La Strada Romea

da Rimini a Sansepolcro ripercorrendo il sentiero dei pellegrini

Da quando esistono religioni con un culto legato a località che si ritenga abbiano particolari poteri sopranaturali, l'uomo compie pellegrinaggi per raggiungere tali luoghi sia per chiedere grazie alle divinità celebrate nei santuari, sia per offrire ex voto.
Questo fenomeno continuò anche dopo la diffusione del cristianesimo in tutta Europa ed i fedeli si recavano sulle tombe dei santi o nei luoghi dove si custodivano reliquie provenienti dalla Terra Santa.
Durante il medioevo la sede del vescovo di Roma, capo della cristianità occidentale, divenne una delle principali mete dei pellegrinaggi.
 Logo Sentieri Romei A Ravenna convergevano le linee viarie e marittime dirette dai paesi dell'est e nord-est verso Roma; Ancona era porto d'imbarco per l'oriente cristiano e Gerusalemme. Una fascia di "strade" congiungeva la costa adriatica con la valle del Tevere, lungo la quale era più facile raggiungere Roma.
Dopo il crollo dell'Impero Romano la rete stradale si dissestò per la mancanza di manutenzione in un periodo di elevata piovosità e per le frequenti alluvioni. Anche a causa delle invasioni barbariche e delle guerre condotte nella regione dai bizantini e dai goti, dai longobardi e dai franchi carolingi, la vita era segnata dall'autarchia; il commercio su lunga distanza era quasi cessato.
Le vie erano percorse solo da chi sentiva la necessità o era costretto a viaggiare. Erano commercianti, soldati, studenti ed artigiani che intendevano perfezionare la loro arte od il mestiere altrove, pellegrini e religiosi.
Il trasporto delle merci veniva effettuato su barche, quando era possibile, o su animali da soma. Le "strade" medioevali di solito non erano altro che sentieri e mulattiere.
Nel tratto appenninico si preferivano i sentieri di cresta, non solo per il clima più salubre e ventilato, la minore presenza di guadi, di tratti melmosi, di fitta vegetazione, l'assenza di zanzare, la presenza di sorgenti di acqua pulita, ma anche perché dall'alto, sui tratti esposti, si correva minor pericolo di essere sorpresi da malviventi che depredavano i viandanti.
Gli itinerari variavano a seconda delle condizioni meteorologiche (neve, valanghe, piene dei corsi d'acqua), dello stato delle vie (frane e smottamenti) e della situazione politica dei paesi da attraversare (pedaggi da pagare, guerre tra i castelli). Inoltre c'era anche chi evitava i castelli per vari motivi, non di rado giuridici, e preferiva pernottare in luoghi isolati.
Per i viaggiatori, sopratutto i pellegrini, sorgevano lungo gli itinerari infrastrutture per l'accoghenza ed il soccorso.
Tra l'VIII ed il XII secolo i benedettini avevano fondato numerose abbazie, inizialmente con scopi missionari (compresa la bonifica, con tecniche innovative, di terre abbandonate o incolte).
Presto divennero dei "motel" per i pellegrini, con alloggio,cucina ed assistenza medica. Lungo l'itinerario descritto dalla carta si trovavano le abbazie di San Pietro e di San Gaudenzio (a Rimini), San Paolo (Monte San Paolo), San Michele Arcangelo in Sasso (Sasso di Simone), San Michele Arcangelo in Lamoli, San Michele Arcangelo dei Tedaldi (Badia Tedalda) e Santo Sepolcro (Sansepolcro).
Altri "Hospitalia" appertennero all'ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro (oggi Cavalieri di Malta). Le chiese e gli ospedali da loro gestiti, lungo il percorso qui descritto, erano il monastero di San Salvatore e l'ospedale di Ospedaletto, Santa Croce di Monte Tassi, Santa Croce e Santa Caterina di Montecerignone.
Anche i francescani erano molto attivi nell'assistenza ai pellegrini per i quali avevano fondato alcuni conventi con annessi ospedali e lebbrosari, presto passati in parte ai cappuccini. Di essi sono da citare il Convento della Faggiola (San Bonaventura), San Lazzaro (Ponte Cappuccini), San Nicolò (Carpegna) e Santa Maria di Montecasale.
