INCOSTITUZIONALITA’ DELL’ART.
26, 4° COMMA, L. N. 63/2001: APPUNTI
I. Il 4° comma dell’art. 111, della Costituzione,
introdotto dall’art. 1 della L. cost. 23/11/1999, n. 2, prevede testualmente:
“Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio
nella formazione della prova. La colpevolezza dell’imputato non può
essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta,
si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte
dell’imputato o del suo difensore”.
La chiara ed inequivocabile lettera del testo costituzionale
sancisce l’assoluta inutilizzabilità a carico dell’imputato delle
dichiarazioni rese da chi sia sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato
o del suo difensore. Di tal che, in tale caso, di quelle dichiarazioni
non è possibile fare uso alcuno.
Questo il dettato costituzionale.
Dal testo dell’art. 26, 4° comma, della legge n.
63/2001 nonché da quello dell’art. 1, 2° comma, del decreto
legge 7/1/2000, n. 2, convertito con modificazioni della legge 25/2/2000,
n. 35, emerge invece che in taluni casi i principi costituzionali sopra
illustrati non si applicano.
Recitano, infatti, testualmente le due norme appena citate,
o (L’art. 26, 4° comma, L. n. 63/2001): “Quando le
dichiarazioni di cui al comma 3 sono state rese da chi, per libera scelta,
si è sempre volontariamente sottratto all’esame dell’imputato o
del difensore, si applica la disposizione del comma 2 dell’articolo 1 del
decreto-legge 25 febbraio 2000, n. 35, soltanto se esse siano state acquisite
al fascicolo per il dibattimento anteriormente alla data del 25 febbraio
2000.
Se sono state acquisite successivamente, si applica il
comma 1-bis dell’art. 526 del codice di procedura penale, come introdotto
dall’articolo 19 della presente legge.”
o (L’art. 1, 2° comma, D.L. 7/1/2000, n. 2, conv.
della L. 25/2/2000, n. 35): “Le dichiarazioni rese nel corso delle
indagini preliminari da chi, per libera scelta, si è
sempre volontariamente sottratto all’esame dell’imputato o del suo difensore,
sono valutate, se già acquisite al fascicolo per il dibattimento,
solo se la loro attendibilità è confermata da altri elementi
di prova, assunti o formati con diverse modalità.”
Da tali norme si ricava che le dichiarazioni di chi,
per libera scelta, si è sempre sottratto all’esame dell’imputato
o del difensore, qualora siano state acquisite al fascicolo del dibattimento
prima del 25/2/2000 possono essere utilizzate, sia pure secondo la disciplina
del sopra richiamato art. 1, 2° comma, D.L. n. 2/2000, e che, quindi,
in tali casi – contrariamente al dettato costituzionale – la colpevolezza
dell’imputato può essere provata sulla base di quelle dichiarazioni.
Infatti, secondo le norme appena citate, le dichiarazioni
di cui trattasi possono costituire la base per la prova della colpevolezza
dell’imputato, invero, affermare che dette dichiarazioni sono comunque
valutate se la loro attendibilità è confermata da altri elementi
di prova, assunti o formati con diverse modalità, non significa
altro che negare l’applicabilità dei nuovi principi costituzionali,
utilizzare una prova formatasi fuori dal contraddittorio e confermare il
valore di semiplena probatio di quelle dichiarazioni, così come
era nel sistema previgente alla nuova formulazione costituzionale.
La questione di legittimità di cui trattasi appare
rilevante ogni qualvolta il giudice del dibattimento ritenesse di rinvenire
nel materiale probatorio acquisito gli elementi confermativi di cui all’art.
1, 2° comma, del decreto legge 7/1/2000, n. 2, convertito con modificazioni
della legge 25/2/2000, n. 35. In tale ipotesi, infatti, il giudice non
potrebbe non valutare le dichiarazioni accusatorie – (assunte nel corso
delle indagini preliminari) –di chi non si è sottoposto all’esame
dell’imputato o del suo difensore, così come previsto dall’art.
26, 4° comma, L. n. 63/2001, e ciò in quanto, evidentemente,
la norma costituzionale di cui all’art. 111, 4° co., non ha l’efficacia
di non consentire l’applicazione delle norme delle leggi ordinarie che
con essa contrastano, dovendo queste essere sottoposte all’esame della
Corte Costituzionale giusta gli artt. 23 e ss. della L. 11/3/1953, n. 87.
II. Da quanto appena illustrato emerge non solo
la rilevanza della questione costituzionale de qua ma anche l’evidente
non manifesta infondatezza.
Peraltro a sostegno della non manifesta infondatezza
militano ulteriori ragioni.
La questione di costituzionalità è stata
infatti sollevata non solo in relazione all’art. 111, 4° comma, Cost.,
ma anche in relazione agli artt. 138, 1° comma e 3, 1° comma della
Costituzione.
II, 1. L’art. 26, 4° comma L. n. 63/2001,
viola sicuramente l’art. 138, 1° comma.
Se è vero infatti che le leggi di revisione costituzionale
così come tutte le leggi costituzionali devono essere approvate
con la procedura aggravata previste dalla norma appena citata, è
anche vero che le leggi ordinarie non possono modificare norme e principi
costituzionali né porre limitazioni alla loro applicazione.
