Santarcangelo di R.

A chi spetta ‘cicatrizzare’ la ferita

aperta dai crolli di Via dei Nobili

il 17 dicembre 1992?

Al Gip del Tribunale di Rimini, il prossimo 27 giugno,

l’ardua risposta.

 

Il 4 giugno ‘99, a pochi giorni dalle elezioni amministrative, inoltravo alla Procura della Repubblica di Rimini un esposto (senza per altro renderlo pubblico in campagna elettorale, non intendendo strumentalizzare alcunché in tale periodo) nel quale ripercorrevo le vicende riconducibili ai noti crolli di abitazioni in Via dei Nobili. Concludevo chiedendo alla Procura di svolgere le opportune indagini, disponendo anche una perizia dei luoghi che potesse costituire un vaglio critico della documentazione esistente e della stessa perizia realizzata dai tecnici comunali, oltre ad interrogare i cittadini residenti nel luogo ed acquisire verbali e documenti utili a ricostruire i fatti e ad accertare eventuali responsabilità.

Rendevo pubblico l’esposto, correttamente, solo in occasione dell’insediamento del Consiglio Comunale, il 1° luglio successivo. Il Sindaco mi rispondeva testualmente: «Ma questo per noi non ci preoccupa, siamo tranquilli, siamo sereni, non abbiamo problema alcuno. Nel passato altri hanno provato a portare ad amministrare la cosa pubblica con la Procura ma in questo comune, faccio osservare, hanno avuto scarsi risultati. Auguro di avere scarsi risultati anche alla Mirella Venturini su questo versante». Ritornello che in questi quasi tre anni m’è stato ripetuto spesso da più parti, anche da parte di chi, sia pure con toni diversi - all’epoca dei crolli in minoranza, passato poi al timone del pubblico bastimento - al tempo aveva chiesto le dimissioni dell’intera Giunta lamentando «l’inefficienza amministrativa di fronte ad un impellente problema per la città» (Resto del Carlino, 20.01.1993). D’altronde la stessa Cristina Garattoni, sindaco all’epoca dei crolli, ammetteva anche dalle colonne dei quotidiani, oltre che nelle riunioni consiliari, che la situazione era «conosciuta da diversi anni», quindi ancor prima dell’inizio del suo mandato. Non avrebbe d’altronde potuto esprimersi altrimenti, considerando: che già quattro anni prima dell’accaduto, ovvero nel dicembre 1988, il prof. Paolo Canuti del Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche (G.N.D.C.I.), a seguito di sopralluogo, aveva formalmente rilevato la situazione generalizzata di pericolo e del rischio di crolli; che il rappresentante del Prefetto aveva invitato il Sindaco ad adottare ogni misura di salvaguardia dell’incolumità pubblica e privata, mentre i funzionari regionali davano atto che la situazione era da tempo nota e che si era aggravata negli ultimi dieci anni e che tutto ciò che era stato fatto nei quattro anni successivi era consistito in un blando tentativo di censire le grotte tufacee. Quindi ancor prima dell’elezione del sindaco Cristina Garattoni.

Un tempestivo intervento d’ufficio della Magistratura - come spiegavo nell’esposto - oltre ad accertare le cause e le eventuali responsabilità dei crolli (che oltre al Comune potrebbero coinvolgere anche la stessa Regione) in un contesto atto a fornire particolari garanzie di obiettività (ad esempio perizia tecnica disposta con incidente probatorio innanzi al Gip), avrebbe potuto dare anche un’adeguata risposta ai cittadini interessati, gente semplice, priva delle risorse necessarie ad intraprendere azioni legali adeguate.

Soltanto alla vigilia delle elezioni amministrative del ‘99, due delle famiglie interessate avevano accettato dal Comune il pagamento di una somma, non a titolo di risarcimento, ma per l’acquisto da parte dell’ente delle relative aree, spinti - avevo ed ho motivo di ritenere - oltre che dalla scarsezza dei mezzi e dalla sfiducia generata dagli anni inutilmente trascorsi, dalla minaccia reiterata dell’Ente Locale di rivalersi nei confronti degli stessi proprietari delle case crollate per le spese affrontate dalla pubblica amministrazione per la rimozione delle macerie e per l’opera di consolidamento dell’area per quasi mezzo miliardo. Soltanto una proprietaria della casa demolita dopo il crollo e peraltro priva di grotte nel suo sottosuolo, Maria Teresa Carlini, non ha a tutt’oggi accettato la soluzione offertale dal Comune.

Senza ripercorrere a ritroso l’intera vicenda (cfr. Paginecontro, “Una casa è qualcosa di più di quattro muri”, n. 7, 15 aprile 1999), la situazione mi aveva indotto ad indirizzare alla Procura della Repubblica di Rimini l’esposto, nel quale esponevo i fatti di cui ero venuta a conoscenza, ritenendo opportuno accertasse se il disastro - che soltanto per puro caso non aveva causato vittime -, dovesse addebitarsi, in tutto o in parte, ad omissioni, ritardi e negligenze da parte degli amministratori locali e, ovviamente, dei tecnici comunali, i quali erano stati messi in guardia da anni del pericolo che correvano i vecchi fabbricati del centro storico che, viceversa, sembravano aver ignorato i segnali di quello che poteva essere definito un “disastro annunciato”. La grotta satura di acqua, che aveva causato i crolli, era situata, non soltanto parzialmente al di sotto di proprietà privata (in reatà i privati non ne godevano l’accesso), ma anche al di sotto della strada pubblica, in corrispondenza della fatiscente rete idrica e fognaria, ma soprattutto al di sotto di Palazzo Docci, di proprietà comunale e solo dal quale si aveva accesso alla grotta crollata.

Il 12 ottobre scorso il pubblico ministero mi notificava la richiesta di archiviazione, in ordine alla quale ho presentato (Avv. Massini e Giannini) opposizione all’Ufficio del G.I.P. il successivo 8 novembre, stante l’insussistenza dei motivi posti a sostegno della richiesta stessa di archiviazione avanzata dalla Procura della Repubblica: «Le motivazioni addotte dal P.M. a sostegno del teorema archiviatorio, cedono il passo innanzi all’evidenza delle prove assunte dall’incaricata Polizia Giudiziaria in fase di indagine...».

Il prossimo 27 giugno spetterà al GIP decidere se accettare la richiesta di archiviazione del P.M. o la nostra di prosecuzione delle indagini preliminari, ammettendo il ripetutamente richiesto incidente probatorio, con consulenza tecnica e identificando i presunti responsabili.

 

Anche a me non piacciono quelli che gli amministratori sono soliti definire “processi di piazza”, ma a volte non ci viene lasciata altra alternativa al di fuori del ricorso all’autorità giudiziaria, sempre doloroso perché implicitamente sottintende il riconoscimento del fallimento della Politica, sempre più distante da quella che noi definiamo “etica della responsabilità”, inserita nella più ampia “etica della politica”.

Mirella Canini Venturini