Santarcangelo di Rom.

I PUBBLICI AMMINISTRATORI

PREDILIGONO IL

"VOLONTARIATO CONSOLATORIO",

MEGLIO SE "PARROCCHIALE"

Poiché avevo sollecitato più volte l’assessore Nicolini, lo ringrazio, insieme alla Giunta e al Sindaco, per aver programmato questo Consiglio comunale, anche se non ho molta simpatia per parate quasi di regime, stabilendo d’ufficio chi può e chi non può parlare. Un po’ come s’è verificato due mesi fa per la sicurezza e l’ordine pubblico.

Mi volevo soprattutto rendere conto - e per questo ho insistito a lungo anche sui verbali, che ora si redigono regolarmente - dove e come s’incanalava il volontariato nel nostro Comune, dal momento che forme tra loro molto diverse di impegno sociale organizzato vengono a volte confuse e tutte genericamente indicate come "esperienze di volontariato".

Curiosità, la mia, forse alimentata dal sospetto dell’esistenza di una certa parzialità poiché mi sembrava che l’Amministrazione - per lo meno una parte di essa - prestasse particolare attenzione, ammirazione, esaltazione solo ad alcune espressioni di questo universo composito. A proposito di alcune mi era stato anche insinuato il sospetto, almeno parzialmente ingiusto, fossero ignorate, se non apertamente osteggiate.

Anch’io, come gli amici Francesco Santanera, Anna Maria Gallo e Gianna Breda dell’Associazione Promozione Sociale, distinguo il volontariato in quattro tipi: consolatorio, gestionale, domiciliare, dei diritti, prediligendo gli ultimi due perché più conformi al sigificato autentico del termine e più attenti a tutelare il vero interesse delle persone in difficoltà di cui intendono occuparsi.

Leggendo le relazioni e ascoltandone le esposizioni mi sono convinta che a Santarcangelo vige soprattutto quello che io chiamo "volontariato consolatorio", quello che finisce - anche se in modo encomiabile - per rappresentare un elemento di razionalizzazione e mantenimento dell’esistente.

Mi piace il "volontariato dei diritti" soprattutto perché, mantenendo piena autonomia economica dalle istituzioni tramite l’autofinanziamento, rivendica prestazioni e tutela dei soggetti deboli da parte di chi è istituzionalmente responsabile, studia e denuncia inadempienze, sia di carattere generale che relativamente ai casi individuali, indica le possibili azioni per prevenire le situazioni di disagio e di bisogno.

Venerdì scorso questo Consiglio ha approvato l’accordo di programma per l’assistenza agli anziani, al quale personalmente ho votato contro proprio perché mi riconosco nel "volontariato dei diritti", che non ho visto sufficientemente tutelati. Mi sarei attesa una presa di posizione da parte della Consulta del Volontariato, alla quale, però, potrebbe non essere stato sottoposto il problema, anche se l’Accordo chiama direttamente in causa anche il volontariato, laico e religioso.

Mi piace approfittare di questa occasione per chiarire che quando mi esprimo criticamente nei confronti di un certo tipo di volontariato, non lo faccio in segno di disprezzo, poiché alla fine tutto serve, semplicemente perché vorrei poter constatare la presenza di un volontariato - al quale mi sentirei di aderire e collaborare entusiasticamente - che rivendichi diritti uguali per tutti e lavori per rimuovere le cause che provocano disagio o bisogno, anziché rispondere a bisogni consolando i bisognosi senza impegnarsi adeguatamente per l’affermazione dei loro diritti sociali.

Sono consapevole che un certo tipo di volontariato acritico è ben accetto a qualunque gruppo di potere. D’altronde solo un amministratore lungimirante "può accogliere come prezioso il contributo della presenza ‘scomoda’ di un volontariato esigente, che agisce a difesa di diritti, che sollecita le amministrazioni a rispondere ai bisogni, intendendoli come diritti da garantire".

Come dice sempre il mio amico Santanera - un antesignano del volontariato dei diritti, intervenuto anche a Santarcangelo al convegno sugli anziani cronici solennemente snobbato anche da chi dice di occuparsi di volontariato - è "molto più facile e conveniente valorizzare le forme di volontariato che rispondono direttamente a bisogni, che affrontano i problemi senza levare la propria voce a denuncia di inadempienze o insensibilità, che riparano i guasti, anziché sollecitare la rimozione dei fattori economici e culturali che sono all’origine dei problemi".

Non mi sono mai allineata a quanti considerano le politiche sociali nella mera dimensione assistenzialistica e non di promozione delle risorse, quindi anche di investimento in quello che in termini industriali si chiama "fattore umano" e che in termini di Stato democratico significa "investire nella cittadinanza, nella socialità, nella qualità della vita".

Mi ha sempre preoccupato - l’odierna svolta politica nazionale involutiva mi preoccupa più che mai poiché potrebbe decretare lo smantellamento dello stato sociale - l’interesse del sistema politico a sfruttare le potenzialità del volontariato quali risorse di servizio a basso costo e, insieme, "fortemente accreditate sul piano dell’immagine". D’altronde è un po’ quanto avviene per l’utilizzo degli obiettori di coscienza, sul quale dovremmo prestare maggiore attenzione. L’utilità del servizio di questi ragazzi non può misurarsi nel battere al computer relazioni, distribuire i libri in biblioteca o effettuare fotocopie. Il nostro stesso Comune sta parzialmente snaturando anche questo servizio, che poteva e doveva essere di grande utilità sociale.

