Referendum Elettrosmog

ABBIAMO PERSO UNA OCCASIONE,

MA CHI HA VINTO?

A un mese di distanza dalla delusione referendaria, è obbligatoria un’analisi seria di ciò che è accaduto, del perché solo il 25,7% degli italiani (A Santarcangelo si è superato il 50%) ha deciso di recarsi alle urne per dire la sua su due temi importanti quali l’elettrosmog e l’estensione dell’articolo 18 a tutti i lavoratori dipendenti. E’ chiaro che se qualcuno dei promotori dei due referendum pensava che uno dei due avrebbe trascinato e portato voti all’altro, ha sbagliato i suoi conti. Non si può nascondere che la maggioranza di chi, come noi, si è impegnato seriamente nella campagna referendaria per l’abrogazione della servitù coattiva di elettrodotto, ha sempre creduto che la percentuale dei votanti sarebbe stata più alta e che quindi, anche se non si fosse raggiunto il quorum, avremmo avuto un numero consistente di sì che avrebbe dato almeno una forza contrattuale con le istituzioni per affrontare seriamente il problema dell’inquinamento elettromagnetico e l’applicazione del principio di precauzione.

Tra tanti giudizi espressi (e tanti imbarazzati silenzi, in testa WWF, Legambiente, DS e alcuni componenti il Comitato promotore, oltre alle ambiguità della Cgil) abbiamo scelto quello espresso da Elvira Russo, del Consiglio Nazionale di VAS (Verdi Ambiente e Società), che proponiamo ai nostri lettori.

 