Lungo i percorsi le "maestà", cioè chiesette e cappelle isolate con panchine ai lati interni, davano riparo ai viandanti in caso di improvviso maltempo o al sopraggiungere della notte (Cella di San Cristoforo, Madonna del Presale).
Dalle abbazie benedettine dipendevano, sui valichi appenninici, edifici fortificati di ricovero gestiti da monaci armati, che facevano anche da guida ai gruppi di pellegrini sui tratti montani (Palazzo dei Monaci presso Viamaggio).
Le infrastrutture "alberghiere" gestite dai religiosi si mantennero per lo più grazie ai doni dei pellegrini nonché dei signori del luogo ed in parte anche dai proventi delle terre appartenenti alle abbazie.
Anche il potere civile sfruttò e controllò il flusso dei pellegrini, chiedendo pedaggi, ma anche con la gestione di taverne e locande nei centri abitati. Il controllo delle "strade" venne effettuato tramite le torri isolate od i castelli (Montetauro, Montegiardino, Faetano, torre di San Cristoforo, castello di San Pietro di Rocca Corbara, torre di Monte Faggiola, castello Begni, rocca di Montecerignone, torri di Monteboaggine, Paschio, Miratoio, castelli di Petrella Massana e Stiavola, torri di Montelabreve, Parchiule, Ville di Parchiule, Pischiano e Ca' d'Onofrio). Alcuni toponimi ricordano taverne e bettole in luoghi isolati, che erano probabilmente poco raccomandabili ai viaggiatori solitari.
Fra il X ed il XIV secolo la maggioranza dei viandanti era probabilmente costituita dai pellegrini. Una parte di essi si recava in pellegrinaggio per motivi di fede, per desiderio di ascesi o per venerare la tomba di un santo. Ma una parte, probabilmente non indifferente, intraprendeva il viaggio per penitenza.
L'insicurezza del viaggiare nel medioevo, con il pericolo di contrarre malattie od incorrere in incidenti spesso mortali, di essere assaliti, derubati ed a volte anche uccisi dai briganti, non esclusi i signori dei castelli, rendeva il pellegrinaggio spesso una pena maggiore di quelle corporali (compresa la condanna a morte).
Quanto fosse grande la paura di soccombere alle fatiche ed ai pericoli del viaggio possiamo dedurlo dai numerosi testamenti di quell'epoca pervenutici.
La condanna al pellegrinaggio penitenziario veniva inflitta dalle istituzioni ecclesiastiche per assassinio del padre, dei parenti prossimi o dei membri del clero, incesto, sodomia, furti dei beni della Chiesa, alle donne per adulterio, aborto ed infanticidio, reati che venivano spesso allo scoperto solo nei confessionali. Alla meta prescritta questi pellegrini coatti dovevano esibire e far firmare una speciale lettera indirizzata alle autorità religiose e solo se la riportavano al loro paese d'origine veniva loro perdonato il reato.
L'insicurezza del viaggio indusse i pellegrini ad aggregarsi fra loro o, se era possibile, alle carovane dei mercanti che spesso erano scortate da soldati armati. Sui valichi potevano chiedere l'aiuto di guide armate alle dipendenze delle abbazie.
Solo agli aristocratici era permesso l'uso del cavallo. Il resto dei viandanti camminava a piedi, i pellegrini coatti a piedi nudi, con vestiti a brandelli ed a volte con addosso delle catene, dando uno spettacolo più commiserabile degli odierni barboni.
I grandi pellegrinaggi cristiani si rivolsero verso la Terra Santa, soprattutto Gerusalemme. Dopo la caduta di Acri, l'ultima roccaforte cristiana conquistata dai Turchi nel 1291, le folle si diressero per lo più a Campostella ed a Roma. Nel 1300 il papa Bonifacio VIII indisse il primo Anno Santo. Chi si recava a Roma poteva acquisire l'indulgenza plenaria, cioé la cancellazione delle pene da scontare nel Purgatorio.
