall’ex-PCI con l’ex-DC, sappiamo che il dubbio avrebbe potuto essere determinato dall’emotività del momento!!

Il 20 febbraio 1993 il gruppo consiliare della DC (Domeniconi, Fabbri, alias Luttazzi, Ramberti, Tognacci, Tontini, Zamagni, Zangoli, Joli) strigliavano la Giunta accusandola di «premeditata inerzia» in relazione alla mancata, richiesta convocazione di un consiglio comunale ad hoc, mentre a dieci mesi dal crollo lo stesso gruppo lanciava l’accusa di latitanza, giungendo persino ad invocare le dimissioni di quella Giunta, nel momento in cui erano in atto «i lavori di sgombero delle macerie, finalizzati innanzitutto a capire che cosa era successo», quindi «all’individuazione anche delle eventuali responsabilità», sulle quali, successivamente, si è cercato di sorvolare.

Anche il 25 gennaio 1993 il sindaco Garattoni ribadiva che la risposta abitativa alle famiglie colpite doveva avere un carattere di provvisorietà, in attesa di affrontare la ricostruzione: «... quella volontà che è stata espressa dal Consiglio comunale è una volontà che perseguiremo, quella di andare a ricostruire al più presto questi edifici. E anche qui ci stiamo interessando per quanto riguarda finanziamenti, possibilità e quant’altro, per andare in questa direzione».

Roberto Mulazzani (al tempo consigliere Verde) tornava sulle responsabilità: «Il signor sindaco ha parlato più volte di responsabilità, ma non una parola è stata riferita alle responsabilità dell’Amministrazione Comunale. Responsabilità che sono evidenti perché leggendo i resoconti nella relazione del 1988 della Commissione Grandi Rischi, si hanno in esatta evidenza quelli che dovevano essere gli interventi che dovevano essere presi sin da allora... interventi che dovevano già essere esauriti completamente nel 1989-’90. Il censimento [delle grotte] doveva essere effettuato sistematicamente e scientificamente. Non bisognava aspettare la disgrazia che ha colpito il centro storico per riprendere la questione».

Mulazzani distribuiva responsabilità a piene mani: «Anche, naturalmente, il Genio Civile può avere la propria responsaqbilità». Ma se questa era la sua convinzione, perché, come aveva già fatto per fatti di infinitesimale interesse, non aveva provveduto a segnalare i sospetti, o anche i soli dubbi, alla magistratura?

A quasi dieci anni di distanza, quando la ‘ferita’ è tutt’altro che rimarginata, fa una certa impressione ‘ripassare’ gli interventi dell’allora consigliere Tontini, quando ancora non poteva immaginare che appena qualche anno dopo, entrando in maggioranza, avrebbe imparato anche lui a ‘tirare a campare’: «Peché è inutile negarselo: questa Amministrazione da quindici mesi, tira a campare. Meglio tirare a campare che tirare le cuoia, diceva Andreotti. Non voremmo arrivare in questa situazione: tirare a campare non è amministrare. Io credo che di fronte a situazioni come queste, a programmi come questi, si debba chiedere, all’Amministrazione, che è in un torpore considerevole, universalmente riconosciuto, di darsi una smossa e di considerarsi amministrazione pubblica pienamente responsabile, nel pieno delle sue responsabilità di fronte alla popolazione e nel pieno dei doveri che le incombono dall’essersi costituuita maggioranza».

Giancarlo Zoffoli era esplicito in ordine al risarcimento delle famiglie rimaste senza casa a causa del crollo: «non l’elemosina, capiamoci bene. E’ pagare il valore di un patrimonio che esiste».

Come definirebbe oggi l’offerta fatta ai tre che hanno subito i crolli, accettata solo da due?

Questo ci pare essere il senso della richiesta e delle resistenze  della Carlini, memore senz’altro delle numerose rassicurazioni del sindaco Garattoni e degli altri («ci dovremo preoccupare piuttosto di ricostruire quelle tre case abbattute», 11 marzo 1993), non incontentabilità, come la si vorrebbe furbescamente fare apparire.