«Sarebbe facile attribuire la colpa della bassa percentuale di votanti al caldo eccezionale, alla scelta di una data che arrivava dopo una lunga serie di domeniche elettorali e dopo la chiusura delle scuole, alla voluta disinformazione operata dal fronte astensionista e dai mezzi di comunicazione! Sicuramente lo strumento referendario è stato svilito dall’abuso che ne è stato fatto negli ultimi anni e dalla sua inutilità dimostrata in alcune materie (quale il finanziamento pubblico dei partiti, la responsabilità dei giudici, l’abolizione di alcuni ministeri), vista la grande capacità che hanno avuto i nostri parlamentari di aggirare l’esito referendario  Questi fattori non ci hanno aiutato, ma non bastano a giustificare un risultato finale così basso, né si può ridurre tutto al senso di rassegnata impotenza che serpeggia sempre più tra coloro che combattono contro l’elettrosmog, anche tra i più ottimisti, a seguito di una Legge quadro che doveva essere una grande vittoria, ma che è diventata un boomerang perché ha fermato gli agognati Decreti attuativi, soprattutto per le basse frequenze. Infatti, benché fossero già pronti, non sono stati emanati, in quanto sono cambiate le procedure per la loro approvazione, e sono stati lasciati al nuovo Governo, che invece ha fatto il Decreto Gasparri, il Decreto salvacentrali, e ha approvato due bozze di decreti per i limiti di esposizione alle fonti d’inquinamento elettromagnetico che ci portano indietro rispetto alle vittorie conseguite, negando nei fatti il principio di precauzione contenuto nella Legge. Credo di non sbagliare se affermo che il popolo degli inquinati è superiore ai circa undici milioni d’italiani che hanno votato sì al referendum, ed è proprio questo il punto su cui riflettere! Il movimento contro l’elettrosmog è da sempre formato da centinaia di piccoli e grandi comitati che considerano pericoloso per la loro salute; alcuni di questi costituiscono lo zoccolo duro del movimento, ma la maggior parte nascono dal bisogno di fermare qualcosa, e spesso, quando raggiungono il loro obiettivo, si sciolgono come neve al sole. Di questi comitati conosciamo spesso solo alcune persone, a volte una o due, che si assumono volontariamente l’onere di rappresentare tutti gli altri, di trattare con gli amministratori locali, che a volte si rivolgono alle Associazioni per chiedere aiuto: raccolgono centinaia di firme, organizzano piccole manifestazioni allo scopo di bloccare i lavori, assemblee per mettere al corrente tutti di ciò che sta accadendo e per fare un po’ di informazione generica sul problema elettrosmog, parlare con degli avvocati per vedere se possono agire legalmente contro l’installazione che vogliono fermare. Questo, che per certi aspetti è il maggior pregio dei Comitati, diventa contemporaneamente uno dei peggiori difetti, poiché la capacità del problema concreto di catalizzare e organizzare molte persone intorno ad un obiettivo comune, fa sì che, quelle stesse, non riescano ad avere una visione complessiva del problema: ho visto comitati capaci di organizzare, sotto un palazzo dove si doveva installare un’antenna, una manifestazione di centinaia di persone, ridursi a poche decine quando si doveva manifestare davanti alla sede di un Municipio o di un Consiglio comunale, a due o tre persone davanti alle sedi Regionali, per poi sparire davanti al Parlamento o alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. La causa di questo, a mio avviso, è di tipo psicologico, poiché è facile pensare di poter materialmente fermare l’installazione di un’antenna bloccando una strada o mettendo una firma: questo tipo d’impegno è immediato, spontaneo e non ha colore politico; è invece tutt’altra cosa rivolgersi ad Amministratori locali, che magari non la pensano come noi, per non parlare dei parlamentari e del Governo, che alla fine fanno come gli pare, perché “tanto si preoccupano degli interessi delle grandi aziende” e certamente non si occupano del nostro piccolo orticello. Questo, aggiunto alla difficoltà di comprensione del quesito referendario, ha prodotto, a mio avviso, il risultato finale: era difficile per i non addetti ai lavori comprendere dalla sola lettura del quesito che il passaggio da una servitù coattiva ad un esproprio per pubblica utilità difendeva la loro salute, perché permetteva un ricorso al TAR contro un possibile danno biologico, che poteva far emettere al giudice una sentenza che ordinava di modificare il progetto dell’elettrodotto, così come poteva incidere sul percorso dell’elettrodotto il dover richiedere una concessione edilizia, che i comuni hanno il potere di non rilasciare, se i tracciati avessero messo a rischio la salute dei cittadini e l’equilibrio dell’ambiente. Molto più difficile era spiegare che vincendo il referendum avremmo inciso anche sul Decreto Gasparri, perché fa riferimento ad un regolamento postale, che a sua volta si basa sulle norme che volevamo abrogare e che quindi, come qualunque costruzione che si rispetti, se gli si tolgono le fondamenta, crolla come un castello di carte, per non parlare poi del potere di contrattazione che le Associazioni avrebbero avuto con il Governo in materia d’applicazione del principio di precauzione e di risanamento, problema che riguarda gli elettrodotti già esistenti. L’errore di valutazione fatto da molti di coloro che hanno fatto la campagna referendaria, me per prima, è stato dare per scontato che dovevamo contattare soprattutto quelli che non erano ancora stati toccati dal problema dell’elettrosmog, perché gli altri sarebbero sicuramente andati a votare, visto che conoscevano già il problema, e questo è stato probabilmente fatale per l’esito finale. Ora ci troviamo a dover ricominciare quasi tutto da capo, politicamente più deboli, ma consapevoli che ci aspetta un lavoro capillare d’informazione ai comitati sulle competenze dei vari livelli di potere (comuni, province, regioni, Parlamento e Governo), sul fatto che se non cerchiamo di incidere sulle leggi approvate dalle regioni e dal Parlamento potremo forse fermare un’antenna, un elettrodotto, ma non incideremo veramente sui rischi da elettrosmog e sulla politica di sviluppo del nostro Paese e, stavolta, senza dare nulla per scontato. Dobbiamo fin d’ora avviare una vera e propria campagna d’informazione, che avrà bisogno della collaborazione di tutti coloro che la pensano come noi, per essere pronti alle battaglie che presto, purtroppo, dovremo affrontare, se non vogliamo ipotecare in negativo il futuro dei nostri figli!

Elvira Russo»