Dal XVII secolo il pellegrinaggio perse lentamente d'importanza finché, nel 1804, venne proibito negli stati d'ispirazione napoleonica con la motivazione che esso facesse perdere giorni di lavoro alle popolazioni rurali ed il camminare a piedi nuocesse alla salute. Ma nel XX secolo il pellegrinaggio riprese vigore, seppure con uno spirito diverso.
L'itinerario descritto nella carta non era l'unico che attraversava l'Appennino. Da numerose ricerche è però confermato che fosse uno dei più importanti e più frequentati dai pellegrini che, provenienti dall'Europa centro-orientale, si dirigevano verso Roma.
La meglio conosciuta Via Romea, tra Rimini e Ravenna, non è altro che un tronco della via qui descritta.
I perni dell'itinerario, dove confluivano vari percorsi, erano Rimini, il Sasso di Simone, con la sua abbazia, e Sansepolcro. Il Sasso di Simone è tuttora un punto di riferimento visibile da tutte le direzioni.
La Strada Romea qui individuata è ancora oggi interamente percorribile a piedi e, salvo piccoli tratti, anche in bicicletta (mountain-bike) ed a cavallo. Solo la parte iniziale, fino a Montegiardino, è strada asfaltata e perciò risulta di poco interesse per i camminatori. Segue quasi sempre la direzione NE-SW e segue le linee di cresta che segnano lo spartiacque tra il bacino fluviale del Marecchia e quello del Conca, del Foglia, del Metauro e del Tevere.
A piedi tutto l'itinerario è percorribile in 4 tappe giornaliere.
Chi si incammina su questi sentieri di cresta, può rispettosamente ascoltare il silenzio, i suoni della natura, mentre lo sguardo può spaziare dal mare al crinale appenninico e volgersi al susseguirsi, apparentemente infinito, delle catene collinari del Montefeltro, con i numerosi castelli e le chiese sulle sommità.
Pernottando all'addiaccio si può osservare la volta celeste in condizioni particolarmente favorevoli, poiché si è lontani da fonti luminose che possono disturbare la visione, e conseguentemente notare così le miriadi di stelle che si offrono allo sguardo, facendosi un'idea di ciò che poteva essere il viaggiare nel medioevo.
Il nostro camminare è oggi facilitato da scarponi, zaini, sacchi a pelo imbottiti di fibre leggere, materassi morbidi e leggeri, cibo appropriato ed abbondante, giacche impermeabili ed altro, mentre il pellegrino medioevale non aveva alto che vestiti di tela e lana, una mantella ed un cappello a tesa larga contro le intemperie, per la notte una rozza coperta ed a volte nemmeno questa, il tipico bastone, pochissimi averi legati in un sacchetto alla cintola. Non di rado camminava a piedi nudi ed era felice se la sera riusciva ad ottenere una scodella di brodaglia calda ed un giacilio di paglia in un ospedale.
Con questa carta l'autore si riallaccia alla tradizione romana e medievale delle carte itinerarie (delle quali la più conosciuta è la Tabula Peutingeriana), riproponendone una in veste moderna.
La "Strada Romea" è indicata sul percorso da segnavia di colore bianco-rosso e rosso-bianco-rosso con la sigla "SR".
L'itinerario coincide parzialmente con sentieri segnati dalle sezioni di Pesaro ed Arezzo del Club Alpino Italiano: il sentiero 122 sui Monte San Paolo e Monte della Valle, il 114 da Montecerignone al Poggio Rosso, il 107, poi 108 da Serra Nanni a Paterno, il 119 da Carpegna al Sasso di Simone, il 17 ed il 61 dal Sasso di Simone al Monte Scura, il 65 fino al Poggio delle Campane, il 5A fino al Monte Bello, il 5 dal Sasso Aguzzo al Passo di Montelabreve, l'89 e l'85 tra Parchiule ed il Passo delle Vacche, il 4 dal Passo delle Vacche a Sansepolcro.

Detlef Musielak

 Carta dei Sentieri Romei

Rimini

Venne fondata nel 268 a.C. dai Romani. Fu ducato sotto i Longobardi e passò nel 571 alla Chiesa per donazione di Pipino Re dei Franchi. Nel 1157 venne riconosciuto da Federico Barbarossa libero Comune. Dalle lotte fra Guelfi e Ghibellini uscirono vincitori nel 1295 i Malatesta che ressero le sorti della città fino al XVI secolo, quando Rimini tornò sotto il diretto governo della Chiesa.

