Santarcangelo di Rom.

Il Centro Agroalimentare, ovvero

la “tela di Penelope” in

Consiglio Comunale

 

 

Da quando il Presidente del Centro Agroalimentare riminese presentò l’opera presso il Museo di Rimini, sono passati quasi quattro anni. Si era quasi alla metà di febbraio del 1998. Nell’occasione il Presidente Paganelli fece grazioso dono agli operatori dell’informazione di una bottiglia di ottimo Sangiovese di Romagna. Non ho conservato, per ovvi motivi, la bottiglia, gli appunti sì.

Ci informò allora che gli investimenti avrebbero raggiunto i 57 miliadi per la realizzazione della parte pubblica della struttura, già oggi andati ben oltre e si dice che se l’apertura funzionale non avverrà entro l’autunno si potrà registrare un’ulteriore perdita di due miliardi e mezzo; che le persone occupate, fra occupazione diretta e indotto sarebbero state oltre mille, 700 fra titolari delle imprese, dipendenti e collaboratori, 420 nell’indotto, tralasciando gli occupati nei trasporti. Prevedeva allora un volume di affari annuo di 300 miliardi in presenza di 50 aziende e 150 produttori per ortofrutta, fiori e prodotti agricoli, 10 aziende per il comparto carni e pesce, 25 imprese per servizi e direzionalità. Ora sappiamo che i numeri sono stati ridimensionati.

Queste erano le caratteristiche annunciate allora dal Presidente Paganelli, con la conferma dell’allora sindaco Chicchi secondo il quale il Centro Agroalimentare a partire dal 1998 avrebbe dovuto diventare realtà, nel contesto di una più ampia risistemazione dell’assetto infrastrutturale e dell’avvio di quelle che Chicchi definiva “Grandi Opere”, alcune realizzate, altre rimaste al palo.

A giugno 1998 - si annunciò - si sarebbero aperti i cantieri per la costruzione dei nuovi mercati ortofrutticolo e floricolo, carni e pesce, generi vari, con tutti i servizi annessi.

Il mercato del pesce, disse, “senza sostituire nell’immediato quello di via Sinistra del Porto, si candiderà a polo di attrazione per la produzione di Rimini, Bellaria, Cattolica e in futuro Cesenatico”. Le prospettive, oggi, sono altre. Il mercato delle carni - sono sempre parole del Presidente - avrebbe costituito una novità assoluta: “La struttura, in comune con il pesce, coprirà oltre 4.000 mq, ai quali si aggiungeranno 9.000 mq per l’ingrosso di generi vari legati all’alimentare”.

Cito ancora il Presidente: “Entro il prossimo giugno [eravamo a febbraio 1998], in base alle recenti delibere e al finanziamento statale, è previsto, per la parte pubblica, un primo stralcio di superficie edificata di oltre 40.000 mq, comprendente tre costruzioni (ortofrutta, produttori, fiori, carne e pesce, generi vari). Per la parte privata, la realizzazione ascenderà a oltre 92.000 mq di edificato, su una superficie fondiaria di oltre 184.000 mq. In quest’area è anche previsto il trasferimento della Marr”.

Era stato molto preciso - si fa per dire - anche in ordine all’inaugurazione, prevedendola “dopo mille giorni naturali e consecutivi dall’inizio lavori”.

Probabilmente le intenzioni c’erano tutte, ma qualcosa non ha funzionato, tant’è che un anno e mezzo dopo la presentazione cominciammo a leggere “grida d’allarme” di non poco conto: box troppo grandi per i piccoli operatori, troppo piccoli per i grandi commercianti; box costruiti con le classiche ribalte, con l’entrata al piano del camion che deve scaricare i prodotti, ribalte che non avrebbero potuto servire alla stragrande maggioranza degli operatori. Necessità di modificare gli spazi dei box, quindi smantellamento delle ribalte inservibili e altro.

Cominciò già a metà maggio 2001 a rimbalzare una domanda: ha sbagliato il Centro Agroalimentare o hanno sbagliato gli operatori che non hanno mai creduto alla realizzazione del Centro?