O accettate l’accomodamento (punitivo) - sembra sia stata l’arma usata dall’Amministrazione per indurre i malcapitati a chiudere la questione - o vi accolleremo mezzo miliardo di spese, quasi fossero loro i colpevoli o, secondo alcune teorie, gli unici colpevoli.

La situazione era nota all’Amministrazione Comunale ben prima del crollo.

Non si capisce - come hanno detto all’udienza del 27 i nostri legali - come ci si sia potuti appellare - a giustificazione anche di proprie ‘leggerezze’ -  alla mancanza di finanziamenti a giustificazione di una evidente sottovalutazione.

Lo stesso avvocato Graziosi - che in materia è tutt’altro che l’ultimo arrivato -, la cui relazione è stata ripresa dall’avv. Massini, il 21 ottobre 1996 ebbe, tra l’altro, a rilevare, rispondendo ai quesiti formulati dall’Amministraizone comunale con delibera n. 356/1996: «Vi è da svolgere, peraltro, a proposito delle responsabilità dell’Amministrazione,una considerazione conclusiva. Dalle relazioni finali dei tecnici incaricati risulta fuori di dubbio che uno dei fattori del crollo già avvenuto e, quindi, della attuale situazione di pericolo, dipende dalla circolazione sotterranea delle acque nel colle Giove, circolazione alimentata sia dalle acque superficiali “la cui raccolta non trova una adeguata rete di convogliamento e di scarico” delle reti sia pubbliche che private; ed alimentata, altresì, dalle acque di perdita di sottoservizi pubblici di fognature e acquedotti, e derivanti anche da canalizzazioni e impianti privati” (pp. 75-80)».

Per l’avvocato Graziosi «è innegabile che questa situazione si pone in astratto come concausa efficiente di qualsiasi futuro crollo configurando una corresponsabilità della Civica Amministrazione sia pur da verificare nel concreto, di volta in volta. cosicché la posizione della Amministrazione è quella di chi è virtualmente sempre coinvolto e deve, di conseguenza, compiere verifiche e accertamenti».

Paola Donini, consigliere dalla precedente legislatura, si era attivamente impegnata in ordine ai problemi del centro storico, soprattutto in ordine ai crolli in discorso e alla soluzione del contenzioso, ponendo anche lei quesiti a tecnici qualificati.

L’ing. Rolando Renzi di Rimini così le risponde il 20 maggio 1998: «... la ultracentenaria rete fognante di via dei Nobili (forse di epoca tardo romana...), formata da mattoni e lastre di pietra, era sicuramente di sezione inadeguata e di tenuta non certamente elevata sia nelle giunture verticali che in quelle orizzontali, fonte quindi di notevoli perdite d’acqua libera poi di circolare nel sottosuolo dove veniva drenata dalle grotte sottostanti; la rete idrica esistente in via dei Nobili non era certamente nuovissima e sicuramente era soggetta a perdite diffuse lungo il suo percorso, perdite che andavano poi a sommarsi a quelle della rete fognante (per ammissione della stessa Amministrazione Comunale le perdite della rete idrica nel Centro Storico di Santarcangelo erano superiori alla media); la pavimentazione di via dei Nobili era ampiamente dissestata con un rapporto di impermeabilizzazione certamente non elevato; i pluviali di raccolta delle acque meteoriche nelle case prospicienti la via dei Nobili non venivano convogliati nella fognatura pubblica e pertanto concorrevano ad aumentare il carico d’aqua sulla strada ed il relativo coefficiente udometrico; non può certo imputarsi esclusivamente ai privati il fatto che gli stessi pluviali (compresi quelli posti sul retro dei fabbricati) scaricassero a perdere data la mancanza di una adeguata rete pubblica di raccolta delle acque».

Che le cose stessero così, lo dimostra il fatto che solo sucessivamente sono stati rifatti i sottoservizi, rifatta la pavimentazione e i lavori di consolidamento di alcune grotte, recuperando - come puntualizzava il sindaco Maioli il 9 giugno ‘98 - «la stabilità puntuale del luogo dove i crolli sono avvenuti», facendo «ben sperare per il futuro».

