Lettera aperta sull' amianto


La Regione Emilia-Romagna a suo tempo ha correttamente adottato il Piano di Protezione dall’Amianto, avviando altresì «una campagna finalizzata all’identificazione e alla bonifica degli ambienti di vita e di lavoro ed all’eliminazione o riduzione al minimo possibile dell’esposizione a tale sostanza, anche in attuazione della legge nazionale che detta norme per la cessazione dell’impiego di tale materiale».

Il Piano Regionale risale all’11 dicembre 1996 (delibera Consiglio Regionale n. 497).

In quell’occasione la Regione aveva anche ritenuto «necessario introdurre la trattazione di alcuni argomenti di carattere tipicamente sanitario riguardanti in particolare la sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti ed ex-esposti ad amianto e la sorveglianza epidemiologica sugli effetti neoplastici dai quali emergono gli orientamenti assunti su tali tematiche».

Anche se l’obiettivo primario dichiarato del Piano era quello di pervenire alla bonifica degli ambienti di vita e di lavoro, «al fine di arginare e quindi di portare alla scomparsa delle gravi patologie asbesto-correlate», ci si prefiggeva di «prestare la massima attenzione alla tutela dei lavoratori che ai nostri giorni sono esposti al grave fattore di rischio in questione in quanto operano per aziende di bonifica e smaltimento dell’amianto e da coloro che lo sono stati in passato, in quanto prestavano la propria opera per ditte che utilizzavano tale materiale a fini produttivi e non».

Nella nostra Regione, parola dell’assessore Giovanni Bissoni, «a sostegno del censimento costituente la prima fase del Piano, è stata promossa una campagna di informazione e sensibilizzazione volta a consentire la massima riuscita dell’iniziativa». Campagna mirata «al raggiungimento del pubblico interessato dall’azione promossa nel Piano: Enti ed Associazioni, proprietà di immobili o soggetti incaricati di rappresentare singoli proprietari».

In relazione agli attuali livelli di conoscenza scientifica sui danni causati alla salute dall’inalazione di fibre di amianto, i giudizi sono unanimi: non esiste alcun livello minimo di soglia al di sotto del quale vi sia sicurezza, quindi la massima concentrazione accettabile di fibre deve essere zero, ovvero MAC = 0, come dicono i dirigenti dell’Associazione Esposti Amianto e Rischi Ambientali (AEA) presieduta da Vito Totire.

Ritengo superfluo ricordare il lungo tenpo di latenza dalla esposizione ad amianto alla possibile insorgenza di cancro (da 15 a 40 anni), avendo la comunità scientifica internazionale confermato definitivamente l’esistenza di effetti cancerogeni dell’amianto sin dal 1965.

Solo nel 1991 la Comunità Europea disponeva la cessazione dell’impiego dell’amianto, in ogni forma, e la graduale messa al bando di tutti i tipi di amianto (fase conclusasi il 26 luglio 1999). Disposizione comunitaria recepita dal nostro Paese con la legge n. 257/1992 che, oltre a mettere al bando tutti i prodotti contenenti amianto, ne vietava l’estrazione, l’importazione, la commercializzazione e, ovviamente, la produzione. Tale legge fissava il termine per la dismissione al 28 aprile 1994. Successivamente, la legge n. 426/1998 introduceva una deroga a tale divieto limitatamente ad alcune applicazioni particolari.

Il decreto 20 agosto 1999 del Ministero della Sanità ampliava le normative e le metodologie tecniche per gli interventi di bonifica, ivi compresi quelli per rendere innocuo l’amianto, previsti dall’art. 5 della legge n. 257/1992 sopra richiamata.

Luoghi pubblici e privati nei quali è facile rinvenire amianto in prodotti isolanti sono: scuole, ospedali, palestre, cinematografi, chiese, ristoranti, uffici e mense, senza dimenticare officine e garages, centrali elettriche, centrali termiche, navi, carrozze ferroviarie, soffitti di capannoni industriali, soffitti di tintorie e piscine, per non parlare della sua presenza nel mondo agricolo: realizzazione di cisterne, condotte idriche, ecc. e quale materiale da coibentazione. Inoltre numerose macchine agricole presentano componenti contenenti amianto, utilizzato quale materiale atto ad aumentare la resistenza al calore di particolari parti meccaniche, rappresentando anche un fattore di rischio per gli stessi lavoratori delle campagne da non sottovalutare.

L’amianto - anche se non sta a me ribadirlo - è altamente cancerogeno per inalazione: l’esposizione, anche a poche fibre, persistendo all’interno dei polmoni può provocare, anche a distanza di decenni, cancro e malattie respiratorie. In particolare asbestosi e mesotelioma.

Anche se le leggi ne proibiscono la produzione e l’utilizzazione, nel territorio di Santarcangelo di Rom. (come da foto che invio ai destinatari della presente ‘lettera aperta’) il problema è tutt’altro che risolto. Non se ne parla proprio.

Va dato atto alla nostra Regione, di essere stata tra le prime regioni a concludere il censimento su scala regionale, in collaborazione con i Dipartimenti di Prevenzione: solo dal 1988 al 1992 sono morte per mesotelioma della pleura 260 persone, 176 maschi e 84 femmine (52 casi/anno), contro il totale italiano di 2.700 maschi e 1.519 femmine.

Tra le province più interessate in Emilia-Romagna, l’Istituto Superiore di Sanità evidenzia Reggio Emilia, Forlì e Rimini.

Appena un anno fa, il 18 gennaio 2000, si è tenuto a Reggio Emilia un seminario organizzato dal Dipartimento di Prevenzione dell’ASL e dall’Assessorato regionale alla Sanità, nel quadro di “Amianto Stop”, il Piano regionale di Protezione dall’Amianto, che ha evidenziato soprattutto la sottovalutazione del problema da parte di molti.

Conducendo un’indagine per le vie del Comune di Santarcangelo ho constatato l’esistenza di centinaia di tetti e capanni in eternit, anche in pessimo stato di conservazione (da Via Bassi a Via Emilia, sino alla dependance della chiesa posta all’angolo di Via Felici). Si è consentito l’insediamento di nuove residenze, ad esempio dietro “Tutto Zoo” e “Pironi”, i cui tetti sono totalmente ricoperti da eternit, tanto per fare un esempio molto visibile.

Come si è mossa l’Amministrazione Comunale per tutelare i nuovi e vecchi residenti celementini e come si è mossa, più in generale, possibilmente di concerto con l’AUSL e la Regione? La stessa AUSL ha assunto iniziative in proposito?

Gli stessi interrogativi s’intendono estesi all’Unione dei Comuni della Valmarecchia, della quale la scrivente fa parte.

Gradirei una risposta in tempi rapidi.

Mirella Canini Venturini

Capogruppo Consiliare della

Lista Verde Alternativa a Santarcangelo e

Capogruppo Consiliare di “Ecologia Sociale”

nell’Unione dei Comuni della Valmarecchia