Santarcangelo di Rom.

 

FAR VALERE GLI INTERESSI ROMAGNOLI

 

 

 

Dando per scontata la conoscenza della mozione, sottoscritta da tutti i gruppi consiliari e dal collega Eros Tonini che, essendo questa sera forzatamente assente, m’ha incaricato di parlare anche a nome suo, passo ad illustrarla.

Anche nella nostra Regione, come nelle altre, si sta lavorando attorno alla nuova Carta fondamentale dell’Emilia-Romagna.

In questi ultimi mesi si è particolarmente parlato molto dei rapporti fra la Regione e il sistema di governo locale. La stesura del nuovo Statuto regionale, infatti, costituisce - come hanno sostenuto noti studiosi del diritto - “un’ulteriore preziosa occasione di ricomposizione dei rapporti tra Regione ed Enti Locali”. Revisione resa necessaria, anzitutto, dall’obbligo di recepire le innovazioni introdotte dalla modifica costituzionale del 1999. Il Testo Unico delle autonomie locali del 2000, poi, amplia il ruolo della Regione come centro del sistema e contestualmente quello delle autonomie locali, integrandoli l’un l’altro.

Abbiamo quindi ritenuto essere questo il momento di far sentire, istituzionalmente, la nostra voce di romagnoli, assumendo l’iniziativa della mozione già approvata nella maggior parte dei nostri Comuni. L’abbiamo presentata in tutti i Comuni nello stesso testo. Negli ultimi giorni l’ha votata anche il consiglio comunale riminese, riportando il solo voto contrario di Rifondazione.

Come ho detto nella conferenza dei capigruppo non si tratta assolutamente di schierarsi pro o contro l’autonomia, ma di far valere gli interessi romagnoli evidenziando anche le disparità di trattamento: dalla diversità di dotazione infrastrutturale a nord e a sud del fiume Sillaro alla sottrazione sistematica dei centri decisionali tipicamente nostri, quali turismo, beni termali, forestali, ecc.

A proposito di Sanità recentemente la nostra Regione ha concordato coi presidenti delle Conferenze territoriali di Cesena, Forlì, Ravenna e Rimini un protocollo d’intesa, denominato “Area Vasta Romagnola”. Fa piacere che la Regione, dopo aver risibilmente negato per cinque volte l’esistenza di uno specifico territorio romagnolo (malgrado la diversa e chiara precisazione costituzionale) faccia riferimento a questa nostra realtà, esistente, tra l’altro, da oltre 13 secoli.

Questo mutato atteggiamento ci incoraggia a sperare in un prossimo riconoscimento del ruolo della Romagna come ambito territoriale, con una propria identità culturale e storica. Riconoscimento che passa attraverso la sanità, il turismo, la valorizzazione dei nostri aeroporti, l’università, i trasporti, l’ambiente.

Che la Romagna non goda delle stesse condizioni dell’Emilia, lo denotano alcuni dati: la disoccupazione, specie femminile, è doppia in Romagna, mentre ad esempio le esportazioni nella provincia di Rimini, che pure nel 2000 hanno registrato un notevole incremento, restano all’ultimo posto in Regione: 3,2% sul totale delle esportazioni emiliano-romagnole (dati Ufficio Studi Cgil Rimini). Sappiamo che il costo medio sanitario annuo dei romagnoli è inferiore a quello degli emiliani, così come siamo discriminati in ordine ai contributi che la regione assegna annualmente alle varie Aziende di Trasporto pubblico su gomma in relazione ai chilometri percorsi. Pochi mesi fa, all’inizio dell’estate, è stata utilizzata quasi l’intera disponibilità economica di 817 miliardi di lire per miglioramenti viari esclusivamente a favore del territorio emiliano; solo 33 miliardi sono andati alla Romagna, appena il 4% del totale, per la Superstrada E45. Il resto ai territori politicamente ed economicamente trainanti: Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma che troviamo sempre ai primi posti delle varie graduatorie nazionali: dal reddito all’occupazione, innanzitutto dei depositi bancari.

Parlando di turismo non sento mai dire come si pensa di ammodernare ad esempio il servizio ferroviario Rimini-Ravenna che, come sede di percorrenza e materiale viaggiante è ormai una ‘reliquia’. Anche i nostri progetti turistici potrebbero esservi interessati, anzi, sicuramente lo sono.

