HICQUE VADIMONIS NOSCITUR ESSE LACUS
PREMESSA
Ci accingiamo, non senza qualche esitazione, a scrivere le pagine che seguono, per dare una risposta a quanto di discutibile è stato pubblicato, circa il territorio in cui è posto il lago Vadimone, celebre per le battaglie lì combattute, tra Romani ed Etruschi nel 309 e nel 283 a.C., che qualcuno, vedremo poi chi, vorrebbe fosse a Bassanello (oggi Vasanello) e non nella ridente Piana di Lucignano - Valle Ortana in territorio di Orte, alle pendici del colle di Bassano.
La risposta che noi daremo, a chi ha scritto che fosse in territorio di Bassanello, potrà anche non rispettare gli usuali schemi che gli storici ritengono essenziali: questo non ci preoccupa più di tanto, e non per presunzione o per supponenza, ma perché sappiamo per esperienze avute che chi scrivendo (o parlando) si fa capire, anche non rispettando appieno l’ortodossia storico-letteraria o le esigenze degli addetti ai lavori, può, pur sempre, esprimere le proprie idee o se vogliamo, come in questo caso, le conoscenze acquisite.
Il nostro scopo, pertanto, è solamente quello di dare una risposta, ragionata e informata, a quanto di discutibile è stato pubblicato circa il luogo in cui è situato il suddetto lago.
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II ediz.
HICQUE VADIMONIS NOSCITUR ESSE LACUS
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Il lago Vadimone, dicevamo già nella premessa, si trova nella Valle Ortana - Piano di Lucignano, ai piedi del colle su cui è posto il paese di Bassano ed ha sempre fatto parte, come vedremo, del territorio del comune di Orte.
Tanto è stato definitivamente stabilito, oltre che dalle secolari tradizioni, anche da documenti antichi e recenti e soprattutto da una celebre causa, che fu intentata per dirimere la contesa a suo tempo sorta tra Orte e Bassano in Teverina: detta causa ha stabilito, una volta per tutte, che la Piana di Lucignano faceva e fa parte del territorio Comune di Orte.
Dello svolgimento delle vertenze e dell’ultima che ha risolto la questione, parla anche lo storico Alessandro Camilli, in un capitolo del suo libro -SPIGOLATURE DI STORIA ORTANA DEI SECOLI XIII e XIV - (1962): Il castello di Bassano - scrive - pur soggetto direttamente alla S. Sede, apparteneva al distretto di Orte ed era tenuto in feudo o in vicaria da nobili ortani, come s’è rilevato dalla lettera di Innocenzo III (1212), si era sempre considerato, pertanto, intimamente legato alla città di Orte e membro di essa seguendone tutte le vicende.
Nel 1304, però, i suoi abitanti vollero stringere viepiù tale unione: vollero riconoscere ufficialmente la città di Orte come loro madre e capo e divenire suoi cittadini con tutti i doveri e i diritti inerenti. Il 21 dicembre di quell’anno, infatti - secondo le notizie riportate dal Leoncini - tra Lucio di Pietro Bono in nome della comunità e popolo di Bassano e messer Pietro Cenci sindaco e giudice della città di Orte, si stabiliva un solenne patto in base al quale gli abitanti del castello divenivano perpetuamente cittadini ortani con gli stessi diritti, pesi e gravami dei cittadini del centro; dichiaravano di sottostare ai giudizi civili e penali di Orte; riconoscevano ogni imperio e giurisdizione della città sul castello; promettevano fedeltà, obbedienza e devozione; s’impegnavano a considerare per nemici o dal amici tutti coloro che la città teneva per ecc.
A suggello del patto si stabiliva di innalzare lo stemma del Comune di Orte sulla torre del castello.
Il documento fu rogato dal notaro Fidenzio di Francesco di Bassano in Capomonte, tenuta di Bassano, nella terra degli eredi di Pietro Salomone. Ser Umberto di Donadio (Roberteschi), Fazio i Rainerio e Pietro di Pietro Zilioli, testi.
Nel 1396 Bonifacio IX, con una lettera diretta all’università ed agli abitanti di Bassano (riportata dal Fontanini), concesse al castello l’esenzione dal pagamento d’ogni dazio o gabella dovuti al Comune di Orte.
Sotto lo stesso pontefice, era castellano di Bassano, il nobile ortano, Evangelista di Pietro Jaco Franceschi.-
Sappiamo da altra fonte, che con il passar del tempo i Bassanesi, cambiarono atteggiamento, e contrariamente a quanto avevano concordato, diventarono autonomi istituendo il Comune, cercarono poi (tanto per gradire), di impossessarsi della Valle Ortana- Piano di Lucignano (dove è il lago Vadimone) con varie azioni, negli anni 1478 – 1544 – 1588, ma a niente servirono i loro tentativi.
Nel 1614, i bassanesi, tornarono alla carica, ma il giudice Verospio incaricato dalla S. Sede con i pieni poteri di decidere a suo insindacabile e inappellabile giudizio “a effetto di imporre perpetuo silenzio” cioè di risolvere una volta per sempre la questione, tracciò i confini attuali tra i due territori, stabilì nella piana i confini attuali tra i due territori, stabilì nella piana i confini entro i quali i Bassanesi avevano diritto di pascolo promiscuo insieme agli ortani e con istrumento distinto, del 1916, fece obbligo alla Comunità di Bassano di versare “scudi cinque di moneta di giulii dieci per ciascuno scudo in luogo di gabella” al Comune di Orte il 1 settembre di ogni anno.
Tali patti furono “accettati, omologati e ratificati” dai due consigli con la promessa solenne che stabiliva “ la ratifica et tutte le cose in essa contenute averle sempre rate, grate, valide e ferme”.
Altri tentativi di volersi appropriare della Valle Ortana-Piano di Lucignano, che noi per brevità interamente non riportiamo, imbastirono i bassanesi, negli anni successivi.
Il più importante documento ufficiale riguarda il Catasto che ordinò Pio VI nel 1777, regolarmente pubblicato, ordinava appunto, il - Catasto per le cinque Provincie dello Stato Pontificio -.
Il documento, contrariamente a quanto dicevano i bassanesi, non riguardava particolarmente la questione tra Orte e Bassano, conclusa con la sentenza definitiva emessa dal giudice Verospio nel 1614.
Non volendo tener conto del Catasto per le cinque Provincie dello Stato Pontificio, i bassanesi stessi, cercarono di evitarlo con un nuovo escamotage, come sempre mal congegnato, assegnarono i terreni posseduti in territorio di Orte iscrivendoli furbescamente al Catasto di Bassano, sicuri di farla franca.
La manovra non andò a buon fine, scoperto l’inganno, le competenti autorità, emanarono nel 1782 un’ordinanza, che obbligava i bassanesi, che avevano i beni in contrada Monteruzzolo e Valle Ortana, a rivolgersi entro tre giorni al cancelliere di Orte per l’assegna dei beni e per quant’altro necessario”.
Storici insigni come M.Pallottino, W. Keller, R.A. Staccioli, M.Torelli … parlano del lago Vadimone di Orte e non di Bassano (e nemmeno come vedremo di Vasanello) poiché, esattamente informati, sapevano a quale territorio appartenesse l’ampia piana che ospita il nominato lago, altri invece vedendolo vicino a Bassano, ritennero dover scrivere “lago Vadimone di Bassano”, altri ancora, leggendo opere di disinformati storici, incorsero nello stesso errore. C’è anche chi leggendo magari, opere di disinformati storici, scrive la stessa cosa e chi, addirittura, (vd. appresso) vorrebbe trasferisce il lago sotto casa sua.
Premesso quanto sopra, ci sembra inutile e pretestuoso voler tirare a forza, il lago Vadimone, a Bassanello, come vorrebbe fare Ardelio Loppi, che ha pubblicato opuscoli e pagine di giornale, con il titolo: “Lo storico romano Tito Livio vi ubicò la cruenta battaglia che decise le sorti del popolo etrusco - IL LAGO VADIMONE SI TROVAVA A VASANELLO”- volendo così sostenere, che il citato lago fosse appunto nel suo territorio.
