INSEDIATO IL CONSIGLIO

DELL’UNIONE DEI COMUNI MONTANI

DELLA VALMARECCHIA

 

 

Quando s’insediò l’Unione dimezzata costituita dai due comuni di pianura, pur rammaricata dal rinvio dell’Unione a quattro - che ascrivevo al governo regionale che in qualche modo aveva subìto la spinta pre-elettorale dell’ex DC, il PPI, allora partner a Roma come a Bologna e Santarcangelo -, esprimevo un qualche cauto ottimismo, anche perché la realizzazione dell’Unione dei Comuni era stato il cavallo di battaglia elettorale del partito di maggioranza relativa, che doveva quindi essere particolarmente interessato al successo.

D’altronde la stessa normativa Bassanini aveva evidenziato con chiarezza un elemento di debolezza del sistema istituzionale ed amministrativo italiano, consistente nella dimensione media dei Comuni in rapporto alle loro funzioni amministrative e politiche. Situazione già quasi profeticamente evidenziata nel 1967, quando le Comunità Montane non erano ancora state inventate dalla vecchia “balena bianca”, da una famosa ricerca aggregata ad una relazione ministeriale redatta dal compianto Massimo Severo Giannini.

Sono sempre stata consapevole della necessità che i piccoli e piccolissimi comuni intraprendessero opportune iniziative per la razionalizzazione e il riordino amministrativo, attraverso un’azione di integrazione e gestione associata dei servizi, il cui sbocco operativo più adeguato e coerente era, ed è, costituito, appunto, dall’Unione dei Comuni.

Mi riusciva incomprensibile, nell’età della “globalizzazione”, della già avvenuta entrata nel “villaggio globale”, come fosse possibile che determinati servizi, in Comuni che distano fra loro meno di 10 chilometri, fossero - e tuttora siano - organizzati secondo criteri decisamente diversi. Mi riferisco ad esempio ai servizi sociali. Oltre alla qualità dei servizi, è evidente che si possono realizzare economie di scala solo concentrando in un unico punto la produzione di servizi identici prima dispersi. Nel nostro caso tuttora dispersi.

Si trattava di “imbarcarsi” in un percorso indubbiamente delicato, non esauribile nel breve periodo, che tuttavia valeva la pena intraprendere con decisione, soprattutto con idee chiare corroborate da un pizzico di fantasia.

L’Unione dimezzata dalla quale provengo, i servizi e le funzioni li ha solo elencati nell’ultima pagina dello Statuto, essendo stata costituita in tempo - ho dedotto in questi mesi - per ottenere contributi regionali e statali, elaborando ben poco, tant’è che nella seduta consiliare clementina di scioglimento, non s’è registrato un solo intervento da parte di chi l’aveva retta.

Nel periodo di vita dell’Unione dimezzata - lungo quasi quanto ci separa dalle prossime elezioni amministrative - siamo sempre stati chiamati a votare una sorta di “atti dovuti”, progetti - o presunti tali - solo per titoli. A questo proposito, però, accanto agli “Emilio Fede” della maggioranza non ha sfigurato l’assonnata e apatica minoranza che - lo dico anche autocriticamente - non ha esercitato alcuna azione di stimolo, finendo per non ricoprire dignitosamente alcun ruolo. D’altronde anche chi aveva in animo di proporre qualcosa, si è presto convinto che era come parlare a se stesso davanti allo specchio o nel registratore.

Questa sera ripartiamo da zero. Da questo momento nessuno potrà nascondersi o giustificarsi con la “provvisorietà” del dimezzamento, anche se siamo a più che a metà legislatura.

Tra l’altro entriamo a far parte di un Ente, la Comunità Montana, che già opera da anni, che dovrebbe essere vitalizzato e rinnovato dalle competenze assegnate in questi ultimi anni. Ente che ha tutte le carte in regola per essere anche soggetto attivo di programmazione e pianificazione territoriale, soprattutto in riferimento al governo dell’ambiente, in collaborazione, anche, con le Comunità confinanti. Mi riferisco ad esempio alla “rinaturalizzazione”, dove ancora possibile, delle aree distrutte dalle varie “lobbies del buco”, che si preparano a colpire ancora. Questo in un’ottica di diffusa coscienza del valore del territorio come risorsa e l’apertura di un dialogo trasparente con la popolazione, sino ad oggi tutt’altro che coinvolta nelle nostre Unioni. Gli spazi che si possono occupare per la valorizzazione del territorio, creando nuove prospettive di sviluppo per la nostra Valle, sotto il profilo ambientale e turistico, non sono esigui.

Non mi nascondo che la Finanziaria 2002 consente appena di mantenere le posizioni, non di migliorarle. E ciò non è sufficiente in presenza di un quadro istituzionale e costituzionale in evoluzione verso un sistema federale che non ammette incertezze di ruoli e di risorse aggiuntive, per finanziare l’ampliamento delle funzioni riconosciute, quindi i maggiori oneri che le Comunità Montane, insieme ai Comuni e alle Province, sono chiamati a sostenere per l’effettivo esercizio di vecchie e nuove competenze. E’ vero che il comma 42 dell’art. 52 della Finanziaria dispone norme di favore per le aree montane in ordine al versante sanitario per le garanzie da assicurare sulle prestazioni d’urgenza, ma è ancora tutto da verificare.

Probabilmente, se si sarà attenti e si avrà la necessaria capacità progettuale, si potranno verificare occasioni in cui attingere a contributi europei.

Il DPCM 21.03.2001 ha stabilito i criteri per la ripartizione agli enti locali delle risorse in materia di Catasto, che vede quali destinatari i Comuni e le Comunità Montane, ove dagli stessi delegate, per l’esercizio in forma associata e mi risulta che numerose Comunità Montane, d’intesa con i Comuni, abbiano già richiesto il decentramento dei Catasti. Anche questo aspetto mi sembra meritevole di valutazione da parte di chi dovrà sottoporci in tempi brevi il proprio programma.

E infatti qui mi fermo poiché la predisposizione del programma spetta alla maggioranza. Al momento a noi compete auspicare un cambiamento rivoluzionario rispetto a quanto verificatosi nell’Unione dimezzata; un cambiamento in cui risalti anche la fantasia degli amministratori.

Non compete alla minoranza entrare nelle nomine, maschili o femminili che siano. Tuttavia, stando alle notizie di stampa, in ordine alla spartizione del piccolo potere comunitario, deduco che la storia ha insegnato ben poco. Polemiche o rivendicazioni ancor più sgradevoli se si pensa che tra meno di due anni si tornerà da capo e che a quell’epoca le stesse maggioranze di qualche nostro Comune della Valle potrebbero dover cedere il passo ad altre, senza escludere lo stesso governo regionale, per cui lo stesso riordino territoriale potrebbe essere “rivisitato” con ben altra ottica, quindi la spartizione delle poltrone, poltroncine e sgabelli la farebbero altri. A meno che non intervenga un “Nanni Moretti” indigeno che vi faccia rinsavire.

Non avrebbe allora più senso riconfermare l’attuale presidenza, che ha già dato buoni risultati e che non necessita di alcun  periodo di “apprendistato” che farebbe perdere altro tempo prezioso? Ma il problema è solo vostro.

Mirella Canini Venturini

Verdi Alternativi Lista di Pietro

Italia dei Valori

[Consiglio comunitario 22.02.2002]