In quello stesso periodo venivano alla luce pubblicamente tensioni fra il Presidente Paganelli e l’Amministrazione comunale riminese. Da una parte Paganelli che sollecitava il Comune di Rimini a trasferirgli anche le competenze per la gestione del Centro; dall’altra il freno prudente di Ravaioli: non avrebbe spostato il mercato dalle Celle fino a quando non si fossero risolti tutti i problemi, anche strutturali, del Centro stesso.

L’8 settembre 2001 i fogli locali ci annunciavano che il Centro sarebbe stato operativo nel gennaio prossimo, questo gennaio, con la presenza di 24 imprese poiché 13 del vecchio mercato avevano deciso di non esercitare il diritto di priorità. Perché si ritiravano ditte che da anni esercitavano il loro commercio alle Celle? Si è operato in modo da abbattere gli ostacoli che le avevano indotte a non esercitare il diritto di priorità? Mi auguro che il Presidente Paganelli non abbia usato il linguaggio che mi è stato riferito: “Lascieremo sul terreno diversi cadaveri, cotiche rancide...”. Ditte che, probabilmente, se avessero conosciuto gli aggiustamenti raggiunti a fine settimana, sarebbero ancora nel commercio.

La Confcommercio il 28 dicembre scorso definiva “grave ed estremamente scorretto l’ultimo atto compiuto dal Presidente del Caar”, riferendosi alle modalità di invio del Questionario: “Mentre unitariamente si stava procedendo ad un lavoro all’interno della Consulta permanente per definire criteri e metodi per l’esercizio del diritto di priorità da parte dei commercianti dell’ortofrutta, senza alcuna consultazione o informazione è stata inviata l’anzidetta comunicazione ai commercianti”, per cui la Consulta finiva per essere considerata “uno strumento utilizzato solo se utile ai fini delle azioni del Caar”.

A fine estate abbiamo appreso notizie reiterate anche in questi giorni: “il mercato del pesce non intende trasferirsi, mentre quello delle carni sarà presente solo parzialmente e solo con le carni conservate. Il mercato dei fiori non esiste. Il trasferimento della Dogana in alto mare. Marr, Corial, ecc. arriveranno tra qualche anno”. Notizie non smentite.

Nessuna meraviglia che gli operatori del mercato ittico del Porto non vogliano trasferirsi poiché in questi anni, a livello nazionale, si è dimostrata sempre più forte la tendenza a commercializzare i prodotti ittici al di fuori dei mercati all’ingrosso, anche se questo comporta necessariamente una perdita di reddito per i produttori, minori garanzie per i consumatori, incentivo al ‘nero’, oltre a maggiori opportunità per il controllo del prodotto da parte di singoli gruppi, non sempre (il riferimento è in generale, mi auguro non si addica alla nostra realtà) di limpida provenienza. Mi si dice essere un argomento tabù dal quale è meglio stare alla larga...

Se anziché far parte della Consulta della Sicurezza di Santarcangelo, fossi inserita in quella riminese, terrei tuttavia prudentemente presente anche questo aspetto poiché per anni si è sentito vociferare, ad esempio, di vendite in mare, non ho mai capito a favore di chi.

Non conosco a fondo la materia poiché, anche se fa parte del Consorzio il nostro stesso Comune e un nostro concittadino, in passato assessore, vi rappresenta da sei anni la Regione, le informazioni le attingiamo solo dalla stampa locale. Ritengo tuttavia piuttosto carente l’elaborazione di un progetto locale di integrazione del mercato ittico con il Centro agroalimentare, che dovrebbe anche garantire la qualificazione e certificazione del prodotto, oltre alla creazione di valore aggiunto.