Edifici monumentali dell'epoca dei pellegrinaggi:

Borgo San Giuliano, sorto nell'alto medioevo attorno all'abbazia benedettina di San Pietro (dell'816), edificata sul posto di una chiesa paleocristiana costruita sulle rovine di un tempio pagano. L'abbazia è scomparsa. Al suo posto si trova dal XVI secolo la chiesa di San Giuliano.
Sant'Agostino, edificata nel 1247. Della primitiva chiesa e del convento agostiniano resta il campanile, in stile romanico. La chiesa conserva il maggiore ciclo di pitture trecentesche dell'Italia.
Tempio Malatestiano, chiesa risalente al XIII secolo e dedicata a San Francesco e Santa Colomba, assunse l'aspetto attuale nel 1450-60.
Chiesa dei Servi, del 1314 e restaurata nel 1778.
Santa Maria di Misericordia, del 1368. Vi era annesso un ospedale.
San Giovanni Battista, del XII secolo, completamente rinnovata nel XVIII secolo. Dapprima convento dei carmelitani, nel 1797 passò ai cappuccini.
Sant'Agnese, fondata prima del 1000, poi rifatta e dopo il terremoto del 1916 interamente ricostruita.
San Salvatore, fu chiesa monastica dell'Ordine del Santo Sepolcro, di stile romanico (XI secolo).
Ospedaletto, qui si trovava un'ospedale per i pellegrini, dipendente dal priorato di San Salvatore.
Torre di San Cristoforo, ricorda il patrono dei viandanti. Era già nel 1228 dominio dei conti di Carpegna, che qui potevano controllare il flusso dei pellegrini.
Sul Monte Bono esisteva il Castello di San Pietro di Roma Corbara, anch'esso dei conti di Carpegna.
Montecerignone, fonti rinascimentali sostengono che nel 982 il "Castrum Cigunus" venne dato in feudo dall'imperatore Ottone a Uldarico da Carpegna. Pare che in realtà il castello sia nato nel XIII secolo a difesa del ponte sul fiume Conca, che portò al declino del vicino Castel Begni che sino ad allora aveva controllato il guado.
Montecerignone passò sotto il dominio di Guidobaldo da Montefeltro. Venne assediato dalle truppe di Lorenzo de' Medici, finché Bonaventura da Urbino vinse le milizie fiorentine. Dopo la morte del duca Francesco Maria della Rovere passò alla Chiesa.
Fu sede del tribunale montefeltrano.
La chiesa di Santa Croce nel borgo era dell'Ordine del Santo Sepolcro. Vi era annesso un'ospedale per i pellegrini; oggi è un'edificio condominiale. La chiesa di Santa Caterina, anch'essa dell'Ordine del Santo Sepolcro, con l'annesso ospedale, divenne convento femminile ed ospita oggi la biblioteca e le scuole comunali. Altre due chiese sono Santa Maria Vecchia edificata sulle macerie del tempio della dea Lucina, e Santa Maria delle Grazie, o Santuario del Beato Domenico che fece parte di un convento domenicano.
La rocca passò dai Malatesta ai Montefeltro nel 1464. Si presenta oggi nell'aspetto che assunse dopo la ristrutturazione del 1478 a cura di Francesco di Giorgio Martini da Siena.
Monte San Paolo, il convento benedettino che qui sorse nel XII secolo venne saccheggiato e rovinato nel XIV secolo. I monaci si trasferirono nell'abbazia di San Cristoforo di Urbania.
Montetassi, il "Castrun Mons Taxorum" ebbe nel 1293 trenta famiglie. La rocca venne fatta costruire dai conti Candolfini, che vi risiedettero sino al XVIII secolo. Il "Castrum Luxorio" presso la chiesa di Santa Lucia è dirupato nel 1293. Anche del Castelvecchio presso la chiesa di Santa Croce non restano tracce. La chiesa, del XII secolo, fu dell'Ordine del Santo Sepolcro ed aveva un'ospedale.
San Bonaventura, convento francescano fondato nel XIII secolo. Ora è casa colonica.