Nonostante la “vera” storia gli dia torto, il Loppi sostiene a spada tratta, la sua non supportata tesi.
Detto quanto sopra, passiamo ai fatti o se vogliamo, ai gravi “storici misfatti”.
Noi intendiamo dimostrare con questo scritto, in modo completo, l’infondatezza di quelle che lui chiama prove, con risposte ragionate e documentate (con precisi riferimenti a storici antichi e moderni), mettendo puntini sugli i e un punto fermo sulla questione che lo scrittore vasanellese ripropone: diciamo ripropone, perché a contrastare quello che oggi è il suo assunto, altri hanno già in tempi lontani per buona parte provveduto.
Molti hanno scritto del lago Vadimone in tempi passati, cercando di impossessarsene, dicevamo, ma la verità è quella che è, il lago in questione rimane lì a dimostrarlo, qualche volta magari “brontolando” per la provata incuria dei cosiddetti “storici”.
Rimane quindi facile, confutare quello che il Loppi vuol far credere con il suo sconclusionato scritto, che non sa, come si suol dire: né di sale né di pepe.
Ciò precisato, ci sembra inutile e pretestuoso voler tirare a forza il lago, in territori diversi da quello in cui giace.
Non si può parlare di storia se non si è informati o se non si cerca la verità, tanto meno se si vuol usare la penna per scopi personali!
Il Loppi nonostante la storia stessa gli dia torto, sostiene a spada tratta, dicevamo, la sua non supportata tesi: lo fa pur sapendo, che se anche un lago ci fosse stato a Bassanello, non poteva certamente chiamarsi, lago Vadimone.
Nessuno può vietargli di scrivere, convinto o meno, ciò che vuole: anche che il Colosseo fosse a Milano …!
Detto ciò, passiamo ai fatti o se vogliamo, ai gravi storici suoi “misfatti”.
Con questo nostro scritto, intendiamo dimostrare, appunto, e in modo completo, l’infondatezza di quelle che lui chiama prove, con risposte ragionate e documentate (con precisi riferimenti a storici antichi e moderni) mettendo i puntini sugli i e un punto fermo, sulla questione che lo scrittore vasanellese ripropone.
Tito Livio, contrariamente a quel che il Loppi ha scritto, tutti gli studiosi d’etruscologia lo sanno, non ubicò la battaglia del lago Vadimone e quindi il lago stesso a Bassanello, perciò il tentativo di voler trasferire il lago nel suo territorio, lascia, già per questo, il tempo che ha trovato.
Sia chiaro che non è nostra intenzione voler a forza, innescare “Lizze storico-letterarie” con il Loppi, ci mancherebbe altro! Oltretutto non saprei farlo, se non entro certi limiti: probabilmente lui vi si avventurerebbe, a noi basta invece, riportare i fatti come veramente sono.
Del resto rimane facile farlo, anche perché a confutare quello che oggi lui vuol far credere, hanno già provveduto per una buona parte in tempi lontani, come sopra dicevamo, anche storici ortani.
Primo fra questi storici è, Lando Leoncini, con la sua “FABRICA ORTANA” (1634), opera scritta in quattro libri, mille quattrocento novantadue carte - duemilanovecentoquarantasei pagine, in cui egli ha parlato anche, del lago Vadimone e delle battaglie tra romani ed etruschi, che lì si sono svolte.
Del lago in questione altri storici ortani hanno parlato: La Mazzola (1450) - Simon Feo, vissuto tra la fine del ‘400 e la metà del 1500) - Fontanini (1708) - Vitali (1846) - Ralli (1926) - Camilli (1927) - Gioacchini (1961 ) - Paglialunga (1963) e altri che qui, per brevità, non citiamo.
Osserviamo, che già a prima vista (a parte il già detto), si ha l’impressione che l’autore vasanellese abbia scritto il suo articolo, non avendo opportuna conoscenza, né del documento di cui sopra si è parlato, né di altri che porremo all’attenzione sua e di chi vorrà leggere, quanto scriviamo.
Il Loppi riguardo al lago in questione, quasi all’inizio del suo scritto, dice: fonti autorevoli quali Polibio, Tito Livo, Seneca, Plinio il Vecchio, suo nipote Plinio il Giovane e Dione Cassio, ubicano il lago in altro luogo … cioè a Bassanello.
Facciamo ancora una volta notare, che gli storici suddetti, non ubicano affatto, il lago Vadimone a Bassanello!
Ma, il Loppi, va comunque avanti e dice “Tra questi, tuttavia l’unico che sembra fornirci un dato geografico preciso è Plinio Cecilio Secondo‘il Giovane’ (61-114 d.C.) che nella - LETTERA ALL’AMICO GALLO - parrebbe collocare il lago, nell’odierno territorio di Bassano in Teverina nelle vicinanze del Tevere”.
Cosa voglia dire con quel “fornirci un dato geografico preciso è Plinio”, per poi dire che lo stesso Plinio, parrebbe collocare il lago nell’odierno territorio di Bassano in Teverina, non è facile capirlo.
A lui non sembra che i termini: preciso e parrebbe, di cui sopra, non vanno, tra loro d’accordo?
La parte della lettera di “Plinio all’amico Gallo”, che il Loppi cita, lo dimostra, egli infatti, così la riporta: “… mio suocero avermi concesso d’ispezionare i suoi poderi. Mentre io andavo per quelli aggirando mi caddero gli occhi sul lago sottostante che ha nome Vadimone. Il lago è a somiglianza di una ruota giacente, da ogni parte è piano non ha seni, non frastagliamenti, tutto è misurato, eguale e quasi scavato e tagliato da mano di artefice; il colore è alquanto più bianco del ceruleo e più carico dello zolfo; l’odore e il sapore sanno di medicinale; possiede proprietà per cui gli oggetti rotti si risaldano; è di breve spazio, non così per altro che non ondeggi all’infuriare dei venti, niuna nave mai lo solca perché è sacro, ma vi galleggiano erbose isole coperte di canne e di giunchi …”.
Leggiamo ora la lettera, così come scritta, nella sua effettiva forma latina:
“…Exegerat prosocer meus, ut Amerina praedia sua inspicerem. Haec perambulanti mihi ostentibus subiacens lacus nomine Vadimonis simul quaedam incredibilia narrantur. Perveni ad ipsum. Lacus est in similitudinem iacentis rotae cincumscriptus et undique aequalis ; nullus sinus, obliquitas nulla, omniadimensa, paria, et quasi artificis manu cavata, et excisa.
Color cæruleo albidior, viridior, et pressior : Sulfuris odor, saporque medicatus: vis, qua fracta solidantur. Spacium modicum, quod tamen sentiat bentos, et fluctibus intumescat.
Nulla in hoc navis (sacer enim est) sed innatant insule herbidae, omnes arundine, et iunco tectae, quaeque alia foecundior palus, ipsaque illa axtremitas lacu effert …”
La corretta traduzione della lettera, nella nostra lingua, è invece questa: “L’avo di mia moglie aveva voluto che io mi recassi a vedere i poderi presso Amelia. Mentre li percorrevo, mi si presentò allo sguardo il sottostante lago chiamato Vadimone, di cui si raccontano cose straordi- narie. Giunsi presso di esso.
Il lago è circoscritto a guisa di una ruota distesa orizzontamente, ed è uguale da ogni parte; nessuna insenatura, nessuna obliquità, ma tutto misurato, uguagliato, e scavato e tagliato come da mano di artefice. Il colore è più chiaro del turchino, e più cupo del verde, l’odore è di zolfo, il sapore medicinale: ha la proprietà di saldare le fratture. L’estensione del lago è modesta, ma è abbastanza ampia da sentire i venti, e gonfiare i flutti. Non è solcato da alcuna barca, perché sacro, ma vi galleggiano isolette erbose, tutte ricoperte di canne e di giunchi; e quel che si trova in ogni altra più fertile palude, è prodotto nei contorni del lago …”
Dalla riportata parte in latino e dalla successiva, nostra traduzione, si può costatare che il Loppi, dopo aver scritto “Mentre io m’andavo per quelli aggirando mi caddero gli occhi sul lago sottostante che ha nome Vadimone…” ha tralasciato le frasi che noi abbiamo sopra evidenziato, cioè: di cui si raccontano cose straordinarie - e soprattutto ha omesso l’esplicativa frase - Giunsi presso di esso (Perveni ad ipsum ) - .
