Santarcangelo di R.

QUALI CONVENIENZE DALL’«AREA VASTA ROMAGNOLA»?



Premetto che, riconoscendomi in quanto detto dal collega Casadei, non mi soffermerò sulle carenze, pure esistenti, riscontrabili nell’Ospedale “Achille Franchini”. Non parlerò quindi dei motivi che hanno ritardato lo spostamento della Chirurgia o di quelli che hanno ritardato il funzionamento del reparto assegnato a “Luce sul Mare”. Non parlerò neppure dei due ambulatori specialistici che mi si dice verranno temporaneamente (speriamolo) sospesi. A proposito del “Franchini” chiedo solo - e non è la prima volta - si provveda a togliere la targa ingannevole di “Pronto Soccorso”, sostituendola con quella di “Pronto Intervento”.

Vengo al tema di questa sera.

Se mi scusassi per aver contribuito a provocare, come già altre volte, la venuta e l’intervento del Direttore Generale della nostra Ausl nel nostro Consiglio comunale, non sarei sincera, anche se mi sarebbe piaciuto assistere ad un contraddittorio tra lui e qualche autorevole detrattore dell’Area Vasta Sanitaria Romagnola, soprattutto in ordine al progettato “Nuovo Sistema Emergenza” che dovrebbe sfociare nella Centrale Operativa 118 unica da collocarsi a Ravenna. Pur prevedendo la continuità operativa delle Centrali periferiche di Cesena, Forlì e Rimini, collegate funzionalmente a quella ravennate, l’ipotesi regionale fa scaturire non poche perplessità. Il 15 aprile, illustrando la mia interrogazione, avevo perorato inutilmente la possibilità di ascoltare anche, in contraddittorio, qualche rappresentante del personale ospedaliero, che mi si dice sia tutt’altro che d’accordo.

Area Vasta Romagnola. A me, che sono stata con Servadei tra i fondatori del Movimento per l’Autonoma della Romagna, nel quale tuttora mi onoro miliare, ha fatto piacere che la Regione, dopo aver risibilmente negato per almeno cinque volte l’esistenza di uno specifico territorio romagnolo (malgrado la diversa e chiara precisazione costituzionale), sconfessi se stessa e faccia riferimento a tale incontrovertibile realtà, esistente, fra l’altro, da ben 13 secoli. Non sono tuttavia convinta che la Regione voglia realmente favorire la Romagna, quanto irregimentare ulteriormente la Sanità dei nostri territori nelle decisioni “verticistiche bolognesi”. Soprattutto se la nuova struttura comportasse ulteriore burocrazia, nuovi direttori generali o coordinatori superpagati al servizio, più che del territorio, del Verbo regionale e bolognese, la mia contrarietà sarebbe assoluta e totale, anche se so che non vale nulla quando il partito egemone ha già deciso.

Mi si dice che i cesenati, i forlivesi, i riminesi e i ravennati costino alla Regione, anche nel settore sanitario, assai meno dei bolognesi, modenesi, ferraresi, ecc.. Mi piacerebbe affidare questo primo tema all’Area Vasta Romagnola. Probabilmente si tratta di una delle mie solite utopìe.

D’altronde, che la Regione non intenda sconfessare se stessa lo attestano le ferme parole dell’assessore Bissoni in occasione dell’inaugurazione delle sale operatorie al Sole et Salus. Mentre alcune linee decisionali sono state lasciate totalmente alle varie Conferenze Sanitarie Territoriali, su altre Bologna intende dettare la linea: “Tra queste - ha precisato Bissoni - c’è anche l’intervento d’urgenza”, cioè le centrali operative del 118, smentendo il sindaco cesenate quando afferma che “sulla centrale unica del 118 a Ravenna non c’è niente di già deciso”.

M’è capitato di leggere comunicati ufficiali di varie Ausl romagnole nei quali si sostiene che l’area vasta risponderebbe “alla necessità di pianificare ed integrare tra loro funzioni di assistenza di un territorio omogeneo, quale quello romagnolo, sia per esigenze di ottimizzazione dell’uso delle risorse disponibili sia per consentire lo sviluppo e l’utilizzo integrato delle eccellenze presenti in ciascuna Ausl”.

Una prima contestazione che pongo è sull’omogeneità del territorio. Non credo che la Riviera di Rimini possa avere rapporti di omogeneità, per esempio, con San Benedetto in Alpe o San Pancrazio di Russi, o Verghereto, o Tredozio, come non mi convincono i dati statistici degli interventi, considerando ad esempio il numero delle presenze turistiche che determinano senz’altro un appesantimento dei servizi di emergenza e i diversi sistemi viari che in determinati periodi stagionali impongono lunghi tempi di percorrenza. E’ impensabile che Ravenna, con nemmno un terzo del movimento turistico riminese, registri 10.000 interventi più di Rimini. L’alto numero di interventi serve forse a giustificare il numero degli addetti ravennati, oltre che la discutibile localizzazione?

Il varo della Centrale Unica verrebbe accompagnato da un potenziamento di servizi sul territorio in termini di mezzi (ambulanze) e presidi. Se c’era la necessità del potenziamento in termini di ambulanze, personale e strumenti, non lo si poteva già concedere al 118 riminese?

Gli elementi riportati nella Proposta non mi sembra vadano sempre molto al di là delle enunciazioni. Ad esempio non si dice come intervenire nel rapporto fra Centrale ed Ospedale per quanto attiene il dopo-trasporto.