Ponte Cappuccini, presso la chiesa di San Lazzaro esisteva un'ospedale per i pellegrini. Agli inizi del 1500 su quest'area sorse il convento tuttora dei frati cappuccini, che ha dato nome all'abitato.
Carpegna, conosciuta all'epoca romana come "Pagus Arpineus". Vi sorsero due castelli: "Castrum Carpinei" sul pianello, ora franato, ed il longobardo "Castrum Arimannorum" (la Castellaccia). Questi due castelli vennero uniti nel Comune di Carpegna nel 1817. Dall'XI secolo vi risiedono i conti di Carpegna. Nel 1570 i Medici si impossessarono della Contea, che venne assorbita dalla Chiesa nel 1819.
Palazzo Carpegna, voluto dal cardinale Gaspare di Carpegna e costruito fra il 1675 ed il 1695 in stile rinascimentale-barocco.
Fontana pubblica, la vasca è ricavata da un'antico sepolcro.
Chiesa di San Leo, costruita nel 1203, con affreschi di Evangelista di Piandimeleto (maestro di Raffaello) ed un quadro del Tiepolo.
San Pietro, del 1626, ospita una statua della Madonna del Rosario del XVI secolo.
San Nicolò, del 1600, che fino al 1818 era dedicata a Sant'Annunziata e San Francesco d'Assisi. Dal 1492, quando il loro convento alla Selva dei Frati fu travolto da una frana, ospita i frati francescani. La chiesa fu protagonista, nel 1970, del suono delle campane senza che esse si mossero.
Il Sasso di Simone ed il Simoncello sono due massi di calcare corallino che "galleggiano" come zattere sull'argilla scagliosa. Essa è coperta a settentrione da fitta querceta mentre a meridione, dove l'uomo nei secoli passati ha distrutto il manto forestale per ricavarne pascoli, è calancata in modo impressionante. I due massi sono circondati da frane composte da blocchi che nel corso dei millenni si sono staccati dalle pareti rocciose. Occhi esperti possono trovare fossili di fauna pelagica (delle barriere coralline).
Sul Sasso di Simone sono stati rinvenuti resti di mura e manufatti dell'età del bronzo. All'epoca romana era area di pascolo per bovini.
Il toponimo sembra derivare da un Simon, compagno di Leus e Marinus, oppure da un monaco bizantino che si sarebbe rifugiato su questo monte.
I monaci benedettini eressero sul Sasso di Simone l'abbazia di San Michele Arcangelo, citata la prima volta in un documento del 1124, che venne abbandonata nel XIV secolo per le avverse condizioni meteorologiche che, specie d'inverno, regnavano sulla sommità.
I monaci si trasferirono dapprima a San Sisto e, quando rovinò il convento, al Monastero del Mutino.
Lorenzo de' Medici per consolidare il suo potere sulla contea di Carpegna, della quale si era impossessato nel 1570, fece costruire nel 1586, sui ruderi dell'abbazia, una fortezza: la "Città del Sole", che nel 1675 venne abbandonata a causa del clima e delle difficoltà dell'approvvigionamento. La chiesa rimase in piedi sino al XVIII secolo. Di questa città tardorinascimentale rimangono la rampa d'accesso selciata, le mura di base delle case e la cisterna, tutte oramai invase da un bosco di cerro.
Selva Entiatia, nome dato forse dai romani a questa foresta di querce ai piedi del Sasso di simone. L'etimologia è controversa ("Bosco degli Oracoli", "Selva dell'Ispirazione" oppure semplicemente "Bosco dei Campi").
Montelabreve, era nel XII e nel XIII secolo una delle principali tappe della Strada Romea. Venne citato nel XV secolo come castello con torre e molino. Rimase contea molto popolata fino al XVIII secolo.
Gorgascura, dell'originario castello restano, ormai invaso dai rovi, pochi ruderi della rocca, della chiesa di San Giovanni e del mulino.
Gorgascura era capoluogo di una contea (dei longobardi di Schiantesi di Montedoglio) in eterna lotta con Montelabreve, finché nel 1794 venne annesso a questo comune per disposizione del granduca Leopoldo.