Non di rado le scelte regionali non hanno tenuto nella dovuta considerazione la difesa e la valorizzazione del nostro territorio romagnolo, delle nostre spiagge, riempiendolo addirittura di discariche, spesso usate da territori esterni. Esempio significativo l’ospitalità a migliaia di tonnellate di rifiuti a Sogliano - e noi facciamo anche parte della Valle dell’Uso -con l’arrogante pretesa di farli transitare, via ferrovia, da Santarcangelo, decisa a Bologna senza neppure informarcene, sventata anche dal nostro Comune solo in ordine al transito.

In questa stessa linea la vicenda dei rifiuti di Port Koko che hanno trovato definitiva dimora a Savignano, quasi a confine con il nostro comune.

Parimenti significativa la vicenda dell’elettrodotto Forlì-Fano, del quale la Regione si accorse solo dopo la sollevazione popolare e istituzionale del nostro territorio. O quella del polo universitario privo di autonomia gestionale, anche se ora ci si gingilla con disquisizioni filologiche fra i termini ‘autonomia’ e ‘federalismo’, quando sanno tutti che la scelta federalistica dipende dal Senato Accademico e dal Consiglio d’Amministrazione dell’Alma Mater Studiorum, dove i Poli romagnoli contano meno di nulla, essendo semplici appendici dell’Ateneo bolognese, concesse solo per il decongestionamento emiliano e per evitare la seconda università a Bologna. Oggi  constatiamo che i servizi locali e le relative infrastrutture si evidenziano sempre più inadeguati rispetto agli obiettivi bisogni.

Infine sulla tutela e promozione dei prodotti tipici romagnoli.

La mancata specificazione del territorio emiliano e di quello romagnolo resta gravemente penalizzante per l’economia romagnola, specie quella agricola. Il “Sangiovese di Romagna”, ad esempio, continua a prodursi in tutto il territorio emiliano, mentre la maggior azienda produttrice ed esportatrice in tutto il mondo di “piadina romagnola” è ubicata a Modena, come certa frutta si definisce “romagnola” anche se prodotta nel ferrarese.

La “Riviera Romagnola” è commercializzata, come tale, in ogni mercato europeo ed extra-europeo e spesso accade che i ‘clienti’ stranieri acquisiti con tale marchio, una volta in Italia, vengano smistati nei Lidi ferraresi che con la Romagna non hanno nulla a che fare.

Si potrebbero portare in campo anche - se ve ne fosse il tempo - specifiche esperienze giudiziarie in difesa dei nostri prodotti e servizi, tutte conclusesi negativamente asserendo la magistratura che, senza una delimitazione ufficiale dei due territori sub-regionali, qualunque prodotto realizzato nell’uno o nell’altro territorio poteva denominarsi legittimamente sia emiliano che romagnolo.

A questo proposito il Tribunato di Romagna raccolse 6.400 firme, debitamente autenticate, 1.400 in più rispetto a quanto richiesto dalla legge regionale, respinte per un misero cavillo.

 

In estrema sintesi, questa mozione che va, se volete, in direzione di un’ipotesi sistemica di collaborazione fra Enti locali, richiede una maggiore visibilità del nostro territorio e delle sue particolarità, nonché di una collaborazione più ampia fra Enti che vada anche in direzione dell’abbattimento di quel ‘campanilismo romagnolo’ che è un antico retaggio rinascimentale e municipale, che spesso fa vedere nel ‘vicino’ più un concorrente che un potenziale alleato.

In Regione si è più volte parlato di dare vita a ‘tavoli romagnoli’ per recuperare le nostre esigenze progettuali e le nostre lacune settoriali anche in comparti di ‘eccellenza’. Raramente, però, si è andati oltre l’enunciazione, spesso anche in virtù di questo anacronistico campanilismo, ma anche per lo scarso interesse dei nostri Enti Localli.

Altro, ulteriore motivo per votare la mozione che ho tentato di illustrare, da inoltrare alla Regione, che mi auguro ottenga l’unanimità.



Mirella Canini Venturini

Capogruppo Lista Verde Alternativa

[Cons. Com. 30.XI.2001]