Quest’ultima breve frase (volutamente omessa), fa subito cadere il castello di carta, dallo scrittore vasanellese costruito, con l’intento di voler ambiguamente dimostrare, che il lago Vadimone non è in territorio di Orte, ma a Bassanello.
Omettendo quella frase, il Loppi credeva di poter impunemente dire: “Plinio, rimasto a rimirare il paesaggio sottostante, aveva visto dai colli di Amelia il lago Vadimone, non avendo però passato il Tevere, non essendosi portato di persona sulle sponde del lago, aveva preso una cantonata”.
Di fatto la cantonata l’ha presa lui, pensando che nessuno avrebbe notato la mancanza della frase da lui furbescamente nascosta, così facendo, credeva di poter alzare la bandiera del vincitore e dichiararsi: salvatore della patria! A questo punto è lecito chiedersi ancora una volta: come poteva pensare che la frase da lui volutamente tralasciata, potesse ingannare chi conosce quella lettera, o anche, come poteva pensare che a un lettore attento, sarebbe sfuggita quell'a esplicativa frase?
Così il Loppi, come si suol dire, si è fatto pescare con le mani nella marmellata! Circa la traduzione della lettera di Plinio, vogliamo far notare un altro suo errore, (anzi orrore!), egli ha tradotto: vis, qua fracta solidantur con “possiede proprietà per cui gli oggetti rotti si risaldano” mentre l’esatta traduzione è: ha la proprietà di saldare le fratture - e anche, come dice il Fontanini, di seccare le ulcere.
Il che, ci sembra, sia proprio un’altra cosa!
Della lettera di Plinio, altro è opportuno fargli notare: il latino navis è stato tradotto dal Loppi, nave. Noi lo abbiamo sopra evidenziato, per fargli notare invece, che la traduzione esatta, non fosse altro che per accezione, è: barca.
Nessuno storico tra quelli citati, a quanto ci risulta, ha parlato di navi. Ad esempio, il Keller, storico insigne degli ultimi anni del ‘900, parlando delle battaglie tra romani ed etruschi del 309 e del 283 a.C., dice del Lago Vadimone: “… le cui acque non videro mai una barca” non parla, affatto, di navi!
Così, come dicono il Pallottino, lo Staccioli, il Keller e tanti altri informati storici.
E non si poteva tradurre quel sostantivo in modo diverso avendo gli storici citati conosciuto direttamente, come vedremo appresso, il luogo in cui il lago è posto.
Preso poi da ironico impeto, lo scrittore vasanellese, vuol strafare, va imperterrito avanti e scrive: La polla di Bassano in Teverina ha un diametro di una sessantina di metri … e allora come può porsi la questione del veleggiarci?
Veleggiarci?
Nella lettera di Plinio questo termine non esiste proprio! Con quel “veleggiarci”, lui, voleva forse riferirsi a un veliero, magari a tre alberi, che solcava le fantomatiche acque del lago Vadimone di Bassanello!
Anche questo inventato termine ci offre l’assoluta prova, che il Loppi ha intenzionalmente voluto, come si suol dire: ciurlare nel manico.
Ma c’è di più, egli ci fornisce un’altra straordinaria chicca, infatti dopo quel ‘veleggiarci’ dice: “magari si è rimpicciolita nel tempo? Impossibile: la polla (di Bassano) si trova al livello del Tevere da cui è alimentata …”.
Cosi, sappiamo pure (lo dice l’autore vasanellese), che il lago Vadimone è alimentato dal Tevere, contrariamente al fatto, che il lago stesso (guarda caso) è una sorgente di acque sulfuree “Sulphuris odor, saporque medicatus”, dice Plinio.
Viene da chiedersi: ma il Loppi quella lettera l’ha letta o glie l’hanno (e male) raccontata?
Proseguendo il discorso egli dice: “E un innalzamento espressivo delle sue acque, darebbe vita, ad uno dei bacini idrici più grandi d’Italia, poiché sottintenderebbe, l’allagamento dell’intera Valle del Tevere”.
Così, sulle onde di quel grande “bacino idrico” si poteva pure veleggiare!!
Leggiamo quant’altro, il Loppi, ha scritto, circa la lettera di Plinio: E così via con una dovizia di particolari, primo fra tutti, quello legato alle acque sulfuree, da non lasciare troppi dubbi, circa il fatto che il celebre naturalista si riferisca proprio alla polla di Bassano in Teverina: considerando però che non poteva conoscere la zona, sembra ragionevole supporre che a fornirgli le informazioni storiche fu qualcuno del luogo.
In una versione successiva, riferendosi alla lettera di Plinio dice: “ l’odore è di zolfo e il sapore medicinale, ma emana energia e gli organismi piagati vengono irrobustiti … per quanto riguarda poi le acque sulfuree (l’odore e il sapore medicinale) non dovrebbe certamente stupire che in una il lago di Vasanello ne fosse alimentato … tutto è possibile:
infatti, il lago di Bassanello era vicino ai Campi Flegrei, da cui, magari, si è poi allontanato!
Va ancora avanti con i se e con i ma, il che non dovrebbe certamente stupire, poiché quanto egli dice conta quanto il due di briscola.
Dopo aver citato i soliti “grandi storici”, tra cui quelli che appresso nomina, prosegue dicendo: “ecco, approfondendo questi autori, e il fondamentale, “Atti del martirio del glorioso S. Lanno” del Canonico bassanellese Don Ermenegildo Costanzi, il dubbio che forse il buon Plinio abbia preso una cantonata non sembra poi così campato in aria. Ma si resta nel campo delle congetture: in fondo, come per Plinio, nulla di probante supporta gli altri autori. Sevono prove, quantomeno indiziarie”.
Quindi tutti gli altri storici, che danno per certo dove è il lago (non a Bassanello comunque), hanno inventato tutto? “nulla di probante supporta gli altri autori”, dice appunto Ardelio Loppi! Depositario della verità è solamente il Canonico bassanellese Don Ermenegildo Costanzi, che ovviamente voleva anche lui, come vedremo, trasferire il lago Vadimone a Bassanello!
Il Loppi va ancora avanti e dice di avere prove che il lago in questione era a Bassanello, lo fa presentando dipinti, carte geografiche, affreschi ecc. aggiungendo a queste: “ergo la polla di Bassano non è mai stata molto più grande di come è adesso, mentre il lago di Vasanello come si deduce dalle tre carte geografiche, dalla prospettiva del paesaggio alle spalle della Madonna dell’affresco e del suo antico alvèo (sic) a Poggio del lago, era certamente navigabile si trattava di un vero lago insomma non, come semmai nel caso della pozzanghera di Bassano di una semplice estensione acquitrinosa del Tevere che nessuno avrebbe chiamato lago. Probabilmente Plinio l’ha fatto soltanto perché la vide da molto, molto lontano”.
Possono costituire prove i quadri, gli affreschi e le carte geografiche da lui presentate?
Forse pretende un po’ troppo da chi legge quanto ha scritto, poiché tutti o quasi sanno, che il pittore dipingendo un quadro, un affresco e quant’altro di simile è portato ad abbellire a modo suo il panorama che vede, dipingerci un prato verde, un’immagine somigliante ad un verde-azzurro lago, esteso, piccolo, con rive alberate, monti lontani o altro, nella pittura è cosa normalissima: il pittore non fa una fotografia dei luoghi, crea un’immagine, nella stessa pone anche ciò che può conferire al quadro stesso, artistica bellezza.