Come si diceva più sopra, dall’epoca dei crolli è passata molta acqua sotto i ponti della politica santarcangiolese: chi allora sedeva sui banchi dell’opposizione (Tontini, Tognacci...) oggi governa, per cui le critiche del 1992 si fanno comodamente rientrare negli stati d’animo ansioso-emotivi determinati dalla paura e dall’incertezza: «Se noi volessimo, come amministrazione, come proprietari privati, inseguire con volontà spasmodica la giusta percentuale di responsabilità fra un privato e l’altro privato, noi rischieremmo di inserirci in un ginepraio senza via di uscita... La Giunta amministra denaro pubblico e ha speso mezzo miliardo su terreni di proprietà privata...».

Se la Giunta (che non era formata da carmelitani scalzi allora, come non lo è oggi) ha stanziato e speso il mezzo miliardo, evidentemente non l’avrà fatto solo per ‘buon cuore’, tanto più che il consolidamento andava anche a vantaggio di altri privati non coinvolti nei crolli. E se qualcuno avesse investito del problema la Corte dei Conti?

 

Ad avviso dei nostri legali e nostro si potevano - e in parte ancora si possono - ipotizzare a carico degli amministratori locali e dei responsabili degli uffici preposti diverse fattispecie di reato, soprattutto quello di disastro colposo, non ancora prescritto, a differenza dell’omissione di atti d’ufficio.

 

Alla vigilia delle elezioni amministrative del 1999, due delle famiglie interessate ai crolli hanno accettato dal Comune il pagamento di una somma, non a titolo di risarcimento, bensì per l’acquisto da parte del Comune stesso delle relative aree, spinte, oltre che dalla probabile scarsità di mezzi e dalla sfiducia generata dagli anni trascorsi inutilmente, dalla minaccia da parte dell’Amministrazione comunale di rivalersi nei confronti degli stessi proprietari delle case crollate per le spese affrontate per la rimozione delle macerie e l’opera di consolidamento dell’area (quasi mezzo miliardo di vecchie lire). Consolidamento che è andato anche a vantaggio di altri confinanti non coinvolti nel disastro del 17 dicembre 1992.

Soltanto la signorina Maria Teresa Carlini, proprietaria della casa demolita dopo il crollo e peraltro priva di grotte nel suo sottosuolo, non ha a tutt’oggi accettato la soluzione offerta dal Comune, per cui il problema potrebbe tornare nell’aula consiliare.

Per questo, il 4 giugno 1999, ho ritenuto opportuno rivolgermi alla Procura della Repubblica perché accertasse se il disastro, che solo per puro caso non ha causato vittime, debba addebitarsi in tutto o in parte ad omissioni, ritardi e negligenze da parte degli amministratori locali e dei tecnici comunali, i quali erano stati messi in guardia da anni del pericolo che correvano i vecchi fabbricati del centro storico e da imperizia e negligenza degli stessi amministratori e dei tecnici che hanno ignorato i segnali di quello che fu definito “disastro annunciato”.

 

Il Sindaco Mauro Vannoni, allorché nella seduta di insediamento dell’attuale Consiglio comunale (1° luglio 1999) annunciai l’avvenuta presentazione della denuncia, ebbe a rispondermi abbastanza superficialmente: «La Mirella Venturini ha fatto balenare l’idea che pensa che i problemi si possano risolvere al di fuori del consiglio comunale. Ma questo non ci preoccupa. Siamo tranquilli, siamo sereni, non abbiamo problema alcuno. Nel passato altri hanno provato a portare ad amministrare la cosa pubblica con la Procura ma in questo Comune, faccio osservare, hanno avuto scarsi risultati. Auguro di avere scarsi risultati anche alla Mirella Venturini su questo versante» (pagina 27 del verbale).

La Mirella Venturini, che non ha mai lesinato la propria fiducia alla Giustizia è soddisfatta di questo risultato, che non considera affatto “scarso”. Fiducia che conferma per il prosieguo delle indagini.

Mirella Venturini