Ciò, però, è quanto è accaduto
con la norma denunciata, che ha limitato l’applicazione dei principi costituzionali
di cui all’art. 111, 4°, solo a determinati procedimenti, escludendo
quelli per i quali le dichiarazioni accusatorie di chi si è sottratto
all’esame dell’imputato o del suo difensore siano state acquisite al fascicolo
per il dibattimento prima del 25/2/2000.
Si potrebbe obbiettare che il legislatore così
stabilendo altro non avrebbe fatto che attenersi a quanto previsto dall’art.
2 della L. cost. n. 2/99 che testualmente recita: “La legge regola l’applicazione
dei principi contenuti nella presente legge costituzionale ai procedimenti
penali in corso alla data della sua entrata in vigore”.
La censura non avrebbe però pregio.
Tale ultima norma oltre a non consentire alcuna disapplicazione
dei principi introdotti con l’art. 1 della L. cost. n. 2/99, fra i quali
per quanto qui ci interessa quelli del 4° comma dell’art. 111 Cost.,
impone al legislatore ordinario di applicarli anche ai processi penali
in corso alla data di entrata in vigore della legge Costituzionale senza
nessuna esclusione e, pertanto, gli impone di individuare le regole adeguate
e necessarie a detta concreta applicazione.
Del resto la lettera dell’art. 2 L. Cost. n. 2/99 è
di tale chiarezza ed univocità da non consentire interpretazioni
diverse e contrastanti. Tanto da poter rilevare, anche in questo caso,
così come ha fatto la Corte di appello di Napoli, IV Sezione, (cfr.
ordinanza 7/2/2000, Diritto e Procedura Penale, 2000, pag. 2354
e ss.) un ulteriore profilo di incostituzionale, consistente nella
violazione dell’art. 2 L. cost. n. 2/99.
II, 2. E’ perciò evidente che la norma costituzionale
appena esaminata non consente alla legge ordinaria di privare alcuni cittadini
della tutela prevista dai più volte richiamati principi costituzionali.
Di tal che risulta pure evidente il contrasto dell’art.
26, 4° comma, L. n. 63/2001 con l’art. 3 della Costituzione. Non può
infatti negarsi l’assoluta arbitrarietà ed irragionevolezza della
discriminazione operata fra gli imputati nel cui processo le dichiarazioni
di cui trattasi sono state acquisite al fascicolo per il dibattimento
prima del 25/2/2000 e quelli, “più fortunati”, per i quali quelle
dichiarazioni sono state acquisite, casualmente, dopo il 25/2/2000.
Or bene, così come è stato autorevolmente
osservato in dottrina (cfr. V. Crisafulli, Lezioni di diritto Costituzionale,
CEDAM, 1984) e così come pure ancor più autorevolmente è
ritenuto dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, la legge, in
forza del principio costituzionale di eguaglianza di tutti i cittadini
davanti alla legge a pari dignità sociale, deve sempre disporre
“un pari trattamento giuridico di situazioni eguali, ed invece un trattamento
differenziato di situazioni tra loro diverse” (V. Crisafulli, op cit.,
p. 373) “E nel procedere a siffatte valutazioni il canone fondamentale
di giudizio è dato dalla ragionevolezza della disciplina dettata,
e perciò, in particolare: dalla logicità interna della normativa;
dalla razionalità delle deroghe apportarte ai principi informatori
della regolamentazione di certi oggetti; dalla sussistenza o meno, nelle
singole ipotesi, di motivi atti a giustificare differenze di trattamento
giuridico tra i soggetti dell’ordinamento” (V. Crisafulli, op. cit., 373).
Ed allora non vi è chi non veda come l’art. 26,
4° comma, L. n. 63/2001, si ponga in assoluto contrasto con l’art.
3, 1° comma, Cost. e, pertanto, con il principio di ragionevolezza
sopra richiamato. Esso, infatti, senza nessuna ragione, limita l’applicabilità
dei principi di cui all’art. 111 Cost., ai procedimenti penali pendenti
in cui le dichiarazioni previste dalla stessa norma siano state acquisite
al fascicolo del dibattimento successivamente al 25/2/2000. Solo in tale
ultima ipotesi è invero operante l’applicazione dell’art. 526, comma
1-bis c.p.p., introdotto dalla L. n. 63/2001, diretta espressione dei nuovi
principi costituzionali; applicazione negata invece per i processi penali
in cui le dichiarazioni di cui trattasi sono state acquisite al fascicolo
del dibattimento prima del 25/2/2000.
E’ una norma, quella in esame, che irragionevolmente
discrimina tra imputati in processi nei quali sono state acquisite al fascicolo
del dibattimento le note dichiarazioni prima del 25/2/2000 e imputati in
processi in cui quelle dichiarazioni sono state acquisite dopo il 25/2/2000.
Essa infatti tratta in maniera diversa due situazioni sostanzialmente uguali
e solo formalmente diverse, avendo riguardo al solo dato formale dell’epoca
di acquisizione delle dichiarazioni, quest’ultimo conseguente a circostanze
solo casuali e aleatorie e non dipendenti dall’imputato o dalla sua posizione.
Ventimiglia, giugno 2001
Avv. Roberto Vigneri
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