E poi: chi con certezza può dire che quelle macchie azzurre, blu o grigie, che s’intravedono nei quadri o negli affreschi rappresentino effettivamente un lago? È un lago? Se così è, chi l’ha dipinto ha volutamente errato il luogo, vedremo appresso perché. Comunque, se il lago ci fosse veramente stato, le cose non cambierebbero di certo, poiché come si è già detto, basterebbe la lettera di Plinio e quello che hanno detto storici antichi e moderni, per ulteriormente dimostrare che il lago Vadimone è in territorio di Orte, non è sicuramente in territorio di Bassano in Teverina e nemmeno, guarda caso, nel territorio di Bassanello.
Delle carte geografiche presentate come prova a margine dello scritto da lui prodotto, citiamo appunto, una nota pervenutaci da persona che propriamente studia la materia (Letizia Tessicini):- Si tratta di un equivoco - ci dice - dovuto al fatto che nella Galleria delle Carte geografiche dei Palazzi Vaticani, eseguiti tra il 1580 e il 1595, l’autore ha deciso di mettere in primo piano, il caratteristico lago Vadimone, il quale è spesso citato nella storia di Roma e che presenta caratteristiche peculiari. Nel farlo il lago è raffigurato, con dimensioni ben maggiori del reale, fatto che nella Galleria accade spesso quando s’intende evidenziare delle caratteristiche ambientali.
È per questo che il lago, sovradimensionato, appare, accanto a Bassanellum, (Bassanello) e il nome del paese viene riportato ed evidenziato”.
Se il Loppi vuol parlare di carte geografiche faccia pure, ma parli anche di altre, tanto per citarne qualcuna, della Map of Etruria del Dennis (1848), oppure dell’ Ager Hortanus in Tuscia Suburbicaria … tante altre ce ne sono, nelle quali è esattamente riportato il lago Vadimone in territorio di Orte.
Lo scrittore vasanellese continua nel suo intento, tirando fuori ossa e cose varie, cita ancora l’Abate Ermenegildo Costanzi e svariati altri “storici”… cita Bagnolo, località nel territorio di Orte, dove c’era in altri tempi un laghetto (pure quello era a Vasanello?), per non arrivare a un bel niente, infine a seguito di quanto ha scritto dice: E’ da ritenere la prova definitiva che il lago Vadimone si trovava a Vasanello? Questo non possiamo sostenerlo con assoluta certezza. Possiamo però asserire che a Vasanello, perlomeno fino al Rinascimento, un lago piuttosto grande c’era e come, perché faceva parte dei feudi Farnese ed era un luogo fortificato, da tutto questo l’equivoco.
Continua poi a parlare di Plinio aggiungendo al già detto: “In ogni caso la lettera di Plinio si è trasformata in una sorta di dogma incontrovertibile e da allora tutti o quasi, tendono invece ad ubicarlo nella piana bassanese, tanto che oggi, fuori della stazione ferroviaria di Orte capeggia un cartello che indirizza i turisti verso il lago Vadimone.che qui, come si usa dire oggi, ha “toppato”: infatti, se quel cartello dice che il lago Vadimone è nella piana bassanese, non dice mica che è a Vasanello!
Anche questa sarebbe una prova? Certamente no: un discorso a parte si potrebbe semmai fare a chi ha scritto quel cartello.
Proseguendo il Loppi dice: “ Ma non giriamoci intorno, dove è finita l’acqua di questo benedetto lago? A venirci incontro è l’abate Ermenegildo Costanzi nei suoi “Atti del martirio del glorioso S.Lanno in Bassanello (1794), … il suo martirio in Bassanello vicino al lago Vadimone, nel sito dove oggi venerasi la cappella del suo martirio”!?
Giovanni Vitali, parroco della Cattedrale di Orte, nel suo “COMPENDIO ISTORICO” - 1845 - (che l’ortano Ildo Santori ci ha fatto conoscere, riesumandolo nel 1975, dopo che per tanti anni era rimasto sequestrato alla comunità), scrive: - Allorché io devisava di esporre con tutta la possibile brevità la Storia della mia patria, preparavami già a dover, con plausibili ragioni le mie assertive, certo di trovar contraddittori ai tanti punti che a questa istoria si riferiscono, e fra gli altri mi si manifestò sostenere il punto più scabroso, quello del lago Vadimone, non perché non mi assistessero le più convincenti ragioni, ma perché le assertive di tanti semidotti erano state ciecamente abbracciate dai dotti.
Ben sapeva che una massa sterminata di competitori se lo stiravano ognuno alla sua volta, e dopo aver scritto più pagine a sostegno delle loro opinioni, come spesso avviene a chi scrive fuor di causa, dichiaransi vincitori” -.
Ardelio Loppi non vorrà far sapere, che anche il suo Abate Costanzi, ebbe “Lizze letterarie” con lo storico ortano Giovanni Vitali, circa il lago di cui stiamo parlando, uscendone piuttosto male, il perché lo costateremo poi.
Il Vitali, infatti, nella sua già citata opera scrive: “Siccome l’Abate Costanzi che lo vuole a Bassanello si fonda su quanto dice Fra Leonardo Alberti nella sua descrizione dell’Italia, e con questa autorità conclude che il lago Vadimone stava nel suo Bassanello, voglio porre sotto l’occhio del lettore le parole stesse dell’Alberti con questa sola avvertenza che quell’auttore per Bassanello intende Bassano:- Essendo nella pianura non molto dal Tevere discosto avendo a mezzogiorno Bassanello, Castel d’Horta, a settentrione oltre il Tevere, Castel Giove, sopra il colle e più oltre c’è Amelia. È questa pianura senz’albero alcuno, molto adagiata per armeggiare.
Ed essendo così scoperta che si può vedere questo lago da Amelia. Siccome Fra Leonardo apprese questa notizia dalla relazione che glie ne dette il suo amico Fra Reggiani, il quale dice Bassanello invece di Bassano, indotto da questo equivoco a prendere qui pro quo prosegue, dicendo che passato Bassanello si vede Gallese … Se si fosse portato sulla faccia del lago, come aveva fatto il suo amico Fra Vincenzo, non saria caduto in quell’errore -”.
Le stesse parole si potrebbero usare anche in questo caso, proprio perché c’è ancora qualche ‘storico’, che probabilmente non ha visto il lago Vadimone dai colli di Amelia, così ricorriamo al Vitali per ripetere: “Forse se anche il Loppi si fosse portato sulla faccia del luogo, non saria caduto in quest’errore!”.
Nello stesso “COMPENDIO ISTORICO” il Vitali, dice ancora: Molti altri sono caduti nella stessa inesatta locazione del lago o per lo stesso motivo o per altri simili, il Blando lo pone a Monterosi, il Siconio sui monti Cimini, lo Scioppo in Bevagna e altri ancora come lo Scaligero, in Umbria … e non istò a confutare l’opinione del Bussi ‘Istoria di Viterbo’ giacché sono tanto ridicole le sue prove che cadono spontaneamente senza venir confutate.. Gli etruschi avevano alle spalle il Tevere, dice Seneca, nel suo ‘De Natura’
Lo storico Florio dice che intorno al lago vi sono “residui di ossa di Galli Senoni di notevoli dimensioni”. Della sconfitta degli etruschi fa notare che “avvenne presso il lago Vadimone, nei pressi del Tevere anche al dir di Polibio II.19 Eutropio II e di Floro I. 13.
A chiuder la bocca a chiunque volesse opporsi, a quanto ho detto intorno a questo celebre lago - dice ancora il Vitali - giunge in tempo opportuno una vantaggiosissima scoperta fatta dal non mai abbastanza lodato Em.mo Cardinale Angelo Mai, nei frammenti di Dionigi d'Alicarnasso Coll.Vatic. Tom.II pag. 510. Ricavasi da quei frammenti che fra gli altri generali romani che guerreggiarono contro gli etruschi, e li sconfissero affatto, vi erano Quinto Emilio collega di Fabrizio nel consolato, e P.Cornelio Dolabella, sotto la di cui condotta fu data battaglia.
Questa sconfitta avvenne presso il lago Vadimone a dir di Polibio, II. 19 - Eutropio II e di Floro. I.13. Ora ricavandosi da queste testimonianze e da altro testo di Dione Cassio, v. EXCEPTA del sullodato Em.mo Mai, pag. 536, che il lago in questione era vicino alle sponde del Tevere, narrando anzi che la pugna incominciò precisamente nel tragitto di esso, per cui i romani poterono conoscere l’esito della battaglia dalla grande quantità dei cadaveri di etruschi trasportati dalla corrente del fiume rosseggiante pel sangue”.
