SOCIETA’ DELLE FONTI

Nuova “prateria” per soddisfare i bisogni dei partiti?



Nel momento in cui si andava verso la costituzione di Hera, c’era stato chi aveva suggerito, con molto buon senso - anche se martedì sera il direttore tecnico di Romagna Acque (come questa sera), rispondendomi ha sostenuto il contrario - , di utilizzare “Romagna Acque”, anche in ordine alla prospettiva di realizzare un’unica “Società delle Fonti” che avrebbe dovuto già da allora concentrare “in un’unica società romagnola la titolarietà e la gestione di tutti gli impianti di produzione di acqua potabile”. Questa era stata la proposta di “Romagna Acque”. Ma non le si era voluto permettere di diventare la “società delle reti” e degli impianti idrici a livello romagnolo, ricoprendo da subito un ruolo funzionale, strategico e sinergico rispetto ai ruoli e alle funzioni dei diversi soggetti. “Romagna Acque”, che già aveva ventilato la proposta della “Società delle Fonti” quando ancora si parlava di Perimetro Romagnolo, faceva ombra a Bologna e non solo. Quindi... meglio tagliarla fuori...

Si cerca ora di rimediarvi conferendole le fonti e gli impianti di produzione di acqua potabile presenti nel territorio romagnolo con l’approvazione di un progetto che ha come centro prioritario della propria produzione la diga di Ridracoli.

Per “Romagna Acque” la diga di Ridracoli rappresenta l’impianto produttivo “il cui utilizzo ha minor impatto ambientale”.

Sentire parlare di “impatto ambientale”, oggi, fa ridere sol che si pensi che negli anni ‘70-’80 l’allora Consorzio di Forlì-Ravenna respinse arrogantemente ogni intelligente richiesta di Valutazione di Impatto Ambientale sull’intera opera e Dio sa se ve n’era bisogno. A quel tempo - anche se le cose non sono poi cambiate molto - ambiente e risorse erano considerati beni di conquista da sfruttare impunemente, tant’è che alcuni consiglieri regionali sostenevano che le verifiche di compatibilità ambientale venissero compiute dalle stesse società appaltatrici dei lavori.

Oggi “Romagna Acque” giustifica l’operazione in atto con vari pretesti: ridurrebbe la subsidenza e migliorerebbe ovunque la qualità dell’acqua rimessa in rete. Ma a proposito di subsidenza ci si guarda bene dal parlarci dei pericoli causati dalla coltivazione dei giacimenti di gas in alto Adriatico, Delta del Po e ravennate, come si sorvola sulla subsidenza determinata anche dalla costruzione di dighe montane e dall’escavazione lungo le aste fluviali. Dighe montane che sono quanto meno concause del mancato ripascimento delle spiagge, oltre che del carente ricarico delle falde freatiche della pianura. Ma allora dovrebbero anche dirci quanti miliardi di vecchie lire incassa la regione emiliana dalle autorizzazioni concesse ad Agip, Enichem, ecc.. Non più tardi di ieri ci siamo ‘saziati’, nel corso del Question Time, sulle trivellazioni adriatiche, delle sciocchezze propinate agli italiani dal Ministro Giovanardi, che nell’occasione non ha disdegnato l’alleanza con la Regione emiliana.

L’attuale operazione dovrebbe favorire l’omogeneizzazione delle tariffe, quasi che Hera non fosse l’unico gestore dei servizi pubblici, mentre la “Società delle Fonti” sarebbe l’unico produttore della risorsa idrica in Romagna. Ma l’intervento sulle tariffe - il direttore tecnico della società forlivese ce lo ha appena ripetuto, insieme all’assessore Morri, come già avevano fatto in Commissione - spetta all’ATO. E a proposito di questa Agenzia sarebbe interessante conoscere cosa stanno facendo nell’Assemblea dell’ATO la Provincia e i Comuni  per tutelare i cittadini amministrati.

Credo sappiamo tutti che in teoria all’ATO compete la determinazione della tariffa d’ambito e delle sue articolazioni per categorie d’utenza, per il servizio idrico integrato come per i rifiuti perché lo imporrebbe la legge regionale n. 25 del 1999. Ma ci siamo ormai resi conto che il Presidente riminese di ATO, invece di decidere sulle tariffe e gli investimenti - come ha denunciato nei giorni scorsi la presidente del Consiglio provinciale Adriana Neri -, si limita a fornire una vaga comuniczione sugli investimenti e ad informare sugli aumenti decisi da Hera, tant’è che ci si chiede a cosa serva l’ATO, tanto più che leggiamo spesso che il presidente riminese lamenta la mancanza di poteri. Se così è non si capisce cosa aspetti a dimettersi, tanto più dopo l’intervento della Corte dei Conti sugli ATO.