Se tra gli obiettivi dichiarati della realizzazione delle aree vaste è anche la razionalizzazione/ottimizzazione delle risorse, mi riesce difficile capire perché non si sia già provveduto in passato alla costituzione di consorzi di area vasta per gli acquisti, per la formazione professionale, per l’espletamento delle gare, per l’espletamento dei concorsi, per la gestione del personale, la contabilità, il CED e le reti informatiche, l’acquisto delle divise, per la realizzazione di processi di integrazione ed unificazione delle funzioni tecnico-amministrative che avrebbero potuto far realizzare significative economie di scala, mentre ora si tende ad una mega-struttura che non può che significare altre spese mentre, di contro, si lesina persino sulla fisioterapia agli handicappati e agli anziani. Constatazione che meriterebbe l’apertura di un capitolo a parte come, mi si dice, la chiusura temporanea (si spera) di alcuni ambulatori presso il nostro ospedale.

Nulla da ridire sul modello organizzativo generale, più che condivisibile.  Sul laboratorio centralizzato, ad esempio, avendo la garanzia del mantenimento di quello della risposta di base in ogni ospedale. Ad esempio se per ottenere l’esito di una cortisolemia ACTH ora può occorrere anche un mese in attesa che si mettano insieme più richiedenti, considerando l’altissimo costo dei reattivi di laboratorio, mi sta bene il laboratorio centralizzato, così come non ho nulla da ridire sul magazzino farmaceutico centralizzato. Ma che fine farà il personale? Ma, ancora, riferendomi al 118, che senso ha riprogettare tutto per la realizzazione di obiettivi già perseguibili, in parte già realizzati, senza dover far capo ad una realtà, Ravenna, che registra un forte disavanzo del bilancio sanitario rispetto alle altre Ausl romagnole? Tra l’altro una realtà territoriale tutt’altro che baricentrica. Stessa considerazione per il servizio di Elisoccorso ravennate, per considerare il quale mancano dati, anche statistici, di riferimento, compreso quello economico a carico della nostra Ausl. Forse è più facilmente reperibile il dato metereologico.

Non vedo perché uniformi livelli di assistenza in tutto il territorio romagnolo non si possano assicurare anche senza costruire un ulteriore “mostro sacro” che non potrà non determinare nuovi costi, se è vero, come ha affermato l’assessore Bissoni che la Regione affronterà una spesa di 42 miliardi di vecchie lire, 20 solo per il potenziamento dei ponti radio tra le quattro sedi. Spesa che il progetto redatto mi sembra quantificasse in 6 miliardi per la fase intermedia occorrente per giungere al sistema ‘Tetra’ UHF al quale senz’altro si riferiva l’assessore Bissoni. E non sappiamo quanto è già costato complessivamente il progetto nel suo insieme.

Avevo lamentato il 15 aprile che dallo studio di fattibilità non emergeva una corretta ed imprescindibile analisi tra costi, benefici e rischi, - come hanno fatto i sindacati di categoria - tant’è che il gruppo di lavoro preposto al progetto del 118 unico concludeva testualmente: “Ritiene inoltre che, soddisfatte le indicazioni tecnologiche e strutturali contenute nel documento, pur in assenza di evidenze scientifiche a favore del nuovo modello organizzativo indicato, l’attivazione del progetto possa assicurare elevati livelli di efficienza ed efficacia del coordinamento dell’emergenza nell’ambito territoriale di pertinenza”. Ma allora perché, in assenza di queste “evidenze scientifiche” ci si vuole incamminare a tutti i costi lungo la dispendiosa strada tracciata più che dalla lungimiranza dall’arroganza regionale?

Le segreterie provinciali dei sindacati cofederali di categoria Cgil e Cisl il 13 marzo scorso hanno inviato al direttore generale dell’Ausl, oltre che al Presidente della Conferenza Sanitaria territoriale e ai suoi membri, una nota contenente alcune interessanti proposte per l’organizzazione del Sistema Emergenza 118: rimettevano riflessioni e domande agli estensori del progetto, riservandosi di assumere una posizione responsabilmente definitiva a risposta ottenuta. Risposta che non mi risulta sia pervenuta. Le considerazioni avanzate dai sindacati mi sembrano di ovvio buon senso, frutto, oltre tutto, di consolidata esperienza professionale, che in qualche misura potrebbe venire mortificata.

Mi piace infine ricordare che il Consiglio provinciale il 18 marzo scorso - alla fine di un articolato ed ampio dibattito - non ha espresso gradimento alla prospettiva della centrale unica a Ravenna. E’ appena il caso di sottolineare che tra i cosiddetti ‘dissidenti’ provinciali tre fanno parte della maggioranza, compreso tra questi il concittadino Giorgio Pecci, amministratore tutt’altro che superficiale. Constatazione - come ho detto nel precedente consiglio comunale - che mi convince ancor meno sulla bontà dell’operazione, a meno che la commissione messa in piedi ad hoc per esaminare le osservazioni non porti alla nostra conoscenza altri elementi significativi.

Concludendo, non mi permetto criticare la qualità di un servizio ancora da realizzare. Mi preoccupo solo per l’impiego di ingenti somme di danaro pubblico per realizzare ciò che già viene espletato separatamente in modo egregio. Come ho già detto questa sera a proposito di un altro problema, nella pubblica amministrazione si gestiscono risorse della collettività, che non appartengono né ai dirigenti, né ai vertici politico-amministrativi locali o regionali che siano. Eleggere una maggioranza non significa attribuirle la proprietà delle pubbliche risorse: può solo finalizzarle, incrementarle, trasformarle, ma non sperperarle. Ed è a questo proposito che desidero essere rassicurata.

Mi riservo comunque di presentare un ordine del giorno sul quale si esprima, e voti, l’intero Consiglio comunale. Anche per dare un ulteriore stimolo a chi ci rappresenta nella Conferenza Sanitaria Territoriale.

Mirella Canini Venturini

Verdi Alternativi

[Cons. Com.le 12.06.2003]