E aggiunge:- Ora esca fuori l’Abate Costanzi colla sua ‘Valle del Lago’ e il Bussi colle sue ‘Amarelle’ e diano se il possono una smentita a queste inconcusse autorità.
In riguardo poi a quelli che asseriscono esistere questo lago nel territorio di Bassano, gli si concede benigno perdono dichiarandosi assertiva oriunda dall'ignoranza dei limiti territoriali, sapendo specialmente avere li Bassanesi solo il diritto di pascere in quella Planizie Teverina.
Chi bramasse accertarsene meglio, puol vedere la celebre causa sostenuta dagli Ortani contro li Bassanesi per questi diritti”.
Nell’opera citata fa poi osservare, che “i famosi Fra e Abati - dal Loppi citati - avevano idee poco chiare, tanto da dire che Plinio non avrebbe potuto attraversare il Tevere, perché in quel luogo non esistevano ponti o mezzi per attraversarlo.”
Il Vitali rispose per le rime: “Se anche nessun ponte esisteva in quel punto, c’erano in ogni modo barche da pesca a particolare servizio per tragittare il fiume - aggiungendo poi - Io voglio concedere che Plinio nella sua relazione abbia a stimarsi veridico storico, ed esatto geografico, e che perciò sia sceso dai campi Amerini e siasi portato sulle sponde del lago senza passare il Tevere perché o non vi esisteva alcun ponte, o si erano affondate tutte le barche, o perché non sapeva guadarlo sebbene in tanti punti sia facilissimo, e senza alcun pericolo. Detto quanto sopra come si può sostenere che il lago Vadimone non è quello che esiste nella Valle Ortana? Chi non sa quanto sia stato mai sempre instabile l’alveo del Tevere? Sanno bene gli ortani che la Valle di Piscinale la quale forma una intera contrada del territorio, venne in una notte del 1775 tagliata dal Tevere, e trasportata così alla parte opposta interamente, restando illesi lì terreni, casali con quanto vi era. Lo stesso è avvenuto all’altra contrada di Baucchella che si unì al territorio di S.Vito; e nel 1845 il Tevere che lambiva la collina di Otricoli, in un punto lasciando l’antico alveo per più di un miglio, si aprì una nuova strada e la contrada di Baucca vocabolo porto dell’Oglio, si staccò interamente dal resto del territorio di Orte cui appartiene. Ciò che avvenne in queste contrade nel giro di pochi anni potrebbe essere avvenuto facilmente nella Valle Ortana. Il Tevere da Mugnano drizzava il suo corso diretto verso le falde del colle di Bassano e dopo aver girato intorno a quella valle che viene circondata da varie colline prendendo il pendio verso li Bagni Ortani, precipitavasi di nuovo nell’alveo che occupa attualmente. Ciò supposto, ecco il Lago Vadimone sottoposto ai campi Amerini: ecco tolto così a Plinio il fastidio di passare il Tevere sopra ponti, o per mezzo di barche, o senza costiparsi per guadarlo.
Chi bramasse meglio persuadersi di questa mia assertiva - aggiunge il Vitali - si porti in una delle colline che circondano la Valle Ortana, e spero, che converrà con me, come vi hanno convenuto non pochi dottissimi viaggiatori”.
Anche Mons. Delfo Gioacchini (1918-1999) - latinista -laureato in lettere e filosofia - Docente e Preside in diversi istituti scolastici, ha scritto e pubblicato molti testi storici, tra questi “CURIOSITA’ ORTANE” dato alle stampe nel 1961, in cui parla del lago Vadimone, riportando e commentando il capitolo che appresso citiamo: “Sullo stato attuale del lago abbiamo un’interessante pro-memoria, un manoscritto del Commendator Giocondo Pasquinangeli ortano, diligente e appassionato cultore di notizie storiche, che con volontà impagabile trascrisse tutta l’opera del Lando Leoncini, descrive così i risultati di una sua escursione in data 5 ottobre 1900. Avendo appreso che il lago era in movimento, la mattina del 5 ottobre si recò sul posto in compagnia del suo cugino Armenio. In mezzo al lago, dal diametro di circa 50 metri, si levavano quattro isolette a forma di montagna costituite da altrettanti crateri in eruzione, formate di terriccio color cenere con striature oscure, terminanti in colore rosso sanguigno, durissime sulla crosta, ma melmose sotto. Conversando con i contadini del posto, venni a sapere che le isolette variano per forma e grandezza da un giorno all’altro e che nel giorno in cui le acque sono in attività ‘dalla cima dei monticelli escono bolle di acqua abbondante, salienti in alto con qualche forza’. Gli raccontarono ancora che una notte del 1885 il lago crebbe rumorosamente, emettendo muggiti come di buoi, tanto che i contadini dei dintorni furono svegliati e videro i loro buoi fuggire spaventati verso il Tevere, in mezzo un getto d’acqua si levava di qualche metro, e ricadendo a forma di rosa, nell’oscurità della notte dava l’impressione di un prete con il largo cappello sospeso sulle acque del lago. Anche nel mese di luglio di quell’anno 1900 il lago era cresciuto fino a raggiungere il diametro di circa 500 metri; poi si era ritirato, lasciando qua e là grosse pozzanghere di fanghiglia. Come si vede il lago non ha mutato abitudini, i ‘Qaeda incredibili’ di Plinio, si verificano anche oggi. I contadini riferirono inoltre che un giorno alcuni bifolchi vollero misurarne la profondità. Presero una doppia fune da barrozza, lunga un centinaio di metri, vi appesero un vomere e lo lasciarono scendere in acqua da una specie d’impalcatura fatta di tronchi d’albero: la fune accompagnò fino al limite di calata, ma non toccò il fondo. L’acqua del lago è calda, non però come quella delle ‘cappannelle’ (1) che manda odore sulfureo e le si attribuiscono qualità terapeutiche (vis qua fracta solidificantur).
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(1) “Bagni delle Cappannelle”: specie di capanne, costruite a mò di “cabine” a cielo aperto, con pareti in canne dell’altezza di circa 2 metri, in basso avevano una “vasca” quadrata scavata nel terreno, pavimentata con ciottoli naturalmente arrotondati, profonda circa 1 mt. dal fondo della quale, saliva acqua ribollente unitamente a odori sulfurei.
Secondo una leggenda ancora viva nei contadini, dove è ora il lago, vicina si trovava un’aia che si sprofondò perché vi tritavano il grano il giorno di S.Anna, e ogni tanto - dicono - si sente un rumore strano come quella di un gruppo di cavalli incitati a correre circolarmente. Da rilevare il fatto che quando si muove il lago anche le acque delle ‘cappannelle’ si risentono: così accadde nella notte tra il 27 e il 28 aprile 1917. Il Pasquinangeli che visitò i luoghi, in un appunto buttato giù in fretta, rilevò il fenomeno: le acque delle “cappannelle” erano per lo meno triplicate in volume, ribollivano più vivamente, mandando odore sulfureo più accentuato. Il lago aveva questa volta un centinaio di metri di diametro. I contadini del luogo per ripararsi da brutte sorprese avevano rialzato gli argini e avevano fatto fluire l’acqua nell’antico condotto verso il Tevere (il fiume sotterraneo di Plinio?) per un raggio dicirca 500 metri il terreno appariva imbiancato da un leggero strato di cenere che circa aveva disseccato ogni vegetazione bassa. Nel mezzo del lago si osservò il solito gettito a forma di rosone (il cappello da prete) che si alzava di circa 5 o 6 metri.
Oggi il lago è ridotto quasi a pozzanghera grossa quanto piazza della Libertà (di Orte), ma accostarsi ad esso fa sempre un certo effetto: troppa storia si è svolta in quei luoghi. È lecito supporre che i fenomeni di cui in antico andò più di frequente soggetto, dovettero radicare nella mentalità portata alla superstizione degli uomini del tempo, la convinzione di manifestazioni delle divinità: per questo forse, ‘sacer erat’. Da allora notizie di altri risentimenti si sono avute nel1938 e nel 1960.