Quanto alla qualità dell’acqua, quella erogata da Ridracoli è decisamente buona, ma lo è molto meno dopo la miscelazione.

Se l’operazione fosse economicamente conveniente si sarebbe sbandierato l’obiettivo della riduzione delle tariffe. Nonostante le ripetute campagne pubblicitarie, che hanno ben poche ragioni d’essere in un regime di monopolio e per un bene di consumo che dev’essere semmai “frenato” e non “spinto”, condotte con grande dispiego di denaro degli utenti - e anche qui le risposte del direttore non mi hanno convinto -, sembra ormai assodato che “Romagna Acque” distribuisce l’acqua più cara d’Italia, nonostante gli annunciati ingenti utili di bilancio. E qui si dovrebbe tirare in ballo l’enorme quantità di danaro pubblico investito nella diga, che ora occorre ammortizzare.

Come hanno correttamente sottolineato i colleghi  vanno studiati gli opportuni meccanismi per disincentivare il consumo di acqua. Gli appelli al risparmio, però, non hanno molto senso se rivolti solo agli usi familiari. Si diceva ad esempio che per il funzionamento di un certo “Aquafan”, composto da gigantesche piscine, acquascivoli e tante altre “attrazioni umide”, fossero necessari 8.000 mc di acqua in movimento a fronte di un consumo giornaliero di 5-600 mc per 110 giorni circa di apertura. Potrei fare anche l’esempio di Aquabell, con un consumo idrico più modesto o di altri impianti del genere, tutti comunque assumibili come simboli dello spreco e dell’uso distorto di risorse primarie, quali l’acqua (proprio nei periodi stagionali più critici) e il suolo.

Nessun dubbio in ordine alla valorizzazione e rafforzamento del ruolo di “Romagna Acque” che Seabo e poi Hera avevano castigato ingiustamente, poiché con questa operazione si trova ad aver cocentrato nelle proprie mani la proprietà delle principali fonti di acqua, diventando così l’unica produttrice all’ingrosso di acqua potabile in Romagna. D’altronde i riminesi avevano già perso anche i pozzi di Torre Pedrera che erogavano acqua nel ravennate, ripagando la loro stessa acqua a Ridracoli.

Le dichiarazioni del consigliere provinciale forlivese diessino Paolo Malpezzi - come ho sollevato anche in commissione, tutt’altro che convinta dalle risposte del direttore -, pur criticato e isolato dai colleghi, in ordine ai 7,5 milioni di euro di debiti da conferire alla società, che ha lasciato intendere presunte irregolarità nel bilancio della Società non può non lasciare perplessi, tanto più che - stando alle notizie di stampa -, non appagato dalle rassicurazioni dell’amministratore delegato, avrebbe manifestato l’intenzione di rivolgersi alla Corte dei Conti in ordine al bilancio e agli investimenti di “Romagna Acque”. Significativa, a Forlì, anche la presa di distanza del repubblicano Valbonesi, oltre che consigliere provinciale, segretario regionale del PRI.

Non poteva passare inosservato neppure il  caso di Ravenna, allorché in occasione dell’adozione della delibera-quadro si trovarono DS e Rifondazione da una parte, Margherita e gruppi di minoranza dall’altra, sembrerebbe per però poco nobili motivi: una contesa rivolta quasi solamente alla divisione dei posti di potere, cioè “chi” si sarebbe seduto nei banchi del Consiglio di Amministrazione.

La contesa ravennate, tuttavia, non mi aveva stupito più di tanto poiché si sa che molto spesso queste società vengono costituite anche per piazzare burocrati di partito, molto spesso politici di piccolo cabotaggio. D’altronde lo stesso numero, tredici, dei consiglieri previsti potrebbe confermarlo. La paretiticità delle tre province poteva essere garantita anche da 9 consiglieri.

Le ragioni dei partiti e delle coalizioni sono sempre più forti delle proclamate economicità, razionalizzazione, efficacia, ottimizzazione, tariffe omogeneizzate ed eque per gli utenti.

Zanniboni due mesi fa l’ha definita “la burla della Società delle Fonti”. Tutt’altro che di “burla” può parlarsi. Quanto meno di una burla costosa. Si tratta piuttosto di un’ennesima duplicazione di apparati e costi da non sottovalutare.

Anche a questo proposito gli enti locali perdono notevoli possibilità di tutelare i loro diritti e a poco servono i disciplinari e le convenzioni. Come ha detto qualcuno, si tratta semmai di un’altra “prateria” per soddisfare il bisogno di spazi dei partiti di maggioranza a spese del servizio pubblico pagato dagli utenti.

Premesso quanto sopra, va da sé che il mio sarà un voto contrario.

Mirella Canini Venturini

Capogruppo  Verdi Alternativi

[Cons. Com. 11.III,2004]