Il grande unanimismo esistente nei rapporti fra amministratori e Consulta, mi pare non colga quello che io considero un nodo sostanziale: i diritti sociali si affermano anche, se non solo, nel conflitto, dovendo essere da sempre oggetto di conquista quotidiana.

Non a caso si è sempre parlato di diritti sociali quali "diritti condizionati" o "diritti imperfetti", "diritti difficili", "diritti di contraddizione" poiché purtroppo, spesso, anche i "diritti scritti" restano inoperanti.

Mi piacerebbe che la specificazione di "volontariato dei diritti" potesse in futuro cadere - anche se dal 13 maggio i miei auspici si sono notevolmente afflosciati - e che questo orizzonte sia fatto proprio da tutto il volontariato che opera nel sociale.

Mi era giunta notizia di qualche buona iniziativa in favore di persone portatrici di handicap. Benissimo, ma la soluzione non si ottiene mediante prestazioni di mera assistenza caritatevolmente cristiana, che ovviamente devono essere fornite per tamponare in qualche modo le emergenze, ma con l’eliminazione delle cause che ne determinano l’esclusione.

In questo nostro Comune ho l’impressione netta siano preferite, sotto l’aspetto politico e sostenute anche sotto il profilo economico, le organizzazioni di volontariato che non mettono in discussione l’operato degli amministratori pubblici e privati. Spesso e volentieri anche il miglior volontariato rappresenta uno dei tanti tranelli continuamente tesi per tentare di giustificare le vistose carenze esistenti nel campo della tutela delle esigenze e dei diritti dei cittadini più deboli, in particolare delle persone non in grado di autodifendersi.

Nella Provincia di Rimini, Santarcangelo occupa un posto di rilievo nella graduatoria degli ammalati psichiatrici. Non ne sento parlare, quasi si trattasse di una problematica vergognosa, quindi da rimuovere, mentre è noto che questi hanno bisogno di sentirsi circondati da persone che sanno creare attorno a loro un clima di fiducia e di distensione, che si curi la persona più che la malattia. Così quando si parla di immigrati si offrono filmati e veloci corsi di alfabetizzazione. Servono anche questi, ma non ci si preoccupa, anche da parte del volontariato, di quanti, pur in possesso delle prescritte autorizzazioni, sono sfruttati, impegnati in lavoro nero sottopagato, affitti esosissimi, ecc..

Monsignor Tonino Bello, vescovo di Molfetta, prematuramente scomparso, era solito dire che il volontariato "deve stare dalla parte dei più deboli. Deve schierarsi. Non può rimanere neutrale. Non può continuare ad essere pacificato. Pacifico, non violento, ma non pacificato. Deve saper cogliere il significato conflittuale della povertà. Non gli è consentito starsene buono in un angolo", in presenza di poveri che diventano sempre più poveri, mentre i ricchi diventano sempre meno e sempre più ricchi.

Come diceva Don Tonino, come affettuosamente lo chiamavamo, che ha ricoperto anche il ruolo di Presidente di Pax Christi, il volontariato deve decidere se vuole rimanere o meno un’opera "di contenimento e di controllo sociale, utile ammortizzatore funzionale al sistema che tali sperequazioni produce e coltiva", o riscoprirsi "soggetto politico", non semplicemente caritativo come mi pare sia quello in evidenza questa sera. "Pluralista, non egemonizzato. Autonomo, non collaterale. Liberatorio, non riparatorio. Protagonista, non residuale. Ascoltato nella programmazione, non usato nella esecuzione... Generatore di coscienza critica, non gestore degli scarti residuali dell’emarginazione, oggi così remunerati dalle ditte appaltatrici del bisogno, dalle lobby del bisogno", ben mimetizzate sotto la copertura del "non profit" che, come ripeto sempre, il più delle volte opera "for profit".

Nella mia ottica il volontariato deve essere fattore di cambiamento della realtà e "non titolare di assistenzialismo inerte, che spesso legittima lo sfruttamento o addormenta quel moto di irrinunciabilità ad ogni forma di oppressione".

Poiché questo è il mio pensiero - nel quale probabilmente credo solo io - vi chiedo scusa in anticipo se qualche volta, in questo Consiglio, vi voterò contro, pur apprezzando il vostro lavoro. Da parte mia continuerò a praticare - nonostante l’indifferenza - quello che io chiamo "volontariato dei diritti", l’unico nel quale credo. Indifferenza che a volte ti consiglierebbe di occupare il tuo tempo nelle attività domestiche. M’è capitato di dirlo - o forse sono loro che l’hanno captato - ad alcuni familiari del Comitato vittime delle sette, che seguo con impegno. Puntualmente, proprio oggi, una mamma mi ha mandato una breve poesia, per incoraggiarmi a proseguire, significativamente intitolata "Ricomincia": «Anche se senti la stanchezza, / anche se il successo ti abbandona, / anche se un errore ti fa male, / anche se un tradimento ti ferisce, / anche se un’illusione si spegne, / anche se il dolore brucia gli occhi, / anche se l’ingratitudine / è la tua ricompensa, / anche se l’incomprensione / ti mozza il sorriso, / anche se tutto rimane / nell’indiferenza, / ricomincia!».

Incitamento che rivolgo anche a voi!

Mirella Canini Venturini

[Cons. Com. 24 maggio 2001

Paginecontro, n. 10/2001]