Detti fenomeni dal 1960 a oggi, non si sono più presentati, potrebbero ripetersi però, anche a distanza di molti decenni, come in passato è avvenuto.
Del lago Vadimone altri hanno scritto: Simon Feo medico, fisico e uomo di lettere in predicato di essere chiamato al servizio del papa Clemente VII, ci ha lasciato l’elegia “AD AMICUM” che Luigi Fraticelli, ci ha fatto appieno conoscere nella sua effettiva particolarità.
Il prof. Amleto Di Marcantonio, dell’Accademia citata presidente, nella sua prolusione alla presentazione dell’opera (1991), ha detto tra l’altro: … “ Luigi Fraticelli, pur impegnato come funzionario dell’Università degli studi di Viterbo e quale sindaco di Orte, ha studiato con competenza e rigore quest’opera di Simon Feo, ha tracciato un profilo biografico sulla base dei documenti disponibili, ha approfondito con culturale affetto, gli aspetti più significativi dell’opera, dei personaggi, delle vicende storiche rilevate, offrendo in tal modo agli studiosi un’opera, finora unica, che indubbiamente viene ad accrescere il patrimonio storico-letterario della comunità ortana”.
Dell’Elegia “AD AMICUM” tratta dall’originale in versi latini, citiamo la parte riguardante appunto il lago Vadimone:
A distanza di un paio di miglia, vedrai Bassano
e qui nei paraggi ribolle una fonte di acque sulfuree.
Tuttavia è qui nel nostro territorio una rinomatissima sorgente
che si dice una volta alimentasse bagni sacri.
Sorge nel mezzo alle ampie vallate, non lontano dalle acque del Tevere,
un ampio lago tagliato tutt’intorno.
Appare come una ruota, sempre in ebollizione,infatti la roccia
fu scavata dalla natura e tuttavia non in maniera simile a quella artificiale.
Quest’acqua ondeggia e non genera pesci,né barca alcuna
la solca: una piccola isola si muove dei venti.
Si vede un cunicolo nascosto che inghiotte
le sacre acque, né tuttavia sarà il solo.
Questo ti chiarisce quanto Plinio aveva scritto a Gallo:
ed è noto che sta qui il lago Vadimone
che né il Biondo né Barbaro il dotto videro mai.
Di qui l’imperdonabile errore che fuorviò sempre l’uno e l’altro.
Qui Quinto Fabio sbaragliò le schiere etrusche
dopo aver valicato le cime del monte Cimino.
Qui venne sconfitto Elvio Etrusco e gli Umbri quando
mossero le armi contro i duci romani.
Qui Dolabella vince i feroci Senoni, che portavano
i vessilli dei Romulidi e ne distrusse i resti
qui ora vengono profanati dai ricurvi aratri i resti degli eroi;
qui il contadino urta contro le spade e giavellotti sepolti.
Da questa parte, i castelli vicini alla mia terra patria li governa
Laura che discende,novella Venere per queste terre dalla feroce Orsa.
….Oltre all’opera presentata, di poetica bellezza,che noi non abbiamo interamente trascritto, il Fraticelli, ci fornisce interessanti note, ne citiamo alcune, quelle cioè che particolarmente riguardano questo nostro scritto: “L’ubicazione del lago, controversa fino al secolo scorso,è stata messa fuori discussione almeno da H.Nissen in poi, vd. oggi Luisa Banti, W.V. Harris … A.N. Sherwin-White, The letters of Pliny, Oxford 1966 pag. 472. Concordemente questi autorevoli studiosi hanno ritenuto che il lago Vadimone fosse l’attuale lago nelle vicinanze di Orte. - “Hicque Vadimonis noscitur esse lacus” - E’ noto che sta qui il lago Vadimone - ritenendo di sostituire sic con hic per deduzione concettuale, in quanto il poeta sembra affermare, con decisione appunto, che l’ubicazione del lago Vadimone è qui, cioè nel luogo da lui indicato-. (con questo verso noi abbiamo titolato questo nostro scritto)
- Fa poi notare il verso “Viderat hunc Blondus, doctus nec Barbarus umquam” e precisa: “Il primo è Flavio Biondo (1392-1436), storico ed archeologo il quale con la sua opera Italia illustrata, rimise in auge la geografia storica. Il secondo è Barbaro Ermolao (1453-1493) dotto umanista veneziano che scrisse le Castigationes Plinianae documento enciclopedico critico su testo di Plinio …
Simon Feo che, conobbe le opere, sia del Biondo, che del Barbaro, additò l’uno e l’altro come responsabili dell’error gravis circa l’ubicazione del lago Vadimone (il primo lo ubicava nei pressi del Monte Rosolo, l’attuale Monterosi; il secondo lo poneva, senza specificare meglio in Umbria); e con sottile ironia accostò il vocabolo Doctus-Barbarus, autori, di una svista cosi marchiana, non degna certamente di un dotto.
Da allora e fino al ‘900, altri ‘errori’ furono perpetrati in merito all’ubicazione del Vadimonis lacus, prontamente controbattuti ex adverso e con valide argomentazioni da altri, (vd. il Fontanini) e il Vitali” …”
Ecco così
serviti, una volta ancora, e il moderno storico vasanellese e anche, i
sunnominati Fra e Abati.
Ma ritorniamo a ciò che scrive lo scrittore vasanellese, da quando
cioè dice: “forse tutti gli storici citati, hanno preso ‘un abbaglio’ …
nulla di probante supporta gli storici citati”, e tira avanti imperterrito
continuando il suo traballante discorso, dice di aver letto dell’Abate
Ermenegildo Costanzi “Atti del martirio del glorioso S.Lanno ” (1794)
nei quali è scritto che Bassanello è vicino al lago Vadimone, nel sito ove
venerasi la cappella del suo martirio, dice anche che il Costanzi ha
probabilmente attinto questo, dall’erudito padre Filippo Ferrari”.
Non solo, ma l’Abate Costanzi, spiega persino, dove fosse il celebre lago Vadimone di Bassanello, in un luogo cioè, che oggi viene chiamato, “Prata del lago”, lì si trovano “cunicoli che tuttora rimangono dai quali fuoriuscivano le acque…!
C’è anche qualcos’altro da far presente al Loppi, egli parla anche, delle battaglie tra etruschi e romani presso il lago Vadimone e dice: “ … fintanto che, come da cronologia della storia dell’Urbe, (gli etruschi) furono definitivamente sconfitti nel 309 a.C. nella celebre battaglia del Lago Vadimone”.
Mettiamo in chiaro anche questa questione: intanto definitivamente significa per sempre, quindi battaglia definitiva può definirsi se mai, quella che lui pure ha citato ma in modo diverso, e non fu quella del 309 a.C., ma quella combattuta tra romani ed etruschi rinforzati da grossi contingenti di Galli, che si svolse nel 283 a.C. (il Loppi dice erroneamente, 287 a.C.), nella piana ove si trova il lago.
Questa seconda sanguinosa battaglia: fu veramente quella che generò, se non l’immediata fine dell’Etruria, certamente l’inizio della sua parabola discendente.
E giacché siamo in argomento, parliamo delle battaglie stesse, riportando quanto ha scritto il Keller, storico insigne, che nella seconda metà del ‘900, fece approfondite ricerche, studiò e analizzò non solo in Italia, ma anche in altri Paesi, documenti etruschi che in quei luoghi erano conservati. Da questi trasse il materiale, che usò poi per scrivere “LA CIVILTA’ ETRUSCA”, un libro in cui parla appunto, delle due battaglie sopra citate, svoltesi presso il lago di cui stiamo parlando.
Della prima battaglia, quella del 309 a.C. il Keller scrive: “Presso il lago Vadimone il contingente della lega etrusca si scontra con le legioni del console Quinto Fabio Rulliano. Sulle rive del laghetto vulcanico dalle acque solforose a ovest del Tevere - vicino alla stazioncina di Bassano ( in territorio anch’essa di Orte) infuriò una battaglia d’una asprezza quale mai l’Etruria aveva sperimentato prima.