Castellacciola, castello citato nel XII secolo, ormai abbandonato, così come la chiesa ed il cimitero. Qui sorgeva una torre, che collegava quella di Ville di Parchiule con quella del Poggio Monterano (e Badia Tedalda).
Parchiule, il "Castrum Particulae" venne fondato dai monaci di Lamoli e da esso dipendeva. Sorse attorno alla chiesa di Santa maria, ricordata nel 1180. Occupato nel 1337 dai Faggiolani, era di proprietà nel 1353 di Nerio, figlio di Uguccione della Faggiola. Nel 1390 Papa Bonifacio IX concedette Parchiule in vicariato al conte Antonio da Montefeltro e restò nello stato urbinate fino al 1631.
Del castello rimangono i resti della torre. Il villaggio si è spostato a valle lungo il fiume Auro. L'attuale chiesa di Santa Maria e San Damiano è del 1744. Di fronte, dall'altra parte del ponte medioevale, si trova la Cappella dei Crociani del 1571 ed il mulino del XVII secolo.
Lamoli, con l'Abbazia di San Michele Arcangelo fondata dai benedettini nel VII secolo sul luogo di una chiesa ariana. La chiesa, in stile romanico, e l'annesso edificio sono del XII secolo.
L'abbazia era, fino al XV secolo, il centro della Massa Trabaria.
Nei pressi dell'abbazia nacque il "Castrum Lamularum", che Gentile Brancaleoni di Mercatello portò in dote a Federico da Montefeltro.
Case Barboni, borgo rurale con edifici di struttura rinascimentale, del 1400. Pare che il toponimo faccia riferimento a fuggiaschi ugonotti che qui si sono stanziati. La loggia di una delle case si dice provenga dall'abbazia abbandonata del Sasso di Simone.
Petrella Massana, castello medioevale facente parte della Massa Trabaria. Venne concessa da Bonifacio IX ai Brancaleoni nel 1394. La rocca e la torre sono scomparsi e sostituiti da una croce.
Ville di Parchiule, spicca la torre, alta 10 metri e costruita dalla prima metà del XIII secolo. Dipendeva da Parchiule. L'attuale agglomerato rurale è sorto nel XVI secolo.
Poggio della Rocca, qui sorgeva nel X secolo una rocca fatta costruire da re Filippo, fratello dell'imperatore Enrico I. Ne restano pochi ruderi.
Eremo di Santa Maria di Montecasale, eretto come ospizio per i pellegrini nel XII secolo dai Camaldolesi con le pietre della rocca "Casale d'Afra", sorta nel VIII secolo a poca distanza e smantellata poco dopo il 1186.
L'Eremo fu donato nel 1212 a Francesco d'Assisi. Venne ampliato nel 1440-50 e restaurato dopo un crollo nel 1540.
Passò nel 1531 ai cappuccini. Soppresso nel 1810 su ordine di Napoleone, tornò ai cappuccini nel 1894.
Via del Sale, il tratto della Strada Romea fra il Passo delle Vacche ed il Poggio Sportino, in epoca successiva, venne battezzato "Via del Sale", perché vi transitavano le carovane con il sale sul dorso dei muli. A controllo della strada sorgevano le torri di Pischiano e di Ca del Borchio.
Sansepolcro, nel 950 venne costruita una cappella per custodire delle reliquie del Santo Sepolcro portatevi da due pellegrini dalla Terra Santa. Sorse poi l'abbazia benedettina del "Sancto Sepolcro in Noceati", attorno alla quale si sviluppò il "Borgo San Sepolcro". Feudo degli abati camaldolesi, divenne nel 1296 libero comune, che si difese contro i Castellani, i Perugini e gli Aretini. Fu poi signoria dei Malatesta (1370-1430) e dei Lorena.
Il centro storico ha mantenuto il suo aspetto medioevale e rinascimentale nonostante le devastazioni della seconda guerra mondiale.
L'originaria abbazia fu demolita ed al suo posto ricostruita la cattedrale tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo.
Altre chiese medioevali sono Sant'Agostino, San Lorenzo, San Francesco e la chiesa dei Servi di Maria. Sansepolcro fu patria del pittore rinascimentale Pietro della Francesca (1420-1492).