Un Centro agroalimentare che si rispetti non può rappresentare una semplice dislocazione di imprese e di attività, ma un’occasione irripetibile per un cambiamento epocale del commercio all’ingrosso dei prodotti, anche se nel nostro Paese alcune autorità considerano superati i centri o mercati agroalimentari all’ingrosso. Però, di contro, c’è anche chi sostiene che quello che potremmo definire “mercato globale” vada rilanciato in un’ottica moderna, attivando anzitutto una logistica adeguata alle moderne esigenze di movimentazione e vendita delle merci e uno sbocco alle produzioni tipiche locali. Lo stesso Statuto, che in questi anni ha subito modificazioni non sempre chiaramente interpretabili, andrebbe quanto meno riproposto, essendo ormai superato.

Mi sono riletta la legge regionale n. 1 del 1998. Non mi è chiaro, ad esempio, come si concilia l’ubicazione del nostro Centro con l’art. 2 della stessa che recita: “La disponibilità nelle immediate vicinanze di aree idonee all’insediamento delle attività connesse integrative e funzionali all’esercizio dei centri stessi”. Comma, questo, che mi porta a collegare il discorso alla cabina primaria Rimini Nord dell’Enel e relativo elettrodotto.

La stessa legge, al successivo articolo 3, parla di “strutture destinate prevalentemente a qualificare, promuovere e commercializzare le produzioni tipiche locali”.

Anche a questo proposito la questione dei produttori agricoli meriterebbe un lungo discorso che qui non è concesso fare. La stessa frammentarietà dei produttori avrebbe dovuto indurre ad iniziative che portassero ad unità gli stessi, mentre, chi è profano come me, ha l’impressione che si sia giocato più alla divisione che all’unità.

Mi è capitato di leggere un documento dei DS nazionali in cui al proposito si parla di operare in un’ottica di modernità e socialità, produttività e solidarietà. Concetti che mal si conciliano con un Centro afflitto da costosi problemi tecnici e politici sin dalla nascita.

Non è un caso - se le mie informazioni sono esatte- che il concorso per l’assunzione del Direttore si sia espletato due volte.

Aveva ragione Capobianco quando nell’ultima Conferenza dei capigruppo riteneva insufficiente il tempo a nostra disposizione, per un confronto a tutto campo, poiché sono costretta ad ‘autoridurmi’.

Ad esempio, Presidente, poiché anche l’agricoltura è stata coinvolta nel dibattito sulle biotecnologie e sempre più spesso si sente parlare di piante transgeniche, più in generale di OGM, in presenza di una notevole scarsità di ricerche nel campo della biosicurezza, come si regolerà il Centro al proposito? In quale misura verrà garantito il controllo della qualità dei prodotti, a salvaguardia della salute dei consumatori?

Nell’impostazione impiantistica generale del sistema di refrigerazione e degli impianti di climatizzazione, quali misure sono state adottate per ottenere il massimo risparmio di energia elettrica; per sfruttare il recupero del calore normalmente disperso nell’ambiente; per l’adozione di fluidi frigorigeni che rispettino le direttive CEE per la tutela dell’ozono atmosferico, evitando nel futuro imposizioni che obblighino alla sostituzione degli impianti?

Considerazioni di importanza non secondaria in presenza di una struttura che nell’immaginario collettivo ha preso le sembianze di una sorta di “tela di Penelope”, che avrebbero fatto lievitare di diversi miliardi la spesa.

Nella precedente riunione consiliare ho votato contro l’acquisto delle azioni inoptate da parte del nostro Comune. Tra l’altro non ho capito perché fossero inoptate. Lo ribadisco questa sera. Il voto contrario non è stato suggestionato dall’entità, veramente modesta, della spesa, ma dalle altre considerazioni che solo in parte ho potuto svolgere nel tempo a disposizione, su una gestione laico-confessionale, se preferite un classico esempio di consociativismo aggiornato, che non riscuote il plauso delle Liste che rappresento. Mi auguro che il prossimo Consiglio - poiché il vostro andrà a scadere se non erro nell’autunno prossimo - dimostri maggiore efficienza e lungimiranza, che anche il nostro Comune possa esservi rappresentato a pieno titolo da qualcuno che sia qualcosa di più di una comparsa.

Mirella Canini Venturini

Lista Verde Alternativa

Lista Di Pietro - Italia dei Valori

[Cons. Com.le 29.01.2002]