Tanta era l’ira di ambi le parti, che nessuna si servì delle armi da getto. La battaglia fu aperta con la spada, e l’inaudita violenza del suo inizio s’accrebbe ancora durante la lotta, che restò a lungo indecisa, al punto che si pensava di non aver a combattere con gli etruschi, così spesso battuti, bensì con un popolo nuovo. Nessuno pensava allafuga.
Il comandante romano osserva preoccupato il vacillare delle file dei legionari. Cadono i combattenti di prima linea, e allora, per non lasciare le insegne senza custodi, la seconda linea sottentra alla prima, quindi ad essa le milizie ausiliarie, ma anche le truppe di riserva vengono decimate in breve tempo.
In questo istante di supremo pericolo, il proconsole si risolve a giocare la sua ultima carta, ordinando alla cavalleria di smontare e di buttarsi in prima linea con la fanteria, passando vedette e cadaveri.
L’improvviso intervento delle forze fresche salvò la situazione, questa nuova schiera levatasi fra i decimati, gettò scompiglio tra le file etrusche. Il resto dell’esercito, per provato che fosse, appoggiò l’attacco buttandosi contro le schiere nemiche, la cui pervicacia cominciò allora a spezzarsi. Alcune insegne si volsero, e appena girate le spalle gli etruschi, sconfitti, presero la fuga.
Questo giorno - dice Livio parlando della battaglia citata - i romani abbatterono per la prima volta la potenza etrusca fiorente per lunga fortuna. Il nucleo del popolo restò sul terreno, il campo fu preso e saccheggiato nel medesimo impeto.
Sicuramente anche le perdite da parte dei romani non furono di poco conto.
Fabio Rulliano sfruttò la vittoria faticosamente conquistata gettando la cavalleria alle calcagna dei fuggitivi; e per schiacciare anche l’ultima resistenza, dopo aver coperto a marce forzate in due giorni e una notte la distanza di cento chilometri, si spinse con la fanteria leggera fin sotto Perugia.
Della seconda battaglia del lago Vadimone, quella del 283 a.C. (287 a.C. per il Loppi!), lo stesso Keller scrive: “ Un contingente gallo-etrusco si mise in marcia verso Roma, discendendo il Tevere, attraversata la valle si imbatté nel nemico in prossimità del lago Vadimone, che è in territorio di Orte.L’esercito romano era guidato dal console P.Cornelio Dolabella. Al sordo rullio dei tamburi cozzano insieme le armi etrusche, galliche e romane. Lo scontro con le legioni porta alla sconfitta: talmente catastrofica che solo pochi scampano alla fuga. Fu un vero bagno di sangue di etruschi e galli, ci informa la tradizione, così terribile, che le acque del Tevere diventarono rosse, e i cittadini romani per il sangue che si vedeva e per i cadaveri che galleggiavano sul fiume, appresero la notizia della battaglia ancor prima dell’arrivo dei messi inviati dal console ad annunciare la vittoria. Il lago Vadimone era tornato a essere teatro di una totale sconfitta etrusca.Nel 309 a.C., infatti, sulle sue rive i romani avevano spezzato per la prima volta la loro potenza, ora, solo una generazione più tardi (283 a.C.) l’avevano spezzata per la seconda.Caduto in oblio, ciò che ne resta è un piccolo stagno ameno. Si raggiunge in pochi minuti partendo dalla stazione di Bassano in Teverina ( in territorio di Orte), nelle cui vicinanze l’autostrada Orvieto - Roma varca, in ampio arco, tre volte successivamente il Tevere; in epoca romana esso costituiva, in mezzo alla piana cinta dai colli, un grande bacino circolare, le cui acque non videro mai una barca. Era sacro e vi era proibita financo la pesca. Sembra quasi aggiunge il Keller - che la natura rigogliosa, abbia voluto spegnere anche il ricordo di eventi, che qui accaddero un tempo a rovina degli etruschi. Solo di rado l’aratro riporta alla luce della terra scura vicino alla riva frammenti di un’armatura, di una spada o di un elmo, ultime testimonianze delle terribili battaglie che qui infuriarono”-.
Tra gli storici moderni dalle cui opere abbiamo tratto riferimenti: M. Pallottino fa cenno al lago Vadimone di Orte, Romolo A. Staccioli, docente di Antichità all’Università “La Sapienza” di Roma, autore di numerosi articoli e saggi, che ha scritto tra i suoi numerosi testi: Storia e civiltà degli etruschi’ - ‘Il mistero della lingua etrusca’ - ‘Roma entro le mura’ - ‘Etruschi un popolo tra mito e realtà’ - dice: “Nel 283 a.C. al lago Vadimone, presso Orte, gli eserciti etruschi, rinforzati per l’occasione da forti contingenti di Galli, combattono l’ultima grande battaglia, che si conclude con l’ultima, definitiva sconfitta”.
Otto Willelm von Vacano, nel libro “GLI ETRUSCHI NEL MONDO ANTICO” (1960), parlando del lago Vadimone, scrive “La posizione del piccolo lago solforico, un antico cratere che è a nord di Orte e non lontano dalla riva destra del Tevere. “ … per gli etruschi, si trattava di un ultimo tentativo di sbarrare la strada, ai romani. In questo modo si voleva impedire loro di proseguire verso l’alto corso del Tevere, fino a Perugia, oppure attraverso la fertile Val di Chiana, oltre Orvieto, fino a Chiusi ed a Cortona” e aggiunge: “ L'odierna importanza della stazione ferroviaria di Orte, come punto di coincidenza sulla linea Roma-Firenze, fa comprendere la parte che il lago Vadimone ebbe nelle lotte per l’Etruria, dopo che ai Romani era riuscito di aggirare lo sbarramento costituito da Sutri, Nepi e Falerii (CivitaCastellana)… “Questa volta contro i romani, c’erano etruschi uniti ai galli boi, che come una volta, i senoni, si erano messi in marcia verso Roma: non un Gallo rimase in vita e del sangue degli etruschi caduti, rosse si fecero, le acque del Tevere”.Spiacenti dover disilludere lo ‘storico’ Loppi: tutti gli importanti storici citati e diversi altri, hanno parlato del lago Vadimone sito in territorio ortano, non del lago Vadimone di Bassanello (a parte lo storico Abate Ermenegildo Costanzi e diversi altri disinformati Fra e Abati) e nemmeno guarda caso, di Bassano.
Ma lo storico vasanellese, continua il suo racconto e scrive “è opportuno sottolineare una leggenda” - e meno male che, almeno qui, parla di leggenda riportata sempre dall’abate Costanzi - “esiste in detta terra (di Bassanello) un antichissimo mausoleo in forma di torre riquadrata, composta in un misto di pietre bianche e scure, con i suoi cordoni di adattati a mattoni … evvi costante tradizione, che detta torre sia un antico sepolcro eretto ad un illustre personaggio morto ivi, nell’ultima guerra e battaglia che dai romani fu data agli etruschi, presso il lago Vadimone, che come mostrerò appresso non dista da detta torre che un mezzo miglio all’incirca…Elvio, re degli etruschi, fu ucciso in quella battaglia morendo in Palazzolo distante non più di un buon miglio dal lago di Bassanello”.
Il fatto che Elvio, re degli etruschi, fu ucciso in “Palazzolo” che è tra Vasanello e il Poggio del Capitano in territorio di Orte, niente nega e niente conferma, non si può pretendere del resto, che dire “fu ritrovato un sarcofago di basalto la qualcosa dimostra, perlomeno, che un personaggio importante fu davvero inumato lì, durante i lavori di restauro del campanile”, basti a chiarire qualcosa in proposito.
Anzi, non si capisce proprio, cosa possa provare e che significato possa avere la descrizione di quel sarcofago, se non si sa nemmeno chi vi fosse inumato! Non vorrà mica sostenere che in quel citato sarcofago, Elvio, fu trasportato più tardi?
Potrebbe pure essere, ma nessuno ha mai detto o ha fornito prove che ci fosse. Non poteva esserci Elvio o Erbio Volturreno di cui parla anche il Mercurio in ‘Geografia cap,.II, Tuscia Suburbicaria’: “Palazzolo diruto, qui fu ucciso Elvio, ultimo re toscano (etrusco)”… fu sepolto in Palazzolo sotto un enorme cumulo di pietre”.
Tornando a parlare del lago, anche il Fontanini lo nominò, sia pure in modo errato, infatti egli dice “Plinio poteva trovarsi a Giove o a Bassano, ma poiché dice di giungere allo stesso lago senza far menzione del Tevere, senza il cui attraversamento non avrebbe potuto giungere al lago, si può dedurre che quei poderi Amerini di suo suocero, non fossero nel territorio di Amelia, ma in quello di Bassano, dove appunto soggiace il lago”.
Quindi anche il Fontanini, pur errando anche lui circa il luogo ove precisamente è il lago, non dice che era a Bassanello, contrariamente a quanto il Loppi vorrebbe farci credere.
Antonio Massa da Gallese (1500-1568) Giurista insigne e letterato, nel suo “DE ORIGINE ET REBUS FALISCORUM”, dopo aver riportato la lettera di Plinio e averla commentata, riferendosi a quanti potevano pensare che il lago fosse in chissà quali luoghi, scrive “Ma affinché una cosa sia chiara e non tenga più oltre sospesa l’anima dei lettori dico, che sia fuor di ogni dubbio che il lago Vadimone è quello che nell’agro di Bassano, giace sotto le colline amerine e trovasi non lungi dal Tevere, in modo che questo fiume scorre fra Bassano ed esso lago.
Importante questo riferimento al Tevere del Massa, perché ripete quanto anche il Vitali, infatti dice: “in epoche diverse il Tevere, poteva variare il proprio percorso e passare a sud del lago Vadimone e non, come si è sempre detto, a nord”.
Osservazioni queste che se esatte, potrebbero veramente ribaltare ogni cosa circa il percorso del lago di cui stiamo parlando e, ovviamente il preciso luogo ove si svolsero, le citate battaglie tra etruschi e romani.
“Gli etruschi avevano alle spalle il Tevere” dice Seneca nel suo De Natura. Lo storico Florio dice: “intorno al lago, vi sono residui di ossa di Galli-Senoni di notevoli dimensioni”, precisando inoltre, che la sconfitta degli etruschi: “avvenne presso il lago Vadimone” lo stesso dicono Polibio II. 19 Eutropio II e di Floro.I,13”.Questi storici ed anche Dionigi di Alicarnasso hanno preso un “abbaglio”!?
Le battaglie del lago Vadimone, tutti dicono, si sono svolte “vicino alle sponde del Tevere, precisamente nel tragitto di esso”, non dicono mica: vicino alle sponde, magari, del Fosso delle Mole affluente del Rio Paranza, nei pressi del lago Vadimone di Vasanello! In quanto alle strategie, il Loppi, parla della battaglia tra romani - etruschi e boi, svoltasi presso il lago Vadimone: “proviamo anzitutto - dice - a fare una considerazione strategica: mai accettare lo scontro in campo aperto con un nemico più numeroso e organizzato … Roma era una formidabile macchina da guerra - poi aggiunge: Ad esempio nulla toglie che la battaglia iniziata in una zona impervia che più si prestava a tattiche di guerriglia, e che abbia avuto soltanto il suo epilogo, con i resti dell’esercito etrusco in rotta, in riva al Tevere”.
Ovvio che dicendo ciò, il Loppi non fa una considerazione pone, invece, due cose in contraddizione. Il che conferma, il suo conclamato intento, tanto che aggiunge al già detto: “A questo punto non resta che azzardare lo scenario che potrebbe aver indotto in errore chi, secoli dopo, riportò l’evento. Dopo alcuni giorni (!) di guerriglia tra i boschi e i dirupi della zona intorno al lago Vadimone (quello oggi prosciugato di Bassanello beninteso, direbbe lui) gli etruschi si ritrovarono stretti dalla manovra a tenaglia che da ovest a sud li spingeva inesorabilmente verso il cul dé sac rappresentato dal Tevere. E poi che dopo la guerriglia tra boschi e dirupi della zona intorno al lago, gli etruschi vennero stretti dai romani, con la cavalleria spinti verso il Tevere e qui finì la cruenta contesa che fece migliaia di morti”… e aggiunge, “gli etruschi furono ridotti a poche centinaia … e si schierarono in posizione di combattimento, dove era il laghetto di Bassano in Teverina. In simili casi era consuetudine dei romani, anche ad evitare ulteriori perdite proporre la resa al nemico evidentemente gli, etruschi rifiutarono, e morirono in riva al fiume”.
Egli, dicendo “I romani erano una formidabile macchina da guerra”, intende certamente dire che i romani, non erano degli sprovveduti, allora come può pensare, che si sarebbero lasciati intrappolare in una zona impervia?
Così, infatti, non è stato, poiché la battaglia si è effettivamente svolta nella piana del Tevere, come del resto è dimostrato.
È possibile, nel caso della battaglia del lago Vadimone del 283 a.C. che scontri ci fossero stati, tra avanguardie o truppe avanzate prima della battaglia vera e propria. Sappiamo comunque da Dione Cassio che: “I romani seguendo l’esempio di Q. Fabio Rulliano, discesi velocemente dal Cimino, venuti a contatto con le prime schiere degli etruschi, li spinsero fino al lago Vadimone, costringendoli ad accettare battaglia in condizioni svantaggiose per gli etruschi stessi, che avevano alle spalle il Tevere a sbarrar loro la strada della ritirata e di fronte le agguerrite legioni romane”.
Tanto per completare il discorso e dar valore a quanto abbiamo detto, riferendoci ai testi circa le strategie e all’assetto di combattimento dei romani, giova far notare: - Verso la fine del secolo IV, per opera molto probabilmente di Furio Camillo, la legione da falangistica si trasformò in manipolare: durante le lotte sostenute contro Galli e Sanniti si era, infatti, sperimentato, che la falange doveva spesso dividersi in piccole frazioni per poter manovrare e adattarsi al terreno. La formazione manipolare fu quindi una soluzione geniale che consentì ampia possibilità di manovra e di scaglionamento in profondità.
Inoltre, mentre nella Legione falangitica, i combattenti erano dislocati nelle prime linee poiché lo scontro era prevalentemente lineare e frontale, nella legione manipolare la fanteria con armamento pesante fu disposta su tre linee: nella prima figuravano i giovani (astati), nella seconda i più maturi (principi), nella terza i veterani (triari). In tal modo si aveva una dosatura degli sforzi nel tempo e nello spazio i migliori entravano in azione nel momento decisivo, così come la cavalleria tenuta solitamente di riserva-.
Tanto basta a dimostrare che la battaglia vera e propria, non iniziò “in zone impervie o nei boschi” proprio perché, i romani, per il loro consolidato modo di affrontare i nemici, come sopra dicevamo, non si sarebbero fatti attrarre in quei luoghi, non avendo spazi di manovra necessari al loro modo di combattere .
Chiudiamo qui questo nostro modesto scritto: avevamo intenzione già all'inizio, di seguire un semplice e preciso percorso storico, semplice non è stato per ovvi motivi, preciso per quanto ci è stato possibile, le linee fondamentali della ricerca storica crediamo di averle, almeno in parte, rispettate; siamo scesi brevemente nel particolare, rimanendo però entro certi limiti, così come era nelle nostre intenzioni.
Riteniamo pertanto, di aver sufficientemente dimostrato, con questa, ampliata, edizione, qualcosa in più della precedente, ciò si è ritenuto necessario a seguito delle “variazioni sul tema”, con le quali, Ardelio Loppi, ha tentato di portare il lago Vadimone altrove.
Il suo intento, come al solito, è miseramente naufragato nel “Fantomatico” lago di Vasanello.
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Devo un sentito ringraziamento a Vladimiro Marcoccio che mi ha dato riscontri e riferimenti storici utili e necessari per completare questo mio scritto.